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Autore: HeartBreath    02/08/2014    4 recensioni
“Dillo e basta, Smythe”
Un altro sorriso, probabilmente il più compiaciuto e perverso che il Warbler avesse mai messo in scena – e questo era tutto dire. “Ti porto a Parigi”
Kurt per un attimo pensò di aver sentito male. Spaesato, gli chiese di ripetere.
“Ti porto a Parigi, Hummel”
Gli uscì una risata secca e piuttosto aspra. “E' uno scherzo, vero?”
Sebastian non staccò quell'espressione vagamente maligna dalla vista di Kurt nemmeno quando aprì la tracolla e ne tirò fuori una busta. Ne mostrò il contenuto: due biglietti aerei.
“Ti sembra ancora che stia scherzando?”
Genere: Commedia, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Alta moda, cultura, accento europeo
 



Anche col suo elegante ritardo da star, Kurt arrivò per primo al Lima Bean. Fece in tempo a prendere il solito cappuccino, aggiungerci un biscotto all'uvetta dalle spropositate dimensioni – guardare Burt preparare la colazione gli aveva messo una discreta fame – e sedersi allo stesso posto della scorsa settimana. Poi, tanto improvvisamente da farlo quasi cadere in un infarto...
“Ho vinto”
Ci mancò poco che Sebastian facesse rivoltare il tavolino del bar, nel sedersi davanti a Kurt. Il soprano alzò gli occhi al cielo, accorgendosi solo in un secondo momento di aver arpionato la mano al petto per bloccare l'attacco di cuore.
“Avresti vinto un'esecuzione lenta e dolorosa, se mi avessi fatto rovesciare caffè sulla giacca” ansimò, senza prestare molta attenzione alla convinzione e l'emozione che Sebastian aveva negli occhi.
“Invece credo di aver vinto una confessione”
Era chiaro che si riferisse alla scommessa. Kurt inarcò una delle sopracciglia sottili e perfettamente curate.
“E come fai ad esserne così sicuro?”
“Te l'ho detto Hummel: ho un dono per le idee-regalo perfette” sogghignò Sebastian.
“Allora spara, avanti” lo sfidò Kurt. “Qual è l'idea geniale?”
“Ti consiglio di tenerti forte, potresti venire nei pantaloni”
“Dillo e basta, Smythe”
Un altro sorriso, probabilmente il più compiaciuto e perverso che il Warbler avesse mai messo in scena – e questo era tutto dire. “Ti porto a Parigi”
Kurt per un attimo pensò di aver sentito male. Spaesato, gli chiese di ripetere.
“Ti porto a Parigi, Hummel”
Gli uscì una risata secca e piuttosto aspra. “E' uno scherzo, vero?”
Sebastian non staccò quell'espressione vagamente maligna dalla vista di Kurt nemmeno quando aprì la tracolla e ne tirò fuori una busta. Ne mostrò il contenuto: due biglietti aerei.
“Ti sembra ancora che stia scherzando?”
Il respiro di Kurt si smorzò in quell'istante. La sua mente si resettò, mentre i suoi occhi azzurri scattavano da Sebastian a quei biglietti. Con un gesto fulmineo, glieli strappò dalle mani e li scrutò per bene, in cerca di qualche segno di menzogna - erano certamente dei falsi, dovevano esserlo...
Non lo erano. Due biglietti di prima classe, andata prevista per il ventotto novembre e ritorno segnato come due dicembre.
Biglietti di prima classe. Parigi.
Biglietti. Di. Prima. Classe. Parigi.
"Tu non.... non puoi essere serio"
"Sembri un disco rotto" si lagnò Sebastian, come se stesse aspettando l'apertura di un sipario su una reazione più soddisfacente. "Ammettilo, ho vinto"
Kurt era totalmente a bocca aperta, e l'ultima cosa a cui stava pensando in quel momento era quella stupida scommessa. "Ma come hai- cioè, tu hai telefonato ad una compagnia aerea e hai prenotato due biglietti per Parigi - Parigi in Francia - su due piedi?"
Il Warbler sollevò una delle folte sopracciglia. "Avrei dovuto dare un preavviso su una prenotazione?"
"Dannazione Smythe, hai preso dei biglietti per Parigi! Non trattarla come se fosse una cosa normale, un regalo del genere non lo farei nemmeno a mio fratello, figurati a qualcuno che odio fin nelle viscere!"
"Oh, babe, ma io ti sto regalando questo viaggio per avere la soddisfazione di vederti fare l'ultima cosa che vorresti fare: raccontarmi di Blaine"
"E saresti disposto a portarmi a Parigi per farlo?"
Sebastian alzò le spalle. "Ci sarei andato comunque. Ho casa lì, ci passo almeno un week end ogni tre mesi"
"Sì, ma... Sebastian, io e te non ci sopportiamo. Manca poco che arriviamo alle mani solo bevendo un caffè, come credi che riusciremo a sostenere cinque giorni insieme?"
"Ti piacerebbe mettere le mani su di me, vero?"
"Sei disgustoso"
"Non ho nessun problema a viaggiare con te, se intanto tu mi delizierai con tutti i dettagli della tua vita sessuale con Blaine..."
"Sottoscrivo ciò che ho appena detto"
"Allora, vieni con me a Parigi?"
Una parte di Kurt aveva urlato "Sì, sì, sì, sì!" in tono quasi osceno sin da quando aveva preso in mano i biglietti aerei. Un'altra parte - quella che odiava, quella razionale...
"Non posso accettare. Io pensavo che avresti incartato una camicia dalla fantasia estrosa o il cd di un musical a caso, non certo questo. Anche se è un regalo fatto con le peggiori intenzioni, è pur sempre un enorme regalo. E per quest'offerta - non credevo l'avrei mai detto - ti sono sinceramente riconoscente. Ma non posso farlo, è... è troppo"
"Sono i soldi a preoccuparti?". Il tono con cui il ragazzo lo chiese fu fin troppo serio, per il suo stile abituale.
In effetti, Kurt non osava far cadere l'occhio sul prezzo dei biglietti. "I soldi, l'impegno del regalo, l'organizzazione che un viaggio comporta... Non posso accettare, sul serio"
"In questo caso, ho una brutta notizia per te". Sebastian sorrise ancora. "I biglietti non sono rimborsabili"
"Portaci qualcun altro, allora"
"Con così poco preavviso? Riflettici bene: la scommessa comportava che io ti facessi il regalo perfetto, non che tu lo accettassi. Anche se non venissi a Parigi con me, saresti costretto a pagare. Tanto varrebbe seguirmi, no?"
Kurt tacque, insicuro su come replicare.
"Andiamo, babe. So che muori dalla voglia di dirmi di sì. Non mi sorprenderebbe se la semplice idea di camminare per le Champs Elysee te lo facesse venire duro"
Per quanto avrebbe voluto replicare, anche stavolta tacque, con un sapore in bocca che somigliava molto alla sconfitta.
Gli avambracci di Sebastian si poggiarono sul tavolino, il suo corpo si fece più vicino, i suoi occhi ammaliatori. "Dimmi di sì" mormorò, e dal tono sembrava che la proposta fosse tutt'altro che un viaggio a Parigi.
Kurt dovette aspettare un paio di secondi, sbattere le palpebre diverse volte e scuotere la testa, per tornare alla concreta realtà. "Che t'importa se ci vengo, visto che tanto dovrei pagare lo stesso?"
"A me personalmente non importa dei soldi del biglietto, ma a mia madre sì, e rimarrebbe delusa se li sprecassi"
"Questo si chiama ricatto morale, Sebastian". Quasi non si rese conto di averlo chiamato per nome già due volte in due minuti. Era troppo sconvolto per mantenere alzato il muro di incondizionata freddezza che usava sempre per rivolgersi a lui.
"Mettiamola così: puoi venire con me, visitare Parigi al tuo compleanno ed essere sicuro di non incontrare per caso il tuo ex ragazzo in giro, oppure puoi restare qui e pagare pegno senza ottenere nulla"
In effetti, la possibilità di fuggire da Blaine non era mai sembrata così allettante - il suo rifugio non lo era mai stato, d'altronde. Si sarebbe nascosto tra negozi d'alta moda, il patrimonio culturale più prezioso al mondo, magari qualche ragazzo con un affascinante accento europeo. Che tentazione...
"Allora, che mi dici?"
Sospirò, per poi affrontare l'unico problema non ancora analizzato appieno: "Sarà snervante averti tra i piedi per cinque giorni"
"Non quanto sarà snervante per me" disse Sebastian del tutto tranquillo, come se stesse facendo una considerazione oggettiva e inattaccabile, come se avesse detto che il sole era sorto. "Ma per consolare entrambi, i giorni effettivi sono solo tre: l'aereo parte la sera del ventotto, e la mattina del due dicembre ci riporta in America. Sono disposto a sopportare la tua esistenza, per una buona causa"
“E la buona causa sarebbe farmi domande inopportune sul mio ex?”
Certo, l'altra faccia della medaglia in quel viaggio sarebbe stata la presenza costante di Blaine nei loro discorsi. Ma, d'altra parte, la presenza concreta di Sebastian nelle sue giornate forse era addirittura peggio, tanto da far sembrare le domande su Blaine quasi un semplice fastidio.
“Non te lo chiederò una quinta volta, Hummel: vuoi venire con me a Parigi?”
Oh Signore, sì. “Dovevi per forza darmi questo colpo al cuore prenotando in prima classe?”
Con una smorfia altezzosa, Sebastian accavallò le gambe sotto al tavolo. “Sono disposto a farti entrare in casa mia, ma a farmi un viaggio in classe economica mai nella vita” sbuffò, per poi tornare alla sua boriosa espressione standard. “Se ti senti in colpa, puoi offrirmi il caffè”
Come preannunciato, non avrebbe posto la domanda nuovamente, ma Kurt vedeva in quegli occhi la placida attesa di una risposta che entrambi conoscevano già.
Lo disse ad alta voce, sentendosi addosso il fremito di una proposta di matrimonio – non  da Smythe ovviamente, ma Pairigi l'avrebbe sposata mille e una volta. “D'accord, j'accetpe”



Kurt tirò un lungo respiro aggrappato alla maniglia della porta, prima di entrare in casa. Aveva appese alle braccia quattro buste di quattro negozi diversi – non avrebbe messo piede nella patria della moda con vestiti della scorsa stagione. Si era tenuto occupato tutto il giorno con lo shopping e qualche piccola sbirciatina in negozi di firme francesi che non si sarebbe mai potuto permettere, ma era troppo esaltato per negarsi un assaggio di Parigi.
Esaltato, tutto sommato era un eufemismo. Più ci pensava, più forte si sarebbe messo ad urlare – si era sorpreso diverse volte a canticchiare in camerino mentre si provava un paio di pantaloni. Eppure, era un po' nervoso all'idea di dirlo a suo padre, per questo si era trattenuto fuori casa fino al tramonto.
Quasi lo spaventò il suono del motore che sentì alle sue spalle. La marmitta della macchina di Burt continuava a fare i capricci – avrebbe dovuto essere ironico che un meccanico non si ricordasse mai di riparare la propria auto?
Suo padre parcheggiò nel vialetto e scese dall'abitacolo. “Ehi, hai fatto compere. Shopping di consolazione?”
“No” rispose Kurt, deglutendo un mattone. “Mi servivano vestiti”
“Le ante del tuo armadio stanno esplodendo, Kurt” gli fece notare lui, piazzando le mani nelle enormi tasche della tuta da lavoro. “E' successo qualcosa? Ne vuoi parlare?”
Burt Hummel era un meccanico che scordava di riparare la propria auto, ma un padre che capiva da uno sguardo se il figlio aveva qualcosa da dirgli.
Quando Kurt sospirò, chiedendosi da dove dovesse iniziare a raccontare, Burt si allarmò e gli domandò se dovesse preoccuparsi.
“No, non è successo nulla di preoccupante. Ma ho paura di darti un dispiacere se...”
“Se..?”
Il ragazzo girò la maniglia e aprì la porta d'ingresso. “Entriamo in casa”
Lasciando le giacche all'ingresso, borse e buste sotto l'appendiabiti, incontrarono la figura di Finn, che riemergeva dalla cucina con un panino in bella mostra su un piatto.
“Finn, si cena tra un'ora” lo ammonì con tono neutro Burt.
“Ho un calo di zuccheri, non potevo più aspettare” fu la risposta del ragazzo, gli occhi incollati a quel panino come Indiana Jones avrebbe guardato l'ultimo tesoro appena conquistato.
“Non ti eri messo a dieta?” ridacchiò perfido Kurt, mentre gli passava accanto.
Finn si bloccò sul posto, spostando l'attenzione sul fratello. Gli occhi che incrociò Kurt quando si voltò indietro a sbirciare il risultato del proprio commento, erano quelli di un cucciolo di un metro e novanta appena preso a bastonate.
“Cosa vorresti dire?”
Il più piccolo scoppiò a ridere, trattenendo quella che era la reazione quando era Blaine a non capire una sua battuta – una pacca sul didietro. “Sto scherzando, Finn”
“Allora, cos'è successo, Kurt?”. Burt pretese di nuovo la sua attenzione. Si era diretto in cucina per lavarsi le mani, ma era ancora a portata d'occhio e d'orecchio.
Kurt deglutì, tornando serio. “Non passerò il compleanno a Lima” la buttò lì, senza sapere come altro dirlo.
“Oh”. Fin lì, tutto normale. “Come mai?”
“Mi hanno regalato... un viaggio. In Francia”
“Però!”. Sembrava calmo. Bene. “Che bel regalo!”
“Già”
“E chi ti dà una cosa del genere?”. Merda. “Quelli del Glee hanno fatto una colletta?”
Da Finn, sprofondato comodamente sul divano, arrivò una risata secca attutita dal boccone del panino che aveva addentato. “Oh no, noi gli abbiamo-”. Il suo sorriso si spense all'istante quando si rese conto di essere sul punto di rivelare a Kurt il suo regalo di compleanno. “Non importa”
“E' il regalo di un amico” incalzò Kurt, sperando che l'allegria del fratello rendesse la conversazione meno allarmante per suo padre.
Burt afferrò un panno accanto al lavandino e ci si asciugò le mani. Scrutò il viso del figlio, guardingo ma cauto. “Un amico... amico?”
Nonostante sapesse di dover salvare le apparenze e non far sembrare quel viaggio una scommessa persa contro la sua nemesi, Kurt non fu capace di trattenere una smorfia disgustata. Era già stato difficile mentire e definire Smythe un amico, una persona per cui avrebbe mai potuto nutrire simpatia, ma fingere che fosse...
No. Era troppo. Nemmeno Kurt era abbastanza presuntuoso da considerarsi un attore tanto bravo. E, come se non bastasse, era perfettamente consapevole di avere ancora stampato in faccia l'amaro per il tradimento di Blaine: chi avrebbe mai potuto credere che frequentasse qualcun altro?
“Un amico e basta, papà”
“Chi è?” s'intromise di nuovo Finn, ormai del tutto incapace di aspettare di parlare per dare al panino il morso successivo. Il tono non era scettico, ma pieno della sua caratteristica, innocente curiosità.
“Nessuno, solo... solo un amico” insistette Kurt, sentendosi tradito da sé stesso quando si ritrovò a balbettare.
“Un amico senza un nome?” ridacchiò tranquillo Burt, mentre scrutava l'interno del frigo per la cena. Era chiaro che non la stava prendendo con serietà, ma se Kurt non avesse parlato, si sarebbe chiesto perché non volesse dire quel maledetto nome. Qualunque via preannunciava la sconfitta, quindi serrò gli occhi, si strinse nelle spalle e vuotò il sacco:
“Sebastian”
La prima reazione arrivò dal divano. Finn, dietro di lui, tossì rumorosamente. Il più piccolo si voltò e lo vide battersi un pugno sul petto per evitare di soffocare. Finalmente ingoiò e lo fissò con occhi strabuzzati.
“Sebastian Smythe?! Che ci vai a fare in Francia con quello là?”
Nel disperato tentativo di farla sembrare una cosa normale, Kurt fece spallucce. “Si è presentato da me con dei biglietti aerei – non rimborsabili -, cosa avrei dovuto dirgli?”
“Avresti dovuto dirgli di andare al diavolo!”. L'ansia iniziò a montare nel suo corpo quando Finn mollò il piatto sui cuscini del divano e scattò in piedi. “Kurt, Sebastian ha quasi cavato un occhio a Blaine con una granita, una granita in principio diretta a te se non ricordo male”
A quel punto, Burt si avvicinò ai ragazzi, le mani sui fianchi e la schiena irrigidita dal tono di Finn. “Sebastian sarebbe quel ragazzo, quello che ha mandato Blaine in ospedale?”
Kurt respirò profondamente, tentando di reggere gli sguardi dei suoi familiari. “Sì. E' lui, è vero. Ma le cose non sono come un anno fa, Sebastian non è... non è quello di prima”
“E com'è adesso?” insistette Finn.
Il soprano sperò di apparire abbastanza calmo e convincente. “Diverso. Non è certo meno infantile, ma credo che dopo il tentato suicidio di Karofsky abbia capito il suo limite”
“Quindi potrebbe tormentarti fino a un passo dalla voglia di impiccarti, questo è molto rassicurante”
“Finn”. Gli occhi risoluti di Kurt incontrarono quelli collerici del maggiore. “Sebastian non mi farà niente. Neanche lui è abbastanza stupido da portarmi dall'altra parte del mondo solo per maltrattarmi”. Questa era una mezza bugia: Sebastian lo stava portando dall'altra parte del mondo per maltrattarlo, ma non così gravemente come credeva suo fratello.
“E tu che ne sai?”
“Lo conosco”
“Quindi adesso siete amici? Fino ad un anno fa non faceva che prendersi gioco di tutti noi, minacciarci, istigarci i Warblers contro, il tutto finalizzato a rubare al Glee Club il trofeo delle Regionali e a te il tuo ragazzo. E tu ci vai in vacanza come se niente fosse?”
Kurt si sentì stupido per non aver considerato l'idea che Finn – ancora più di suo padre – potesse essere fortemente contrario a quel viaggio. Burt stava osservando in silenzio la discussione tra di loro, come a voler evitare di imporsi e lasciargli lo spazio per confrontarsi, come se stesse aspettando di sentire le loro argomentazioni per dare ragione al giudizio di uno o dell'altro. Ma Finn, dall'altra parte, era ormai partito in quarta, fissava Kurt come se fosse il più incosciente sulla faccia della Terra. Esattamente per questo il soprano si sentì uno stupido a non averci pensato prima: Finn era un leader, era un angelo custode, si considerava il protettore di tutto il Glee Club ormai da anni. E, soprattutto, era il suo fratellone. Da quando aveva commesso l'errore di lasciare agli altri ragazzi la protezione di Kurt contro Karofsky, sembrava voler dimostrare di essere più maturo, di essere l'eroe valoroso che avrebbe sempre difeso la sua famiglia. Ingenuo da parte di Kurt pensare che sarebbe stato proprio lui l'ultimo interessato al suo viaggio con Smythe.
“Sebastian è immaturo, superficiale, arrogante, a volte subdolo. Ma non è un bullo, Finn”
Sto davvero difendendo Sebastian e le sue – teoriche - buone qualità? , si ritrovò a chiedersi. Ne concluse che, pur di andare a Parigi, era disposto anche a fingere di trovare piacevole la sua compagnia. Ma su una cosa era sincero: non vedeva in quel viaggio un possibile pericolo. In un'occasione Sebastian Smythe si era rivelato addirittura pericoloso, era vero, ma pensare che lo stesse portando in Francia solo per chiuderlo in una sala di torture era pura paranoia.
Lo sguardo del fratello si era riempito di ombra, come nuvole che oscurano il sole. “Ci vai per Parigi o perché a invitarti è stato lui?”
“Ha importanza?”
“E' solo un amico, Kurt?”
“Ha importanza?” ripeté il soprano, alzando la voce. “Mi ha fatto un regalo – un regalo stupendo – e io ho accettato perché non potevo non farlo, il resto è affar mio. Se ti dicessi che me lo porto a letto? Hm? Cambierebbe qualcosa? Mi vieteresti di frequentarlo?”
Quando Finn ritrasse lo sguardo e arrossì lievemente per quel riferimento alla sua vita sessuale, Kurt concluse di aver colto nel segno, nello stesso istante in cui concluse che forse non avrebbe dovuto provare a farlo: aveva parlato in modo così esplicito semplicemente perché sapeva che Finn si sarebbe imbarazzato e si sarebbe finalmente ammutolito. E sapeva anche che non era stato giusto farlo.
“Okay, time out ragazzi” intervenne Burt, come se stesse dando voce alla sua coscienza. Si pose tra i due, sapendo perfettamente che tuttavia nessuno dei due avrebbe alzato le mani contro l'altro. “Kurt, nessuno qui può vietarti niente. Credo che quello che sta cercando di dire Finn – la stessa cosa che vorrei dire io in questa situazione – è di avere giudizio. Di stare attento”
“Io sto attento, papà. Conosco la prepotenza di Sebastian meglio di chiunque altro, proprio perché ero il suo bersaglio preferito nel Glee Club. Non credi che, alla luce di questo, dovrebbe esserci un motivo se sono così calmo all'idea di passare tre giorni con lui in Europa?”
Burt storse la bocca, abbassando gli occhi un istante. “Se sei sicuro dell'affidabilità di Sebastian, allora vai. Ma non farti condizionare dalla voglia di visitare Parigi”
“No, certo che no”. Okay, questa era una bugia. Ma meglio non dire nulla della scommessa, probabilmente Finn l'avrebbe preso come un motivo per chiuderlo in camera pur di non farlo partire. E lui era stanco di discuterne: era troppo eccitato all'idea di partire, non aveva voglia di farsi sgretolare l'entusiasmo dalla preoccupazione del fratello.
Il quarterback tirò un lungo sospiro, senza mai staccare gli occhi da Kurt. “Okay. Mi fido di te”
“Grazie, Finn”
“Però ti accompagno all'aeroporto”
Il più piccolo sorrise. “Affare fatto”
“Bene” concluse Burt, unendo le mani. “Adesso aiutatemi a preparare la cena, Carole tornerà a momenti da un turno di dodici ore, facciamole trovare una cena decente”
“E per il mio shopping di dieci? Nessuna ricompensa?”
E delle risate che seguirono, Kurt si riempì le orecchie, sollevato per l'esito della discussione.


















Ehi guys! Non resistevo più all'idea di aggiornare, l'abbozzo della prima scena l'avrò scritto quando ero ancora a Parigi la scorsa estate, direi che ha aspettato abbastanza per essere reso pubblico :)

Ormai avrete capito che l'ambientazione della fanfic è durante la rottura della Klaine (che, voglio specificare, io amo da morire, per questo non me la sono sentita di inventarmi un diverso esito per la loro storia e c'ho messo in mezzo il vero e concreto tradimento di Blaine)
Beh, scrivere di Finn mi ha fatto molto male e allo stesso tempo molto bene, giuro che riuscivo a vederlo davanti ai miei occhi mentre lo facevo muovere e parlare. Non avevo mai scritto del personaggio da quando Cory è morto, ma sono contenta di averlo fatto e spero di aver centrato il carattere (ovviamente vorrei sapere il vostro parere, se avete voglia di dirmelo!)

Ringrazio chi ha recensito, chi segue già la storia ponendo tanta fiducia in me, chi l'ha messa tra i preferiti, chi l'ha ricordata... Siete dei cuoricini! *-*
A prestissimissimo!


V


  
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