Il castello del Re
“È
successo tutto dodici anni fa, quando Maestra Aqua si
è sacrificata per la salvezza di Terra”
“Prima
che lui si fondesse con Xehanort, dici?”
“No,
in realtà…”
“Oooh…” Rea aprì un occhio con un mal di testa feroce e si
chiese chi avesse ucciso in una vita precedente per meritarsi tutto ciò. Era la
quarta volta che si svegliava in malo modo, ne aveva abbastanza. Sentì un
rumore di porta che si chiudeva, poi il silenzio.
Si
guardò intorno abbastanza intontita e non riuscì a capire dove si trovasse: era
una stanza circolare, con le pareti altissime e bianche.
“Tutto
bene?” le domandò qualcuno. Si voltò verso la voce, scuotendo nel frattempo la
testa.
“No,
ho la nausea” rispose.
Lo
notò dopo, il particolare sbagliato in quella discussione: colui che aveva
parlato era… un topo! Sgranò gli occhi, mettendosi una mano davanti alla bocca
per non urlare.
Il
topo le sorrise.
“Almeno
sei salva” le disse. Aveva un sorriso dolce e rassicurante, ma era pur sempre
un topo!
“Sa-salva?”
chiese titubante. L’animale annuì e si fece serio.
“Sì,
qui al castello gli heartless non verranno
sicuramente a cercarti. O, almeno, potrebbero anche venire, ma qua ci sono i
nostri che lottano” le spiegò.
Rea
non sapeva se prenderlo sul serio o no; nella sua testa aveva rinunciato
all’idea di chiedere come mai un topo parlasse, tanto sapeva già che la
risposta non le sarebbe piaciuta.
Deglutì.
“Va
bene… ma… ehm… c-chi sei tu?” domandò, trattenendosi dal chiedere “Cosa sei
tu?”. Il topo la guardò e poi rise imbarazzato.
“Hai
ragione, scusami, non mi sono presentato. Io sono Re Topolino, piacere”
Re?!
“Re…
Topolino?”
“Sì,
sono il Re del castello Disney” spiegò.
La
ragazza si buttò di nuovo sul materasso e sospirò: rinunciava ufficialmente a
capire qualcosa in tutto quel marasma.
Sentì
aprirsi una porta e qualcuno entrò nella camera.
“Vostra
Maestà, ci sono gli heartless nella sala da ballo,
avremmo bisogno di aiuto” annunciò qualcuno. Rea non volle vedere chi era, così
ignorò la cosa.
“Heartless? Nel castello?” esclamò il sovrano, preoccupato.
“Sì,
signore” confermò l’altro.
Si
sentì un rumore di piedi che correvano, poi il silenzio completo.
La
ragazza non aveva le forze per muoversi di lì, ma era comunque incuriosita:
davvero quel topo alto un metro era un re? Ma soprattutto, lei perché doveva
essere salvata? E da cosa?
Scattò
a sedere col cuore a mille: Twilight Town! Cos’era
successo alla sua città? Dov’erano tutti quanti?
“Aspetta!
Re Topolino, aspetta!” gridò, scendendo di corsa dal letto.
Aveva
il cuore in tumulto al ricordo della sparizione di tutti quanti e di quella
nube nera nel cielo e un brutto presentimento si stava impossessando di lei.
Uscì
velocemente dalla camera, avviandosi in corridoio. Si guardò intorno per
decidere se andare a destra o sinistra, poi chiuse gli occhi cercando di
calmarsi.
“Ragiona,
Rea, ragiona: è meglio stare ferma ad aspettare che siano loro a tornare o
correre come una matta in un luogo enorme dove probabilmente ti perderesti?” si
chiese.
Ovviamente
la seconda possibilità, decise.
Topolino
trovò la situazione nella sala da ballo abbastanza calma: Sora era fermo da una
parte che rideva con Paperino, mentre Riku li
guardava severo.
“Ma…
e gli heartless?” domandò il Re, incredulo.
“Erano
meno del previsto, Vostra Altezza” rispose il castano con il suo solito sorriso
luminoso. Lui sospirò sollevato e poi li guardò.
“Meglio
così. L’ospite è appena arrivata, se volete venire con me a conoscerla...” li
informò. Il ragazzo esultò.
“Che
bello! Finalmente siamo tutti!” gridò felice.
“Ehm,
Sora, ti chiedo di contenerti, se puoi. Non le ho ancora spiegato nulla di ciò
che sta succedendo, dobbiamo essere più gentili possibile” gli disse Topolino.
Sora fece segno di sì col pollice.
“Si
fidi di me, Sua Altezza! Andrà tutto bene!” promise.
“Fidarsi
di te sicuramente vuol dire far andare tutto male” commentò Paperino col suo
solito sarcasmo.
“Cosa
vorresti insinuare?” chiese il castano, arrabbiandosi.
“Tu
che ne dici?” ribatté il papero, facendogli la linguaccia.
Riku sospirò e
si avvicinò al Re, serio.
“Vostra
Maestà, la situazione… quanto è grave?” domandò. Il Re divenne scuro in volto.
“Temo
molto. Dopo l’ultima battaglia abbiamo scoperto cose molto interessanti per
riuscire a sconfiggere quello che, per come ho capito, è tornato ad essere Xehanort, però senza l’ultima chiave sarà impossibile
liberare finalmente i mondi dall’oscurità” gli rispose.
“Me
lo immaginavo. E la ragazza?”
“Dobbiamo
informarla del motivo per il quale è qui, proprio per questo dovremmo tornare
nella camera reale”
Rea,
nel frattempo, stava girando per il castello senza una meta ben precisa. La
preoccupazione si alternava a momenti di completo stupore per quel posto
gigantesco. Era stupendo.
Alla
fine si fermò davanti a una porta enorme e bianca (quel colore iniziava ad
infastidirla).
“In
teoria dovrei tornare indietro; in pratica non so dove sono o come trovare di
nuovo la camera. Tanto vale entrare qui” si disse, facendo un passo in avanti
per tirare la maniglia.
“Fossi
in te non lo farei” le consigliò una voce alle sue spalle. La ragazza si voltò
preoccupata.
Lo
stesso ragazzo con i capelli rossi dritti che l’aveva recuperata a Twilight Town stava appoggiato al muro e la osservava
incuriosito. Quando lei si girò le sorrise e agitò una mano in segno di saluto.
“Ehilà,
ben svegliata”
Rea
arretrò più che poteva, spaventata: lui l’aveva colpita l’ultima volta che si
erano visti.
“Tranquilla,
non ti farò svenire di nuovo. Anzi, scusami se prima ti ho dato quel colpo alla
nuca, ma non volevi seguirmi” le disse per calmarla. Sortì l’effetto
completamente opposto.
“No
che non volevo, i miei amici sono ancora là e anche la mia famiglia!” esclamò
la ragazza. Lui scosse la testa divertito.
“Ormai
pensavo di essermi abituato ai vostri discorsi da possessori di Keyblade, ma devo dire che sono un po’ fuori forma. È
passato un po’ dall’ultimo detentore a cui ho fatto da baby sitter”
commentò.
Rea
si arrabbiò.
“Discorsi?
La mia città è stata completamente assediata da esseri neri e striscianti e,
come se non bastasse, gli abitanti sono scomparsi!” gridò istericamente. Il
ragazzo sospirò.
“Non
è scomparso nessuno” la informò. Lei rimase ferma.
“Ma…”
“Erano
protetti in sottospecie di bolle da noi create. Non volevamo che gli heartless rubassero i loro cuori, sarebbe stato spiacevole”
le spiegò.
“Heartless?” domandò la ragazza. Lui annuì.
“Quegli
esseri striscianti e neri” specificò.
“Oh”
disse semplicemente.
Per
tutta riposta, uno di quei cosi comparve strisciando verso di loro. Rea arretrò
fino a sbattere con le spalle contro il portone bianco, spaventata.
“Ecco,
questo è un heartless” commentò il ragazzo, facendo
comparire nelle sue mani una specie di strana spada.
Fu
un attimo: saltò verso l’heartless e con un colpo
secco lo divise in due, facendolo scomparire con un sonoro *puff*.
Si
poggiò la spada sulle spalle e guardò soddisfatto la ragazza.
“Non
mi vanterò della mia bravura, sarebbe troppo facile” promise con un ghigno.
“Q-quello…
quel… coso, io me lo sogno!” esclamò lei.
“Non
esagerare, non era così terribile!”
“No,
non capisci! Io lo sogno da due settimane, ormai!” spiegò. Lui inclinò la testa
da un lato, incuriosito.
“Sì,
avevo sentito dire di questa vostra peculiarità, però non so darti nessun tipo
di spiegazione sul perché. Il Re, al contrario, può, quindi torniamo nella
camera reale, sicuramente ti starà cercando” le disse.
Rea
si appiattì se possibile ancora di più al muro e scosse la testa.
“Tu
mi hai rapita” gli ricordò.
“Non
ti ho assolutamente rapita, ho eseguito gli ordini e l’ho fatto per il tuo
bene!” esclamò il ragazzo.
“Non
importa, mi hai portata qui controvoglia e, soprattutto, mi hai tramortita! Io
di te non mi fido!”
“Il
che può essere un problema visto che sono io a doverti fare da guida” la
informò lui, scompigliandosi i capelli con un gesto che, sicuramente, faceva
spesso.
Sospirò
e fece un passo verso di lei.
“Io
sono Axel, capito? A-X-E-L, memorizzalo e ricordati
che sono dalla tua parte” le disse. La ragazza era ancora titubante, ma si
avvicinò a sua volta.
“Rea”
rispose. Lui le sorrise.
“Ora
torniamo in camera, non mi va di dover spiegare a Topolino come mai siamo
scomparsi” la pregò.
“I-io…
ok, va bene” accettò.
Si
avviò dietro di lui con le gambe tremanti.