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Autore: BlackSocks    02/08/2014    2 recensioni
E' la metà del 1900: l'epoca delle caldarroste sulle strade, delle cabine telefoniche, delle favolose ascese sociali, del misero dopoguerra.
Quali amori, quali vicende e avventure sconvolgeranno la vita di un'audace e splendida ragazza?
Genere: Angst, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Quarto - Scuola e Scintille

Fine Agosto/inizio Settembre 1945, Avellino, Campania.

La Domenica Jo era solita andare in ospedale, dopo la Messa, per osservare e magari anche aiutare suo zio. Adorava la medicina, non la impressionavano ne sangue ne viscere e aveva una mano ferma e leggera.
«Allora piccoletta, tra poco ricomincia la scuola, eh? Che cosa fai quest'anno?» le chiese lo zio mentre consultava una cartella.
«Quest'anno farò il quarto ginnasio, zio» rispose lei.
«Che brava! E invece Lorenzo?» continuò lui.
«Lui farà la prima elementare, anche se la mamma sta cercando di fargli fare il salto in seconda»
«Ah bene! Finalmente. Sai, certe volte non capisco proprio tua madre. Poteva tranquillamente iniziare l'anno scorso, no? Sei ce l'hai fatta tu, poteva farlo anche lui. Adesso partirà già svantaggiato. Comunque, piccoletta, che ne pensi di aiutarmi con questa signora qui? Questa bellissima signora! Buongiorno signora Sammarco!» disse lui, rivolto ad una donna seduta su una sedia con l'aria molto annoiata.
«Le fa ancora molto male, la gamba?» chiese lui, mentre la faceva stendere sul lettino. Poi prese una siringa e una boccetta contenente l'antidolorifico e li diede a Jo. Le indicò il punto in cui doveva pungere e, ignorando il borbottio della signora Sammarco, le fece praticare la puntura.
«Bene, adesso vai a vedere se la signorina Lontacci ha bisogno di aiuto, Jo» le ordinò.
Jo andò a cercare l'infermiera.
«Signorina, ha bisogno di aiuto? Lo zio mi...» la sua voce si affievolì di colpo quando notò che vicino alla signorina Lontacci, steso sul lettino, c'era il ragazzo che aveva incontrato qualche mese prima, proprio in quello stesso punto, in ospedale.
«Oh, Jo, ciao! Si, in effetti perchè non cambi tu la fasciatura? Non ti preoccupare, ragazzo, lei è molto brava» aggiunse rivolgendosi a lui. «Quando hai finito, Jo, vieni da me al piano di sopra, va bene?» chiese. Jo annuì. Poi l'infermiera si allontanò.
«Sbaglio, o io e te ci conosciamo già?» chiese lui.
«Mmh, mi pare di si...» disse lei voltandosi a prendere la garza ed il disinfettante. La verità era che lei vi aveva pensato molte volte, ed ogni volta che si recava in ospedale sperava intensamente di rincontrarlo.
«Ho ancora il tuo scialletto, sai?» continuò lui.
«Ah si? Puoi tenerlo, ne ho tantissimi uguali... li fa mia madre» disse lei.
«Beh, grazie» disse lui, sorridendo, mentre si sbottonava la camicia. Jo notò che aveva dei lividi sul busto.
«Non sono gravi, risse da caserma» disse Angelo seguendo il suo sguardo «nessuna costola rotta, mi hanno già visitato all'infermeria della finanza» concluse.
«Ah, quindi sei un tipo che... fa a botte» disse lei, mentre sbendava la spalla.
«Uhm, diciamo solo per le giuste cause» rispose lui, sempre sorridendo. Gli piaceva quella bambinetta, era sveglia e loquace.
«Non esistono giuste cause per la violenza. Comunque, la ferita è quasi del tutto guarita.» disse mentre passava il disinfettante sulla pelle, con delicatezza.
«Giusto. Quanti anni hai per essere così saggia?» chiese lui per prenderla in giro, anche se lo pensava veramente. Jo sorrise.
«Ne ho quasi undici.» rispose, alterando solo di poco la verità.
«Molto matura per la tua età! Io ad undici anni non pensavo ad altro che giocare»
«Si? A cosa?» chiese lei interessata.
«Mmh, mi piaceva molto giocare alla guerra ed io ero il generale. Certe volte mettevo i vecchi stivali di mio padre, che erano il doppio dei miei piedi, e comandavo tutti i bambini della mia scuola, anche quelli più grandi. Ora che ci ripenso mi trovo leggermente ridicolo, soprattutto perchè ora in guerra ci sono stato sul serio» disse lui rabbuiandosi.
«Com'è la guerra? Cioè, intendo dal campo di battaglia...» chiese lei seria.
«Uhm... forse la definirei polverosa. Avevo sempre terra e polvere dappertutto» rispose Angelo.
Jo sorrise. Quel ragazzo le piaceva sempre di più: era simpatico, gentile, sincero.
«Ecco, ho fatto» disse la bambina allontanandosi.
«Ti ringrazio» disse lui, mentre lei andava alla ricerca della signora Lontacci.
Quella sera Jo tornò a casa saltellando al fianco dello zio.
«Sei felice che ricominci la scuola, eh, piccoletta?»
«Ehm... si, si.»
Quando venne settembre l'aria incominciò ad essere più fresca ed una mattina sua madre l'accompagnò a prendere le cose per la scuola nel negozio più fornito della città.
«Vado a cercare i quaderni, mamma» disse Jo, mentre la madre conversava amabilmente con una signora che frequentava la loro stessa chiesa.
Le servivano dei quaderni con i righi e con i quadretti. Mentre, dopo averli presi, stava ritornando verso la cassa notò una figura familiare. «Ciao» disse esitante toccando la spalla del ragazzo di fronte a lei, che si voltò di scatto. Due occhi la scrutarono, poi all'improvviso il viso cambiò espressione.
«Mi hai riconosciuta?» gli chiese.
«S-si, ciao» disse Vito, voltandosi di nuovo alla ricerca delle penne.
«Allora... che ci fai qui?» chiese lei insistentemente, girandogli affianco.
«Quello che vedi: compro le cose per la scuola» rispose lui, seccato.
«Oh, beh si... io lo stesso. Quindi anche tu vieni a scuola qui? Che coincidenza! Io farò il quarto ginnasio, tu in che classe sei?» continuò lei, ignorando il tono del ragazzo.
«Si, anche io» rispose, sperando, senza dirlo, che non andassero nella stessa scuola. Quella bambina era fin troppo loquace «Aspetta, ma tu quanti anni hai? Nove? Come fai ad andare al liceo?»
«Ne ho dieci, di anni» precisò lei «e comunque, io, sono di qualche classe avanti»
«Quindi sei tipo... un genio?» chiese lui sarcastico.
Jo non rispose, osservando attentamente la struttura di una matita. Odiava essere presa in giro riguardo la sua età, e ciò non accadeva di rado. Era sempre stata la più piccola in qualunque situazione.
«Tu hai un accento strano» disse poi posando la matita e cambiando argomento.
«Non è strano... sono di Matera, o meglio, di un paesino vicino a Matera» disse lui, leggermente offeso.
«Oh, vi siete trasferiti?»
«No, io solo. Sono qui al convitto.»
«Non ce ne era uno a Matera?»
«Non così importante. Io vorrei studiare sul serio. Sai, uno dei miei fratelli si sta laureando e diventerà avvocato. Voglio essere all'altezza» disse Vito, serio.
«Anche io voglio prendere una laurea» disse lei e, ignorando il sorrisetto beffardo di Vito, continuò «...in medicina»
«Non esistono i dottori femmina, al massimo le infermiere»
«Non è vero» disse lei, arrabbiandosi.
«Non sono fatti miei, comunque» disse lui mentre se ne andava.
Lei lo rincorse dopo qualche secondo e prima che il ragazzo uscisse dalla porta lo afferrò per la manica e sorrise, dimenticandosi della scortesia di poco prima, dicendo «Ci rivediamo a scuola... anche io frequenterò il Convitto»


 
ANGOLO AUTRICE: Buonaseraaa/giornoooo! Allour, che ne dite?
E' corto, si, non ho avuto molto tempo... nemmeno per correggerlo, scusate gli eventuali errori grammaticali e/o lessicali, ma ho riletto solo una volta in tutta fretta perchè sono abbastanza occupata (e tipo sto uscendo di testa).
Allora... Vito e Jo andranno in classe insieme eh? Ohoh... però non sembrano andare molto d'accordo. Nel prossimo capitolo inoltre accadrà un fatto inaspettato (vabbè, si, dai, inaspettato... per quanto concede la mia "grandissima" fantasia...).
Okay, ora vi lascio, spero vi piaccia e... ricordatevi di recensire :)

 
   
 
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