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Autore: Francesco Coterpa    04/08/2014    1 recensioni
Finché l'ultimo uomo non sarà salvo, la guerra rimarrà l'unica fonte di salvezza; l'ultimo spiraglio di luce nel mare di tenebre che offuscano la breve e vuota vita; l'unico desiderio al di sopra della propria sopravvivenza, che permette di sacrificare la propria anima perfetta per poter raggiungere una pace temporanea.
Genere: Guerra, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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Il caldo sangue colava ancora dalla mia coscia destra, giù verso il freddo terreno che accoglieva i morti di questa inutile battaglia. Cercavo di mantenere la calma il più possibile in modo tale da non farmi vedere indebolito dal colosso che mi stava di fronte, lì, poco oltre la spada conficcata nel terreno. Nulla mi potrebbe fermare in questo momento, è quello che avrei pensato se non fossi stato ferito in quel modo. Lui invece sembrava un demone salito dagli inferi apposta per mietere vittime. Nessun graffio all'armatura, tanto meno alla pelle. Avanzammo entrambi verso l'arma, ma cautamente, io per la ferita, lui, perché da grande combattente qual'era, non voleva fare l'errore di sottovalutarmi e per questo cercava di mantenere sempre alta l'attenzione, l'allerta. Il suo sguardo non guardava l'arma ma solo me, la sua vera preda. Solo quando fummo arrivati entrambi a circa tre passi dalla spada ci fermammo. Cercai in tutti i modi di ergermi in tutta la mia altezza, ma il dolore lancinante che stavo provando non mi permetteva di farlo, per cui risultavo chiaramente piegato sul lato destro per premere con il mio intero peso sulla ferita.

“Vedo che sei già stato rovinato, peccato.” disse con voce tuonante.

“Non sarà una ferita così superficiale che mi fermerà dall'ucciderti, puoi starne certo.” risposi con tono di sfida e ovviamente mentendo spudoratamente sulle mie condizioni di salute.

“Quando la smetterai di pavoneggiarti in questo modo?”

“Ti ammazzerò!”

“Hai una ferita profonda, mi basterebbe prolungare il nostro scontro e tu moriresti comunque per dissanguamento.”

“Fatti sotto e non parlare a vanvera! Ammazzami se riesci!”

“Te l'ho già detto una volta ragazzo” la sua mano si fiondò immediatamente sull'impugnatura della sua seconda arma e le gambe si piegarono “Non stuzzicarmi!”

In un istante aveva passato l'arma conficcata nel terreno ed era chinato dinnanzi a me. Il suo sguardo era cupo come le nubi che annunciano la tempesta. La lama uscì sibilando dal fodero sopra quello vuoto. Era un gladio. La sua velocità, nonostante la stazza, era innaturale, inumana. Il mio braccio fece appena in tempo a dirigersi verso la mia spada ed estrarla per parare il colpo. La mia lama si graffiò da tanto l'ira aveva spinto la sua lama contro la mia. Ma anche la sua lama si rovinò per l'urto.

Indietreggiò istintivamente con la leggera arma rovinata nella mano destra.

“In pochi sono riusciti a parare la mia potenza, posso considerarti un buon avversario, soprattutto fortunato.”

Ero ancora scosso per quanto accaduto, se avessi atteso, indugiato per meno di un secondo, non avrei avuto alcuna speranza di sopravvivere.

“Hai un'arma davvero interessante, non si fabbricano armi del genere nella penisola, quel materiale si può trovare solo in due luoghi, le terre del Nord oppure nei territori ispanici.”

Non capivo se era un complimento o una osservazione che doveva servire a me per capire quanto grande fosse la sua conoscenza nel mondo della guerra, specialmente dei materiali e delle strategie per vincerla.

Merda! La ferita era peggiorata per via dei movimenti troppo rapidi che avevo appena eseguito. Quanto poteva essere grave. Maledette lance e chi le aveva create.

“Attento! Mai distrarsi nel bel mezzo di un duello!”

Non appena indirizzai nuovamente lo sguardo verso il mio avversario, lui non c'era. Mi guardai subito attorno ma non riuscivo a vederlo. Dov'era?! Era uno spettro, poteva anche sparire?!

“Dietro di te...” bisbiglio lui da dietro.

Mi voltai lentamente, sudavo freddo. Ero paralizzato. Quando era riuscito a raggiungermi? Troppo veloce oppure io troppo ferito, lento? Il suo lucente gladio danneggiato era puntato contro il mio fianco destro, la punta aveva già scavano nella carne ma non mi aveva ancora lanciato un colpo deciso. Perché? Perché stava indugiando?

“Sei troppo debole, pensavo di meglio da te... “stratega”, mi spiace finire ora il gioco...” dette queste parole allontanò l'arma, fece poi un passo alla mia sinistra e mi lacerò con un potente tondo dritto il fianco sinistro.

Il sangue iniziò a schizzare forte, il dolore era lancinante, con questo colpo rischiavo di morire. Lui si piazzò dinnanzi a me, come una montagna guarda il piccolo torrente a valle, lui era così e mi fissava. Non potevo più far finta di nulla, i due dolori assieme erano tremendi, inoltre col fatto che ora il fianco sinistro era squarciato non potevo più premere col peso del corpo sulla gamba destra perché avrei rischiato di aprire di più la ferita sul fianco e così viceversa. La vista mi si stava annebbiando troppo rapidamente, il respiro faticava a proseguire regolarmente. Stavo morendo? No, non potevo morire, non ora. Si abbassò col volto e mi piantò un sorriso arrogante davanti.

“Quindi? Abbiamo finito la guerra? Chi vuoi salutare prima di lasciare come carne da macello questo mondo perduto, bastardo?”

Non riuscivo più a vederlo chiaramente, e nonostante non avessi forza alcuna nel mio corpo malridotto, ebbi la forza di estrarre la spada nuovamente e con un gesto deciso, raccogliendo le mie ultimissime energie, voltai il busto per caricare meglio il colpo. Forse l'ultimo, ma se dovevo piombare nell'Ade, lui sarebbe venuto con me a costo di rubare la catena ad Andromeda e legarmi a lui con essa. Il mio montante fu fulmineo. Gli riuscii a colpire il volto. Cadde. Il suo robusto corpo cadde violentemente a terra. Era morto.

La mia mano ancora proiettata in alto e con la lama sporca di sangue iniziò a tremare e la spada divenne troppo pesante. Le dita pian piano si aprirono lentamente facendola cadere al suolo. Molti soldati avevano visto la scena, soldati di entrambi gli schieramenti. Alcuni nemici indietreggiarono mentre alcuni mi corsero incontro per uccidermi, per vendetta. Alcuni alleati si piantarono davanti a me con la guardia alzata per difendermi, io non vidi più nulla e caddi sfinito e dolorante anch'io.

La guerra continuò senza sosta apparente, nessuno voleva in qualche modo perdere. Molto probabilmente era l'ultimo scoglio che ci separava dalla capitale. Riaprii lentamente gli occhi, davanti a me vi erano soldati che combattevano, non so come eravamo messi, ma con la perdita del loro capo, il loro morale si doveva essere abbassato notevolmente, probabilmente avevano perso terreno. Non potevo più continuare a combattere viste le mie gravi condizioni ma dovevo alzarmi per far vedere chi era realmente il vincitore di quella estenuante battaglia.

Allungai la mano destra per quanto riuscivo verso la spada precedentemente caduta, sarebbe divenuta il mio appoggio, il mio bastone. Se dovevo morire non potevo morire davanti agli altri, sarebbe stato un colpo tremendo per i nostri alleati vedermi morire, dovevo allontanarmi, dovevo andare nella foresta e lì poi abbandonarmi al destino.

Finalmente la mia mano rovinata dello scontro e ancora tremante riuscì ad afferrare la mia spada. Alzai piano il braccio ed impiantai il mio sostegno nel terreno con forza. Oramai la pioggia era cessata da diverso tempo e l'acqua che prima aveva allagato l'intero campo di battaglia era andata via via sparendo, assorbita dal terreno. La spada si impiantò abbastanza bene e potei alzare il busto scaricando il peso sul “bastone”. Appena mi alzai in piedi barcollante e sanguinante alcuni soldati si pietrificarono, sembravano aver visto un morto resuscitare fuggendo dalle grinfie dei demoni degli inferi.

“Lo stratega è vivo! È vivo!” urlò un soldato che era vicino a me a combattere.

“Lo stratega è vivo! Ha vinto! Ha vinto!” urlò un altro.

Urla di gioia si levarono dal nostro fronte. Nessun pezzo grosso era ancora caduto dei nostri, anche se io ero in fin di vita. Invece della loro parte non solo il capo dell'armata era caduto esanime, ma anche tre dei più valorosi ed importanti militari. Almeno pensavo, in base a ciò che dicevano le urla tra la folla.

Barcollando a destra e a sinistra cercai di voltarmi per raggiungere un punto smarrito della foresta dove poter morire senza che nessuno mi vedesse, ma non riuscivo a camminare, era già un miracolo che mi fossi alzato in piedi da solo. Caddi nuovamente per terra, non avevo energie, né adrenalina che potesse concedermene qualcuna per breve tempo. Rimasi appoggiato alla spada in modo da poter sorreggere almeno il busto, visto che le gambe erano oramai quasi completamente andate.

Un soldato a cavallo arrivò vicino a me, era uno dei cinque comandanti, anche lui con diverse ferite seppur non gravi come le mie.

“Stratega! Stratega! La prego si ritiri, monti sul mio cavallo e vada via, la battaglia oramai è quasi terminata, stiamo vincendo noi, il generale ha dato ordine di chiamare la cavalleria e sta arrivando, ben presto tutto sarà finito e potremo finalmente marciare sulla capitale portando con noi un'altra splendida vittoria.”

“Le armi... le armi d'assedio... sono... sono distrutte?” chiesi interrompendo ogni tanto il respiro per emettere quei pochi suoni.

“Sì, sì signore, quasi tutte! Anche la loro fanteria è caduta e la cavalleria sta perdendo terreno. Stiamo vincen...” dalla bocca del comandante uscì del sangue e gli occhi che prima emettevano gioia per la tanto attesa vittoria si spensero come il sole che cade oltre la terra e porta solo le tenebre. L'ultima parola del comandante fu un lento ed agonizzante gemito di dolore che si prolungava nell'aria in cerca della Moira. Il suo sguardo bianco, spento e vuoto, si chinò col capo verso l'addome, nel punto dove una lama lo aveva passato da lato a lato, eliminandolo con un sol colpo fatale. Mi paralizzai, era stato un mio amico. Un valido guerriero. Morto perché attaccato alle spalle. Morto di fronte ai miei già deboli occhi.

“Nooo!” urlai tra le lacrime. La mia mente non riusciva ad immaginare la morte di qualcuno a me caro, specialmente se a distanza di pochi centimetri. Avevo il suo sangue, che intanto continuava a colargli dalla bocca, in faccia e sulla mia armatura, o meglio i pezzi che rimanevano attaccati dell'armatura. Sopra di noi, un morto ed un defunto che cammina, le frecce volavano ancora alte e in lontananza le grida di dolore e gli strazi si levavano per l'aria tetra. Le armi continuavano a scontrarsi violentemente, senza sosta. Per quanto ancora doveva continuare questa insulsa guerra? In quanti erano già caduti per mano di persone che non si conoscevano?

Vidi chiaramente uno spettro vicino al mio amico che stava abbandonando questo mondo. Atropo! Lei era lì, senza occhi, avvolta in un manto scuro, che le copriva quasi tutto il corpo. Non riuscivo bene a distinguerla. Ma era lì. Dalle sue dita scheletriche pendevano un'infinità di fili, così tanti che si avvolgevano per intero su tutte le sue dita. Quelle mani continuavano a muoversi e alcuni fili le cadevano o si spezzavano. Uno di quelli era legato al cuore del comandante ed era molto teso. L'indice di Atropo si fece indietro e il filo d'un tratto si spezzò, nello stesso istante la spada che aveva lo trafitto venne sfilata lentamente, ed il suo corpo vuoto cadde di lato senza più un'anima che lo riempiva.

“Atropooo!” urlai. “Essere bastardo! Perché!? Perché lo hai ucciso?”

Il fato era lontano ma sentito il suo nome si voltò mentre le dita continuavano a muoversi, alla mia destra per aver piegato indietro il mignolo morì un soldato per una freccia che lo centrò nella fronte, nell'esatto punto dove era legato il filo, che si spezzò e cadde al suolo sparendo nel nulla.

Mi voltai dove doveva in teoria essere quell'essere. Invece, era davanti a me a poco più di cinque centimetri dal mio volto, dal mio sguardo oramai congelato. Guardai dentro le sue vuote orbite. Tremavo, sudavo e mi ero pisciato addosso. Mai nella mia vita la morte mi fu tanto vicina da poterne sentire l'odore. E da poterla vedere. Le parole non riuscivano ad uscire dalle mie labbra, nessun mio movimento, nemmeno il pensiero, né il cuore riuscivano a muoversi. Ero paralizzato.

Mi fissava come un dottore studia il suo paziente, forse per capire dove e come avrebbe dovuto uccidermi.

“Tu. Non morirai. Oggi.”

Ero pietrificato. Le statue forse sarebbero sembrate più ferme di me in quel momento.

Poi alzò un dito, l'anulare destro, dove vi era un filo lungo, lo tirò leggermente e vidi uscire dal mio cuore quel filo e tendersi fino ad essere parallelo al suo dito. Chinò il capo leggermente. Io non riuscivo ancora a muovermi.

“Tu. Mi. Temi? ” chiese col capo chinato.

Aprii poco la bocca ma non non riuscivo a parlare. Non riuscivo nemmeno a respirare. E le ferite continuavano a pulsare, anche se il dolore non era una delle mie priorità in quel momento. Ero dinnanzi al fato in persona. Ero dinnanzi alla morte. A lei.

Iniziai a tremare e piano piano bisbigliai “N-n-no...”

Il fato saltò in aria volando e chiuse le braccia a croce sul petto tirando un centinaio di fili nello stesso momento. Rideva. La sua risata era un suono assordante, acuto e profondo, come il dolore prima dell'ultimo attimo di vita. Poi sparì dalla mia vista. Sapevo che era lì, ma non riuscivo più a vederla.

Sbattei le palpebre per poter snebbiare la vista, anche solo un poco. Di fronte a me c'era ancora il comandante, la lama era ancora nel suo addome. Cosa stava succedendo? Non capivo. Lui doveva essere morto, lo avevo visto coi miei stessi occhi. Eppure era lì, ancora una volta.

D'un tratto la spada che lo aveva ucciso si sfilò lentamente e il comandante senza più vita cadde sul lato. Era agghiacciante rivivere ancora una volta la sua morte. Piangevo senza interruzione ed urlavo parole di disperazione in greco. Non potevo più controllare il mio corpo, la mia fragile mente non aveva più alcun controllo sul mio fisico.

Voltai lo sguardo alla mia destra, sapevo già chi doveva morire. E così fu. Il soldato venne centrato da una freccia in piena fronte cadendo poi in terra.

Due armi di assedio esplosero tra le fiamme ed un centinaio di soldati che stavano combattendo lì vicino e non fecero in tempo a fuggire vennero arsi dalle potenti fiamme o scaraventati chissà dove. Quanti uomini avevano perso la loro vita in questo scontro?

Il mio respiro pian piano si stava calmando ma il dolore tornava più impetuoso di prima, dovevo scappare, ero ancora nel mezzo dello scontro.

Cercai di alzarmi, sempre reggendomi sulla mia spada. Poi sentii una voce vicino a me.

“Dove credi di andare ragazzo? Ti avevo detto di non provocarmi!”

Alzai subito lo sguardo terrorizzato. Era lui. Era ancora vivo. Merda! Il suo volto era sfregiato da un profondo taglio e aveva un occhio chiuso, probabilmente lo aveva perso. Anche lui ora era messo male, ma contrariamente a me lui non barcollava, e non dava segni di dolore, nonostante il sangue continuasse a colare. Sorrisi alla vista della ferita che gli avevo causato. Era arte. Arte della guerra. Chissà quanto dolore stava nascondendo.

Iniziò a correre velocemente verso di me, io cercai in tutti i modi di indietreggiare ma non riuscivo a voltarmi, mi bastava anche solo fare due passi che dietro di me c'era il cavallo lasciatomi per fuggire. Si stava scagliando contro di me come un animale feroce attacca la sua preda, come il Minotauro contro il grande Teseo, se solo mi avesse travolto col suo possente corpo mi avrebbe ucciso, dovevo a tutti i costi uscire dalla sua traiettoria, dovevo assolutamente salvarmi e schivare la sua carica impetuosa.

Alzai la spada con tutte le mie energie, ma non superava nemmeno il bacino.

“Getta immediatamente quella spada uomo! Se sei di parola, gettala a terra!”

Guardai la sua mano destra. Merda! Impugnava l'arma del patto. L'aveva presa ed io me ne ero completamente dimenticato. Gettai la mia arma al suolo.

“Adesso tu morirai!” urlò.

In quell'istante mi vennero in mente le parole della Moira “Tu. Non morirai. Oggi.” e mi ricordai che eravamo in mezzo ad un duello di fondamentale importanza. Dovevo assolutamente vincerlo, vincere a tutti i costi. Vincere! Ma come? Come vincere?

Una freccia scagliata dalla sua destra lo colpì nel fianco. Il colpo lo passo da parte a parte, era un lancio inumano. La freccia intera era passata in mezzo al possente corpo senza fermarsi. Chi era stato? Qual'era la divinità che lo aveva colpito con tanta violenza e che mi aveva salvato la vita? Chi era?

Il colpo fu tremendo, tanto da fargli cadere la spada di mano e farlo tentennare per qualche passo, ma non abbastanza da fermarlo. Era un colosso, un colpo del genere avrebbe dovuto uccidere una persona normale anche dopo un allenamento di anni. Anzi già il mio colpo precedente avrebbe dovuto ucciderlo. Ed invece era ancora vivo.

Affondò il suo passo titanico sul terreno e caricò il destro. Io di riflesso feci lo stesso, speravo che il danno si sarebbe potuto ripercuotere solo sul braccio, ma almeno il busto non avrebbe subito ulteriori danni, potendo aggravare ulteriormente la mia già drastica situazione. Sfortunatamente per me, il mio pugno lo mancò o il suo mancò il mio. Il mio fragile destro riuscì comunque a farlo ciondolare, anche se sapevo che erano state le ferite subite e non il mio colpo; invece il suo destro era carico di rabbia e violenza. Mi ruppe le costole, non so quante, ma lo scricchiolio delle ossa rotte era chiaro. L'urto mi fece alzare da terra e poi cadere tre metri più indietro, più vicino all'animale che fortunatamente non si imbizzarrì.

Lui poi tornò a prendere l'arma prima caduta. Tornò da me e mi salì sopra in modo non solo da amplificare il mio dolore ma anche per evitare che potessi fuggire o che il colpo fatele potesse mancarmi.

“Adesso... tu... morirai... stronzo!”

Potevo chiaramente sentire i miei sensi attivarsi in contemporanea, era accesi per vedere il mio ultimo respiro. Lui tremava. Non poteva resistere nemmeno lui senza cure adeguate, era gravemente ferito. Il suo sangue colava sul mio corpo, sul mio viso. Alzò la spada. Io, anche avendo energie per brandire un'arma, non avrei potuto per via del patto sancito. Se dovevo morire allora sarei morto con onore, conscio di aver ridotto in fin di vita uno come lui.

“Vai all'inferno!” urlò con tutta la furia che aveva in corpo.

Poi non riuscii più a sentire nulla. Chiusi gli occhi e strinsi forte per l'ultima volta la terra che avrebbe accolto il mio cadavere. Poi la lama si abbassò. 

  
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