CAPITOLO 1
Si
svegliò accecata dal raggio di sole che filtrava tra i rami degli alberi. Si
stiracchiò alzando le braccia e allungando le gambe, fece una smorfia di
dolore. Si portò le mani al viso e lo coprì, infastidita dalla luce del sole,
si strofinò gli occhi stanchi e cominciò a guardarsi intorno. Guardò tutto ciò
che la circondava. Migliaia di fiori di colori diversi spuntavano qua e là
formando un tappeto immenso, molti alberi crescevano in mezzo ad essi. Si
chiese in che posto fosse e come aveva fatto a trovarlo.
Poggiò
le mani a terra facendo leva sulle braccia per alzarsi goffamente. Fece
un’altra smorfia e si portò la mano alla schiena, se la tastò per poi
accorgersi che aveva la maglietta e i pantaloncini bagnati. Soffiò
rumorosamente. Non sopportava avere indosso indumenti bagnati, non sopportava
che le si appiccicassero addosso, le dava un senso di schifo, di sporco. Forse
anche lei stessa si sentiva uno schifo, ripensando a quello che aveva fatto.
Cercò di non pensarci, convincendosi che ciò l’aveva fatto per se stessa, ed
era giusto così.
Mosse
i piedi di qualche passo non sapendo dove andare. Fece attenzione a non pestare
i fiori, ma ormai alcuni erano già stati rovinati la notte precedente. Sentì
degli schiamazzi e seguì quelli, sentendoli sempre più vicini. Quando
finalmente riuscì ad uscire da quel labirinto di fiori e piante, si trovò
davanti agli occhi un immenso prato verde dove dei bambini giocavano a
rincorrersi. Sembravano divertirsi e involontariamente sorrise. Si domandò se
un tempo anche lei si fosse divertita così con i suoi amici, si chiese se anche
lei avesse mai giocato a rincorrersi. Erano tutte domande che si poneva da anni
ma senza avere mai una risposta. Non ricordava niente che riguardasse gran
parte della sua infanzia, non ricordava più niente dopo quell’incidente. Tutto
le si era cancellato dalla mente, come se ad un certo punto la sua mente si
fosse spenta del tutto, come un black-out.
Di
se stessa sapeva solo il nome, l’età e pochi pezzi di quell’incidente. Di
preciso non sapeva niente, sapeva solo che in quell’incidente oltre a perdere
la memoria aveva perso la cosa più importante di tutte, la sua famiglia. Da
quel giorno niente le era più rimasto. Le erano stati portati via i genitori,
le era stata portata via la sua infanzia, i suoi ricordi, le era stata portata
via la sua migliore amica.
Una
lacrima le rigò il viso, la asciugò con il dorso della mano e distolse lo
sguardo da quei bambini che le avevano provocato quei pensieri. Con un po’ di
fortuna trovò l’uscita del parco e si ritrovò immersa nel caos di New York.
Grattacieli a destra e sinistra, taxi gialli che venivano da ogni parte. Rimase
incantata davanti a quel caos. Non aveva mai visto niente del genere, sapeva di
essere a New York e che era una città straordinaria ma mai l’aveva vista con i
suoi occhi. In questo momento si sentiva come un bambino neonato che si
stupisce per ogni cosa che vede, tutto le sembrava nuovo. Per lei era ancora
tutto da esplorare, da scoprire.
Di
colpò le si fermò davanti un taxi giallo, il conducente abbassò il finestrino
invitandola a salire. Lei lo guardò confusa, non sapendo cosa dire cominciò a
correre. Per lei quel nuovo mondo era strano e le faceva paura, molta. Si
maledisse per aver deciso di scappare. Lei da sola non ce l’avrebbe fatta, non
sarebbe sopravvissuta neanche un’ora in quella città. Se ci fosse stata Lara,
la sua migliore amica, sarebbe stato tutto diverso. Ma lei non c’era, l’aveva
lasciata da sola. Anche lei.
Lara
era quel tipo di persona sempre sorridente anche se tutto andava male. Lara
faceva star bene tutti, era divertente, solare e dolce. Sapeva farsi valere.
Era l’unica persona che le era sempre stata vicina in tutti quegli anni. Lara
era la migliore ed ora le mancava, tanto.
Senza
accorgersene andò a sbattere contro un ragazzo e caddero tutti e due. Era un
ragazzo carino, aveva i capelli biondi tutti disordinati. Gli occhi da lontano
sarebbero sembrati azzurri ma da vicino erano di un colore verde chiaro con
delle pagliuzze dorate e la scrutavano preoccupato. Lei lo fissava senza
distogliere la sguardo.
-Tutto
bene? Scusami andavo di fretta. Ti sei fatta male?- le chiese posandogli una
mano sul braccio ma a quel contatto lei lo ritrasse. Non rispose, ancora con lo
sguardo sul viso del ragazzo. Lui si alzò pulendosi i jeans, poi la guardò
ancora a terra. -Dai alzati- le porse la mano ma notando che lei non accennava
ad afferrarla, si abbassò, le poggiò una mano dietro la schiena e una sotto le
ginocchia e la alzò. Lei sgranò gli occhi e si aggrappò al suo braccio per non
cadere. –Non puoi stare seduta per terra con tutta questa gente che va e che
viene- e poi accennò un sorriso. La fece scendere dalle sue braccia e le porse
la mano, ma come prima non la afferrò –Io sono Will e tu? Come ti chiami?- lei
lo guardò. Guardò ogni minimo dettaglio del suo viso, poi distolse lo sguardò.
In
lontananza vide una vetrina con esposti vari televisori che mandavano in onda
il telegiornale. Si avvicinò, lasciando perdere il ragazzo. Pensò che magari
avrebbe scoperto di più sul posto in cui era. Lara le aveva sempre detto che il
telegiornale è importante e che guardandolo si sanno molte cose sul mondo in
cui viviamo. Si posizionò davanti alla vetrina. Il giornalista cominciò a
parlare “Ed ora parliamo di una ragazza.
Una ragazza tra i sedici e diciassette anni scomparsa stanotte
dall’orfanotrofio ‘Santa Julia’ situato nel centro di New York. Ci hanno
contattato stamattina la direttrice e lo psichiatra dell’istituto. Il suo nome
è Astrid Kacey Miller. Ora le agenzie di investigazione stanno cercando degli
indizi su cui far partire le indagini. Per ora è tutto, grazie.”
Si
portò una mano alla bocca, sconvolta dal fatto che quella Astrid non era una
ragazza qualunque, ma proprio lei. Una mano le si posò sulla spalla e lei
sussultò impaurita –Ehi, calma sono io. Che stavi guardando da rimenare così sconvolta?-
la guardò mentre gli occhi di Astrid divennero lucidi, la spinse verso di sé e
la abbracciò. Lei si lasciò andare al tocco di quel ragazzo che nemmeno
conosceva e pianse. Pianse tutte le lacrime che aveva. Non si preoccupò
minimamente si star bagnando la maglietta di quel ragazzo. Non si preoccupò che
le persone li stessero guardando straniti. Non si preoccupò di niente, voleva
solo sfogarsi finalmente con qualcuno, che era uno sconosciuto o no non le
importava. Si aggrappò alla maglietta di lui e la strinse a pugno,
accasciandosi a terra facendosi seguire da lui. Non sapeva di preciso per cosa
stesse piangendo, il motivo principale era che era stata scoperta. Era scappata
da una vita che non le apparteneva e loro l’avevano scoperta. Se l’avessero
trovata l’avrebbero subito riportata in orfanotrofio e lei non voleva. Forse
era anche per quello che piangeva. Versò una parte di lacrime per Lara, che le
mancava così tanto. Quei due anni senza di lei erano stati brutti, vuoti. E lei
si era chiusa in sé stessa, senza parlare più con nessuno. Ma le lacrime che
versò di più erano quelle per i suoi genitori, non ricordava chi fossero, come
fossero. Se erano stati dei bravi genitori, o cattivi. Ma lei pianse, perché
lei voleva bene, a loro. Avrebbe voluto conoscerli. Se ci fossero stati, se
quell’incidente non li avesse uccisi, lei non starebbe neanche piangendo nelle
braccia di uno sconosciuto. Sarebbe nella sua casa a ridere e scherzare con
loro. Ma non era quella la realtà. La realtà era che era in mezzo ad una
strada, sola non sapendo dove andare e l’unica sua possibilità la stava
abbracciando.
Si
staccò dal ragazzo e lo fissò ancora singhiozzando. Lui le asciugò le lacrime
con i pollici e le sorrise.
-Devi
aiutarmi- le sussurrò talmente piano che ebbe l’impressione che il ragazzo non
avesse capito. Ma lui la guardò incuriosito, sia per il fatto che finalmente
avesse parlato, sia per la sua richiesta di aiuto.
-Aiutarti?
E a fare cosa?- Astrid si guardò intorno, poi tornò con lo sguardo su Will. Portò
una mano al polso sinistro e slacciò il braccialetto fine e dorato. Osservò la
targhetta sul quale c’erano incisi due nomi: “Astrid&Luke”. Il ragazzo la
guardò confuso non sapendo in che modo potesse aiutarla. Astrid girò la stessa
targhetta e la mostrò al ragazzo “Sydney, 14-10-2004” sussurrò.
-A
scoprire chi è questa persona e…e credo che questo sia un indizio su cui
partire- affermò speranzosa, indicando il retro della targhetta. Sembrava
convinta di quello che stava chiedendo a quel ragazzo. Sperava che lui le
dicesse che si, l’avrebbe aiutata a trovare quel Luke. Voleva scoprire chi
fosse, era ben nove anni che si chiedeva chi potesse essere, magari era suo
fratello. Questo non lo sapeva, ma sapeva che avrebbe dovuto scoprire chi fosse
e magari quel Lui le avrebbe raccontato qualcosa della sua infanzia perduta. Ci
sperava davvero tanto. Will si guardò attorno come se dovesse trovare la
risposta su quel marciapiede, come se dovesse cercarla.
-Ehm…non
so- disse il ragazzo torturandosi le mani, Astrid cercò il suo sguardo e
sussurrò un ti prego. Gli prese le
mani tra le sue.
-Ti prego, sei la mia unica possibilità, non voglio tornare in quell’orfanotrofio-.
Ciao a tutti,
questa è la mia prima ff sui 5 Second Of Summer
e non sono molto brava a scrivere questo lo so, però
mi son detta "ma si dai pubblichiamola, male che vada la
cancello"...per chi è arrivato fin qui a leggere dico che Will,
ovviamente come molti sanno, non c'entra assolutamente
niente con i ragazzi ma era un personaggio che mi piaceva e
quindi ho voluto metterlo. Quindi Astrid è la nostra protagonista,
non l'ho descritta per il semplice motivo che voi dovete immaginarla
come volete, ma comunque credo che più avanti accennerò qualcosa
di lei e per chi volesse posso mettere la foto di come io immagino lei e Will.
Ok, questo è il primo capitolo dopo il prologo, spero tanto che vi
piaccia, e aspetto una vostra recensione sia positiva che negativa.
Buona lettura ragass, holaaaa! ;)