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Autore: _MorgenStern    30/07/2014    2 recensioni
"Fu una storia che nacque e morì di guerra.
Furono un uomo e una donna.
Fu un'avventura di sentimento e disperazione, di gioia e dolore.
Furono amanti, furono amici e nascosti.
Fu ciò che chiunque voleva avere, e venne loro strappato via.
Furono Amore."

| Nazi!Germany x Fem!NordItalia; WWII |
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Germania/Ludwig, Nyotalia
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alice sapeva che la vita è difficile.
Per lei lo era sempre stata, da quando si era resa conto di cos’era e di cosa comportava il suo essere: seppur fosse la controparte femminile – e quindi politicamente più disimpegnata – della sua Nazione, aveva comunque l’obbligo di tacere sulla sua vera identità. Nessuno le avrebbe mai creduto, men che meno l’avrebbe accettata e trattata semplicemente, come invece era caso facesse. Dopotutto, era solo una ragazza cresciuta nel Nord Italia, in varie cittadine e paesi, abituata alle difficoltà e alle gioie delle comunità contadine, senza nessuna particolare o nobile dote che non fosse sentire il suo popolo come parte della propria coscienza. Se la maggioranza di coloro con cui era più in contatto avesse preso una decisione in merito a qualsiasi ambito, che fosse politico o religioso, lei vi si sarebbe adattata senza quasi ragionarci.
Amava così tanto tutte quelle anime che, ad ogni modo, le avrebbe lasciate vivere indipendentemente dalle sue scelte. Soprattutto, le piaceva poter vivere come una donna umana, preoccupandosi della sua casa, dei suoi vicini, del suo paesino e anche di se stessa, ogni tanto.
Proprio per queste motivazioni quella mattina aveva deciso di uscire dalla sua abitazione, in cerca del calzolaio. Probabilmente Sergio non era nella sua bottega, ma trovarlo sarebbe stato facile: da quando c’erano i tedeschi, ogni giorno si sistemava in un angolo della piazza, con un tavolo, una sedia e i suoi attrezzi da lavoro. Non c’era molta richiesta, negli ultimi tempi, e da lì poteva osservare i movimenti dei “corvi” e magari ascoltare quel poco che capiva. Qualche volta, uno di loro arrivava persino a chiedergli un intervento sui suoi stivali chiodati, senza farsi troppa pubblicità: le divise in dotazione ai corpi armati del Reich venivano direttamente dai depositi, dovevano essere sempre perfettamente pulite ed in regola e una modifica non autorizzata poteva costar caro a quegli uomini. Dato che però “nessuno” lo veniva a sapere, tutto poteva funzionare e Sergio poteva raccogliere qualche marco tedesco. E anche qualche informazione sporadica, la quale raggiungeva ben presto le orecchie dell’intera popolazione, ma certo nessun soldato straniero ne era al corrente.
Un sacchetto in tela con gli zoccoli da riparare in una mano e una treccia castana nell’altra, Alice camminava tranquilla sulle pietre della pavimentazione, mascherando bene la preoccupazione che – trasmessa dagli italiani o meno – sentiva nel cuore da giorni. Quegli uomini le davano una strana sensazione, come se un peso le incombesse sul capo; d’altro canto, però, essi non avevano ancora fatto nulla se non portare con loro l’oscura reputazione delle SS.
Si poteva ancora sperare di scampare a pericoli peggiori della guerra nel Nord, in luoghi lontani come la Polonia o la tanto preannunciata Francia.




Stava osservando una vetrina del centro, occupando l’attesa del lavoro di Sergio cercando la stoffa adatta con cui rammendare i pantaloni di Giuseppe – il suo vicino, quel caro ragazzo -, quando sentì una voce sconosciuta alle sue spalle. Purtroppo, non aveva capito ciò che le era stato detto, né era sicura che fosse rivolto proprio a lei, ma sollevando lo sguardo non ebbe più dubbi. Quello che si vedeva nel riflesso accanto a sé era un alto uomo in divisa.
Un tedesco.
La ragazza si voltò di scatto, tra l’imbarazzo e il timore, non sapendo come comportarsi. Nessuno di loro le aveva ancora rivolto la parola…e se fosse stato il soldato che l’aveva fissata qualche sera prima? Oh, mamma…
« Signorina, salve. » l’italiano dello straniero era fortemente accentato, ma l’uomo sapeva cosa diceva. Doveva essere in Italia da molto, non vi erano dubbi. Con quegli occhi azzurro cielo fissi su di lei, sembrava comunque minaccioso nonostante cercasse di essere amichevole, ma forse era solo suggestione…
« Salve a lei, signore. Le serve qualcosa? » il tono della giovane non era per nulla ironico o sfacciato, così come non lo era il sorriso tremulo che aveva sulle labbra. Non era una sua caratteristica essere ostile e con un individuo del genere davanti non avrebbe comunque potuto permettersi di avere un atteggiamento simile. Ne era certa: coscienza del popolo o meno, i tedeschi la terrorizzavano.
Il soldato scosse il capo brevemente, senza distogliere lo sguardo da lei nemmeno per un secondo « No, no. Solo un informazione: abiti qui? »
« Oh, sì. Da anni, ormai. » Alice si trattenne dal domandare il perché di quella domanda, ben conscia del grado di educazione che doveva tenere con un uomo, soprattutto in divisa. Le avevano insegnato ad essere rispettosa, pressoché sottomessa, e non intendeva dare modo a nessuno di riprenderla su quel punto. Sarebbe potuta finire nei guai, altrimenti.
« Molto bene » era certa di aver visto un bagliore negli occhi dello straniero, a quelle parole. Egli le si affiancò, apparentemente interessandosi alle tele e agli strumenti da cucito – ben pochi, in realtà – esposti dal negozio.
In silenzio, senza osare una parola o un suono, l’italiana deglutì, in attesa che l’altro continuasse a parlare e cercando di mascherare con un sorriso quanto fosse spaventata dal discorrere con lui.
Aveva sentito dire da qualche ex-soldato del paese che le SS si nutrivano di paura. Non faticava a crederci.






Sarebbe arrivato a prendere a pugni qualcuno, ne era certo. Prima o poi, quell’idiota di Neder gli avrebbe fatto saltare i nervi, lui e i suoi rapporti palesemente falsi. Se lo beccava un’altra volta a bere in servizio, seduto ad un tavolino di bar, per poi avere il coraggio di scrivere della necessità di mandare dietro le sbarre una mezza dozzina di italiani per crimini inventati al momento, l’avrebbe spedito in un battaglione di disciplina. O avrebbe fatto richiesta di mandare quell’essere al fronte, in prima linea, con il primo maledetto treno, non appena l’avessero promosso ad un grado più alto dell’attuale.
Sbuffando, Ludwig scese le scale di fronte alla porta che aveva appena chiuso, sistemandosi il cappello in testa. Ogni tanto pensava che il maggiore Schaube fosse troppo indulgente, ma effettivamente doveva farsi bastare gli uomini che aveva. Nessuno aveva intenzione di ascoltare le lamentele di quell’uomo: non l’avrebbe fatto nemmeno Ludwig stesso, sapendo che egli era in una delle migliori zone del Nord Italia, praticamente libere dai precoci partigiani.
Uscì dal portone in legno scuro, infilandosi una sigaretta tra le labbra e guardandosi intorno. Doveva ammettere che c’erano davvero ben poche noie, lì; probabilmente, Neder era solo annoiato da quella calma e cercava metodi alternativi per divertirsi. Non avevano neppure festeggiato l’aumento di grado di Ludwig, che aveva silenziosamente cambiato spalline e mostrine alla sua divisa senza troppe scene. Perché far festeggiare qualcosa a quel tizio se già scolava birra ogni maledetto pomeriggio?
Con un verso di disappunto per la mancanza di disciplina del ragazzo, il biondo prestò più attenzione a ciò che aveva sotto gli occhi. Nonostante fosse già quasi passata una settimana, non c’era stato nulla da segnalare e i giovani in divisa si chiedevano perché mai qualcuno li avesse sistemati in quel buco di posto. Non stavano a discuterne, certo, ma qualche perplessità la avevano tutti, compreso Ludwig.
Questi mosse qualche passo verso il centro della piazza, deciso a dirigersi verso la terrazza naturale che dava sulle rade colline occidentali per godersi un momento di pace. Un punto di forza di quel paese era che – essendo sconosciuto e quasi sperduto – aveva panorami niente male; al grosso tedesco ricordavano quelli della sua terra, che un tempo ammirava dalla sua villa di campagna.
Nell’ispezionare la zona con gli occhi mentre si spostava con calma verso la meta, notò una divisa nera accanto ad una donna, davanti alla vetrina della merceria. Non fu tanto vedere Richard Werke che lo indispose, quanto più fu riconoscere che la signorina che gli stava accanto era l’italiana con le trecce che aveva fissato il primo giorno di servizio.
E soprattutto che il sorriso che lei aveva sulle labbra non si avvicinava minimamente a quello che Ludwig aveva visto quella sera.
Senza null’altro in mente se non questi pensieri vaghi e tremendamente incoerenti, il biondo si trovò presto dietro il camerata, ignorando momentaneamente – per un motivo a lui sconosciuto – la ragazza.
« Werke, a rapporto. »
Il soldato si voltò di scatto, impostando automaticamente il saluto e battendo i tacchi « Soldato Werke a rapport- » si bloccò, perplesso, per scrutare Ludwig. L’espressione del più grande non era per nulla indicatrice di sarcasmo, ma sicuramente Werke non aveva idea del perché dovesse fargli rapporto. Era uscito dalla caserma solo una ventina di minuti prima per sgranchirsi le gambe, non era nemmeno di pattuglia.
« Tutto regolare, Herr. » fu l’unica cosa che riuscì a dire al superiore, confusamente.
« Bene. Puoi andare. » il tono della Nazione era gelido, perentorio. All’altro non restò che allontanarsi, senza sapere perché lo stava effettivamente facendo. Ora non avrebbe comunque potuto discuterne: Ludwig era diventato uno di coloro a cui egli doveva obbligatoriamente portare rispetto.
Passò qualche secondo di silenzio, dopo che Werke se ne fu andato. Cosa avrebbe dovuto dire ora? Cosa aveva fatto?
« Spero che non le abbia dato disturbo. » disse il germanico, un poco titubante. Non gli era venuto in mente nulla di meglio per scusarsi di quell’intrusione.
La giovane scosse il capo, fissando il terreno e tenendo strette le piccole mani sulla gonna, in silenzio.
E null’altro.
Ludwig riprese a fumare la sigaretta che aveva dimenticato tra le dita, sentendosi stranamente ansioso. Di cosa diamine doveva preoccuparsi, Gott? Stava semplicemente parlando con una ragazza del posto, che fino a qualche momento prima stava sorridendo con fare spaventato a Werke…oh, diamine, cosa aveva fatto?
Si allontanò chiedendole vagamente scusa, sentendosi affogare nella confusione. Stava diventando matto, se lo sentiva. Quel paese italiano doveva avere qualcosa nell’aria, nelle pietre delle pavimentazioni o nel cibo.
O forse il problema era nella sua testa, semplicemente. Ma qual era questo problema? Lo stesso che gli si muoveva sotto il petto? E perché gli altri ne sembravano immuni?
Ragionando di cose poco logiche e senza nessun nesso tra loro, raggiunse la terrazza, ma non vi si fermò: continuò a camminare fino all’ora di pranzo, evitando la piazza e conseguentemente la signorina, per poi tornare alla caserma e restare al lavoro sui documenti per il resto della giornata, cercando di pensare in modo normale a cose normali.
Rapporti, timbri, firme, rapporti, timbri, firme. Sorrisi e mani delicate. Capelli castani raccolti in trecce.
Gott in Himmel.
Avrebbe dovuto farsi vedere dal medico della divisione, decisamente.






 


Riesco ad essere efficiente anche dalle orribili e piovose spiagge italiane, Gott. Fatemi un applauso, su!
...d'altro canto non credo di meritarmelo: ci ho messo un sacco ad aggiornare e non so precisamente quando succederà di nuovo. Ad ogni modo, vi ringrazio per le visualizzazioni e per le recensioni che mi lasciate!
Con il secondo capitolo "ufficiale" ho deciso di alternare anche i punti di vista dei personaggi, per non lasciare il tutto troppo incentrato su Ludwig (che comunque rimane il personaggio principale e colui che "scrive" i capitoletti in prima persona).
Grazie mille a tutti, a presto! 
  
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