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Autore: Amy Dickinson    31/07/2014    2 recensioni
Una piccola favola, semplice e priva di pretese, dedicata al mio OTP in questo fandom: SanSan ❤ 
Sansa è una bambina che vive tranquilla la sua vita nel villaggio di Winterfell, scandita dalle passeggiate con Lady, dalle faccende di casa e dai litigi con sua sorella Arya. Un incontro segnerà una svolta nella sua esistenza e un evento incredibile la cambierà per sempre :3
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Amy Dickinson © 2014 (31/07/2014) 

Disclaimer: Tutti i personaggi appartengono a George R. R. Martin, HBO e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata redatta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla, ma non ha alcun fine lucrativo, né tenta di stravolgere in alcun modo il profilo dei caratteri noti. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.


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Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia.

 

 

 

 

 

 

 

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- Capitolo Sei -

 

La testa gli scoppiava e la ferita in via di guarigione bruciava atrocemente. Era così debole che trascinarsi dalla casa fin nella Foresta del lupo gli era costato un’immane fatica e la perdita di molto sangue. Poté finalmente sedersi sotto un albero a riposare. 

Odiò se stesso al pensiero che, non vedendolo più, alla piccola Sansa si sarebbe spezzato il cuore. Era la creatura più adorabile che avesse mai conosciuto e l’ultima cosa che voleva era che soffrisse a causa sua. Ma non c’era altra soluzione, ammesso che fosse sopravvissuto, non poteva comunque stare con lei e la famiglia Stark, perché il suo posto era nella foresta ed era lì che sarebbe dovuto rimanere. Chiuse gli occhi e perse conoscenza.  

 

***

 

Sansa pianse per tutto il giorno e per tutta la notte. Il suo buon amico era venuto a mancare e lei non si dava pace, sentendosi responsabile di quanto era accaduto. A nulla servivano le parole di conforto dei genitori e gli inviti dei fratelli a giocare, lei rifiutava scuotendo il capo. Catelyn sospese il castigo e la lasciò libera di sfogare la tristezza, sperando che così si sarebbe ripresa presto. 

La luce del nuovo giorno era ancora pallida e debole quando la bambina sentì bussare piano alla porta della sua stanza. Lady si svegliò e drizzò le orecchie. 

«Cosa c’è?» domandò Sansa, la voce ancora impastata per il sonno. 

«Sapevo che era sveglia» si sentì una voce da fuori. «Possiamo entrare, sorella?»

«Fate come volete»

Un leggero cigolio annunciò l’apertura della porta e due ragazzini entrarono nella camera parzialmente buia.  

«Come stai?»

«Secondo te, Robb?» 

«Va bene, scusa»

«Perché siete qui? Di solito non vi svegliate così presto»

«Già, beh, la verità è che non riuscivamo a dormire, così...»

«Così abbiamo fatto una cosa per te» completò Jon. 

«Di che si tratta?»

I fratelli si scambiarono un’occhiata prima di allungare una mano verso di lei, porgendole qualcosa. La sorella li scrutò nella penombra per un attimo, poi prese l’oggetto e lo studiò con i polpastrelli.

«È un cane di legno?» 

«Sì, ma non un cane qualsiasi»

«Non c’è molta luce...» 

Jon annuì, uscì dalla stanza e tornò subito dopo reggendo una candela accesa. L’avvicinò alla bambina, permettendole di ammirare il lavoro di una notte. Il cane era intagliato rozzamente e aveva parecchie imperfezioni, ma le sembrò il dono più bello che avesse mai ricevuto. 

«Un mastino?» chiese, incredula. 

«Indovinato» rispose Robb.

«Ti piace?» fu la domanda di Jon. 

«Moltissimo» mormorò, gli occhi lucidi. «Grazie»

Si alzò dal letto e li abbracciò per un lungo minuto, poi si sedette di nuovo. 

«Gli somiglia almeno un po’?»

«Non tanto, Jon, ma non importa. È bello lo stesso»

«Perché non vieni con noi in giardino, più tardi? Potremmo giocare a Il signore del guado con Bran e Arya, tu saresti la lady del castello»

«Oppure potremmo giocare alla guerra e tu faresti la principessa in ostaggio, che ne dici?»

La sorella scosse la testa. 

«Perché no?»

«Siete gentili a preoccuparvi per me, ma non dovete»

«Non è bello vederti piangere» 

«Ho perso un amico, voi al mio posto come vi sentireste?»

«Lo sappiamo. Ma siamo la tua famiglia e ti vogliamo bene»

«Anch’io ve ne voglio. Però non mi va di giocare. Non oggi, almeno»

«E cosa vuoi, allora?»

“Vorrei che Sandor fosse qui con me. Vorrei non averlo perduto” pensò, amareggiata.

«Una cosa impossibile» rispose semplicemente. 

I ragazzini si guardarono un momento e stettero in silenzio per un po’, dondolandosi sui piedi, indecisi sul da farsi. Finché Jon non si schiarì la voce ed avanzò una proposta. 

«Ieri, mentre stavamo giocando, Bran ha detto che forse ti sentiresti un po’ meglio se facessimo un funerale per Sandor»

«Come?» domandò, colta di sorpresa.

I fratelli si strinsero nelle spalle. Sansa allora non rispose subito, prima rifletté un attimo. Non poteva riavere indietro il mastino, ma poteva comunque ricordarlo. Se esistevano sette inferi, si disse, allora dovevano esserci anche sette cieli e lui era senz’altro diretto lì, perché era buono ed era morto sacrificandosi per lei. Un cane non se ne sarebbe fatto molto di un funerale, di questo era certa, ma sentiva di doverlo fare per sé. 

«Lo vorrei, ma non credo che mi diano il permesso di uscire»

«Uscire? Perché, dove vorresti farlo?»

«Dove Lady e gli altri hanno perso le sue tracce: all’Albero-diga» 

I ragazzini si scambiarono un’occhiata. 

«Noi pensavamo bastasse il giardino...»

«Devo seppellire questa in suo ricordo e non posso farlo nel nostro giardino, visto quanto piace scavare ai nostri meta-lupi» spiegò, mostrando loro la benda. «È tutto ciò che mi rimane di lui» 

«Beh, vorrà dire che cercheremo di convincere nostro padre e nostra madre» 

«Robb, ti ricordo che sono in castigo»

«Non per il momento. E poi non devi andarci da sola, magari se uscissimo tutti insieme...»

«Francamente, ho i miei dubbi»

«Proviamoci lo stesso»

Sansa sospirò e guardò i fratelli nella luce ormai più chiara. Probabilmente non aveva mai provato tanto affetto per loro come in quel momento. L’espressione scettica sul suo faccino si tramutò presto in un caldo sorriso. 

«Grazie, ragazzi» 

Un attimo dopo chiese loro di uscire ad aspettarla in cucina, quindi si lavò e cambiò in fretta e li raggiunse. Preparò la colazione per tutti mentre loro accesero il fuoco nel caminetto ed apparecchiarono la tavola. Quando gli altri si alzarono e trovarono il pasto pronto, lo divorarono senza fare complimenti. Sansa fu l’unica che quasi non toccò cibo, assaggiando a malapena un pezzetto di pane caldo con il burro. 

«Padre, madre, posso parlarvi un momento?» chiese a un tratto la giovane. 

«Sì, cara» rispose Cat. «Cosa c’è?»

«Ecco, volevo chiedervi il permesso di uscire» disse tutto d’un fiato. 

«Per andare dove?» domandò Ned.

«All’Alberò-diga»

«E perché?» 

«Vorrei seppellire questa» 

Mostrò loro la benda del cane. 

«Sansa...»

«Potrà sembrarvi sciocco, immagino, ma per me è molto importante»

I genitori si guardarono in silenzio, come fossero indecisi sul da farsi. 

«So di essere ancora in punizione e non voglio mettermi nei guai. Ci vorrà poco, giusto il tempo di sotterrare la benda e dire una preghiera, poi tornerò a casa»  

«Andremo con lei, se può farvi stare tranquilli» disse Robb. «E porteremo anche i meta-lupi»

Jon annuì, subito seguito anche da Arya e Bran. 

«Vorreste andare anche voi?» chiese Cat ai figli minori. 

I bambini fecero di sì con la testa e Bran specificò che si trattava di una sua idea. Ned li studiò per un momento, poi guardò la moglie.

«E sia» decise infine, dopo che lei ebbe acconsentito con un leggero movimento della testa. «Vi concedo un’ora, non di più. Chiaro?»

«I più piccoli sono sotto la vostra responsabilità, assicuratevi che nessuno si faccia male» si raccomandò la donna, guardando Robb e Jon con espressione seria.

«Fidatevi di noi, madre» assicurò il primo. 

«Andate a mettervi gli stivali da neve e i mantelli. E copritevi bene perché oggi fa più freddo del solito» concluse Cat, alzandosi dalla sedia. 

Sansa abbracciò il padre e la madre e non mancò di ringraziarli, poi se ne andò in camera propria. 

Un paio di minuti dopo, cinque ragazzi Stark e quattro cani lupo si stavano già incamminando verso la piazza di Winterfell. Avanzando di buona lena impiegarono poco più di venti minuti a raggiungere l’imponente quercia bianca che sovrastava il paese dall’alto di una salita, precedendo la Foresta del lupo. Lungo il pallido tronco era stato scolpito un volto simile a quelli umani, vecchio migliaia di anni e recante un’espressione che, nonostante gli inquietati occhi rossi, sembrava malinconica. 

I lupi annusarono l’aria, l’albero e la neve sul terreno. 

«Dove vuoi seppellire la benda?» domandò Jon. 

Indicò la base dell’albero, vicino al punto in cui le grandi radici affondavano nella terra sotto la neve. 

«Non pensi che scavare vicino alle radici potrebbe irritare gli dei?» chiese Bran. 

«Mi auguro di no» fece Robb. «I loro occhi ci osservano, sanno che non abbiamo intenzione di profanare i loro corpi terreni»

I fratelli più grandi usarono la pala che si erano portati dietro e scavarono una buca piccola e poco profonda ai piedi dell’albero. Sansa si avvicinò, accarezzò la benda come fosse un prezioso tesoro e la collocò all’interno della buca, quindi si fece da parte e lasciò che la neve e la terra sottostante la ricoprissero del tutto. Chiuse gli occhi, giunse le mani e parlò. 

«Sette, io vi prego» la sua voce risuonò nel silenzio, triste ma chiara. «Padre, tu che osservi ogni cosa, giudica con equità il mio amico e le sue buone azioni. Madre, tu che doni la vita, sorridigli e fa’ sì che non provi più dolore. Vecchia, tu che sei la guida verso il destino, illumina il suo cammino oltre la vita affinché non sia mai buio. Straniero, tu che decreti l’ultima ora, non dimenticare chi gli ha fatto del male»

Robb e Jon alzarono un sopracciglio all’udire l’ultima frase: era raro che qualcuno si rivolgesse al più misterioso ed oscuro dei nuovi dei. 

Nessuno si unì a quella preghiera, perché di tutti loro solamente la fanciulla era solita pregare le nuove divinità come faceva la propria madre. 

«Quante storie per un cane...» bofonchiò Arya a bassa voce. 

Jon le diede una gomitata e si portò l’indice sulla bocca per farla tacere. La sorellina sbuffò e incrociò le braccia al petto mentre la maggiore continuava la sua solitaria litania.

«Antichi dei, la mia preghiera va anche a voi. Accoglietelo e guidatelo» aggiunse, sorprendendo gli altri. «Possa tu trovare pace, Sandor, se ciò compiace gli dei antichi e nuovi»

Il vento si alzò e raffreddò ulteriormente quella giornata cupa e grigia, frusciando tra i rami dell’Albero-diga. Sansa aprì gli occhi e sorrise tristemente. Suo padre soleva dire che il rumore sommesso del vento tra gli alberi scolpiti dai Figli della foresta equivaleva alla voce degli dei. Quel suono poteva essere la risposta alle sue preghiere, o forse solo una banale coincidenza – chi poteva stabilirlo con certezza?

«Addio» sussurrò, mentre una nuova folata le scuoteva i lunghi capelli e le accarezzava il volto come una fredda mano invisibile. 

Lady ululò brevemente, come ad unirsi al dolore di Sansa, poi le spinse la testa contro il fianco e la padroncina l’accarezzò. Quindi la bambina si asciugò le lacrime dagli occhi con la manica del mantello e si voltò verso i fratelli. 

«Grazie dell’aiuto» disse loro. «Possiamo andare»

Bran parve essere un po’ deluso: quando aveva proposto ai fratelli maggiori di fare un funerale si era immaginato qualcosa di molto più solenne di una benda sotterrata e di una preghiera lacrimosa. Arya, invece, sembrò sollevata dalla notizia. I ragazzini fischiarono all’unisono e richiamarono i cani, quindi ridiscesero la ripida strada e fecero ritorno in paese, diretti verso casa. 

 

Nei giorni che seguirono, Sansa tornò ad essere la figlia giudiziosa e diligente che era sempre stata. Ma Eddard e Catelyn erano molto preoccupati per lei poiché non la videro più sorridere, nemmeno per un momento. Inoltre, si accorsero che mangiava pochissimo, che aveva il sonno agitato e che aveva perso interesse sia nei giochi, sia nei dolcetti al limone. Quando non aiutava la madre nelle faccende, sedeva vicino al camino con Lady ai suoi piedi e ricamava fazzoletti. 

«Piccola mia» le disse un giorno Ned. «Sei sempre qui a cucire, perché non esci un po’ fuori in giardino?»

«Non ho voglia di giocare» rispose, senza alzare la testa dal proprio lavoro.  

«Oggi è una bella giornata: c’è il sole e non fa poi molto freddo. È il momento ideale per fare una passeggiata, sai?» consigliò Cat, cullando Rickon tra le braccia. 

«Credevo di essere in castigo e di non poter uscire»

«Hai scontato la punizione e due passi non ti faranno che bene. Purché tu non vada nella Foresta del lupo, ovviamente»

La fanciulla lasciò andare l’ago e guardò suo padre. 

«Questo vuol dire che posso arrivare fino all’Albero-diga?» 

I genitori si scambiarono un’occhiata. Non era quello che avevano sperato e, si dissero con lo sguardo, ci sarebbe voluto del tempo affinché potesse riprendersi del tutto, bisognava pazientare ed essere fiduciosi.  

«Se è quello che vuoi, per noi va bene. Porta Lady con te e sta’ attenta» 

«E torna prima che faccia buio, mi raccomando»

«Va bene»

Infilò l’ago nel fazzoletto, lo adagiò sul ripiano del camino e andò nella propria stanza a prepararsi. Ned osservò quel minuzioso lavoro e scosse leggermente la testa, mostrando a Cat i soggetti ricamati ai bordi: due diverse sagome canine, una grigia e una nera, facilmente riconoscibili. 

Sansa fu pronta in un minuto e uscì in strada con Lady. Passeggiò come le aveva suggerito sua madre ma non si fermò a parlare con nessuno, limitandosi a salutare chi incontrava. 

Quando ebbe raggiunto la quercia bianca, si sedette sulle radici a riposare, gettando indietro la testa e osservando distrattamente il lieve scintillio dei raggi solari tra i rami. Il punto in cui era sotterrata la benda era stato contrassegnato da un bastoncino conficcato nel mucchietto di neve e terriccio, perciò la fanciulla non ebbe alcuna difficoltà a localizzarlo. Lady, seduta sulle zampe posteriori, le stava accanto con una compostezza quasi umana. La padroncina le fece una carezza sulla morbida schiena prima di giungere le mani e formulare una preghiera. 

«Oh, quanto mi manca...» sospirò poi nel vento, dando voce ai propri pensieri. «Se solo potessi rivederlo un’ultima volta...»

Il guaire della lupa non alleviò la sua malinconia, però la fece sentire meno sola. Aveva perso colui che sarebbe potuto essere un nuovo amico ma, per fortuna, aveva ancora la sua Lady al fianco e non doveva dimenticarsene. Cinse la testa dell’animale con le braccia e le accarezzò le orecchie con una mano.  

«Smetterò mai di sentirmi in colpa per lui?» sussurrò, mordendosi il labbro per impedirsi di piangere. 

Il vento frusciò tra i rami e trascinò con sé le nuvole, coprendo il flebile raggio di sole che rischiarava il cielo. Allo scurirsi della luce pomeridiana, la bambina sciolse l’abbraccio, si strinse nel mantello e si alzò in piedi. Le nubi erano scure e cariche di pioggia. 

«Dobbiamo tornare. Vieni, Lady» 

Ma la bestiola aveva drizzato le orecchie e annusava l’aria con insistenza. La padroncina stava per ripetere quanto aveva appena detto, ma un rumore oltre l’albero attirò la sua attenzione. Un uomo, avvolto in una cappa nera come la pece, stava avanzando rapidamente in direzione della Foresta del lupo. 

«È solo un viandante. Andiamocene, su, o ci bagneremo»

Inutile: Lady guardava l’uomo con un’aria strana e non accennava a voler ubbidire. 

«Ho detto di andare!»

Per tutta risposta, il meta-lupo non solo continuò ad ignorarla, ma con un rapido scatto prese a correre nella direzione dell’uomo. 

«Torna subito qui!» ordinò, inseguendola. 

Il viandante non si voltò, ma Sansa ebbe l’impressione che stesse accelerando il passo. Forse aveva sentito che qualcuno lo stava inseguendo, forse aveva paura dei cani o, magari, aveva notato che stava per piovere da un momento all’altro e perciò voleva fare presto e cercare riparo tra i fitti alberi. 

Ad un certo punto, probabilmente stufa di corrergli dietro, Lady scattò nuovamente in avanti, coprì la distanza che li separava e si lanciò sul malcapitato, facendolo finire contro una quercia. 

«Oh, no!» esclamò la padroncina, affrettandosi a raggiungerli. «Cattiva, non si fanno queste cose!» 

Si voltò verso l’uomo che si stava rimettendo in piedi, reggendosi al tronco con entrambe le mani. 

«Vi prego di scusare il mio cane, signore. Come state? Non vi siete fatto male, vero?»

Quello scosse la testa e, quando tornò in posizione eretta, i loro sguardi si incontrarono per un istante. 

L’uomo che le stava davanti aveva un’aria stranamente familiare, sebbene lei potesse giurare di non averlo mai visto prima. Era molto alto, dalla corporatura imponente, lunghi capelli scuri gli scendevano disordinati sulle spalle, due occhi di onice in mezzo a un volto dai lineamenti austeri e dall’espressione tormentata. Il lato sinistro era deturpato da un’orribile ferita che solo le fiamme erano in grado di infliggere. 

«Ma...» sussultò la fanciulla, sgranando gli occhi e spalancando la bocca per lo stupore. 

Il viandante aggrottò la fronte, si strinse nel mantello che gli avvolgeva le spalle larghe e fece per allontanarsi, ma lei lo afferrò per un braccio, trattenendolo con tutta la forza che le riuscì. Nel farlo, Sansa intravide un pezzetto di stoffa chiara fare capolino dalla manica nera dell’uomo e lo riconobbe subito. Un fazzoletto bianco con degli uccellini azzurri ricamati agli angoli. Il suo fazzoletto. 

“Questo non è possibile...” pensò, enormemente confusa. 

Aveva lasciato il fazzoletto nella Foresta del lupo come dono di ringraziamento a chi le aveva salvato la vita, ma chiunque avrebbe potuto trovarlo e prenderlo. Oppure no. Oppure c’era un’altra spiegazione e quella ferita poteva essere la risposta alle mille domande che le ronzavano in testa. 

Ma come poteva credere che fosse proprio lui? Era una cosa assurda, non poteva essere così. Eppure era lì, davanti a lei. Gli occhi avrebbero potuto giocarle uno scherzo di pessimo gusto, ma il cuore non mentiva e aveva preso a battere forte. Doveva essere lui, iniziava a convincersi che non poteva essere altrimenti.  

Guardandolo in volto e soffermandosi su quegli occhi, la fanciulla avvertì un fremito che fu come una conferma.

«Sei vivo...» sussurrò, quasi timorosa di rompere quel silenzio. 

L’uomo non rispose, si limitò a guardarla, incatenato alle splendide iridi chiare davanti a sé e di colpo incapace di liberarsi da quella debole stretta. 

«Sei tornato da me, Sandor...» singhiozzò e le lacrime presero a scendere copiosamente sulle guance di porcellana arrossate dal freddo. 

Non attese una sua replica, si sporse in avanti, fece un salto e gli gettò le braccia al collo senza esitazione. Il viandante non tentò neppure di nascondere la sorpresa e, dopo aver indugiato un istante, avvolse la fanciulla nelle sue grandi braccia e la strinse dolcemente a sé, inspirando il profumo di primavera nei suoi capelli rossi e chiudendo gli occhi in un gesto di sollievo. 

«Mi sei mancato tantissimo, non lasciarmi più, mai più, ti prego...» mormorò lei, aumentando la presa, come se avesse paura di vederlo svanire da un momento all’altro.

«Non piangere, piccola» sussurrò lui. «Sono qui»

Sansa sussultò. Il tono di quella voce poteva sembrare duro e raschiante, quasi canino, ma a lei risuonò rassicurante, pieno di calore. 

Alzò la testa dalla spalla dell’uomo e lo guardò più da vicino. La bruciatura era ampia e profonda, avrebbe spaventato chiunque, ma lei non si mostrò impaurita. Sollevò una mano e gli accarezzò il lato sano del viso, toccando la barba incolta che gli cresceva sulle guance e che si infoltiva sul mento. Con la punta dell’indice seguì la forma del naso adunco e poi lo guardò nuovamente negli occhi. Vi lesse molte cose, come tormento e dolore, ma anche sollievo e tenerezza. Poi fece leva su quelle spalle forti e balzò giù, toccando il terreno con i piedi. 

Solo allora si accorse che stava grandinando. Era stata così impegnata a meravigliarsi di aver ritrovato il suo caro amico da non rendersi conto che l’acqua cadeva giù come una miriade di cristalli di ghiaccio. In un’altra circostanza avrebbe avuto fretta di mettersi al riparo, preoccupata di bagnarsi l’abito, ma quella volta non fece altro che piegare le labbra all’insù. 

«Vieni con me» gli disse, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. 

Si limitò a guardarla, indeciso sul da farsi. 

«Andiamo a casa» 

L’ultima parola aveva un suono bellissimo, un suono che Sandor credeva di aver dimenticato. 

Sansa gli prese una mano, lo guardò e gli sorrise con dolcezza. 

«Insieme» 

Quel tono di voce e quel sorriso disarmarono completamente Sandor. Strinse la piccola mano nella sua e s’incamminò con la bambina e Lady lungo la discesa che portava a Winterfell. 

 

         

 

 

 

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L’angolo di Amy

Ciao gente,

sorpresa, Sandor è vivo! Contenti? ^___^ 

Nel prossimo capitolo ci saranno un po’ di spiegazioni, quindi vi consiglio di non perderlo se volete capirci qualcosa in più ;)

Siamo alle battute finali, quindi entro un paio di capitoli saprete come terminerà questa piccola favola. Grazie mille a chi ha ancora la pazienza di leggere e recensire ^^  

Un saluto e a presto, 

Amy  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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