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Autore: Melabanana_    31/07/2014    4 recensioni
A un certo punto della storia che conosciamo, in tutto il globo terrestre hanno cominciato a nascere bambini con poteri sovrannaturali, dando inizio alla generazione dei "portatori di doni". Assoldati dalle "Inazuma Agency" come agenti speciali, Midorikawa e i suoi coetanei dovranno lottare contro persone disposte a tutto pur di conservare e accrescere il proprio potere. Ma possono dei ragazzini salvare il mondo?
Avvertimenti: POV in 1a persona, AU, forse OOC, presenza di OC (secondari).
Questa storia è a rating arancione per via delle tematiche trattate (violenza di vario grado, morte, trauma, occasionale turpiloquio). Ho cercato di includere questi temi con la massima sensibilità, ma vi prego comunque di avvicinarvi alla materia trattata con prudenza e delicatezza. -Roby
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Jordan/Ryuuji, Xavier/Hiroto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Spy Eleven -Inazuma Agency '
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Ci tengo a ringraziare tutti quelli che continuano a seguire questa fic: non sarei mai arrivata così avanti senza tutti voi, sapere che così tanta gente la legge mi incoraggia ogni giorno a proseguirla. Amo anche leggere le vostre recensioni, quindi anche se non riesco sempre a rispondere sappiate che vi sono profondamente grata. E mando un grande abbraccio a Ursy, che mi ha betato il capitolo! 

Guardai l’orologio appeso al muro, poi mi affacciai dalla finestra: la macchina era ancora lì. Quanta fatica sprecata. Ormai la lezione avrebbe dovuto essere terminata. Fedele alla mia decisione di non rimettere più piede nella clinica, mi ero rifiutato di prepararmi e scendere. Le mie scarpe avevano ancora i lacci sfatti, la mia camicia era sbottonata e la mia voglia di muovermi era stata pari a zero fin da quando mi ero alzato. Tornai a sedermi sul letto e fissai il pavimento, chiedendomi per quanto Hitomiko mi avrebbe permesso di fare i comodi miei prima di minacciarmi di togliermi il distintivo. A quel punto, non sapevo cos’avrei fatto.

 
xxx
 

Hiroto mi aveva dato appuntamento al piano degli uffici per le quattro, ma era già in ritardo di un quarto d’ora; il giorno prima mi aveva informato di dover uscire presto per una ‘piccola commissione’ (così l’aveva chiamata, ma chissà cosa doveva fare realmente) così al mio risveglio nella stanza c’ero solo io.  Anche gli altri due coinquilini se l’erano filata. Probabilmente Kazemaru non volesse vedere la mia faccia, e il sentimento era reciproco.
Il corridoio era gremito di impiegati e c’era puzza di chiuso e di sudore; sentendomi soffocare, mi aprii la giacca fino al quarto bottone e mi voltai ad aprire la finestra.
Il riflesso che il vetro mi rimandò era quello di un viso stanco, emaciato, con un livido violaceo sullo zigomo sinistro. Me lo sfiorai con un dito, titubante, e una fitta di dolore mi attraversò immediatamente la mascella. Abbassai la mano e senza esitare oltre aprii il battente per togliermi dalla vista quell’orribile immagine di me stesso.
L’aria mi investì in tutta la sua confortante freddezza. Per tutta la mattina aveva piovuto a scatti e ora si respirava odore di humus e terra bagnata.
Una mano mi si poggiò sulla spalla, facendomi sussultare.
-Hiroto, sei in ritardo- brontolai, ma quando mi girai mi trovai di fronte al rosso sbagliato.
-Mi spiace, non sono il tuo principe azzurro- disse Burn, smaliziato. Capii che ormai tutti sapevano della mia relazione con Hiroto: dopo essere stati scoperti da Endou e Kazemaru, Hiroto aveva abbassato notevolmente la guardia e non si faceva problemi ad abbracciarmi da dietro, o anche solo sfiorarmi il viso, il collo, le spalle, come fosse naturale. Beh, dal momento in cui Maki ci aveva visti, non avrebbe più potuto essere un segreto nemmeno se avessimo voluto.
-Uh, che brutta faccia… allora è vero che hai avuto un, mmm, diverbio col tuo amico- continuò Burn. Con un gesto brusco mi prese il mento tra le dita e mi studiò il volto con attenzione.
-Piantala- lo rimbeccai, sfuggendo alla presa.
Anche la mia lite con Kazemaru, a quanto pareva, era un fatto noto ai più; probabilmente una buona parte della mia vita privata era correntemente sulla bocca di tutti quelli che lavoravano nell’edificio. Magari era un loro argomento preferito. Fantastico.
-A giudicare dal tuo umore e da quel livido, direi che hai avuto la peggio- ghignò Burn.
Come se fosse una cosa divertente.
Kazemaru ed io non c’eravamo più parlati da quando, la settimana prima, avevamo perso il controllo ed eravamo letteralmente passati alle mani. Pugni, schiaffi, sberle, c’eravamo picchiati per bene, come mai avevamo fatto, neanche da bambini. Da piccoli c’era la mamma di Kazemaru a separarci, a ricordarci quanto fossimo importanti l’uno per l’altro, a convincerci a darci la mano… ma ora che eravamo soli, io e lui, senza alcuna mediazione, una sciocca canzoncina in rima non sarebbe bastata a farci far pace.
Le mie mani tremarono nelle tasche della giacca al pensiero di quanta forza avevo messo nelle dita mentre chiudevo il pugno e colpivo allo stomaco il mio migliore amico.
Forse, se Burn avesse potuto vedere i lividi che Kazemaru aveva sul corpo, non lo avrebbe giudicato vincitore con tanta leggerezza.
-Comunque, la prossima volta che fate a botte chiamami, eh- Burn mi mise un braccio intorno alla spalla in modo confidenziale e mi ammiccò. –Io e Gazel amiamo fare scommesse…
-Io scommetto che se non lo lasci stare subito, ti ritroverai dritto dritto nel parcheggio- intervenne Hiroto, asciutto, adocchiando la finestra aperta con aria minacciosa.
Vederlo mi procurò un istantaneo senso di sollievo. Gazel, che camminava poco più dietro di lui, sbuffò. Per un attimo mi parve che mi stesse osservando, ma non appena i nostri sguardi furono ad un soffio dall’incrociarsi, lui mi evitò e si concentrò invece su Burn.
-Credevo di averti lasciato del lavoro da fare- osservò, piatto, alzando un sopracciglio.
-Già, come al solito- lo rimbrottò Burn, acido. Fare da segretario a Gazel era una delle cose che più odiava, eppure ci sembrava costretto ogni giorno.
-Sono venuto a prendermi un caffè, è forse vietato?-  aggiunse, torvo.
-A me sembrava piuttosto che stessi importunando Midorikawa- disse Hiroto, proprio nel momento in cui Gazel soffiava, sarcastico:- Beh, la macchinetta è un po’ più in là, genio.
Burn spostò lo sguardo dall’uno all’altro, irritato dal fatto che si fossero alleati contro di lui.
–Uff, come siete noiosi. Ho capito, torno di là- esclamò, più sdegnato che rassegnato, e fece una piccola deviazione verso la macchina delle bevande prima di rientrare in ufficio. Gazel mi lanciò una brevissima occhiata, poi seguì il compagno. Quando la porta del suo ufficio si richiuse alle sue spalle e finalmente ci trovammo da soli (beh, senza contare gli impiegati che ancora brulicavano nel corridoio), Hiroto sembrò rilassarsi e tirò un sospiro.
-Ciao- mi salutò, sorrise.
-Ciao, come va?- ricambiai.
-Bene, direi.- Non mentiva; i suoi lineamenti erano più luminosi e riposati dei giorni scorsi, segno che stava riuscendo a dormire di più, forse aiutato dai pisolini che faceva nel tempo libero, appoggiato sulle mie ginocchia mentre gli accarezzavo i capelli. Aveva persino preso un po’ di colore, per quanto il suo incarnato restasse così chiaro da diventare quasi trasparente in corrispondenza dei polsi, dove le vene azzurre spiccavano in modo quasi inquietante.
Lentamente, mi sfiorò la guancia col dorso di una mano. Il suo tocco, sebbene delicato, mi fece sussultare di dolore laddove c’era il livido, e mi allontanai di scatto.
-Perdonami- disse, cauto. Cercai di sorridere.
-No, non è nulla… Andiamo in mensa?- proposi. Ad eccezione dei momenti dedicati ai pasti, la mensa era normalmente deserta, un luogo perfetto per riflessioni solitarie, per cui non credevo che avremmo avuto compagnia. Mi sbagliavo.
Reina e Maki erano ferme nel corridoio pochi metri prima della porta della mensa ed entrarono  subito dopo di noi, quasi come se ci stessero aspettando. Quando si sedettero al nostro stesso tavolo, il dubbio che quell’incontro non fosse una coincidenza diventò certezza, ma nessuno fece commenti: anzi, per un po’ restammo tutti in silenzio, ognuno per conto proprio.
Seduta di fronte a me c'era Maki, impegnata a stendere vari strati di smalto sulle unghie un po’ mangiucchiate, ed io mi soffermai per un po' ad osservare il procedimento puntiglioso che stava svolgendo con grande concentrazione; in perfetta armonia col suo stile esuberante, aveva scelto un colore diverso per ogni dito. Hiroto aveva lo sguardo incollato allo schermo del proprio cellulare, mentre Reina era apparentemente immersa nella lettura di un romanzo. Apparentemente, parola chiave. Infatti, dopo appena qualche minuto, si stufò di aspettare che io iniziassi una conversazione e decise di rompere lei stessa il ghiaccio.
-Stai bene?- chiese, diretta. Chiuse il libro, lo mise da parte ed appoggiò le mani lievemente intrecciate sul tavolo. Notai che portava dei guanti di stoffa blu, che le fasciavano delicatamente le dita affusolate; sembravano cuciti a mano, con dei ricami bianchi e gialli all'altezza dei polpastrelli. Non l’avevo mai vista portarli.
Reina si accorse che mi ero distratto e simulò un colpo di tosse per richiamare la mia attenzione sulla sua domanda. Alzai gli occhi al cielo.
-Potenzialmente- sbottai, vago. Reina mi guardò accigliata.
-Che intendi quando dici "potenzialmente"?
-Che potrei stare meglio, se tutti la smettessero di chiedermi come sto. E se riuscissi a dormire di più.
-Oh, già. Kazemaru ci ha detto che sei inseguito da incubi- disse Maki, ignorando la prima parte della frase. Era intenta ad ammirare le proprie unghie e, dopo aver dipinto di blu l'indice destro, chiuse la boccetta e ne prese una fucsia per il pollice.
Sentire il nome del mio partner (non per molto) bastò a farmi saltare i nervi già tesi. -A quanto pare, Kazemaru ha deciso che la mia vita non deve avere più segreti per nessuno…- Sbuffai, con la testa poggiata sul tavolo. Il mio commento avrebbe voluto essere solo ironico, ma mi uscì più amaro del previsto: ce l’avevo ancora con lui e sapere che l‘aveva detto anche a loro peggiorò il mio umore.
Le due ragazze parvero notarlo. Hiroto sospirò, rassegnato.
-Tu e lui siete ancora in rotta, vero?- chiese Maki, costernata.
-Non è mica facile, sai- sbottai.
-No, perché voi due insistete a farla complicata- disse Reina, con tono di rimprovero. Normalmente apprezzavo la sua franchezza, ma in quel momento qualsiasi cosa pareva irritarmi a non finire: la guardai torvo e feci per alzarmi.
-Midorikawa- Hiroto non disse altro che il mio nome, ma la sua voce aveva un ben chiara nota d’avvertimento: Non perdere la calma. Non alzò gli occhi dal cellulare, né mi toccò, ma io seguii lo stesso il suo consiglio: feci un respiro profondo, strinsi i pugni sulla panca e rimasi fermo.
-È complicata! Magari non lo sarebbe se la smettesse di agire alle mie spalle-. Faticavo a reprimere il risentimento, e la risposta di Reina mi bruciò come se avesse gettato sale su una ferita aperta.
-Sono sicura che Kazemaru abbia le sue colpe, ma credo anche che la tua reazione sia stata esagerata... È un po’ che sei strano. E rifiutare una richiesta di Hitomiko-san non è una buona idea. Dovresti andare a quelle sedute- disse.
-Non ho bisogno che tu me lo dica- risposi freddamente, ed era vero. Ero cosciente di star sbagliando in più e più modi; ma il fatto di saperlo non mi impediva di perseverare nei miei errori. Mi sembrava di essere sulla strada per un burrone, senza possibilità di risalita.
Reina proseguì, senza darmi tregua, ma il suo tono si addolcì. -Non stare così sulla difensiva... Voglio solo dire che sarebbe meglio fare pace il prima possibile- disse.
Sapevo che era solo preoccupata per me, ma ero troppo irritato per ascoltarla.
-Quello che faccio non sono affari tuoi! Non sono affari di nessuno di voi!- Scattai in piedi e sbattei le mani sul tavolo. Una pessima mossa: le boccette di smalto saltarono sul posto, una rotolò verso il bordo e prima che Maki riuscisse ad afferrarla cadde e si spaccò. Un rosso porporino iniziò a spandersi a macchia d’olio vicino alle sue scarpe.
Fu in quel momento che la sirena iniziò a squillare.
Inghiottii le altre proteste che ero pronto a sputare, chiusi la bocca e il mio sguardo, come quello di tutti gli altri, si posò sui fasci di luci rosse che s’incrociavano sul soffitto.
-Ancora questo suono orribile!- si lamentò Maki, la sua voce appena udibile sotto quel fracasso.
Hiroto si alzò talmente di fretta che rischiò di inciampare nella panca e barcollò in avanti. D'istinto mi gettai verso di lui per aiutarlo, ma lui recuperò subito l’equilibrio e mi rivolse un’occhiata preoccupata.
-Ho l’impressione che tu sappia di cosa si tratti- dissi. –E non è nulla di buono, vero?
-No, non lo è affatto-. Si morse il labbro. –Non avrei dovuto tenere Gazel lontano dall’ufficio stamattina, non avrei dovuto fargli perdere tempo… Spero che vada tutto bene.
-Gazel? Cosa c’entra lui con questo? Hiroto, cosa succede? Possiamo fare qualcosa per aiutarlo?- chiesi, allarmato. Lui scosse il capo.
-Non possiamo fare nulla, solo aspettare che finisca- rispose.
-Ma Gazel è in pericolo?- insistetti, nervoso. Reina e Maki seguivano con grande concentrazione la nostra conversazione, attente a non perdere neanche una parola nonostante il fracasso. Hiroto ci guardò uno a uno, poi le sue labbra si piegarono in una smorfia.
-Lo siamo tutti, Midorikawa- rispose. –Siamo tutti in pericolo.
-Cosa... cosa significa?- chiese Maki in un soffio.
La sirena cessò di suonare, con grande sollievo dei nostri timpani, e invece i nostri cerca-persone emisero una lunga serie di bip. Hiroto tirò il suo fuori dalla tasca e mormorò:- Andiamo a scoprirlo.
 


Non avevo mai visto lo studio di Seijirou così pieno, tanto che solo in quel momento mi resi conto veramente di quanto fosse ampio: l’ultima volta che c’ero entrato risaliva a più di due mesi prima e in quell’occasione ero talmente nervoso per via del caso Jordaan che non avevo caso ai dintorni.
Ora, entrando, notai subito il colore azzurrino delle pareti, il pavimento di legno e le finestre in stile giapponese, i divani di pelle nera contro cui erano appoggiati Kidou, Gouenji, Endou e Kazemaru –i nostri sguardi si incrociarono per caso, e subito scattarono in direzioni opposte. Dall’altro capo della stanza, Burn era appoggiato contro un muro, con gli occhi fissi davanti a sé. Hitomiko era dietro la scrivania di suo padre, a fianco alla poltrona girevole su cui sedeva Seijirou.
Sembra proprio che Hiroto, Maki, Reina ed io fossimo stati gli ultimi ad arrivare.
-Ora ci siamo tutti- disse Hitomiko. Non era del tutto esatto, notai: Gazel non c’era. Mi girai verso Burn, quasi in cerca di spiegazioni, di una qualsiasi assicurazione che stesse bene, ma lui si limitò a scrollare le spalle.
-Di certo vi chiederete perché siete riuniti tutti qui. Vi diremo tutto ciò che sappiamo- affermò Seijirou. –Non ha senso nascondere queste informazioni. Anzi, temo proprio che avremo bisogno di tutto l’aiuto di cui possiamo disporre.
Fece una pausa. Senza nemmeno guardarmi attorno, sapevo che la premessa aveva innervosito ancora di più i presenti: le loro paure ed incertezze erano così fitte che non potevo evitare di percepirle e mi sentivo gelare dal carico di tensione che mi pesava addosso.
-Garshield sta radunando le sue forze, ha iniziato a piccole dosi e ora è in possesso di armi che non possiamo immaginare. Ha cercato di accedere due volte al nostro archivio informatico; non sappiamo come, ma è riuscito a sfondare la sicurezza. Per fortuna, il nostro sistema è dotato di un allarme ben funzionante e Gazel è riuscito ad intervenire in tempo e li ha respinti.
-Oggi è stato più difficile dell’altro giorno- intervenne Hitomiko. –L’archivio era stato danneggiato dal primo accesso e Gazel stava ancora riordinando i dati. In un modo o nell’altro, è riuscito ugualmente ad innalzare nuove barriere e ha buttato fuori gli intrusi, ma adesso è esausto.
-È per questo che non è qui con noi?- chiese Endou, preoccupato. Hitomiko annuì.
-Siccome è già al corrente della situazione, ho pensato di lasciarlo riposare- spiegò.
-Gazel è molto intelligente, può difenderci dall’interno- mormorò Hiroto. –Ma per le aggressioni esterne? È ovvio che nessuno è più al sicuro, dopo quanto è successo ai Fubuki-. A queste parole Gouenji serrò la mascella e strinse i pugni, dei movimenti istintivi e quasi impercettibili.
-È quindi accertato che sia opera di Garshield?- sibilò.
-Temo proprio di sì- Hitomiko confermò le parole del fratello, e aggiunse:- Abbiamo motivo di credere che le persone che hanno aggredito Fubuki Atsuya e Fubuki Shirou siano le stesse che Garshield aveva inviato per togliere di mezzo Kageyama Reiji. La testimonianza di Fubuki Shirou è stata preziosa per questa identificazione, perciò in cambio lui e suo fratello avranno la nostra protezione. Gouenji, Kidou, da questo momento fino a nuovo ordine Fubuki Shirou sarà nelle vostre mani. Per quanto riguarda il fratello, decideremo non appena uscirà dall’ospedale. È chiaro?
-Sissignora- esclamarono Kidou e Gouenji all’unisono. Non appena lei si voltò, Gouenji si lasciò fuggire un debole sospiro di sollievo, forse rincuorato dal fatto di poter tenere Shirou sotto il proprio controllo. Sapevo che si sentiva responsabile nei suoi confronti, non avrebbe permesso che venisse nuovamente ferito in sua assenza.
-Queste persone… di chi si tratta?- domandò Reina, richiamando la mia attenzione su di lei.
-Reina, so che tu, Midorikawa e Maki li avete già incontrati all’ospedale, quindi vi siete già fatti un’idea su di loro. Sono guerrieri e probabilmente drifters. Sono assassini che non si fanno scrupoli ad uccidere, anche quando non è necessario- dichiarò Seijirou, in tono grave.
Maki impallidì. Reina le strinse una mano per tranquillizzarla, ma si vedeva che era nervosa anche lei. A me venne in mente la scena di Fudou che trascinava la gamba sanguinolenta. Avevo la nausea.
-Garshield deve averli addestrati bene, in segreto… Ancora non ne sappiamo abbastanza, ma una cosa è certa: non possiamo permettere loro di organizzarsi, di preparare un altro attacco. Dobbiamo cominciare a creare una contro-offensiva efficace- disse Hitomiko. –Non devono più coglierci di sorpresa, o finiremo per servirgli la vittoria su un piatto d’argento.
-Ma noi cosa possiamo fare, in concreto?- esclamò Reina, frustrata.
-Tenere gli occhi aperti. Addestrarvi. Non tralasciate nulla, lavorate sui vostri punti deboli. Dobbiamo essere forti ed uniti. Se lasciamo un solo spazio al nemico, lui ne approfitterà- ribatté Seijirou. –Ricordate: non è un nemico qualsiasi. Garshield è crudele, spietato. Se gli darete l’occasione di colpirvi… lui vi farà a pezzi.
Ci ucciderà, rabbrividii. Come i genitori di Diam, o il maestro Jordaan, o Shinobu.
Garshield vuole distruggerci tutti.

 
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La maggior parte di noi saltò la cena; nessuno, dopo aver sentito le ultime notizie su Garshield, aveva voglia di mangiare, anzi era probabile che la sola idea di mettere qualcosa nello stomaco desse a tutti la nausea. Gouenji però ci andò ugualmente, forse perché sperava di trovarvi Fubuki; Kidou, Endou e Kazemaru lo seguirono.
Hiroto rimase con suo padre e sua sorella, mentre Reina tornò dritta in camera senza degnare nessuno di uno sguardo, così mi trovai da solo con Maki e Burn, il quale però camminava a qualche metro da noi, immerso nelle proprie paturnie. 
-Haruyan è proprio un testardo. È preoccupato per Gazel… Gli vuole più bene di quanto gli faccia piacere ammettere- commentò Maki. Gettai un’occhiata di soppiatto verso il ragazzo. In effetti, benché il loro rapporto fosse costituito perlopiù da litigi e tolleranza reciproca, Burn mi pareva chiaramente in pensiero per il compagno. Più che preoccupato, avrei detto quasi arrabbiato. Con Garshield, con se stesso: forse si rimproverava il fatto di non essere stato utile.
-Io credo che andrò un po’ ad allenarmi al poligono di tiro- disse Maki. –Vieni con me, Midorin?
-No, sono troppo stanco e non mi concentrerei affatto. Scusami.
-Di nulla… chiederò a Haruyan. Magari prendere a botte un bersaglio lo farà sentire meglio.
Le misi una mano sulla spalla e la fermai.
-Scusa per lo smalto- dissi. Mi guardò sorpresa, poi capì che mi riferivo alla boccetta che avevo rotto per sbaglio e fece un cenno di noncuranza con la mano.
–Oh. Non importa. Quel colore non mi piaceva tanto- disse. Stette in silenzio per un attimo, alcuni secondi di riflessione, quindi aggiunse:- Però mi hai fatto un po' paura. Di solito sei così gentile, Midorin, ma oggi non lo sei stato per niente.
Ripensai a quando l’avevo fatta piangere a causa di Jordaan e mi sentii male per lei.
-Mi dispiace- sussurrai. -Non sono affatto gentile.
-Lo sei, o non ti saresti scusato. E comunque, sapevo che avresti potuto reagire così, ma ho deciso di intromettermi lo stesso... Perché, se è per un amico, certe cose bisogna dirle a voce alta-. Mi sorrise, con una punta di tristezza che non sapevo spiegarmi.
Prima che potessi replicare, si girò verso Burn, gli si avvicinò e lo prese per un braccio. Gli mormorò qualcosa all’orecchio e l’altro annuì.
-Allora ci vediamo domani, Midorin!- Maki mi salutò con la mano libera, ricambiai con un cenno. Li seguii con lo sguardo mentre si allontanavano insieme, finché non voltarono l’angolo e sparirono alla mia vista. Non avevo idea di cosa fare, ma ero piuttosto incline all’idea di salire in camera e mettermi a dormire senza ingoiare neanche un boccone: niente da fare, avevo lo stomaco chiuso.
Andai verso le scale. Avevo appena messo il piede sul primo gradino quando sentii qualcuno chiamarmi: una voce piana, sfiancata. Mi girai e Gazel mi rivolse una lunga occhiata, studiando la mia espressione.
-Midorikawa- disse infine -hai un minuto?
 

Nonostante Hitomiko gli avesse lasciato libera la fine della giornata, Gazel non appariva per nulla intenzionato a riposare. La sua scrivania era così piena di fascicoli che era impossibile vederne anche solo un angolo, i fogli arrivavano ad ammassarsi sulla sedia girevole su cui di solito stava seduto lui. Quella di Burn era libera, e lui me la indicò con il mento.
-Siediti- disse. Invece di obbedire, restai in piedi a fissarlo stupito.
-Che succede?- esclamai, anche se la vera domanda era: cosa voleva da me? Osservai il suo volto pallido, le borse sotto agli occhi e le labbra screpolate.
-Dovresti riposare- dissi, fissandolo come potesse svenire da un momento all’altro.
-Sciocchezze- brontolò lui, alzò gli occhi al cielo.
–Siediti. Mi è… giunta voce che tu abbia interrotto le visite- affermò, impassibile.
Feci una smorfia, irritato dal fatto che la mia vita privata non fosse più privata.
–E con ciò? A te che importa?- esclamai, stizzito, ma Gazel mi ignorò totalmente.
-Sai, Midorikawa, io voglio laurearmi in psicologia- dichiarò, impassibile.
Lo guardai e un pensiero lampo mi attraversò la mente. –Vuoi esercitarti su di me?!- La mia esclamazione scioccata gli strappò un piccolissimo sorriso.
-Oh, sì, sei un soggetto interessante. Non l’unico da queste parti, certo. Invero, direi che abbiamo a disposizione una bella compilation di casi patologici… Ma tu sei abbastanza interessante.
-Percepisco dell'ironia nella tua voce...- brontolai. -Mi prendi in giro?
-Ovviamente. Pensi che prenderei così sotto gamba la psicologia da improvvisarmi uno psicologo così, dal niente? No, non voglio laurearmi in psicologia. Voglio solo parlare, scemo.
Beh, almeno era onesto. Restava però il fatto che non volevo nessuno nella mia testa, e Gazel mi faceva abbastanza paura. Avevo l’impressione che sarebbe arrivato ad aprirmi la scatola cranica pur di soddisfare i propri bisogni scientifici.
-Perché credi che dovrei dirti tutto quello che vuoi sentire?- domandai lentamente, studiando con la coda dell’occhio la distanza tra me e la porta, come un topo in trappola. –Perché dovrei parlare con te, di tutte le persone?
Gazel scrollò le spalle.
-Perché hai detto che non vuoi essere aiutato e, infatti, non è mia intenzione aiutarti. Ho chiesto il permesso a Hitomiko di lasciarti a me unicamente per i miei scopi personali- disse. Lo guardai sorpreso, cercai nella sua espressione un indizio che mi aiutasse a capire se mi stava ancora prendendo in giro. A quanto pareva, però, stavolta era serio.
-Wow, evviva l'onestà- replicai, piatto. Non avevo alcuna voglia di continuare a discutere, per cui sospirai e mi lasciai cadere sulla sedia girevole, accavallando le gambe per stare più comodo. -D’accordo. Cosa vuoi che ti dica?
Percepii un immediato sollievo da parte di Gazel, che solo allora abbandonò la porta. Si sedette sulla scrivania, frugò nelle carte e ne tirò fuori un block-notes e una matita.
-Partiamo dall’inizio... Perché hai abbandonato l’ultima seduta a metà?- domandò.
Cercai di nascondere la mia irritazione. Pensavo che saremmo partiti dal generico, ma quella era una domanda ben precisa, Gazel non aveva preso la questione alla larga. Siccome non riuscivo a rispondere e sostenere il suo sguardo contemporaneamente, decisi di concentrarmi sul pavimento mentre rispondevo senza entusiasmo.
-Dall’inizio, eh…- ripetei. -Eravamo in una stanza, io, la dottoressa e altri ragazzi. Dovevamo fare un esercizio, chiudere gli occhi e rilassarci. Credevo che mi sarebbero apparse delle immagini, invece ho sentito una canzone. Ho riaperto gli occhi…- Mi fermai, poi sputai la fine del racconto, tutta d’un fiato:- Nessuno stava cantando. Tutti mi fissavano. Mi sentivo braccato, non so, avevo la nausea e una sensazione di oppressione… Sono andato nel panico.
Inspirai profondamente prima di alzare lo sguardo. Nonostante l'espressione neutra e indifferente sul volto di Gazel, io potevo percepire la sua curiosità in modo palpabile.
-Di cosa hai paura?- mi chiese Gazel, serio.
Un’altra domanda specifica. Come poteva essere ancora così lucido, così acuto, dopo una giornata del genere? Gazel mi spaventava davvero.
Osservai i suoi occhi, affilati come pezzi di vetro, con cui trafiggeva impietoso chiunque avesse il coraggio di incrociarli, ma anche profondi e attenti a ciò che lo circondava. Lui era davvero bravo a capire le persone, senza "barare" come facevo io grazie all'empatia. Rendermene conto non fece che aumentare la mia voglia di filarmela.
Gazel non era paziente come ci si sarebbe aspettato da uno psicanalista, né era dell’umore giusto per lasciar correre la mia indecisione. Si stancò presto di aspettare una mia risposta; fece roteare la matita fra le dita un paio di volte, se la infilò dietro l’orecchio e, dopo aver gettato un’occhiata inquisitoria alla porta, come per controllare che nessuno (Burn, nello specifico) stesse origliando, iniziò a parlarmi lentamente, come si fa con i bambini.
-Rendiamo le cose più semplici- mi disse. -Ipotizziamo che esistano soltanto due tipi di paura: quella del dolore e quella dell’ignoto. Tutte le altre nascono da queste due. Capisci?- Aspettò di vedermi annuire.
-Quindi… quale ti fa paura?- La sua voce era tranquilla, neutra, ma i suoi occhi erano intensi e penetranti, chiedevano silenziosamente accesso ai miei segreti.
Mi morsi l’interno della guancia ed anche stavolta non dissi nulla. La risposta non era affatto complicata, né scontata.
-Okay, per oggi chiudiamo qui- affermò Gazel, tirandosi dietro, apparentemente soddisfatto. Anche se non avevo detto nulla, lui aveva già tutte le risposte che gli servivano, per il momento.
-Sono un po’ incasinato, come vedi, ma ho tempo domani nel pomeriggio. Facciamo verso le cinque? Ti avverto che se non vieni con le tue gambe, ti ci trascinerò io- disse.
Sbuffai e mi alzai, lanciai un’ultima occhiata alle pile di carte che traballavano, miracolosamente ancora in equilibrio, sulla sedia di Gazel.
-Perché lo fai?- domandai, capriccioso. –Hai fin troppi problemi senza che ti addossi i miei…
-Non ha niente a che vedere con questo, è solo che mi servi.- Gazel chiuse il blocchetto e lo posò con cura sulla scrivania, sopra sette cartelline di cartone giallastro. Quando alzò lo sguardo, la luce che avevo intravisto prima era ancora lì.
-Io posso capirti meglio degli altri. Infatti, anche io non ricordo affatto il mio passato- confessò, non senza sforzo. Subito dopo, infatti, cambiò discorso.
-Inoltre, qualcuno mi ha chiesto un favore. Questa persona mi ha aiutato parecchio tempo fa ed io odio essere in debito. Con questo, sono a posto- disse, quindi si voltò e iniziò a rovistare tra i fogli. Pensai che probabilmente avrebbe lavorato tutta la notte per mettere al sicuro dati e informazioni che, per fortuna, non erano soltanto online, ma anche cartacee. Gli attacchi di Garshield alla sua postazione informatica non gli erano andati a genio, perché se c’era una cosa che Gazel odiava più che essere in debito con qualcuno, quella era perdere.
 
Quando finalmente raggiunsi la mia camera, gli altri coinquilini non erano rientrati ancora, perciò riuscii a farmi una doccia ed infilarmi a letto senza che nessuno mi disturbasse o mi mettesse fretta. Lasciai cadere la testa sul cuscino e chiusi gli occhi sperando di fare un sonno lungo, tranquillo e soprattutto sgombro da strani sogni.
Ma continuavano a tormentarmi le parole di Gazel: Quale ti fa paura? E poi, mentre scivolavo nell’oblio, una voce dentro di me si rianimò cogliendomi di sorpresa e tirò fuori la risposta a cui non avevo avuto il coraggio di dar voce: Entrambi.
Dolore e ignoto; avevo paura di entrambi.

 
**Angolino dell'autrice**
Buonasera :)) 
In questo capitolo diventa chiaro che Gazel avrà un ruolo piuttosto importante in quest'arc: su di lui non ho detto quasi niente finora e molto verrà a galla verso la fine della storia... Inoltre, mi dispiace dirlo, ma non riuscirò ad inserire nella fic un vero e proprio approfondimento sul rapporto tra lui e Burn. Avrei voluto raccontare com'è avvenuto il loro primo incontro e come sono finiti all'Inazuma Agency, ma proprio non avrò occasione di inserire questi episodi nella trama principale (siccome io per prima ci tenevo tanto, avevo pensato di fare uno spin-off a parte; ma si vedrà, non posso promettere nulla).
Gazel legherà molto con Midorikawa, appunto perché vengono da esperienze simili. Una delle mie cose preferite, in Spy Eleven, riguarda proprio Midorikawa e il suo rapporto con gli altri personaggi! Midorikawa e Kazemaru ancora non si sono riappacificati (ci metteranno un po' di tempo) e intanto anche il rapporto tra Midorikawa e Hiroto continua ad evolversi... Anche Reina e Maki sono, a modo loro, importanti per Midorikawa: Reina si comporta un po' da mamma con lui, mentre Maki è come una sorella minore. E tra poco cominceranno ad arrivare nuovi e vecchi personaggi, non sto più nella pelle ~
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Bacioni,
Roby


   
 
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