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Autore: General_Winter    03/08/2014    0 recensioni
È passato un mese da quando sono giunto a Marineford come viceammiraglio. Dopo anni di accademia militare, dopo lunghe spedizioni su isole più o meno insidiose contro pirati più o meno forti, dopo anni in cui ho continuato a seguire gli ordini di idioti più o meno competenti, sono pronto a essere io l’idiota. L'idiota che dà gli ordini.
[ Ho riformattato i primi due capitoli, così sono più digeribili dei mattoni di parole che erano prima ]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aokiji, Kizaru, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rispondo a queste due povere anime che attendono un mio segno da mesi, per gli altri ci vediamo in fondo. Attenzione! in questo capitolo vi è un'alta concentrazione di fluff

Infaust: Grazie mille per aver recensito e scusa se ti rispondo qui. Sono contenta che la storia ti piaccia e giuro che l’aggiornerò fino alla conclusione. E per quanto riguarda Akainu, entrerà in scena pure lui, ma verso la fine della storia

gol_d_ace: Grazie per la recensione, anche se è neutra non importa, sicuramente perché ti sembra strano il fatto che Rage abbia il potere del fuoco. Sì, ho dato al personaggio un potere come di Ace, ma la storia è ambientata circa 25 anni prima di quella narrata nel manga. In più di vent’anni può accadere di tutto al povero Rage…
 
 

FIORI DI CILIEGIO
 
 
È passato un anno da quando cominciato ad eseguire l’ordine dell’ammiraglio Sengoku. Nel frattempo ho fatto parecchie missioni, ma il pensiero di Teresa non se ne è mai andato.

Oggi sono tornato dall’ennesima spedizione con Kuzan. Mi devo fare un appunto personale: mai combattere contro di lui se ci tengo alla vita.

Cammino per la base …

Comunque … è da un po’ che mi segui, ragazzino … precisamente da quando sono sbarcato alla base. Sei bravo a tenere un basso profilo, probabilmente nessuno se ne è accorto. Ma io sì. Che vuoi dirmi? Be’ tanto vale parlare faccia a faccia … ma sì, il suo studio può andare bene, tanto lui arriverà più tardi.

Entro nell’ufficio tranquillamente, il ragazzo mi segue e chiude la porta – È da un po’ che mi segui … cosa vuoi? –

Lo guardo bene per la prima volta: i capelli e gli occhi sono coperti dal berretto della marina e indossa uno strano cappotto. E la pelle è … scura … Si toglie il berretto, lasciando sciolti i lunghi capelli neri e visibili gli occhi seri, sicuri e assolutamente incazzati.

Solo un nome sussurrato esce dalle mie labbra – Irene … –

Vedo un lampo argentato raggiungermi e io le blocco la mano prima che mi sferri un affondo con la sua enorme spada.

- Cosa diavolo ci fai qui, Irene? –

- Sono qui per farti fuori – dice lei serissima. – E perché scusa? – chiedo confuso.

Lei sembra arrabbiarsi ancora di più – Perché hai ferito Teresa. Anche se non te l’ho detto pensavo fosse chiaro: se anche avessi solo provato a far del male a Teresa, io te l’avrei fatta pagare –

Cerca di liberarsi dalla mia presa. Ci riesce e tenta un altro affondo. Io lo evito e la lama atterra sul pavimento. Ci metto un piede sopra. – Io? Teresa? Sarà un anno che non la vedo, come posso averle fatto del male? – chiedo.

Lei ride forzatamente – Voi uomini non capirete mai! Le ferite non sono solo fisiche, ma anche mentali e emotive. Forse queste ultime non uccideranno, ma ti fanno soffrire una lenta agonia. Per colpa tua Teresa è diventata più debole e insicura. Le ho sempre detto di non fidarsi di te, perché sapevo che eri uguale a tutti gli altri, ma lei non mi ha ascoltato. È da un anno che continua a correre il rischio di venire a Marineford solo per vederti e tu non ci sei più stato. Non te ne frega nulla se lei viene sbattuta in carcere per “tradimento del Governo Mondiale”, vero? –

Sbuffo – No, anzi ne sarei felice: potrei vederla più spesso – dico ironico. Lei, ancora più incazzata, molla l’elsa della spada e tenta di tirarmi un pugno. Ma lo blocca prima che mi colpisca la faccia. E fa la cosa che non mi sarei mai aspettato da una come lei: piange. A dirotto.

Mi si butta addosso e mi abbraccia, continuando a far scendere lacrime dai suoi occhi scuri. Sono sconcertato – Ti prego, Rage. Teresa sta male, salvala. Io c’ho provato, ma non ci sono riuscita. Ne sono certa, tu ce la puoi fare – riesce a dire tra i singhiozzi.

Io mi faccio più serio, la stringo più forte e lei appoggia la fronte sulla mia spalla – Farò il possibile, te lo giuro, Irene –

Sciolgo l’abbraccio e la guardo negli occhi – Te lo prometto – e, detto questo, le poso un bacio sulla fronte. Lei si calma, ma non si consola. Tuttavia, consolarla non è un compito che spetta a me – Irene, dov’è Teresa? Vado subito a cercarla –

Lei tira su col naso e mi risponde – Nell’isola di Lisìar, nel Mare Meridionale –

- Ho capito. Tu resta qui ancora un po’, per riprenderti, poi lascia la base. E non preoccuparti: è tutto nelle mie mani –

- No, posso andarmene anche subito da Marineford – afferma sicura lei – No, resta ancora un po’ – dico e me ne vado, lasciandola sconcertata.

In effetti, ho ragione. Ho un buon motivo se l’ho lasciata in quell’ufficio. E il buon motivo si sta avvicinando a me, nella direzione opposta, salutandomi con un cenno del capo. Lo fermo posandogli una mano sulla spalla – Quella che ti sto offrendo è un’occasione su un piatto d’argento … vedi di non sprecarla – dico sottovoce ad un confuso Borsalino, intenzionato ad entrare nel suo ufficio.
 


Non mi sorprendo che Teresa abbia scelto quest’isola per riposarsi. Non mi sorprenderebbe se qualunque persona scegliesse questo luogo per riposarsi: un’isola tranquilla, con alcune cittadine e un grosso porto, meta di turisti e commercianti da ogni dove. Soprattutto in questo giorno dell’anno. Lisìar, se non sbaglio è famosa per la notte della fioritura, quando i fiori di tutti gli alberi di ciliegio sbocciano nello stesso momento. Uno spettacolo unico, che anch’io ho sempre desiderato vedere, ma ora non sono qui per godermi il panorama. Ho una persona da cercare. Può essere un problema, dato che l’isola è grande … no, non è un problema … non sono io che la cerco, ma lei che mi trova … e se lo fa in fretta, credo che nulla le impedirebbe di scatenare tutta la sua rabbia contro di me, trascinando nel suo furore anche poveri innocenti.

Mi avvio sul monte che sovrasta la cittadella portuale di Okast, dove sono sbarcato. Sulla cima vi è un grosso spiazzo d’erba circondato da alberi che questa stessa notte sbocceranno. Un angolo di pace e serenità, insomma, ma l’unica cosa che importa a me è che è lontano dai centri abitati.

Il pendio, coperto di alberi pieni di gemme e senza foglie, è silenzioso. Si sente solo il rumore di un venticello primaverile che sibila tra i rami spogli.
Giungo in cima al colle, nella radura. La brezza fresca mi accarezza la faccia. Respiro a pieni polmoni e l’odore di fiori ed erba tagliata mi invade. Calma, tranquillità sono le uniche cose che mi passano per la mente, ma non credo che la persona che mi ha appena raggiunto pensi la stessa cosa. Forse la calma e la tranquillità erano i suoi obbiettivi, ma credo che da quando ha avvertito la mia presenza l’unica cosa che provi sia una furia cieca. Rabbia, mah, chissà com’è, beata lei che può provare questo sentimento, ma credo che presto mi ritroverò la foga dei suoi sentimenti addosso e potrò capire che potere può possedere qualcosa che non ho mai provato.

Espiro – Che isola meravigliosa, non trovi? Non mi sorprende che tu l’abbia scelta per riposarti. Allora, come va? È tempo che non ci si vede, no? – dico tranquillo.

Ma a quanto pare Teresa non è del mio stesso stato d’animo, visto che la sua unica reazione è lanciarmi la spada, che riesco ad evitare appena in tempo.

La lama si conficca nella terra e prima ancora che mi possa muovere di nuovo, lei è già lì che impugna di nuovo l’elsa, la estrae e affonda la lama verso di me, che di nuovo evito per un soffio. Non ho tempo per fare pensieri stupidi: i suoi occhi d’argento mi fanno semplicemente rabbrividire, i denti digrignati sembrano che mi vogliano sbranare vivo e la sua forza fisica sembra il triplo che in una situazione normale. Credo che ora osserverò gli effetti che può avere la rabbia sulle persone – Ehi, Teresa, lasciami parlare! –

A quanto pare può renderti sordo a qualsiasi cosa, infatti lei sembra fare finta di nulla mentre mena una fendente verso il mio viso e l’unico motivo per cui non lo raggiunge è perché l’ho parato con il braccio fortificato con l’ambizione.

La prendo per il braccio che impugna la spada, la tiro verso di me e le immobilizzo entrambi i polsi con una mano sola – Teresa, ascoltami! – sembra che la sordità persista e l’unica cosa con cui riesce a rispondermi è un ringhio che di umano non credo abbia nulla. Sembra che la rabbia sia in grado di toglierti la facoltà di creare frasi di senso compiuto.

Mi pesta un piede con i suoi tacchi metallici. Non mi fanno molto male, ma mi distraggono il tempo necessario che lei si liberi dalla mia presa e mi tiri una gomitata nelle costole e una sullo zigomo. E quelle, sì, fanno male.

Come terza cosa la rabbia ti fa agire in modo irragionevole, selvaggio e violento. E questo è meglio che lo ricordi la prossima volta che tratterò con una donna fuori di se.
Mi massaggio un po’ la guancia colpita: credo che un bel livido non me lo toglierà nessuno.

Guardo Teresa. Il suo respiro è irregolare, ma non certamente per il piccolo duello appena intrapreso, bensì per altro. Anche lei mi guarda – SI PUÒ SAPERE DOVE SEI STATO FINORA?! – sbotta all’improvviso con voce rotta – Un anno. Un intero anno ad aspettare che tu arrivassi su quel maledetto cornicione. Invece nulla! Non un messaggio, non un avviso, niente! Solo io, ad aspettare come una stupida che tu tornassi per parlare di cose stupide o anche solo per farmi frecciatine a sfondo sessuale. Ti ho atteso, nonostante le sentinelle, nonostante i fari di guardia, nonostante ogni fottutissimo marine che girava per quella base che, appena mi avrebbe visto, mi avrebbe regalato un biglietto di sola andata per Impel Down! Ma a quanto pare a te non te ne fotteva niente dato che non sei mai venuto; mi hai fatto patire in solitudine le notti gelate dell’inverno. Cosa è successo di così importante da ignorarmi per così tanto? E cosa ti ha fatto ricordare della mia esistenza? Eh?! –

Quarto sintomo: la rabbia ti fa parlare a ruota sciolta.

Mantengo la calma – Perdonami, hai ragione tu – dico. Lei mi guarda incredibilmente stupita: già, in effetti credo che non mi scuso con qualcuno da quando è morta mia sorella, e la cosa sorprende un po’ anche me. E imparo qualcosa di nuovo: se si vuole che le donne perdonino, bisogna mettersi dalla parte del torto.

La abbraccio e lei si blocca – Ho dovuto eseguire gli ordini se non avrei voluto vederti in una cella di Impel Down, scusami, ma non permetterei mai che accada qualcosa
del genere. In quanto al perché sono tornato … diciamo che una bella donna ha fatto pressione perché io venissi qui –

Mi guarda negli occhi e sembra alzare la guardia, come fa un gatto quando credere di essere in pericolo – Dov’è Irene? – chiede cauta.

Alzo le spalle – Ah, non ne ho idea, l’ho lasciata con Borsalino – lei sorride e appoggia la testa contro il mio petto – Allora va tutto bene – e, proprio come un gatto sembra fare le fusa.

Sorrido – Sono qui, Teresa –

- Ben tornato, Rage – e io potrei restare così fino a che non sarei morto, ma a quanto pare, sembra che lei voglia rovinare tutto, infatti si stacca da me e mi guarda

– Cosa la porta qui, vice ammiraglio? – chiede fin troppo educatamente.
La guardo – Lei, membro della flotta dei sette, Teresa –
- Non la fioritura dei ciliegi, vice ammiraglio? –
- No, credo che quello sia il motivo per cui lei è venuta qui, membro della flotta dei sette, Teresa –
Si incupisce – Smettila di darmi quell’appellativo, è troppo lungo –
Le rispondo a tono – E tu smettila di chiamarmi vice ammiraglio –

Mi guarda con un’espressione che non riesco a capire: sembra che mi osservi con nostalgia – Potremmo farlo, sai? –

Mi imbarazzo e stupisco allo stesso tempo – Mi vuoi far vincere la scommessa così? – chiedo. Questa volta si imbarazza lei e si mette a urlare – Cosa vai dicendo, idiota?! – e poi si ricompone, cambiando tono di voce, che diventa flebile e quasi timido – Io intendevo, smettere per poco tempo di fare il vice ammiraglio e il membro della flotta dei sette. Essere semplicemente due persone normali

Normale. Una parola che non può descriverci. Penso che da quando il tuo nome finisce su tutti i giornali, da quando tutti vengono a sapere della tua esistenza, nel bene o nel male, non potrai più definirti normale.

Fisso intensamente gli occhi d’argento puro di Teresa: credo che nessuno mi abbia mai fatto una proposta più allettante di questa – Va bene –

Lei sorride e subito si toglie il cappotto nero dalle spalle. Stessa cosa fa con la sua spada a due mani. Si avvicina ad un albero di ciliegio e appende la giacca ad un ramo spezzato e pianta l’arma per terra. Poi si avvicina a me, spogliandomi del mantello della giustizia e del mio berretto con la dicitura “MARINE”, posandoli il primo sopra il suo soprabito e il secondo sopra l’elsa della sua spada.

Sorride e allarga le braccia, per farsi guardare – Visto? Quasi come due persone normali –

Anch’io sorrido e mi passo una mano tra i capelli corti, mentre in quel momento Teresa mi sembra incredibilmente una bambina.

Va verso il pendio della collina. Di fronte a lei si stagliano il sole rosso del tramonto e le luci della sera della città portuale. Si siede sull’erba fresca e morbida, alzando le braccia per stiracchiarsi, allungando le lunghe e toniche gambe e incrociando le caviglie. Si volta verso di me e mi incita con gli occhi a sedermi accanto a lei. La raggiungo, mi siedo, allungo la gamba destra mentre piego la sinistra, buttandomi un po’ indietro e sostenendomi con le mani.

Chiudo gli occhi mentre il venticello carico di profumo di erbe mi investe. Sento un tintinnio di vetro: Teresa sta armeggiando con due bottiglie che contengono un liquido ambrato.

La guardo perplesso e lei mi guarda come si l’avessi appena sorpresa a fare una marachella; ride e mi passa una delle bottiglie. Leggo le scritte bianche sull’etichetta nera – Jack Daniel’s? – chiedo sorpreso – Non voglio sapere da dove le hai tirate fuori … -

Alza le spalle – Tasche della giacca. È da un po’ che me ne porto dietro qualcuna –
Mi rattristo – Bere non è mai la risposta ai propri problemi … -
Sembra offendersi, ma non lo dà troppo a vedere – Ma aiuta a farteli dimenticare per qualche tempo –
- Dì la verità, sei contenta di non avermi dimenticato del tutto … -
Lei sorride ancora – La verità? Mai stata più felice di non averlo fatto –

E mentre dice così non vorrei essere da nessun altra parte. Parliamo ancora, di cose importanti o cazzate non importa, l’unica cosa che importa veramente è che è qui con me, come una volta, ancora nella notte a parlare di noi, senza freni, a raccontarci cosa si è fatto in questo anno di solitudine. E via via, le bottiglie si svuotano, ma senza pesare sulla nostra lucidità, solo rendendoci più sciolti e tranquilli nel dire ciò che pensiamo, perché, ne siamo certi entrambi, il nostro interlocutore non ci giudicherà per ciò che abbiamo fatto. Le risate si fanno più allegre, i pochi silenzi che ci sono meno imbarazzanti.

All’improvviso sento dentro di me un senso di pesantezza e leggerezza insieme. Guardando Teresa mi gira un po’ la testa e sento il mio battito cardiaco accelerare … tsk, dannato alcool … però, è strano … di solito reggo meglio il Whisky … mah …

E ora, sento il dovere di fare una domanda importante a Teresa, una domanda che, per vergogna, non ho mai fatto a nessuno, ma sono certo che lei risponderà senza farsi problemi – Teresa, devo farti una domanda importante – dico serio.

Si fa seria anche lei, quasi spaventata dal mio improvviso cambio di umore – Cosa c’è? –

- Com’è la rabbia?

Lei si sorprende. Si mette l’indice sotto il mento e alza lo sguardo al cielo stellato, con fare tra il pensieroso e l’innocente – Sai? È la prima volta che mi fanno una domanda del genere, quindi vedrò di risponderti come posso … mmh, vediamo, com’è la rabbia … beh, è come un grosso macigno sullo stomaco, che ti impedisce di pensare prima di agire, che ti fa urlare contro il mondo intero, che ti fa stare male al solo pensiero, che ti fa venire voglia di distruggere tutto ciò che ti circonda, fregandotene di cosa ci sia sulla tua strada, che ti rende pazzo facendoti credere di poter abbattere qualunque ostacolo si trovi sul tuo cammino, anche se questo è superiore a te … io la vedo così … - risponde lei, tranquilla, e io mi ritrovo quasi contento di aver mai provato qualcosa di simile.

All’improvviso, l’attenzione di Teresa viene catturata da qualcos’altro. In quel momento, sugli alberi vicino a noi e su quelli che ornano la città ai piedi del monte, sbocciano milioni di fiori rosati nello stesso istante. Uno spettacolo indescrivibile. Si alza in piedi per osservare meglio quella visione che sembra divina. Una folata di vento fresco proveniente dal mare stacca i petali di alcuni fiori, facendoli fare piroette nell’aria come aggraziate ballerine. Il volto di Teresa si rilassa in un’espressione estasiata, come una ragazzina che ha appena visto realizzarsi il suo più grande sogno.

Torna a sedersi, portandosi le ginocchia al petto e circondandole con le braccia, senza comunque rivolgermi la parola. Un altro piccolo tornado di fiori, si avvicina a lei, la investe con leggerezza , facendole svolazzare i capelli biondi, mentre alcuni petali le si impigliano nei capelli. Ride divertita.

Un tuffo al cuore. In quell’istante il mondo si ferma. No, non si ferma, va solo più lento, come se fossi immerso in un barattolo si miele.  Lei, Teresa, la donna più bella del mondo. Lei, che si staglia su uno sfondo di alberi dal tronco scuro che risaltano ancora di più il colore chiaro dei fiori. Ma questi non sono che un mero decoro di fronte alla bellezza che ho davanti, rischiarata dai raggi di una luna piena invidiosa di fronte a tanta delicatezza e grazia.

Lei mi guarda e ride  – Perché mi fissi così, Rage? Chiudi la bocca, se no sembri un pesce – dice e ride ancora. Ma si fa più seria, quasi preoccupata – Ehi, Rage, che c’è? –

Se mi fa una domanda del genere la mia espressione non deve essere molto intelligente. Cerco di calmarmi – Teresa – la chiamo e lei mi guarda tranquilla, facendomi capire che mi sta ascoltando. Abbasso la testa, guardando l’erba morbida su cui sono seduto – Questa notte il mare è calmo, le stelle splendono in cielo, la luna piena rischiara la volta celeste, i fiori sono sbocciati in un tripudio di vento e petali. Tutto questo è un’immagine splendida. Eppure, la cosa più bella è qui accanto a me già da qualche ora. E solo ora, riflettendoci, mi rendo conto di quanto fosse meravigliosa anche quando si trovava sul cornicione duro e freddo del Quartier Generale della Marina. Solo ora, a distanza di tempo, ho capito e non mi tiro indietro nel dirlo: ti amo … –

Mi guarda e nei suoi occhi in argento liquido leggo qualcosa che non ho mai trovato prima: paura.  E ribrezzo, forse, non so dirlo con certezza. So solo che, appena sbatto le palpebre, lei non è più qui. E io mi sento un cazzo di idiota. Guardo verso l’albero dove c’era il suo cappotto, ma vedo solo il mio mantello della giustizia e il mio berretto.

Sono uno stupido. Completamente stupido. In pochi secondi ho perso ciò che ho bramato, desiderato, voluto per mesi. Mi sorprendo così tanto della mi idiozia che non riesco nemmeno a muovermi. Cretino decerebrato non mi descrive bene, perché io sono peggio. Ho perso tutto. Sono giunto qui con l’intento di farla stare su di morale,
invece, oltre che averglielo affondato, ora non mi vorrà mai più nemmeno vedere. Idiota.

Meglio che torni.

Sono quasi arrivato al mio hotel, cercando di non pensare alla cazzata che ho appena fatto e di non darmi in continuazione dell’idiota.

All’improvviso sento un strano rumore. Come un tintinnio. Si avvicina sempre di più a me. Un suono strano, come un cucchiaino di metallo che cade sul marmo in continuazione. Solo in quel momento mi accorgo, e mi si toglie un enorme peso dal cuore, che quello che sento è il rumore di un tacco metallico che batte sul lastricato.

Un colpo abbastanza forte e capisco che Teresa è dietro di me. Con le braccia mi cinge il petto e appoggia la fronte alla mia schiena.
- Scusami, sono solo una stupida bambina, scusami, ti amo anch’io. Ti amo, ti amo, ti amo … scusami, Rage -

E in quel momento un peso mi si toglie dal cuore. La cappa che sentivo dentro di me sembra evaporare. Mai stato meglio di così.
Lei si stringe a me un po’ più forte  e sembra che nella sua voce ci sia un po’ di imbarazzo mentre dice – Rage, voglio stare con te stanotte … -

E la mia felicità raggiunge le stelle che brillano questa notte sopra di noi, mentre la mia fantasia ripercorre le precedenti nottate passate a parlare per l’intera notte, contento di poterle rivivere ancora una volta. Ma questo incantesimo si spezza quando lei fa una delicata precisazione, che però non toglie affatto la magia di quella notte - … Hai vinto la scommessa … -

Ah.

Credo che stanotte non parleremo molto.
                                                  

                                                         *                                            *                                             *
 

Perfezione. Questa notte è la perfezione. E non importa di tutto il resto. Non importa di nulla. Non delle stelle o della luna, uniche testimoni di questo nostro innocente peccato. Un pirata e un marine. L’ergastolo non ce lo toglierebbe nessuno ora. Ma non importa. Ora, qui, tra le sue gambe, non mi importa di niente. Non mi interessano tutte le voci nella mia testa che mi urlano che siamo un pirata e un marine, che siamo gli antipodi che combattono sin dall’inizio, perché qui io non trovo nulla di male. È solo meravigliosamente sbagliato. Perdersi nel gusto del proibito, sempre più in fondo.
Non mi importa di nulla,ora, solo del fatto, che le sue dita sono intrecciate alle mie così forte, come se non volessero lasciarmi andare per paura che scappi distante da quel che sembra un sogno.
Un marine e un pirata. Il sacro e il profano. E io non ho mai desiderato così tanto che il giorno non arrivasse mai e fosse sempre più lontano.
 

                                                           *                                            *                                               *
 

Un sogno. È stato tutto un sogno. Apro gli occhi per guardare in faccia l’amara verità.

Invece, con mia sorpresa, sul mio petto dorme una gattina bianca, facendo le fusa, che mi fa capire che non mi sono immaginato nulla. Si sveglia sbadigliando e stropicciandosi gli occhi furbi e argentati con la mano. Mi guarda – Buongiorno – miagola lei, mettendosi di nuovo comoda su di me.

- Grazie – mormora, senza muoversi dalla sua posizione.

Mi sorprendo – Per cosa? – chiedo. Si volta verso di me – Per tutto: per essere rimasto in mia compagnia per tutte quelle notti, per esserti preso cura di Irene, per essermi venuto a cercare, per questa notte … –

La guardo – Ti è piaciuto? Anche quella parte dove … -
- Oh, sì, soprattutto quella –

Rido. Sì, tutto è perfetto.

Rimaniamo abbracciati ancora qualche minuto – Rage – mi chiama, fin troppo seria – Che succede? – chiedo io.
- Smetti di fare il marine e io smetto di fare il pirata –
La guardo come se fosse pazza - Cosa?! –
- Rage, tiriamoci fuori da tutto e andiamo a vivere insieme. So che detto così sembra facile e so anche che non lo sarà realizzarlo, ma io mi sento troppo bene quando sono nei panni di una persona qualunque che quando faccio il membro della flotta dei sette. Dammi un po’ di tempo e farò il possibile –

E, mentre conclude la frase, il mio cervello va per la sua strada e crede, per un singolo secondo che tutto ciò che ha detto sia possibile e gli sembra la decisione più giusta. La ragione scappa dalle mie mani e riesce a convincere la mia bocca – Va bene –

 
 

Angolo Autrice:
Non ci speravate più vero? E invece è bastato mettersi davanti ad un portatile perché le parole uscissero dalle mie mani. Ancora un paio di capitoli e ho concluso (forse ci faccio un epilogo).
Grazie per la lettura e anche a chi ha messo la storia tra le seguite e a chi recensisce e giuro che da ora in poi risponderò a tutti. Fra qualche giorno aggiorno pure l’altra.
Baci dal Lupo.
 
  
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