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Autore: __storm    01/08/2014    6 recensioni
Spencer gli aveva detto addio. L'aveva fatto quella gelida mattina di novembre, afferrandolo per il colletto della camicia bianca ormai sgualcita, spingendolo ripetutamente verso la porta e urlandogli contro di non voler vedere mai più la sua faccia da bastardo.
[...]
E se lei anche solo per un istante avesse pensato di essersi liberata di Zayn, allora si era sbagliata di grosso. E l'aveva capito quando aveva stretto tra le braccia tremanti quella bambina così piccola.
L'aveva capito quando l'aveva osservata per bene, scrutandone il colore ambrato della carnagione, gli occhi castani e i capelli neri e si era resa conto che lei era l'esatta copia di suo padre.
L'aveva capito quando Amber era cresciuta e in ogni movenza le faceva ricordare di lui.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 (Twentyone.)

 
Mi avevi lì
proprio vicino vicino,
in un secondo la rivoluzione
e dopo un attimo era tutto chiaro:
era già Amore!
Amore da non respirare,
amore che ti scappa di mano,
e non riesci a farlo andare piano
e che mi fa sperare che tu sia su questo treno.
Ma se non ci sei ti aspetto.


 


C’aveva impiegato molto tempo, Spencer, per recuperare il nuovo indirizzo di Zayn. Circa tre giorni. Avrebbe potuto semplicemente chiederlo a Harry, Cassie, Rachel o chiunque altro fosse andato a trovarlo nel monolocale che aveva preso in affitto un paio di mesi precedenti. Ma se l’avesse fatto i suoi migliori amici le avrebbero domandato insistentemente per quale motivo le interessasse vederlo in modo così disperato, come se fosse l’unica cosa di cui avesse bisogno in quel momento. Ed esisteva davvero una reale e immensa necessità di guardarlo negli occhi e dirgli ciò che da troppo tempo a quella parte teneva custodito dentro.
Quel pomeriggio aveva approfittato dell’assenza di Amber, com’era divenuto suo solito fare, e senza dar spiegazione alcuna era uscita di casa con ancora addosso i pantaloncini grigi della tuta decisamente larga, la maglietta bianca, le converse colorate e la coda disordinata.
Faceva caldo, eppure pareva non importarle mentre camminava a passo svelto per le vie del quartiere. Avrebbe potuto muoversi coi mezzi di trasporto e invece aveva deciso di non farlo per prendersi del tempo in più per riflettere ed eventualmente, se avesse cambiato idea, tornare indietro.
Successe poi che, prima di quant’ella s’aspettasse, si ritrovò dinnanzi al condominio nel quale secondo le proprie fonti risiedeva Zayn. E allora sospirò, spinse il portone d’ingresso ed entrò a passo deciso. Salì le scale con una velocità impressionante fino al quarto piano e solo in quel momento, col fiato corto e le gambe troppo stanche, si domandò perché non aveva usato l’ascensore. Se la memoria non l’ingannava, avrebbe dovuto suonare al campanello della porta numero 24, e così fece.
Sentì dei passi lenti, fatti di piedi nudi trascinati sul pavimento, e si stupì di riconoscerli. Si domandò, in quei pochi secondi fatti di straziante attesa, come avesse fatto lui a diventare un’ossessione così grande. Quando la porta si spalancò, i loro occhi s’incontrarono e lui parve immobilizzarsi, Spencer trovò la risposta a tutte le sue domande. Lo amava. E se ami così disperatamente qualcuno, non c’è via di fuga.
«C-ciao» balbettò, sorpreso per quella visita così tanto inaspettata. Lei alzò gli occhi al cielo, apparentemente infastidita dalla reazione del ragazzo, da quell’accoglienza. Voleva andare subito al dunque perché non era lì per perdere tempo, solo per accertarsi che le sue ipotesi fossero vere. «Perché sei qui?» le chiese lui, come se avesse la capacità di leggerla nella mente.
Spencer sospirò, cercando il coraggio per non smettere di guardarlo negli occhi. Non cedere era il suo compito e s’era imposta di riuscirci. «Sono cinque giorni che non smetto di ascoltare quello schifo di messaggio che hai registrato» disse tutto d’un fiato, vedendolo distogliere lo sguardo poiché incapace di reggere l’intensità di quel momento, la durezza celata sotto quelle parole proferite a mo’ di rimprovero.
E allora lui trattenne il fiato per un istante e si passò una mano fra i capelli, nervoso. «E?» domandò, consapevole del fatto che lei non era lì solo per dirgli quella frase. La conosceva bene e, solo a guardarla, immaginò che si stesse trattenendo dall’urlargli contro i peggiori insulti.
Spencer accennò un sorriso ironico e, prima che potesse pensarci sopra due volte, la sua mano colpì la guancia del ragazzo con troppa forza in più del dovuto. Egli strinse i denti, portandosi la mano sul punto dolorante e guardandola con uno sguardo misto fra lo shock e la rabbia. «E avevi ragione, volevo darti uno schiaffo» disse, lasciandolo sconcertato per qualche istante.
«Perfetto –borbottò Zayn– tutto qui?»
Era quel sorriso ironico che, più di ogni altra cosa, stava infastidendo il ragazzo. E lei lo sapeva, motivo per cui non accennava neppure a cambiare espressione. Mise le mani sui fianchi e una strana scintilla le attraversò gli occhi azzurri più cupi che mai. «Ne vuoi un altro?»
Immediatamente, Zayn scosse il capo in segno di negazione. Lei era arrabbiata, e lo era tanto, come l’aveva vista solo poche volte. E un po’ ne ebbe paura, un po’ si sentì in colpa, un po’ l’avrebbe abbracciata. «Non intendevo questo, e lo sai.» Il tono di voce irritato da tutta la prepotenza di lei, del suo modo di parlargli e dei suoi movimenti.
E a quel punto Spencer sospirò e, in quel gesto così semplice e spontaneo, parve lasciar crollare tutta quella corazza apparentemente resistente in cui se ne stava rinchiusa. S’incupì, come se improvvisamente fosse divenuta debole, sul punto di crollare. «Sono venuta qui perché devi dirmi una cosa, dopodiché giuro che me ne andrò una volta per tutte.»
Zayn avvertì il cuore stringersi, ogni organo interno contorcersi e sciogliersi nell’udire la determinazione e la tristezza nascosta sotto quelle frasi. E si chiese silenziosamente se lasciarla andare via fosse realmente ciò che voleva. Ma restò apparentemente impassibile, deglutì e «Cosa?» domandò, impaziente.
Lei abbassò il capo. «Dimmi che cinque notti fa non hai provato niente» gli impose.
E allora Zayn fece per aprir bocca ma le parole gli morirono in gola perché, per quanto fosse sempre stato il migliore a dire bugie, grandi o piccole ch’esse siano, in quel momento non ci riuscì. Comprese che s’era lasciato scappare l’emozione più vera che avesse mai provato, quel brivido che non sarebbe mai riuscito a spiegare, l’unico amore che avrebbe mai potuto avere. Perché nessun’altra sarebbe mai stata capace di dargli almeno un po’ di quello che, con un solo sguardo, riusciva a dargli lei. «Spencer…» mormorò, con la voce roca e la gola secca. Ebbe quindi l’ennesima conferma del fatto che lei rappresentasse la sua unica debolezza. «È realmente così.»
Inevitabilmente, quegl’occhi azzurri si riempirono di lacrime. «Guardami negl’occhi quando lo dici» supplicò.
Lui obbedì e si sentì vuoto quando l’oro del suo sguardo incontrò il mare nascosto in quello di Spencer. Ci provò davvero a dirglielo e, ancora una volta, non ci riuscì.
«Dimmelo, ti prego» lo implorava lei. E Zayn continuava a tacere. «Dimmelo! –ancora silenzio– non sei capace, eh?» Alzò inevitabilmente il tono della voce.
Si passò una mano fra i capelli, lui, stringendoli fra le dita e tirandone le punte. Qual’era il motivo per cui non trovava il coraggio d’aprir bocca? Perché aveva così tanta paura che lei potesse distruggersi sotto ai suoi occhi? Per quale ragione doveva amarla così tanto, nonostante tutto? E non seppe rispondersi. «Smettila…»
«No! –Gli urlò contro– Dimmelo» gridò ancora, combattendo contro la malsana voglia di prenderlo a pugni e le lacrime che minacciavano di tradirla.
Zayn sospirò e si spostò su un solo lato, lasciandole lo spazio necessario per entrare. «Entra» sussurrò.
Spencer s’affretto a scuotere il capo e fece un passo indietro. «Non sono qui per questo»
In risposta lui alzò gli occhi al cielo e le afferrò il polso in modo da trascinarla con sé all’interno dell’abitazione. Quando furono entrati, egli sbatté la porta e con altrettanta violenza la spinse contro quest’ultima. Trascorse poi il tempo di un attimo prima che le loro labbra si trovassero unite in un bacio troppo veloce, troppo passionale, troppo forte, troppo intenso, troppo loro, troppo tutto. Lei mise le sue mani su quelle di lui, a loro volta appoggiate sulle proprie guance, e si staccarono. Entrambi col fiato corto e i cuori impazziti, i respiri coordinati e le fronti che si scontravano. «Questa è una risposta valida?» sussurrò Zayn contro le sue labbra, baciandola ancora.
«Accettabile» mormorò lei, fra un bacio e l’altro. Aveva ceduto e, ancora, si ripeté che non ce l’avrebbe fatta a restargli lontana. Lui era dipendenza, un vizio che non riusciva a smettere, che non voleva smettere. Lui era il caffè al mattino, la sigaretta dopo ogni pasto e quella post-sesso, i quattro cucchiaini di zucchero nel tè e la mania di ripassare lo smalto tre volte. Era tutte quelle cose che se non c’erano se ne accorgeva all’istante, e la mancanza di Zayn la sentiva dolorosa fin dentro le ossa.
«Non pensare mai che non abbia provato niente. E che non stia provando niente.» Due veloci baci, qualche parola e il battito cardiaco di Spencer si fermò.
«Zayn –la voce supplicante per chiedergli di smetterla o forse di non smetterla mai– mi fai male» confessò.
E lui capì all’istante. «Tu molto di più.» Lei perse il fiato. Zayn le tolse le mani dal viso e rabbrividì, sentendone già la nostalgia.
Spencer allora scosse leggermente il capo e ricevette in risposta uno sguardo perplesso. Stettero in silenzio, le fronti ancora attaccate, le labbra a sfiorarsi e le mani che prudevano per la voglia di toccarsi. Poi fu lei a parlare. «Io t’ho già perdonato.»
Era forte, il dolore che provò Zayn nel sentirsi dire quelle parole. Avrebbe dovuto esserne felice, dirle che anche lui l’aveva perdonata, ringraziarla per aver avuto ancora una volta il coraggio di salvare la loro storia, di prendere quel noi che erano stati per un po’ e renderlo di nuovo reale. «Io non ci riesco…»
Lenta e dolce, la mano di Spencer si posò sulla sua guancia. La barba ispida pungeva ma non le importava affatto. «Lascia che t’aiuti io.» Ed era come se ancora una volta volesse farsi umiliare, perché lei lo sapeva che l’avrebbe rifiutata ancora.
Zayn chiuse gli occhi e sospirò. Per un attimo pareva vulnerabile, si lasciò andare e mostrò le proprie emozioni. Quando alzò le palpebre, lei si stupì di non trovarle prive di sentimento, impassibili come sempre. C’era paura in quegl’occhi, c’era voglia di urlare e di sfogarsi, c’era il non saper resistere ad una tentazione e c’era il dispiacere di non sapere affrontare le cose. E per la prima volta in tutta la sua vita, Spencer vide il mare in un paio di occhi castani. «Non è così semplice» mormorò.
«Non lo è mai stato» aggiunse, mordendosi il labbro come a volersi trattenere dallo scoppiare in lacrime. Era una donna forte, lei. Lo era sempre stata e non doveva dare a nessuno l’opportunità di vederla sconfitta.
E per quanto lei stesse cercando di nasconderlo con tutta se stessa, Zayn l’aveva visto quanto stava male. «E non lo sarà mai.»
Spencer capì solo in quel momento che cinque parole bastano per mandare in frantumi ogni cosa. Vide distruggersi sotto i suoi occhi quell’unica possibilità di ricominciare, di creare qualcosa di concreto, di svegliarsi al mattino e trovarlo al proprio fianco, di litigarci, di lanciarsi i piatti contro, di farci l’amore e di mandarlo a fanculo l’attimo dopo. «Fa schifo…» biascicò fra i denti, interrompendo il loro contatto visivo e tenendo il capo basso.
Lui deglutì. «Cosa?»
«Non sentirti più mio.» E pianse, perché non poté fare più altrimenti. Perché aveva perso il controllo e aveva infranto per l’ennesima volta quella promessa di non cedere fatta a se stessa.
Lui fra l’indice e il pollice afferrò il mento della ragazza e, nonostante la sua iniziale opposizione, le fece alzare il capo e permise ai loro sguardi d’incatenarsi. Gli aveva sempre fatto male vederla piangere e, ancor più, lo distruggeva la consapevolezza di essere la causa di quel dolore. Non parlò, le si avvicinò cautamente e raccolse una lacrima con le labbra. Lei tremò a quel contatto delicato e colmo di dolcezza. Con una lentezza disarmante, Zayn fece lo stesso sull’altra guancia. «Ora –cominciò, sussurrando– mi senti ancora tuo?»
Spencer venne invasa da una scarica di adrenalina e non rispose. Sia perché non avrebbe trovato le parole adatte, sia perché lui non gliene diede modo, posando le proprie labbra su quelle bagnate di lei. Le baciò piano e, con altrettanta attenzione a non provocarle dolore, le morse. Era come se all’improvviso lei fosse troppo debole e lui troppo impaurito. Fu Spencer stessa che, incapace di accontentarsi di un contatto così superficiale, approfondì quel bacio e lo trasformò in passione, in lingue che si scontrano e si rincorrono, in mani fra i capelli e corpi che spingono l’uno contro l’altro, desiderosi di aversi.
«E adesso?» chiese Zayn d’un tratto e lei, capendo a cosa si stesse riferendo, scosse il capo. Non lo sentiva pienamente suo e, per quanto avrebbe voluto sbagliarsi, era fermamente convinta che fosse così.
Si guardarono e non seppero interpretarsi. Non capirono cos’era che desideravano realmente in quel momento, cos’avrebbero voluto dirsi e come. Esitante, Spencer lo baciò di nuovo dopo quei pochi istanti fatti di silenzio. E immediatamente riprese quel loro gioco di lingue, di morsi, di graffi. Si stringevano forte fino a farsi male, mentre si leccavano le ferite che si portavano dentro e riempivano quei vuoti dolorosi. «Non ancora» mormorò Spencer dopo un po’.
Zayn quasi ringhiò, socchiuse gli occhi e s’insinuò con le dita sotto la sua maglietta. L’attimo dopo quest’ultima era già in un punto impreciso del pavimento, mentre Spencer lo spingeva verso il divano senza accennare a staccarsi dalle sue labbra. «Spogliami –suonò come un ordine– e poi dimmi se mi senti tuo.» Soffiò contro la sua bocca bagnata e gonfia.
E lei accennò un sorriso malizioso, gli sfilò la t-shirt e delicatamente gli depositò un bacio umido sul petto. In contemporanea permise ad una delle sue mani d’intrufolarsi nei pantaloni di lui, stuzzicandolo senza toccarlo realmente, facendo come per accontentarlo per poi tirarsi indietro. Era sempre stata la migliore a provocarlo, a farlo impazzire fino a perdere la testa. Gli appoggiò le mani sulle spalle e lo fece sedere sul divano. Zayn non le permise di far altro, afferrandole il polso e tirandola verso di sé in modo da farla ritornavate seduta sulle proprie gambe.
Poco dopo già il delirio, già una sola cosa. Si mischiarono i respiri, i corpi, le ossa e i cuori. E quand’ebbero finito, stesi l’uno accanto all’altro con le gambe intrecciate, Spencer fissò il soffitto bianco e cercava di recuperare il fiato. «Zayn –Lui mugugnò stanco, e voltò il capo per guardarla in modo apparentemente privo d’emozioni –Io non lo so se tu m’appartieni ancora, ma so per certo che io sono tua» disse, senza distogliere mai lo sguardo e senza alcun particolare timbro di voce.
La stranezza di quel momento disarmò entrambi, soprattutto lui che persino dopo averla posseduta parve aver paura di farle una carezza. Infatti titubante le spostò i capelli dalla fronte imperlata di sudore e lei rabbrividì. Zayn avrebbe potuto anche far sesso con una donna differente ogni giorno se solo l’avesse voluto, ma nessuna mai sarebbe stata capace di dargli almeno la metà di ciò che, involontariamente, riusciva a dargli Spencer. Perché per quanto lui ci provasse, non riusciva a metterci il cuore con un’altra. «Fidati, lo sono anch’io.»
Lei distolse lo sguardo, come se un po’ provasse un lacerante dolore e un po’ un immenso piacere. Infondo per lei Zayn era sempre stato così, un misto incantevole di due cose troppo differenti: caldo e freddo, giorno e notte, angelo e diavolo, tutto ciò che voleva e tutto ciò da cui avrebbe dovuto allontanarsi. Spencer rimase con lo sguardo fisso nel vuoto, senza vedere nessuno di quegli oggetti che arredavano l’appartamento.
«La prima volta che ti ho vista –Zayn ruppe il silenzio– avevi nove o forse dieci anni, nascondevi i capelli corti sotto un cappellino di lana grigio e per me eri solo la figlia di un’amica di famiglia che s’era trasferita nella casa di fronte alla mia…» Era come se stesse pensando a voce alta, come se non si stesse riferendo realmente a lei.
E Spencer, che lo ascoltava silenziosamente, decise d’interromperlo. «Volevo fare amicizia con te, ma non t’interessava. Non mi guardavi neppure, eri un bambino asociale» borbottò, ancora senza guardarlo.
Zayn alzò un angolo delle labbra e si spostò su un fianco, ritrovandosi col viso immerso nei capelli di lei. «È strano, ma seppi il tuo nome solo qualche anno dopo, quando fu Harry a presentarci. Indossavi una gonna molto corta e ti mordevi spesso le unghia. Ti sentivi figa con la sigaretta fra le dita e un po’ di rossetto sulle labbra. Eri irritante e al contempo fin troppo bella» le rivelò cose che aveva sempre tenute nascoste.
E Spencer mai avrebbe avuto idea che Zayn ricordasse certi dettagli così apparentemente insignificanti. Ne restò stupita perché anche lei, come lui, c’aveva sempre avuto quelle immagini in testa e ricordava alla perfezione in che modo era vestito lui, quante sigarette al giorno condividevano e il fatto che prendessero in giro qualsiasi persona camminasse per strada. «Lo eri anche tu» sussurrò.
Zayn sorrise lievemente e prese a giocare con una ciocca dei suoi capelli. «Non lo so quand’è che è cominciata questa mia assurda fissa verso di te. Forse già dalla prima volta che ci siamo stretti la mano, o forse quando il tempo passava e tu mi prendevi in giro per le ragazze con cui uscivo, ma poi mi guardavi in quel modo che… Dio, mi facevi impazzire» disse, ridacchiando al ricordo delle loro piccole discussioni quotidiane e degli sguardi furtivi che si lanciavano.
Spencer perse il fiato e dovette fare un grosso respiro prima di parlare, maledicendo se stessa per non essere capace di reggere tutte quelle emozioni troppo forti nel giro di poche ore. «Ti guardavo in quel modo che non hai mai saputo interpretare –e lui smise di giocare coi suoi capelli, attendendo impazientemente una spiegazione dettagliata –non l’hai mai capito che se ti prendevo in giro era solo perché a parlare era la gelosia, che se mi mordevo le unghia era perché la tua vicinanza mi rendeva nervosa, non ti sei mai accorto che dietro quel mio essere così acida con te c’era tanta voglia di baciarti.»
«E quanto vorrei averlo capito…»
borbottò, sincero e pentito. Era stata la loro mancanza di coraggio ad impedirgli di cominciare la storia che avevano sempre desiderato vivere insieme e, se fosse stato possibile, Zayn sarebbe tornato indietro e l’avrebbe baciata nel bel mezzo di uno dei loro quotidiani battibecchi. Calò ancora una volta il silenzio fin quando lui non riprese parola. «Erano bei tempi, però.»
E Spencer sospirò con amarezza. «Fin quando non decidesti di sparire» sputò acidamente. «Alla fine scappare dai problemi è sempre stata una cosa che ti riesce bene, credo che tu sia il migliore in questo» disse a mo’ di rimprovero, con una freddezza tale che fece rabbrividire Zayn.
«I miei genitori avevano divorziato, avevo bisogno di cercare altro. –si giustificò. Spencer alzò le spalle, come se fosse indifferente a quella situazione, a quelle parole.– Non avrei mai immaginato di rincontrarti in quella situazione…»
Spencer si sciolse, ripensando a quello che ricordava come uno dei loro momenti più belli. Quell’istante che custodiva gelosamente nel cuore e che, se solo le tornava in mente, le pareva di riviverlo. «Erano passati un paio di mesi dall’ultima volta che t’avevo visto, non avevo alcuna notizia di te, non ti si vedeva più in giro e credevo addirittura che fossi scomparso…»
 Lui la interruppe. «Erano le tre del mattino, forse anche più tardi, e non ricordo all’esterno di quale locale ci trovavamo» proferì.
«Uscivo con Jackson in quel periodo –riprese a parlare Spencer, ridacchiando– e quel bastardo mi lasciò da sola lì fuori in piena notte…»
Zayn scoppiò a ridere. «Sbraitavi come un camionista» la prese in giro.
Lei, dopo quella che parve un eternità, lo guardò negli occhi e gli rivolse un’occhiata truce. «Mi sembra ovvio, e non immagini quanto m’irritasti quando ti sentii ridere alle mie spalle!»
 
«‘Sto figlio di puttana!» sbraitava Spencer, con le mani strette a pugno e i piedi che battevano insistentemente sull’asfalto freddo e bagnato dalla pioggia invernale. Faceva freddo, il suo ragazzo l’aveva lasciata da sola e un tipo alle sue spalle rideva ogni volta che lei urlava. Eppure quella risata era qualcosa di troppo familiare che, se non fosse stata ubriaca e fatta, avrebbe riconosciuto.
Dopo l’ennesimo suo grido si voltò di scatto, pronta a scaricare la propria rabbia su colui che si divertiva alle sue spalle. «Che cazzo hai da rid… –E tacque quando gli occhi suoi incontrarono quelli di Zayn. Rimase senza fiato, mentre lui la guardava in modo divertito poiché l’aveva riconosciuta tempo prima– Malik?» domandò con un filo di voce.
Lui alzò le spalle, seduto su una moto che non gli apparteneva, i capelli spettinati e la camicia bianca completamente rovinata. «In carne ed ossa» disse soltanto. Spencer non s’accorse neppure che le proprie gambe cominciarono a correre e si fermarono solo quando i loro corpi si scontrarono e si strinsero nell’abbraccio di chi, silenziosamente ed involontariamente, s’è mancato tanto. Il primo abbraccio di una lunga serie.

 
Sorrisero assieme, con gli occhi che brillavano. E Spencer cancellò l’amara consapevolezza del fatto che un tempo erano bravi a far tornare le cose com’erano prima di distruggersi, mentre in quel momento pareva qualcosa di irrealizzabile. Ci fu ancora silenzio e ancora le mani di lui che l’accarezzavano delicatamente, prima che lei s’alzasse di scatto sotto lo sguardo confuso ed indagatore di Zayn.
«Devo andare» spiegò, recuperando i propri indumenti sparsi sul pavimento freddo.
Lui annuì comprensivo, passandosi una mano fra i capelli in un gesto veloce e impacciato. Cos’avrebbe dovuto fare adesso? «Torni?»
Spencer tremò e si voltò di scatto, come se lui avesse detto la più grande delle assurdità. «A che scopo?» chiese infatti, infilandosi  i pantaloncini.
Si strinse nelle spalle, Zayn. E alzò un angolo delle labbra, facendola fremere. «Fallo per ricordarmi che sei roba mia, che sono roba tua –ammiccò– ho bisogno che mi rinfreschi la memoria.» E ridacchiò con fare malinconico, senza alcuna traccia di felicità.
«L’ho appena fatto. Sono roba tua e tu sei roba mia, che tu lo voglia o no sarà così per sempre. Hai due possibilità: fingere che non sia così e continuare ad andare avanti senza noi o arrenderti davanti alla consapevolezza che ci apparteniamo ora come ci apparterremo tutta la vita. Tu fa’ una scelta e falla col cuore. Io t’aspetto





 
Spazio autrice.
Premetto che questo capitolo mi fa schifo perché non ho voglia di scrivere, però lo adoro perché più immagino le scene e più mi innamoro di loro.
Sono arrivata al punto che gioisco io stessa quando leggo ciò che ho scritto, quanto è grave questo disagio mentale? haha. 
Comunque, ci tengo a ringraziarvi perché ci siete sempre nonostante i miei ritardi nel postare i capitoli
e nonostante il fatto che non faccia altro che continuare a complicare questa storia. Belle siete! 
E niente, vi saluto e vi ricordo che il prossimo capitolo sarà l'ultimo... 
Mi mancate già.
Un bacio. 
  
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