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Autore: Pineapple__    02/08/2014    5 recensioni
Sotto il sole cocente di una città in mezzo al deserto Nagisa, un giovane ballerino del ventre, è costretto a prostituirsi al Sultano Rin per riuscire ad ottenere, almeno per sé, l'acqua che al paese tanto manca a causa di una devastante siccità. Nonostante la vergogna che prova per sua "occupazione" vive con la speranza di ritrovarsi con la persona che gli ha fatto battere il cuore per la prima volta, la guardia reale Rei. Riuscirà Nagisa, grazie all'aiuto di un misterioso sciamano ed un gentile venditore di spezie, a capire che l'acqua disseta il corpo ma che per rinvigorire l'anima servono solamente un paio di lucenti occhi ametista?
[Rei x Nagisa] [Arabian! AU] [Only Sex! Nagisa x Rin]
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana, Nagisa Hazuki, Rei Ryugazaki, Rin Matsuoka
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Atto II: Bondless

Le mie mani si intrecciano nell’etere cocente, evidenziando invisibili ed astratti disegni, per poi ripiombare lungo i fianchi, marcandone il profilo sudaticcio. Il velo verde smeraldo allacciato alla testa oscilla pericolosamente, minacciando di cadere da un momento all’altro sulla terra polverosa. Sento il torace che si alza e si abbassa spasmodico, facendo cozzare tra di loro i pendenti in smeraldo agganciati ad una sottile catenella d’oro. Il tintinnare dei vari bracciali che mi ornano i polsi accompagnano i movimenti, donando un ulteriore tocco esotico alla mia danza. Il suono di un tamburello e di un flauto guidano sapientemente le mie movenze dal lieve gusto sensuale, ma senza sfociare in qualcosa di esageratamente erotico. Mi piace ballare.

Quando ballo, tutto intorno a me diventa indefinito. Le poche immagini che riesco a intravedere dalle palpebre socchiuse- probabilmente una esimia folla di persone che si affolla davanti al piccolo spettacolo improvvisato- arrivano sfocate alla retina e tutti i suoi sono ovattati, eccezion fatta per la grande amica di tutti i ballerini; la musica. Quando comincia a suonare sento che qualcosa di magico di si impossessa delle mie membra, che sembrano cominciare a muoversi di propria volontà, seguendo il cadenzato ritmo degli strumenti. Quando ballo, riesco a dimenticarmi di qualunque, come se trasudassero dalla mia pelle assieme al sudore. Ma c’è una cosa della quale faccio fatica a scordarmi. Esatto. Spero solo che un paio di occhi viola ametista mi fissassero intensamente, come la prima volta che l’avevo intravisto tra la ressa esultante. 

La melodia termina e, automaticamente, la mia testa si china in un piccolo ringraziamento verso il pubblico, mentre le braccia mantengono la loro ferrea posizione orizzontale. Ora che la musica è finita posso sentire i commenti di apprezzamento che alcuni sceicchi di passaggio vestiti con abiti pomposi mi regalano in un soffio, ma anche le bieche esegesi di mercanti, venditori o semplicemente passanti sulla mia seconda occupazione. Mi sento chiamare prostituta, concubina...  Puttana. Una puttana reale, ecco come vengo denominato quaggiù in città. Alcuni sputano ai piedi del tappeto sopra il quale mi esibisco, esponendo con quel barbaro gesto, il loro disgusto per la mia situazione. Arrotolo il drappo decorato con fini adornamenti dorati, mentre il coro di oltraggi si fa sempre più incalzante. Tento di ignorarli, di dimostrarmi superiore alle loro offese, ma dentro fa male. Sento come se una tagliola per orsi si stia aprendo e chiudendo, masticando con nefasto orgoglio la mia anima.

“Adesso smettetela!” 

Una voce amica, finalmente, si leva stranamente autoritaria a zittire il fastidioso brusio e vedo una figura che si avvicina lentamente verso di me recando in spalla due grandi ceste di canne intrecciate. Non posso fare a meno che sorridere grato, sistemandomi la coroncina di lapislazzuli stretta intorno alla testa. La fiumana di persone strette intorno al sito dell’esibizione si disperse, ricominciando ad accalcarsi per le affollate vie delle carreggiate sterrate, probabilmente intimorita dalla severa intonazione di quel grande ragazzone dal buffo turbante giallo avvoltolato intorno al capo. Indossa due tuniche sovrapposte, una verde ed una zebrata, che lo fanno assomigliare ad un santone indiano. Come già riportato sopra, le sue larghe spalle sono provate da due ampie gerle dalle quali scaturiscono odori forti e piccanti che mi stuzzicano fastidiosamente le narici. Probabilmente è di ritorno dal mercato dopo aver fatto rifornimento di spezie per il negozio. Saluto con un cenno della mano la flautista e il tamburellista e, caricandomi in spalla il tappeto, mi approssimo correndo a lui, per poi sorridere a trentadue denti non appena incontro i suoi dolci occhi verde prato.

“Ohayo, Mako-chan!” lo saluto incrociando le mani dietro la schiena.

“Ciao, Nagisa. Vedo che non sei cambiato, balli ancora benissimo.” si complimenta assestandomi un’amichevole pacca sul braccio.

“Hai ragione, è una vita che non ci vediamo! Ma, sai, sono stato molto occupato tra questo e… L’altro lavoro.” asserisco in un sussurro, quasi non voglia farmi udire da lui.

Lo sento sospirare. I suoi lucenti occhi si rabbuiano d’un tratto e la sua bocca di distorce, raggrinzendo le carnose labbra rosee.

“E’ proprio di quel tuo secondo lavoro che volevo parlarti.” mastica incuneando il suo sguardo di smeraldo nei miei angustiati rubini.

Conosco Makoto da quando ero piccolo e potevo considerarlo il mio migliore amico; ancora mi ricordo quando lo convincevo a fare gli scherzi all’allevatore del paese aprendo le gabbie delle galline e, puntualmente, si accaparrava tutta la colpa per evitare che mi cacciassi in un mare di guai. E’ come un fratello maggiore per me –una benedizione, dato che vivo con quelle tre arpie delle mie sorelle-,  sempre disposto ad accontentarmi e ad assecondare ogni mio singolo capriccio, anche il più infantile, senza mai perdere quel suo accondiscendente sorriso. Ma ora, di fronte a me, si para un Makoto diverso da come sono solito vederlo. Riesco subito a notare la sua preoccupazione, da come si scosta frettolosamente dalla fronte le ciocche castane che sfuggono alla presa del turbante o da come, quasi impudente, è arrivato subito al nocciolo della questione. No, questo non è il Mako-chan che conosco.

“Nagisa…” esordisce lui, ma viene prepotentemente zittito dal sottoscritto.

“Non voglio parlarne. Fa già abbastanza male.” sospiro passandomi un dito sui bracciali placcati.

“Per quanto dovrà continuare a far male perché tu ti renda conto che tutto questo è sbagliato? Per quanto ancora andrai avanti a raccogliere i frammenti del tuo cuore spezzato? Nagisa!” esclamò lui scuotendomi con delicatezza per le spalle.

“Quello che succede a me sono affari miei! Sembrerò egoista, ma io voglio continuare a vivere e mi serve acqua per farlo. Non mi importa essere la puttana di qualcuno pur di sopravvivere. E non venire a sputare sentenze sugli altri solo perché tu hai un’attività che tutti rispettano.” espongo senza pensarci.

“Da quanto non vedi Rei?” 

Quella domanda mi arriva addosso come una cannonata in pieno stomaco. Indietreggio, posando impulsivamente le mani davanti alla mia bocca semiaperta. Non solo per la frase poco carina che ho appena rifilato a colui che considero un amico sincero, ma anche per quell’interrogativo uscito con tanta feroce semplicità dalle sue labbra dischiuse. Riesco a sentire il suo pentimento dietro ad uno scusami biascicato a fatica, mentre mi posa, in un flebile gesto che dovrebbe lontanamente sembrare rassicurante, una mano sul capo. La scosto istintivamente, stentando a credere che una persona tanto affabile e tranquilla come lui abbia appena potuto dare la martellata finale al mio cuore crepato, mandandolo completamente in frantumi. Scatto dalla mia posizione e prendo a correre per la strada, lasciando che i lunghi drappi del velo sotto il cortissimo gilet svolazzino nel vento secco e ignorando il fatto che Makoto mi stia chiamando con quella punta di amaro pentimento nella voce. Vorrei dirgli che non sono veramente arrabbiato, che anche io mi pongo quella domanda ogni singolo giorno della mia ormai inutile esistenza. Ma, chissà per quale oscuro motivo, sentirselo dire da un’entità esterna fa ancora più male.

“Scusami, Mako-chan, devo correre al lavoro.”

Rei’s POV

Appoggio la schiena alla parete del muro di cinta che avvolge la città nel suo rassicurante abbraccio e mi sistemo per l’ennesima volta la montatura argentea degli occhiali sul naso, facendo tintinnare graziosamente la catenella che collegava le due asticelle. La divisa delle guardie reali mi sta facendo letteralmente soffocare, pur avendo il petto e metà addome scoperto. Le lunghe e candide maniche a sbuffo, i longilinei guanti e gli alti stivali mi avvolgono il corpo insieme ad un ampio strato di sudore che si imperla burlone sulla fronte per poi scivolare giù per le tempie o facendo appiccicare fastidiosamente le racemi di capelli ribelli sfuggite alla supremazia del basco rosso con tanto di soffice pennacchio bianco. A volte penso che la mia filosofia del bello, la quale mi costringe a presentarmi sotto l’inclemente sole del deserto indossando questi strati di vestiti, stia oltrepassando ogni umano limite. Ma, infine, mi accorgo di non essere l’unica guardia a soffrire così tanto a causa dell’uniforme.

Abbozzo un sorriso, pensando a quante volte quel piccoletto biondo mi aveva chiesto se non avevo troppo caldo con la divisa indosso. Ed io, pazientemente, gli spiegavo che ero una guardia e non posso vestire come un normale cittadino, durante il mio turno. Lui diceva che non dovrebbero esserci tutte queste differenze tra la popolazione, che nessuno dovrebbe portare segni di riconoscimento solo per sbandierare la propria superiorità nei confronti degli altri cittadini. Non dovrei lasciarmi a tali sentimentalismi, ma devo ammettere che quel ragazzino dai lucenti occhi magenta mi mancava terribilmente. Ma, probabilmente, il mio sentimento era a senso unico. Le voci, giù in città, girano abbastanza velocemente; Nagisa è diventato la prostituta del Sultano Rin, occupazione che affianca alla danza del ventre. Tutto questo, per sfuggire alla siccità che da qualche mese ha colpito la città. Scuoto la testa e imbraccio la baionetta, notando che un individuo incappucciato che si approssima pacificamente alla mia posizione seguito a ruota da un dromedario carico di chissà quali merci. Non devo pensare a lui. Se lui mi ha dimenticato, devo sforzarmi di fare lo stesso. 

“Mi scusi, le chiedo gentilmente di fermarsi e di darmi le sue generalità.” asserisco non appena il beduino mi si presenta davanti.

Solo il suo aspetto che mi fa intendere che non questo non è il tipo di persona che si incontra tutti i giorni. Un grande turbante bianco gli fascia morbidamente la testa per poi scendere sulle spalle, fino ai gomiti. Un’ulteriore e lungo pezzo di stoffa blu, con tre linee verticali poste sotto il viso, gli avvolge il collo mentre l’altro lembo della sciarpa viene lasciato penzolare davanti al ventre scoperto. Porta una larga cintura dorata allacciata alla vita, mentre pantaloni sono larghi e di colore nero e il piede –un trentasette, ad occhio e croce- è stretto in dei mocassini marroni. L’unico particolare scoperto del viso sono un paio di profondi occhi azzurro oltremare, forse anche più limpidi di acqua appena scaturita dalla sorgente, insieme ad vari ciuffi di corti capelli corvini. Il particolare più inquietante, inoltre, è il fatto che non distolga quello sguardo cristallino dalla mia figura, mettendomi leggermente in soggezione. Deglutisco a fatica e porgo di nuovo la richiesta, facendola suonare, questa volta, più come un ordine. 

“Se vuoi raccogliere i datteri, non devi avere paura di arrampicarti sulla palma.” sentenzia voltando lo sguardo altrove.

“Come, prego?” domando sempre più confuso.

“La vita ci mette davanti a due strada; quella del miele e quella dell’aceto. Il miele è dolce, ma attira le mosche. L’aceto è sgradevole, ma le tiene lontane.” sermoneggia incrociando le braccia al petto.

“La vuole smettere di prendermi in gi-”

“E lei la smette di scappare dai suoi sentimenti? Provi ad usare il cuore, non solo il cervello.” fa una piccola pausa, per poi riprendere a parlare. “Sono stato convocato dal Sultano.”

“Lei è per caso… lo sciamano Nanase Haruka? Mi scusi per non averla riconosciuta, entri pure.” farfuglio imbarazzato operando un piccolo inchino.

“Grazie, Ryugazaki Rei.” sussurra accedendo alla città attraverso l’entrata.

Mi porto una mano al petto, sconvolto per quello che ha appena detto. Come diavolo avrà fatto ad azzeccare non solo il mio nome, ma anche il mio cognome? Non sono solito credere a stregonerie o cose del genere, ma dopo aver udito quelle frasi che sembravano studiate apposta per la mia situazione, il mio piedistallo di teorie scientifiche comincia flebilmente a vacillare. Le parole che ha detto, il modo in cui le ha pronunciate… Che sia uno stalker che aveva spiato me e Nagisa durante il periodo nel quale stavamo assieme? Impossibile, dato che è entrato in città solo pochi minuti or sono. Mentre mi scervello per dare uno straccio di senso logico alle losche deliberazioni di quel misterioso figuro, un grido scuote l’aria, risvegliandomi dai miei pensieri. Un grido di donna che mi avvisa che qualcuno di non ben definito si è appena gettato nella fontana della piazza adiacente all’adito del centro abitato. Sporgendomi dal mio posto di guardia, riesco perfettamente a notare gli indumenti dello sciamano sparsi in giro per la pavimentazione a san pietrini, mentre un ragazzo dai capelli neri e gli occhi così azzurri da quasi poterci annegare all’interno sguazza tranquillo nell’acqua della polla. Mi spiattello una mano sul viso, dirigendomi esasperato verso il sito nel quale sta avvenendo un chiaro oltraggio ad un pubblico monumento. Ma perché quelli strani devono capitare tutti a me?!




*Angolino dell’Ananas*
Ciao a tutte! (Perché credo che in questo fandom ci siano solo femmine.) Eccomi tornata con il secondo capitolo di questa FF. Sinceramente, non pensavo di ricevere ben tre recensioni. Sono commossa, sigh. Ma passiamo ai ringrazamenti: ringrazio Kyokushu, EternalSummer e _Rouge per le recensioni. Grazie anche a levihan e Yuri Fangirl per aver messo la storia tra le preferite ed EternalSummer e Ignis per averla infilata tra le seguite. Boh, non ho le parole. Mi fate sentire più felice di Haru quando c’è lo sgombro in offerta alla Conad. Ok, la smetto. Alla prossima e spero che questo capitolo vi sia piaciuto! 
Pineapple__
  
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