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Autore: sarahrose    01/08/2014    1 recensioni
SEGUITO di WRECKLESS.
1979. I Guns Fottutissimi Roses sono una neonata band di sleaze metal al primo tour.
Vorrebbero spaccare il mondo ma, ahimè, la sfiga li perseguita.
Ce la faranno?
La mission impossible è arrivare vivi a Seattle e onorare almeno nell'ultima tappa del tour.
Riusciranno i nostri eroi a spaccare il mondo?
Nota dell'Autore: RISATE A NASTRO E MOMENTI INTROSPETTIVI.
COME AL SOLITO... PROMETTO FOLLIE!!!
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Axl Rose
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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capitolo 35

 

 

SID & NANCY

Amy Bailey

 
Amarillo, TEXAS.
Quanto vorrei che il tempo si fermasse congelandomi in  questo momento per sempre!!!
A volte vorrei non arrivare mai e che Los Angeles, invece che avvicinarsi, si allontanasse sempre più.
Da qualche parte ho letto che è il viaggio che conta, non la meta. Perché è carico di aspettative. La vita, poi, dicono, non dà mai quello che promette.
La vita è una puttana con un tacco rotto*
Bill lo ripete sempre.  
VADO!
VADO DAVVERO!!
Urla una vocina giubilante dentro di me, mentre il levriero bianco ruggente, sulla fiancata celeste del bus, si mangia una bella fettina d’America.
E mentre il veltro ansante mastica l’asfalto lucido, io mi sento DONNA per la prima volta in vita mia.
Il mio viaggio verso la LUCE-QUELLA-VERA-CHE-ABBAGLIA, tempo previsto un giorno e sette ore, si svolge in una sacca temporale.
Sto vivendo un’esperienza paranormale. Mi sto sdoppiando.
La piccola, sciocca Amy di Lafayette, Città dei Bifolchi e dei Bigotti di Merda, osserva dall’alto, con distacco e superiorità, la nuova e intrepida Amy. Che poi non è nemmeno più Amy, perché, da un certo punto in poi, lungo la Strada, ha assunto un’altra identità. Come si dice. Un nickname.
E la nuova Creatura, nata da Amy che però NON E’ AFFATTO QUELLA ROMPIPALLE PETULANTE DI AMY- vive un altro tempo e un altro luogo.
Questa DONNA DI MONDO CHE SA AMARE LA VITA non ha un passato, però ha un futuro e, soprattutto, ha un PRESENTE.
AMY BAILEY E’ MORTA AD OKLAHOMA CITY e giace nella tazza del WC di una stronza di STAZIONE DI SERVIZIO.
Ma… ci arriveremo tra un po’.
A questo punto, devo mettere indietro l’orologio di qualche ora.
Springfield, MISSOURI.
Da quando quel bonazzo da infarto del miocardio mi ha offerto quella benedetta Dorito al Chili, una parte di me si è liquefatta sul posto e non è esistita più se non come un prolungamento, una specie di appendice dell’altra.
Dico sul serio.
Forse mi serve uno strizza. Di quelli buoni.
(Amy Bailey…)
Scuoto i capelli sperando di resettare anche il cervello.
(Quanto sei scema!)
AMY.
Certo.
Perché allora, ovviamente, ero ancora Miss Rinnegata Bailey.
Ribelle. Ferita.
Cacasotto.
Imbranata.
(E incazzata nera.)
 
Mentre l’autobus fila via nella notte come in sogno, grattando via dai miei occhi tutto ciò che ho ormai lasciato e perduto, mi avventuro con la mente alla scoperta del mio prossimo futuro.
Almeno, però, adesso, io e il piccolo Owen o Aubrey o come diavolo si chiamerà il figlio innocente della vergogna con la Vi maiuscola che porto in grembo- non siamo più soli.
(Almeno credo.)
Adesso c’è Sidney, qui vicino a noi.
E sapete cosa vi dico?
Che i punk mi piacciono parecchio.
Sono forti, ti fanno sentire al sicuro.
E poi sono così stramaledettamente sexy…
Basta.
Appena arriviamo a Los Angeles, voglio comprarmi un po’ di vestiti giusti e diventare punk anch’io. I capelli rosa ce li ho già, quindi…
“Io sono Sidney”
Mi ha detto il bel fustacchione, facendo una VI con l’indice e il medio come se fosse un gestaccio.
“Sidney Taylor, gioia.”
Ghigno storto alla Sid Vicious, come nel poster dei Sex Pistols in camera di Bill.
(Oh, Bill…)
Mi ha fatto la radiografia con una faccia che non prometteva niente di buono, ma pazienza. Ormai ci sono abituata. Colpa di queste tette da sedicenne.
(Se sapesse che ne ho ancora solo tredici…)
“ Ma tu puoi chiamarmi SID”
A me viene subito in mente la felpa di Bill. La sua preferita. Sempre lercia e a pezzi eppure, in qualche modo, sempre in pista.
“Ciao, Sid”
Gli faccio, raschiandomi in gola la nota più bassa che trovo “piacere di conoscerti, SID.”
Non ci ho neanche provato a fare quella specie di dito medio fatto con due dita invece di una. Ho sempre invidiato le persone disinvolte come Laura Moore, la mia migliore amica delle elementari. Sempre pronta a intonarsi con tutto e con tutti. Disinvolta e percettiva. Dio, quanto la invidio! Vorrei tanto essere come lei! Io sono goffa e imbranata. Urto. Rompo. Rovescio. Quindi, alla fine, le mani, le tengo al loro posto.
Ad ogni modo, sono pronta. Quando mi chiede il mio nome, non ho dubbi.
Lo sparo fuori con tutta la spocchia che ho, cercando di storcere la bocca di lato come la rockstar di cui lui porta il nome.
 “NANCY”
 “Nooooooooo, giura!”
“Giuro”
Croce sul cuore.
(Tanto io ci vado già di mio, all’Inferno! Sono una DONNA PERDUTA. Quindi, a questo punto, che differenza fa?)
“Ma allora è proprio un segno del destino! Voglio dire… no, non ci credo. Noi siamo SID e NANCY. Che pacchia, gioia!”
Mi ha stropicciato i capelli rosa con impeto.
“Noi siamo il ROCK, bimba! Noi SPACCHIAMO!”
Si fionda su di me e mi strizza in un abbraccio autodistruttivo che, ancora una volta, sa di LOVE KILLS e di PRETTY VACANT lontano un miglio.
Mi racconta che, inutile dirlo, fa il bassista in una punk band, i ROTTEN TEETH. Dice che ha diciassette anni e una “fottutissima paura di crescere” perché “il mondo degli adulti fa cagare”. Parole sue. Ed io, che di quel mondo ne ho assaggiato abbastanza da ritrovarmi nella merda fino al collo, come ben sapete, amici miei, non posso certo dargli torto.
Anch’io voglio la mia fetta di torta.
Anch’io! Voglio viere come una rock star che se ne frega di tutto e di tutti- tranne lui.
La merda l’ho già avuta.
Adesso voglio vivere.
Cioè. Come una meteora. E andarmene, un giorno, in una vampata di gloria.
Con nessuno da odiare
E solo LUI da amare.
Sì, certo. Come no.
Belle parole!
(E il BAMBINO?)
Dove caspita lo metto, il bambino?
Tra parentesi, non gliel’ho ancora detto che sono incinta. Sempre che, a questo punto, non se ne sia già accorto lui. Lo vedrà pure che, tranne la pancia, sono una scopa con un po’ di tette!
 
WELCOME TO TULSA
 OKLAHOMA
Pop. 271,310
Culla della mitica ROUTE 66
 
Costeggiamo  un antico villaggio Indiano.
E visto che, da bambina, i Pellerosse erano la mia passione, ci resto di stucco. Dire che sono senza fiato è dir poco.
Affascinata, a bocca spalancata per lo stupore, i miei occhi incollati al finestrino, credono di riconoscere la Ho-Chee-Nee-Prayer Chapel e la Cherokee Hall of Fame.
Inoltre pare che negli anni Venti la città fosse chiamata la CAPITALE DEL PETROLIO e che ad essa debba i natali un famoso pistolero, Will Rogers.
Ecco. Vi ho detto tutto quello che sapevo di Tulsa.
Adesso non mi resta che aguzzare la vista.
E’ notte e, sul bus, le luci sono accese.
La mia sagoma e quella del mio vicino, riflessa nel finestrino, rende quasi impossibile distinguere le cose fuori dal finestrino con chiarezza.  
Da un certo punto in poi, vedo solo palazzi e grattacieli. Sagome nere illuminate e sfavillanti. E oltre di essi, nel buio denso di periferia, spazi aperti. Prati verdi. Campi di grano.
Dev’essere una città incantevole e, da qualche parte, ho letto che è una delle più vivibili d’America.
Che sfiga, passarci di notte! Io qui ci verrei a vivere, altro che balle!
Appena oltre il fiume, oltre la zona industriale, coi capannoni grigi tutti uguali e le brutte ciminiere che segano il cielo e appestano l’aria, c’imbattiamo in una specie di città fantasma uscita da una specie di incubo metropolitano.
Un intero quartiere lasciato andare in malora e rosicchiato vivo dagli agenti atmosferici e dall’indifferenza del progresso che guarda sempre e solo avanti senza mai voltarsi indietro. Proprio come il levriero della Greyhound.
Poco dopo, riecco la campagna mentre il centro residenziale è una specie di perla racchiusa in un’ostrica tenera e verde.
Campi coltivati. Quartieri residenziali. Casette bianche prefabbricate coi cancelli tirati a calce e i bei giardini ben curati. Odore. Colore. Sapore di classe media.
Su tutto si leva imperiosa la voce dell’autista che- almeno a giudicare dal catarro- dev’essere un forte fumatore.
“Prossima fermata: OKLAHOMA CITY.”
Ed ecco le luci della stazione di servizio.
Per tutto il viaggio, SID si è dimostrato un galantuomo.
Lo sapete che mi ha offerto la cena?
Wow!
Voglio dire. Per me è una novità assoluta! Un invito a cena da parte di un ragazzo, dico. Io e lui soli.
Il cuore mi schizzava letteralmente dalle orecchie.
Lo so che sono una sfigata.
Ridete pure. Non me ne frega niente. Lui però non rideva. Anzi. Credo di piacergli, anche se non capisco cosa ci trovi in una come me. Però ho intenzione di scoprirlo.
Lui è uno strafigo da star male.
E’ salito a San Louis, Missouri e… da quel momento, io non sono stata più io.
Punto e basta.
Solo a guardarlo, col suo cavolo di walkman nelle orecchie, mi fa ribollire tutta come una pentola a pressione. E quando mi guarda di traverso, con quegli occhi alla Clint Eastwood, mi  va la merda al cervello e non capisco più un cazzo di niente.
E che caspita!
Scherzi degli ormoni.
Ho letto da qualche parte che è normale, nel mio stato.
Le donne incinte vanno su di giri facilmente… e a quanto pare, le teenagers inzeppate non fanno eccezione.
(Tutt’altro…)
Almeno per quanto mi riguarda.
 
Sid è risalito sulla corriera carico come un mulo. con tutta una serie impressionante di roba: sacchetti di carta. Bicchieri di cartone da fastfood. Pacchetti di patatine. La mia bibita preferitissima, la Fanta fragola. Arachidi tostate e salate. Popcorn caramellati. Di tutto di più.
“Questi ce li spariamo subito”
Fa piazzandomi in grembo due cheeseburger affogati nella salsa BBQ.
“mangialo caldo” dice scartocciandomi il sandwich. “Sei palliduccia. Ne hai bisogno.”
Io scoppio in lacrime come una lattante.
“Ehi… “
Lui molla il suo sandwich e io affogo tra le sue braccia.
Nessuno in vita mia mi aveva mai trattata così…
(tranne Bill)
 Ma Bill è mio fratello! Non vale.
Ad ogni modo, credo di avere capito. Penso di sapere, finalmente, cosa vuol dire sentirsi…
“Vieni qui.”
(AMATI)
Tutto ciò di cui finora la vita mi ha privato, me lo sta dando stanotte questo punk dall’aria truce e la cresta fluorescente.
(Anche volendo, come potrei non innamorarmi di LUI?)
Siamo due reietti. Rinnegati e senza Dio.
Lui dice che sul Sistema ci caga sopra. Parole sue.
E io, invece, cago su quelle che lui definisce ISTITUZIONI. Prima tra cui, la famiglia.
(SOPRATTTUTTO LA MIA!)
Per un po’ ci siamo ingozzati di ogni ben di Dio come le locuste del Vecchio Testamento, poi, finalmente sazi, abbiamo tirato il fiato.
No, dico. Non sapevo che esistessero simili sfumature di pura lussuria per il palato!
Giuro.
Ignoravo che l’estasi, quella vera- non quella cazzata che tentava di darci a bere il nostro vecchio, Dio lo strafulmini e, già che c’è,  lo strafotta- passasse per le papille gustative!
E meno male che lo chiamano CIBO SPAZZATURA! Col cazzo, dico io!
(Spazzatura è quella che la mamma, quand’è strafatta- cioè sempre- infila ancora imbustato nel microonde. Non questo GIARDINO DELLE DELIZIE del palato!)
Rase al suolo le provviste, SID mi si è sdraiato con la testa in grembo. Così. Da scazzato. Come se fossimo insieme da una vita anziché da due ore. E’ stato allora che ho notato le occhiaie. Scure. Profonde. Due fori passanti.
A quest’ora devo averle anch’io, penso compiaciuta. Dopo ventiquattro ore che non dormo, finalmente, sto gradualmente  perdendo la mia faccia insulsa da bambina innocente per una, ben più sensata, da DONNA VISSUTA. La vedo dalle ombre spuntate come ragnatele tra i miei lineamenti. Il finestrino, dopotutto, non mente.
Cosa saremmo, dunque, io e SID?
Anime gemelle?
E’ questo che la gente chiama Colpo di fulmine?
Sa Dio.
Qualsiasi cosa sia, mi sta succedendo adesso.
(Anche se ancora non ci posso credere!)
SID non perde occasione per toccarmi. E lo fa in modo aggraziato. Timido. E’carezzevole. Non invasivo come… lasciamo perdere, va’, che è meglio.
La trovo un’attitudine, in realtà, nient’affatto punk. Voglio dire. Dov’è la strafottenza. La misoginia. La rabbia cieca dei punk?
Però, a me, va benissimo. E quindi, tengo il becco chiuso e lo lascio fare. Il fatto è che io, alla dolcezza, non ci sono abituata. E quindi, che ne so, alla fine, se mi piace sì o no?
Forse io ho bisogno della violenza.
Del dolore.
O forse no?
Giuro che non lo so.
Ad ogni modo, lo scoprirò presto.
 
Amarillo, TEXAS.
Qualcosa non va.
Mi sento strana. Ho la nausea.
(E ti credo! Con tutto quello che mi sono strafogata!)
Cerco di concentrarmi su di lui. Sul paesaggio. Sulla strada che scorre via come un film in FAST FORWARD.
Merda. Non funziona.
 “Tu mi piaci, Nancy”
(Sapessi tu…)
“Cazzo, se mi piaci!”
“Non sei niente male neanche tu.”
All’improvviso, dentro di me, il vuoto.
Nella mia pancia, un mostro di ALIEN squarcia le carni per uscire alla luce e divorarmi in un sol boccone.
Un buco nero spedisce fitte acute di dolore nel punto esatto in cui, l’anno passato, mi hanno tolto l’appendice.
Omm-mmiod-diooo…
Inghiotto a vuoto cercando invano di riprendere fiato mentre, dentro di me, tutto si fonde in un’immensa piaga aperta e sanguinante.
Dentro di me qualcosa si espande a velocità folle. Poi si contrae.
Collassa.
(Cazzo mi sta…)
Da un’incommensurabile lontananza, smorzata dal lento rollio delle ruote della corriera, mi giunge la sua voce di basso profondo.
(… succedendo?)
Io la ricevo a tratti. Come in sogno.
Allentata.  Bruciata viva nello strazio delle mie viscere  in fiamme.
Lui non si è accorto di nulla.
Il suo sguardo, sempre un po’ assente e stralunato, si perde nelle tenebre oltre il finestrino.
“Pensavo.”
La sua voce mi arriva a ondate mentre, stretta in una morsa di fuoco, lotto piegata in due per respirare.
“Visto che anch’io sto andando a Los Angeles in cerca di fortuna… che ne dici. Ti farebbe proprio schifo essere la mia ragazza?”
Io non ho la forza di rispondere.
Sta succedendomi qualcosa.
Qualcosa di grave.
Lo sento.
Dentro di me, il mondo si straccia. Va in pezzi.
Un’ondata di nausea improvvisa spazza via ogni residua particella del mio essere.
“Ehi, NANCY!”
Lui si volta.
Mi vede.
“Ma che hai?”
Si china su di me. Il suo corpo è un guscio pieno d’amore.
Lentamente, a fatica, riesce a ricompormi sul sedile. Mi bacia. Mi accarezza. Mi sussurra dolcemente.
E io. Io…
Non riesco neanche a dirgli GRAZIE.
Sono coperta di sudore gelato.
Non respiro.
(Affogo!)
“NANCY, amore!”
Si tuffa su di me e cerca di scuotermi come può.
“Stai male?”
   
 
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