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Autore: PeaceS    30/07/2014    11 recensioni
Da un Malfoy ci si deve aspettare tutto, anche che ti renda la vita un inferno per noia. Specie per noia. I Malfoy annoiati, di solito, erano più pericolosi di un Potter arrabbiato. Ma Lily avrebbe dovuto saperlo… le migliori storie iniziano alle tre di notte e in quel momento, la lancetta più piccola, si posò proprio sul tre.
[ ... ]
Perché, se Scorpius Malfoy decide di renderti la vita un inferno e tu te ne innamori perdutamente, mentre la tua migliore amica è nelle mani di un certo Zabini - famoso per essere un porco - e cerca di conquistare un Nott di tua conoscenza anche se - alla fin fine - quel certo Zabini non è molto felice, non puoi fare altro che chiederti perché la vita ha deciso di renderti le cose così difficili.
Insomma, tutto quello, però, avrebbe dovuto aspettarselo: era o non era una Potter?
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy, Un po' tutti | Coppie: Lily/Scorpius
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Angolo autrice:
Questo è stato il capitolo più difficile di tutti. Sarà stato il blocco che mi attanaglia oramai da mesi o che si tratta di una battaglia importante – e quindi il mio essere perfezionista mi ha creato non pochi problemi, resta comunque che ho tardato proprio per cercare di non perdermi nei particolari.
Il capitolo è suddiviso in due parti, quindi mantenete la calma, mi raccomando!
Volevo ringraziare tutte le persone che mi hanno scritto in posta, che mi hanno lasciato una recensione e mi hanno spronato.
A tutte quelle persone che mi hanno fatto sentire la loro presenza anche a miglia di distanza – anche se mi conoscono solo come Peace.
Siete degli angeli, i miei angeli, e 3.00am va avanti solo grazie a voi!

 

 

Capitolo ventottesimo parte I –
Stay alive

 

 

 

Londra era silenziosa, quella notte.
Un immenso velo nero sembrava essersi appoggiato sulla città e nemmeno un respiro si udiva per le sue strade deserte e isolate; ogni luce aveva abbandonato le case e i lampioni della metropoli, mentre il buio, invece, asfissiava tanto era fitto e soffocante.
La luna aveva lasciato il cielo nello stesso istante in cui le stelle erano state risucchiate dal manto bluastro che avvolgeva – inesorabile, sempre meno rassicurante – ogni abitazione.
Londra era una grande tomba di cemento, quella notte e Diamond se ne accorse appena si materializzò ai piedi del Ministero della Magia inglese.
C'era uno strano sentore nell'aria, qualcosa di subdolo, inumano, capace di far appassire i fiori e spegnere lo zampillo allegro della fontana al centro esatto di quell'immensa sala placcata d'oro giallo.
Era qualcosa che bruciava a contatto con la carne – un odore così maligno da trasformare le molecole d'ossigeno in zolfo vero e proprio.
E lui tremò, nascosto dalla maschera scheletrica che ne celava i lineamenti.
C'era una strana follia nell'aria. Un qualcosa che entrava dritto nelle vene e ne otturava qualsiasi passaggio – in un modo quasi infernale... sempre più inumano.
E non era magia, questo Diamond lo sentiva.
Quella parte oscura, che non aveva mai avuto paura di nascondere, sfrigolava come se si trovasse vicino ad una fonte in grado di alimentarla e pompava assieme al suo cuore – simile ad acido corrosivo; gli stava scorrendo dentro e lo stava divorando dall'interno, rendendolo solamente un burattino pronto al suicidio più epico della storia.
Le sue scarpe di vernice, appena si mosse per l'atrio silenzioso, produssero un'inquietante scricchiolio sul marmo bianco e lui stesso rabbrividì per l'impressione assurda di avere qualcuno alle spalle: riusciva ad udire dei sospiri trapassarlo da parte a parte, come se delle anime tormentante avessero captato la sua presenza fin da subito e ora lo stessero inseguendo, pronto ad accoglierlo con loro nel momento esatto della sua disfatta.
Sapeva di essere in pericolo. Diamond sapeva che quella notte nessuno sarebbe uscito vivo dalla Sala meeting degli Auror, era come se il tempo – stoppandosi come quella notte era successo – avesse cercato di avvisarlo.
Ma non si fermava. No, non si era fermato, nonostante la Signora Nera con la falce gli stesse fiatando sul collo simile ad un cane rabbioso alla vista della sua preda.
Non si fermava. No, non poteva farlo.
Era così maledettamente vicino...
Aveva il cuore che batteva ad una velocità impressionante ed era arrivato finalmente a percorrere quelle infinite scale che lo avrebbero portato a destinazione. Scale che scendevano dritto all'inferno.
L'unico e solo sottofondo che si udiva tra quelle mura vicine allo sgretolamento era quello del suo mantello di velluto che strisciava, simile ad un serpente, sul pavimento scintillante. E Diamond sorrise, impietosito nel sentire la paura causargli piccole scosse lungo la spina dorsale.
Ah, che cosa strana che era la mente umana...
Dov'era stata la paura fino a quel momento? Dove si era nascosto il suo spirito di conservazione quando aveva trasformato una ragazza in un mostro?
La paura, quella puttana senza senso dell'umorismo, dov'era stata quando sotto ordine aveva ucciso i suoi genitori adottivi?
E la sua coscienza? La sua coscienza come aveva potuto lasciarsi sottomettere dalla vendetta?
Si era lasciata piegare a novanta gradi come la più compiaciuta delle prostitute, senza protestare minimamente.
E ora la vendetta lo aveva portato lì, a camminare pronto al patibolo.
“E brava la mia Mezzosangue...” ridacchiò, arrivato a destinazione.
Le cornici appese ai muri di pietra grezza erano vuote e i corridoi immense fognature buie. E puzzavano di morte e putrefazione.
Quelle fognature puzzavano di paura.
Diamond fece un passo avanti e annaspò: sapeva che quel buio, quei vicoli stretti, nascondevano insidie. Sapeva che nascondevano lei.
La sua mano accarezzò il pomello d'oro della porta massiccia con delicatezza e un sorriso si dipinse sulle sue labbra ancora e ancora: Hermione Granger, in fondo, si era rivelata utile per molte cose e questo sarebbe andato a suo vantaggio.
Il suo essere un'arma a doppio taglio sarebbe andato a proprio vantaggio e tra il morire da solo e il portarsi tutti gli Auror del suolo Inglese appresso... preferiva la seconda.
“Sapevo che saresti arrivato” una voce lo bloccò ancor prima che la porta si chiudesse alle sue spalle – sbattendo e producendo un eco così rumoroso da creare alcune crepe nei muri.
Diamond spalancò gli occhi e una risata rimbombò tra le pareti spoglie, inquietante.
La Sala meeting degli Auror era un campo da battaglia: loro sapevano. Loro erano stati avvisati.
Tu!” sibilò Diamond, sputando lo stesso veleno che gli stava chiudendo la gola e uccidendo l'anima.
Nessun tavolo, nessuna finestra, nessuna lavagna o schema. Non c'era un quadro, non c'era assolutamente nulla... come se per mesi, lì dentro, non ci avessero vissuto Auror provenienti da tutto il mondo.
“Io, fratellino
Diamond ruggì così forte da sentire il petto vibrare e, anche alle sue orecchie, quello sembrò l'urlo di una persona ferita. L'urlo di chi ha perso.
“Come osi?
Come osi!” strillò furioso, indicandolo tremante e spalancando gli occhi per la rabbia inumana che lo avvolse.
Che lo aveva reso il mostro che era ora.
“Credevi davvero che Hermione Granger avesse lasciato il destino della sua famiglia nelle mani di una testa di cazzo come te?” rise Draco, facendo scintillare i suoi occhi grigi di malizia.
Erano metallo fuso. Erano fuoco maledetto.
I fiori del male, ecco cos'erano i Malfoy.
“E brava la mia piccola Mezzosangue...” ripeté Diamond, adottando lo stesso nomignolo che aveva usato lui stesso in passato.
E rise, nel sentirlo scricchiolare i denti.
“Un vero peccato renderla una bambola rotta, devo ammetterlo” continuò maligno, lasciando cadere la maschera scheletrica dal volto.
La stessa maschera che lo aveva nascosto per ben vent'anni.
La stessa maschera che lo aveva portato faccia a faccia con lui, sangue del suo sangue.
“L'abbandono ti ha dato al cervello, caro fratello” mormorò Draco, mentre il cappuccio di velluto nero scivolava dai suoi capelli biondi.
Ah, che visione celestiale.
Ah, che cherubino dalle labbra rosse e l'incarnato pallido.
Draco Malfoy ghignò, mostrando una fila di denti bianchi come perle e Diamond capì... capì che il nome datogli era sbagliato.
Era l'uomo ritto dinnanzi a lui ad essere un diamante: scalfito nel marmo e impregnato di veleno.
“Di cosa parli? La Mezzosangue è stata un'ottima compagnia” soffiò compiaciuto, godendo nel vederlo stringere i pugni fino a farsi sbiancare le nocche.
Gli fremevano le narici ed era sul punto di rottura. Diamond aveva distrutto la sua piccola bambolina e suo fratello stava impazzendo solo al pensiero.
“Parlo dei nostri genitori... che ti hanno abbandonato così facilmente, senza nemmeno preoccuparsi della fine che avresti potuto fare.
Vivo o morto, non sarebbe cambiato assolutamente nulla” disse Draco, implacabile e letale.
Ah, se solo le parole avessero avuto il potere di uccidere...in quel momento, Diamond, si sarebbe ritrovato con il petto sanguinante e le ossa dello sterno fatte a pezzi.
Gemette, barcollando.
Il nome datogli era sbagliato e lui lo sapeva. Era l'uomo ritto dinnanzi a lui ad essere un diamante: perfetto nelle sue sfaccettature brillanti, ma crudele e maledetto nella sua durezza.
“Non è questo che ti ha portato qui, fratellino?
Non è il sapere di non essere abbastanza ad averti portato a indossare quella maschera?” bisbigliò Draco, flettendo le dita lunghe e pallide sulla bacchetta.
Sembrava che, invece di parlare a voce così bassa, avesse urlato.
Diamond aveva sentito quelle parole penetrargli dentro come lo strillo di una Banshee e sussultò, senza emettere un solo fiato.
“Non è così che ti sei sentito anche tu, quando lei ti è stata portata via?” domandò Diamond in un soffio, senza mai distogliere lo sguardo del suo.
Sembravano avere gli stessi occhi. Sembravano avere lo stesso fuoco dentro, pronto a disintegrarli.
Draco scosse la testa e lui ruggì ancora – sentendo in bocca il sapore acre dello stesso sangue maledetto che portava nelle vene lui.
Sarebbe stato capace di strapparsi ogni singola arteria per non sentirsi legato a quell'uomo. Tutto, pur di non sentirlo suo.
“Non immagino il dolore nel pensare che anche la propria madre avrebbe preferito morire piuttosto che partorire un mostro come te” e dicendo quelle parole guardò alle sue spalle con un'aria di totale adorazione.
Diamond divenne di pietra e sentì il suo cuore compiere dieci capriole inverse.
Ora lo sentiva. Ora sentiva uno sguardo su di sé avvolgerlo interamente – con un calore che gli mandò in tilt il sistema nervoso.
Lentamente, quasi senza produrre rumore, si girò senza preoccuparsi di poter essere attaccato da suo fratello: quello che aveva davanti era molto, ma molto peggio.
Che forma aveva il dolore? Che odore aveva?
Di cosa era fatto, il dolore?
“Diglielo anche tu, mamma” disse Draco, arpionando gli occhi in quelli azzurri di sua madre.
Era racchiusa in quell'immensa cornice dorata – ornata dei più bei gioielli esistenti – e prendeva quasi mezza parete sul camino spento su cui era stata posta.
Bella, con i suoi capelli di un biondo quasi opalescente e con le sue labbra rosse – ricordo di una lontana gioventù. Ricordo di una vita che era stata spezzata da uno come lui.
“Mamma...” mormorò Diamond a bassa voce, assaporando quella parola con una delizia che – nella sua vita – non aveva mai provato.
Ecco che forma aveva il dolore. Ora Diamond lo sapeva.
E lei era ancora maestosa e meravigliosa come l'ultima volta che l'aveva vista.
“Sarà stato così triste il pensiero di avere un fratello coccolato e riverito e tu stesso nella miseria. E tu stesso costretto a crescere con della feccia umana”
La voce di Draco era soffice, vellutata e quasi dolce, simile a melassa, mentre i suoi occhi un unico pozzo ghiacciato che fissava insistentemente la donna dipinta nel ritratto sul camino di fronte a lui.
Diamond ululò, ferito, ma Narcissa Black non distolse mai lo sguardo da suo figlio Draco. Non osò guardare il suo piccolo diamante grezzo.
“Vero, mamma?
Dillo che hai provato disgusto quando hai scoperto cos'era” disse Malfoy, storcendo la bocca sottile e assumendo un'espressione diabolica.
“Dillo che avresti preferito abortire piuttosto che partorire un essere del genere” continuò imperterrito, stringendo la bacchetta tra le dita con furia – pronto a contraccambiare un improvviso attacco.
Diamond ansimò e fissò sua madre con follia.
Con la stessa follia che lo aveva attanagliato quando aveva scoperto che quel viso dolce aveva preferito suo fratello a lui, abbandonato nelle mani di due perfetti sconosciuti.
La stessa follia che lo stava attanagliando in quel momento, spegnendogli il cervello e infiammandogli le ossa.
La stessa follia che faceva parte dei Malfoy dalle più antiche generazioni.
Erano pazzi...erano tutti pazzi. E fino a l'ultimo dei Malfoy sarebbe morto con lui.
“Mamma...” la chiamò, nonostante il dolore che gli aveva causato, cercando di trovare un pizzico di lucidità per guardarla ancora.
Mamma, pensò – allungando un braccio e agognando un tocco o provare anche solo la sensazione di essere sfiorato da lei.
“Avrei preferito abortire piuttosto che partorire un essere del genere” ripeté Narcissa, atona, socchiudendo gli occhi per lo strazio che si stava causando lei stessa con quelle parole.
E impazzì. Oh, se impazzì.
Diamond urlò ancora più forte e la sua voce superò i decibel previsti per un essere umano normale. Il pavimento tremò e i muri subirono una forte scossa, come se avessero voluto accartocciarsi. Come se volessero seppellirli.
Diamond ora sapeva che volto avesse il dolore, quale odore, che consistenza.
Era il volto di sua madre – la bellezza straziante dei suoi capelli – l'odore materno che emanava persino da un quadro.
Un odore che non gli era mai appartenuto. Un istinto materno che con lui non era mai nato.
E impazzì. Oh, se impazzì.
La sua magia si scatenò come un fulmine a ciel sereno, rimbalzando sulle pareti e colpendo qualsiasi cosa; qualcosa di nero, infimo, stava fuoriuscendo dalla sua carne e stava appestando ancor di più la sala buia.
Vincula” urlò Draco, puntando la bacchetta contro suo fratello e cercando di proteggersi dalla pioggia di detriti e magia che lo stava investendo.
Delle catene dorate avvolsero le gambe di Diamond, costringendolo in ginocchio dinnanzi a lui: ora lo guardava dritto negli occhi e Draco traballò sulle sue stesse gambe.
I capillari erano completamente rotti e l'azzurro delle iridi di Diamond ora quasi confinava con un bianco spettrale; era impazzito.
Oh, se era impazzito.
Diffindo!” disse ancora il maggiore dei Malfoy, strappando una risatina isterica in suo fratello e un taglio lungo parecchi centimetri sulla guancia.
“Credi davvero di potermi ferire così, fratello?
Credi davvero di potermi scalfire con incantesimi così elementari?” cinguettò come un bambino, mentre altre catene gli avviluppavano le braccia.
Flectere”
E senza potersi opporre si ritrovò anche lui in ginocchio, alla stessa altezza di Diamond. Occhi negli occhi. Follia contro pazzia.
Sangue contro sangue.
“Io ho qualcosa che ti appartiene” bisbigliò Diamond, frenetico e Draco lo fissò, socchiudendo gli occhi per il serpente che cominciava a strisciargli sotto pelle.
Il serpente del dubbio, del sospetto.
Io ho qualcosa che ti appartiene.
“Vaneggi” rispose, mentre quello stupido era così preso dal suo delirio da non accorgersi che non erano soli, che tutto quello era servito solamente per dare a Lily il tempo di portare a termine l'incantesimo.
Per indebolirlo. Per renderlo un bersaglio più facile.
Io ho qualcosa che ti appartiene.
Ora i due fratelli erano faccia a faccia: uno incatenato in ginocchio e l'altro costretto dalla magia, mentre la Sala quasi cadeva a pezzi.
Quell'ombra che era uscita dal petto di Diamond aveva già distrutto il lampadario di cristallo sulle loro teste, il camino su cui era posto sua madre – metà della sua bellissima cornice, senza però scalfire il suo volto addolorato – colpendo muri e soffitto, che ora cadeva sulle loro teste come stelle durante la notte di San Lorenzo.
Revelio” e questa volta la voce di Diamond fu calda e dolciastra come il miele.
E si rivelò.
Stesa accanto al corpo di suo fratello, bella come solo un angelo poteva esserlo, c'era Hermione Granger.
Avvolta da un abito bianco sporco di sangue e con i capelli ricci e bruni aperti a ventaglio sul pavimento, se ne stava lì – irriconoscibile, ma viva.
La gamba destra era piegata in una strana angolazione ed entrambe le cosce erano ricoperte di lividi violacei, tagli, escoriazioni: Draco non riusciva a trovare un punto pallido, dove avesse potuto riconoscere la sua pelle nivea.
Sangue fresco e rosso scorreva lungo le sue gambe, mentre il suo vestito era alzato molto più del consentito.
Lui l'aveva violata.
Diamond aveva osato toccarla.
La bocca era gonfia e spaccata in più punti, gli zigomi tumefatti da più colpi. I due sopraccigli erano spaccati, gli occhi chiusi e irriconoscibili tanto viola e smaccati.
Lui l'aveva violata.
Diamond aveva osato toccarla.
“Mezzosangue...” sussurrò, incredulo – mentre la consapevolezza che era viva si insidiava piano in sé, lentamente, con sorpresa.
Il dolore, la gioia, l'amarezza esplosero dentro di lui come una bolla, bloccandogli il respiro.
Lei era lì e nonostante l'avessero fatta a pezzi era così bella. Così viva. Così maledettamente sua.
“Mezzosangue...” ripeté, alzandosi di scatto e lasciando suo fratello interdetto.
Aveva rotto l'incantesimo senza nessuna magia, facendo solo leva sulle gambe traballanti.
“Crucio!” urlò Diamond con quanta cattiveria di cui era capace, facendolo crollare ad un solo passo da lei.
La testa di Draco sbatté proprio sul petto di Hermione, mentre il suo corpo veniva sobbalzato da molteplici scosse – risvegliandola dal sonno catatonico in cui era caduta quando era stata fatta prigioniera.
E le batteva il cuore. Ah, se le batteva, forte e orgoglioso come lo ricordava.
“Guarda un po'...dopo tanti anni...finalmente sei caduto ai miei piedi...” ridacchiò Hermione, sputando sangue nel pronunciare quelle parole.
E quel Crucio perse densità, colore, perse persino il dolore che causava.
Ora c'era solo lei. Lei e la sua voce. Lei e il suo corpo caldo. Caldo, ma soprattutto vivo.
“Sei viva” annaspò Draco, ignorando lo strattone con cui Diamond spezzava le catene da cui era stato costretto in ginocchio.
“Anche lui” bisbigliò Hermione, attirandoselo contro giusto prima che un lampo di luce verde lo sfiorasse.
Aveva il bacino rotto e le costole incrinate, si accorse il maggiore dei Malfoy quando lei affannò – trattenendo un urlo – quando la sfiorò solamente con un braccio.
Lui l'aveva violata. Diamond aveva osato toccare qualcosa di così puro, così maledettamente celestiale, da far desistere persino Lucifero dal farlo.
“Sei viva” disse ancora – come se qualcosa nel suo cervello non riuscisse a pensare ad altro di coerente.
Ed Harry se ne accorse. Nascosto insieme ad un centinaio d'Auror dall'incantesimo di disillusione più forte al mondo, si accorse che Draco Malfoy aveva smesso di combattere.
Aveva smesso perché la sua ragione era lì, viva e vegeta. Viva e pulsante come non mai.
“Angelique, rompi l'incantesimo” mormorò, fissando la demone con gli occhi spalancati.
La vide sorridere con una dolcezza velenosa – che aveva quasi il sapore del cianuro.
“È troppo presto, Harry Potter” soffiò in risposta, facendo scintillare lo sguardo maligno quando questo si posò sul diamante grezzo ritto al centro della Sala.
Ah, cos'era stato in grado di creare l'odio... ne guardava il ricavo e sorrideva, soddisfatta.
Gli umani erano così deboli.
“Dov'è la Potter? Voglio la Potter, fratello!” urlò Diamond, schioccando le dita e facendo spalancare la porta di ottone che lo aveva fatto passare non meno di venti minuti prima.
Quella porta che gli aveva aperto l'inferno, che gli aveva strappato via quell'ultimo barlume di lucidità.
“Stupido” sussurrò Draco, lasciando che la frangia gli si posasse sul grigio metallico delle iridi e nascondesse quel dolore che stava nascendo dentro lui nel sapere che stava portando proprio suo fratello al patibolo.
E accadde qualcosa quella notte. Qualcosa che Diamond nemmeno nell'oltretomba avrebbe dimenticato: sua madre fissò gli occhi azzurri nei suoi – in una disperazione muta che gli fece attorcigliare le viscere – e tremò.
“Scappa, è una trappola”
Il piano di Lily crollò miseramente, come un castello di sabbia spazzato via dal vento e Diamond ringhiò, mentre Draco fissava sua madre, sconvolto.
“Perdonami, tesoro” mimò con la bocca rossa tesa verso il basso, coprendosi la visuale, per non vedere la condanna che avrebbe ucciso i suoi due figli, quando un esercito di Mangiamorte si riversò nella Sala – sotto lo sguardo vigile degli Auror nascosti.
“Angelique, rompi l'incantesimo!” strillò Harry, fiondandosi contro quella barriera che li teneva nascosti e sbattendoci i pugni sopra.
Ma lei non lo ascoltò, troppo impegnata a osservare i due fratelli fronteggiarsi ancora una volta.
“Sei mio” disse Diamond e con quelle parole la cappa oscura che fino a quel momento aveva cercato di distruggere la Sala, aleggiò sulle due teste bionde.
Draco si alzò, con l'espressione impassibile di chi non ha paura – di chi oramai non teme più nulla, nemmeno la morte, e si eresse in tutta la sua altezza. In tutta quella bellezza crudele che caratterizzava da sempre la sua famiglia.
“Vuoi uccidermi?” domandò con una risatina, sbirciando solo per un attimo l'area che sapeva occupata da suo figlio e tutti gli altri.
Il suo bambino. Il suo eroe.
Un uomo che non aveva avuto vergogna del cognome che portava, della reputazione che suo padre mandava avanti senza poterci far nulla.
Un uomo che aveva mandato al diavolo ogni cosa solo per l'amore di una Mezzosangue... come lui stesso non aveva avuto il coraggio di fare.
Quell'attimo bastò a Diamond per capire e venire investito da una consapevolezza che gli sembrò una doccia gelata.
“Sta macchinando qualcosa per fermarmi” sibilò indispettito, chiudendo i pugni e lasciando che quella cappa si allargasse sempre di più, pronta a divorarli. Pronta a distruggerli.
Il suicidio più epico della storia.
“Attaccate!” strillò Diamond, isterico e prima che gli Auror comparissero uno dopo l'altro, fece apparire un calderone grande quasi quanto lui proprio accanto al camino – vicino al ritratto di sua madre.
“Voglio il sangue di Potter!”
E la terra tremò sotto lo scalpiccio di centinaia di persone.
Harry James Potter fece scricchiolare il collo con un sorriso e fissò tutte quelle maschere scheletriche – ora immobili.
“Venite a prendermi, stronzi” cinguettò, sguainando bacchetta e spada con l'espressione più angelica che si fosse mai vista sul suo bel volto.
E la magia accadde: la Sala riuscì a stento a contenere tutte quelle persone e le parole che pronunciò Harry sembrarono un urlo di battaglia, perché le bacchette sfrigolarono e gli uomini ammantati di nero si allinearono come un sol uomo...bloccandosi quando in prima linea si ritrovarono un gruppo di ragazzini armati.
“Quanto mi sento eccitata!” bisbigliò Lucy, ridacchiando come una psicopatica alla vista dello scintillio della sua pistola.
“Quanto cazzo sono fatto” sussurrò Jackie, mentre Harry si chiedeva se davvero avessero affidato il loro primo attacco a quelli lì.
Erano nella merda.
“Davvero divertente mettere dei bambini in prima fila, Harry Potter” urlò una voce rauca dalla parte dei Mangiamorte, mentre un loro incantesimo sfiorava Lucy – che li guardò indignata.
E sparò. Lasciando allibiti gli uomini dall'altra parte, il proiettile andò a conficcarsi nella spalla di uno di loro, facendolo crollare sul pavimento con uno spasmo.
Il suicidio più epico della storia, quando dal nulla, alla loro destra, vennero travolti da un gruppo di Mannari.
Alla loro destra vennero travolti senza poterci far nulla – attaccati anche frontalmente dai Mangiamorte; Lucy sparò al primo Mannaro che cercò di travolgerla, mentre miriadi di magie diverse cozzavano una contro l'altra.
Vampiri e Mannari erano troppo veloci e le pistole ferivano solo i lupi, rabbiosi e desiderosi di carne e sangue tra le loro zanne.
“Avada Kedavra!” urlò Harry, colpendo un uomo che aveva cercato di ferire Draco alle spalle, intento a portare Hermione al sicuro.
Erano un ammasso di esseri umani pronti a morire e sarebbe bastata una sola maledizione più potente per schiacciarli tutti come formiche.
Due Auror americani – abituati più di loro al corpo a corpo – avevano già reciso quattro teste e un Auror giapponese spezzava un collo al minuto con la sua incredibile abilità.
Harry non riusciva più a vedere i ragazzi né sua moglie, ma aveva già visto parecchi dei suoi cadere sotto la carica dei vampiri – più numerosi di quello che si erano aspettati.
“Confringo” e la parete alla sua destra esplose, sotterrando due Mangiamorte.
Cominciò a correre per la Sala, colpendo qualsiasi cosa che gli capitasse a tiro e cercando di evitare pallottole e incantesimi che volavano come nulla fosse.
“Avada Kedavra” e quel sussurro lo gelò sul posto, ma non era indirizzato a lui quell'incantesimo: la sorella di Jackie, Annie, cadde al suolo come un burattino a cui erano stati tagliati i fili.
Sentì un urlo in lontananza, ma non si fermò.
“Dolohoferio” bisbigliò con cattiveria e l'uomo che aveva ucciso quella ragazzina, quella bambina, si accasciò al suolo con un urlo straziato – spalancando gli occhi dal dolore.
Sentiva solo una gran confusione: la stanza era diventata fosca e poco vivida. C'erano fumo, macerie e incantesimi che rendevano impossibile una visuale perfetta ed Harry sapeva che nessuno sarebbe uscito vincitore quella notte.
Il suicidio più epico della storia, ecco cosa aveva macchinato quel bastardo di Diamond.
Con un respiro tremolante, Harry si girò alla sua destra e vide Ron combattere come se non avesse fatto altro nella vita, lanciando incantesimi così potenti che molti Mangiamorte erano addirittura finiti con il collo rotto contro i muri crepati, mentre George – presente anche lui quella notte – attaccava con una ferocia che gli portò a mente la seconda guerra magica.
La guerra che gli aveva portato via Freddie.
Fece una giravolta su se stesso per evitare un Mannaro e si sentì morire quando capì che anche quella volta l'attacco non era diretto a lui, ma a qualcuno di più succulento: Lorcan Scamandro lasciò cadere la pistola che aveva tra le mani quando venne azzannato al collo da quella bestiaccia, cercando di spingerlo lontano senza successo.
Quelle zanne affondarono nella carne morbida e tenera, mentre le zampe squarciarono il petto di quel ragazzino esanime – ora con la testa rivolta verso di lui e lo sguardo vuoto.
Il Mannaro gli staccò la testa ed Harry chiuse gli occhi di scatto, tremando.
“Mai dare le spalle all'avversario, tesoro” sussurrò una voce femminile al suo orecchio e prima che potesse fare qualcosa si ritrovò con una spada che lo attraversava da parte a parte – nello stomaco.
Un rivolo di sangue fuoriuscì dalle sue labbra e la donna rise alle sue spalle, civettuola.
“Sapevo che la morte di un povero ragazzo indifeso ti avrebbe fatto questo effetto, sai? Non cambi mai” continuò crudele, rigirando la lama nel suo stomaco e strappandogli un lamento.
“No, no” annaspò Harry, cercando di tenere la spada dentro sé.
Se lei avesse portato il suo sangue a Diamond, metà dell'incantesimo sarebbe stato già in porto e questo non potevano permetterlo. Erano già in minoranza.
“Troppo tardi, tesoro” rise ancora una volta lei, con il volto coperto da quella stessa maschera che gli aveva rovinato una vita.
Quella stessa maschera che gli aveva portato via tutto – ogni singola cosa.
Con un calcio nei reni fu sbattuto rudemente a terra e il tacco quasi gli trapassò la pelle. E il sangue colava dalla sua ferita senza spada.
Si girò di scatto, annaspando e Diamond ricambiò il suo sguardo – ora spento.
“Sangue del nemico, prelevato con la forza” soffiò e anche a metri di distanza Harry sembrò udire quelle parole come un urlo.
Tutto si stava ripetendo. Lui non aveva quarant'anni e quello era un grande cimitero. Un immensa tomba alle sue spalle e Cedric morto ai suoi piedi.
“NO!”
Harry fu distratto dallo strazio che udì in quella piccola voce e rovesciò il capo per ritrovarsi dinnanzi all'ennesimo spettacolo raccapricciante – che vedeva protagonista ancora una volta una ragazzina e l'amore che provava.
Lysander Scamandro era sul pavimento ed era immobile, sul volto dipinta un'espressione di puro terrore.
“Non posso muovermi...non...non ci riesco...” incespicò il ragazzo, piangendo.
“DIO!” urlò Lys ancora più forte, mentre Alice si chinava su di lui con gli occhi spalancati.
Harry si toccò la ferita, da cui sgorgò altro sangue, e Lysander urlò ancora una volta per il dolore atroce.
Sembrava che lo stessero scorticando vivo e Alice si alzò tremante dalla posizione china che aveva usato per sfiorare il ragazzo.
Voldemort sarebbe stato fiero della capacità di Diamond di rendere delle persone dei mostri.
Alice Paciock era alta un metro e quarantacinque, ma nello stesso istante in cui impugnò la bacchetta la terra tremò sotto i loro piedi.
Per Harry continuava ad essere tutto così confuso tra quei corpi sudati che combattevano – che cadevano – ma anche con il dolore alla ferita, anche steso su quel pavimento e travolto da alcuni cadaveri, riuscì perfettamente a ricordare il momento in cui Lily gli diceva che era stata una studentessa di Hogwarts a dargli il libro nero. Lo stesso libro che conteneva gli incantesimi più oscuri della storia.
“Lapis” mormorò Alice e pietre a forma di pugnale sembrarono fuoriuscire dalla carne dei suoi polsi – squarciando le vene e vibrando nell'aria come fendenti.
“Impetum”
E quattro Mangiamorte vennero trapassati nel collo da quelle pietre: la maschera cadde dai loro volti e il sangue zampillò sul pavimento in modo tetro. Vene nerastre solcarono i loro volti e la sclera prese posto dell'iride e la pupilla; i burattini produssero un tonfo inquietante quando toccarono terra ed Harry distolse lo sguardo – tremando.
Ovunque guardasse c'erano cadaveri e sangue, morte e dolore e lui non riusciva ad alzarsi da quel maledetto pavimento.
“È morto Ron” due mani lo aiutarono ad alzarsi, ma quelle parole lo fecero traballare sulle sue stesse gambe.
Draco lo guardò con gli occhi grigi spalancati, attenti – quasi dilatati dal terrore e l'adrenalina ed Harry si sentì morire.
Ron è morto.
“Un vampiro l'ha morso e uno dei nostri ha dovuto finire il lavoro per evitare che si trasformasse” continuò, turbato quasi quanto lui.
Ron è morto.
La sala improvvisamente si zittì e le urla che l'animavano divennero lontane, sfocate – poco opportune.
Ron, il suo Ron, era morto.
Ed Harry in quel momento capì sua figlia: capì la sua trasformazione, la rabbia che provava verso Diamond. Verso quell'uomo che, tramite un'ideale, tramite Voldemort, aveva decimato ancora una volta la loro famiglia.
Ron, il suo Ron.
“ANGELIQUE!” strillò Harry, strattonando la presa di Draco su di sé e allontanandolo.
Si mantenne lo stomaco ansimando e girò su se stesso per visualizzare quel demone... per visualizzare quella donna che era sparita nell'esatto momento in cui l'attacco era stato decisivo.
“Non urlare, Harry Potter... le mie orecchie sono ancora funzionanti” soffiò alle sue spalle, ciondolando le gambe come una bambina e guardandolo con un'aria quasi folle.
“Dove cazzo sono i tuoi? Perché non state combattendo?” urlò furioso, senza notare qualcuno...qualcuno che si allontanava dalla Sala.
Roxanne si asciugò il sangue che le colava dalla fronte con caparbia e non si fermò dinnanzi a nulla, trascinando Frank per le gambe.
I riccioli le ricadevano sul volto selvaggemente ed erano incrostati di rosso e fuliggine, mentre il suo sguardo quasi bruciava per la rabbia.
“Dove vai, bambolina?”
Un uomo le si materializzò davanti, guardandola in modo lascivo attraverso la maschera scheletrica.
Roxanne non si scompose e non gli lasciò nemmeno il tempo di puntarle la bacchetta contro: urlò “Avada Kedavra” quasi come se fosse stato un semplice incantesimo di disarmo e continuò la sua andatura verso l'uscita.
“Non permetterò che ti uccidano come hanno fatto con zio Ron.
Non permetterò che te ne vada anche tu” sibilò tra sé e sé, mentre il collo di Frank si spostava verso destra e mostrava il segno di un morso che aveva cercato di strappargli la pelle.
Al diavolo tutti quanti, il suo Frank non sarebbe morto; anche se si sarebbe trasformato in un vampiro, lui non sarebbe andato via.
Era l'unica cosa che le restava.
“Farò finta di non averti visto”
Scorpius abbassò gli occhi azzurri su Frank, storcendo la bocca in una smorfia.
Stavano perdendo e questo era palese. Quanti ne erano morti? E quanti ne dovevano morire ancora per mettere fine a quella farsa?
A passi incerti si diresse verso il ritratto di sua nonna, dove si trovava Diamond e il calderone dove bolliva la pozione.
Dove bolliva quella sostanza che avrebbe riportato in vita Lord Voldemort.
Un esplosione lo prese di striscio, ma Scorpius – oltre a diventare momentaneamente sordo – non percepì nemmeno il fastidio della luce forte che lo accecò per un secondo.
Ah, che strana era la vita: non meno di trent'anni prima, un uomo di quella stessa famiglia si era ritrovato in quella situazione.
Non meno di trent'anni prima, un uomo - dallo stesso sguardo di quel ragazzo – si era ritrovato dalla fazione opposta; ora tutto era cambiato, ora niente era uguale.
Il ragazzo, a differenza di quell'uomo, aveva lo sguardo ritto e fiero – le spalle dritte e la schiena indurita dall'amore.
Il ragazzo, a differenza di quell'uomo, aveva scelto di vivere. Aveva scelto di amare, di essere ciò che voleva.
Di essere ciò che era.
“Ciao, zio” sussurrò Scorpius, abbozzando un sorriso e grattandosi la nuca.
E Angelique fremette a metri di distanza, senza dar conto al cuore del Mannaro – a cui l'aveva strappato senza risentimento – che palpitava ancora tra le sue mani.
Ah, la sua vista interiore non aveva fatto cilecca.
Inizialmente, quando aveva visto quel piccolo angelo biondo, aveva pensato che ci fosse del marcio in lui. C'era qualcosa che non andava nei suoi capelli troppo chiari – nei suoi occhi grandi – nella sua bocca rossa e intrisa di veleno...eppure, suo modo di porsi, di parlare e il suo carattere così sottomesso, così sicuro e amabile, le avevano fatto credere di aver avuto un abbaglio.
Pensava di essere stata abbagliata da quell'aspetto, ma no. No, no, Angelique non si sbagliava mai.
“Tu...” soffiò Diamond, quasi abbassando lo sguardo – sconfitto.
Scorpius Malfoy storse la bocca in un sogghigno e Angelique capì chi avrebbe vinto quella notte.

   
 
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