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Autore: RainbowCar    04/08/2014    1 recensioni
FF iniziata quando DAI non era ancora stato rilasciato. In questa storia gli eventi di Inquisition non sono mai accaduti: ho scelto di immaginare i miei eroi e le loro storie; personaggi nuovi che inevitabilmente incontrano quelli di DA:O e DA2.
"Era tutto perfetto. Mio padre e mia madre si abbracciavano sorridenti mentre mi guardavano giocare col mio fratellino. Il sole splendeva alto nel cielo e il lago Celestine luccicava come uno zaffiro. C’erano uccelli e cerbiatti, e nug. E c‘era un drago. Un drago enorme, mostruoso. Era venuto per uccidere."
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Custode, Hawke, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ancora quegli incubi. Un enorme drago, orde di prole oscura. Invocavano il suo nome. Una sensazione di angoscia ed esaltazione al contempo. Le Vie Profonde lo stavano chiamando. Poi all’improvviso lo scenario cambiava, diventava tutto confuso, annebbiato, i Prole Oscura si trasformavano in demoni. Era l’Oblio quello e il suo amico nonché nemico non era in grado di aiutarlo. Una parte di lui si sentiva a casa, l’altra avrebbe voluto strapparsi il cuore dal petto per non provare più quella sensazione di vuoto.
Aprì gli occhi, con la speranza di scacciare quelle immagini dalla sua mente, ma non ci riuscì, erano immagini troppo vivide, reali. La fine stava arrivando.
Era passato un altro giorno e Anders peggiorava sempre più. Ogni tanto le epistassi gli davano un po’ di tregua, ma poi ricominciavano più copiose di prima.
Sapeva che quel giorno sarebbe arrivato presto, sapeva che sarebbe morto da solo, sapeva che era ciò che si meritava. Era diventato un custode grigio solo per sfuggire al circolo e poi era diventato un terrorista per lo stesso motivo. Si chiese come sarebbe stata invece la sua vita se fosse rimasto al sicuro, nella torre. Che pensiero sciocco. Al sicuro? Aveva tentato in tutti i modi di fuggire dal circolo e aveva perorato la sua causa fino a quel momento, e in punto di morte stava forse rinnegando tutto quello che aveva fatto?
E poi se fosse rimasto al circolo la sua vita sarebbe stata ben più vuota. Non si sarebbe mai innamorato, non per davvero. Non l’avrebbe mai conosciuta.
Ecco che ricominciava a scorrere.
Si portò un fazzoletto al viso e trattenne il fiato. Guardò la stoffa. Candida. Era stata solo un’impressione.
Purtroppo anche gli incantesimi di guarigione stavano perdendo la loro efficacia, ormai non funzionavano più. I suoi poteri lo stavano abbandonando, così come la sua linfa vitale. Aveva a malapena la forza di accendere un fuocherello, per questo faceva in modo che la fiamma non si spegnesse mai, tenendo le torce sempre accese. Era rimasto un solo ramo. Avrebbe voluto cercarne altri, ma non era riuscito a muovere un passo verso la foresta, se ne stava lì, seduto a terra, aspettando il buio.
Poi, all’improvviso, un rumore. Una presenza. La figura si nascondeva nell’ombra. Ma Anders aveva capito immediatamente di chi si trattasse.
“Sapevo che ti avrei rivisto” affermò con il suo ultimo sorriso beffardo, “il destino è crudele. Ma forse non è ancora troppo tardi per dirti quello che penso…”
 
Aveva viaggiato in fretta. Non aveva quasi riposato. Doveva raggiungerla. Ma per quale motivo? Cosa voleva fare? Fermarla? Impedirle di vederlo? Ucciderlo prima che lei potesse essere solo sfiorata da quelle mani sudice, abbagliata da quel sorriso ipocrita, abbindolata da quell’impostore? No. Hawke non era stupida. Non sarebbe caduta nei suoi tranelli. Inoltre aveva già fatto la sua scelta diversi anni prima.
Sapeva che non l’avrebbe mai lasciato, eppure quello stupido sentimento di gelosia misto a disprezzo per quel mago che li aveva traditi tutti, lo portava a fare i pensieri più squallidi e Hawke non se lo meritava.
Allora perché era lì?
Dopo tutti quegli anni sentiva che quella storia non era chiusa. Forse non era lì per Hawke, era lì per sé stesso. Aveva bisogno di fare chiarezza, di capire fin dove il suo odio l’avrebbe spinto.
Fenris aveva trovato il suo rifugio.  Non era stato facile, per una volta Varric aveva tenuto la bocca chiusa, almeno con lui, anche se sapeva che Liraya era a conoscenza di dove fosse, non era tanto ingenuo.
Spesso si svegliava di soprassalto con la paura che lei fosse fuggita durante la notte per andare da lui. Era un pensiero sciocco eppure riusciva a turbargli il sonno. In quei casi gli bastava aprire gli occhi e vederla dormire accanto a lui, allora si rasserenava e si rendeva conto che lei non sarebbe mai stata capace di fargli questo. L’amava. Si amavano. Lo sapeva bene e aveva smesso di chiedersi da tempo il perché. Non perché lui amasse lei, ma perché lei avesse scelto lui. Non credeva di meritare tanto, eppure Hawke era stata capace di cambiarlo, di mitigare l’odio che gli avevano insegnato a provare, di credere finalmente di meritare qualcosa di bello, la cosa più bella che potesse immaginare. L’amore, una famiglia, una casa. Bethany. Carver. Hawke.
 
Aveva sentito la giovane elfa che era venuta con lo strano gruppo, parlare della foresta di Brecilian, venivano da lì, dunque Anders doveva essere da quelle parti.
Qualche ora prima aveva incontrato una Dalish alle porte della foresta. Le aveva detto apertamente che cercava l’eretico fuggitivo. All’inizio l’elfa era stata titubante, ma poi lui le aveva raccontato che era uno dei suoi compagni di Kirkwall e che era anche lui in fuga assieme ad Hawke e agli altri.
Sperò che gli credesse, e infatti fu così. Probabilmente l’elfa pensò che nessuno avrebbe rischiato di spacciarsi per un fuorilegge e poi la solidarietà elfica aveva fatto il resto. Evidentemente per lei un umano, per quanto ben accetto, era sempre meno importante di un elfo.
Gli aveva indicato dove andare e lui l’aveva trovato.
Era quasi buio. Un palazzo in rovina. In un certo senso gli si addiceva. Anders in fondo un tempo doveva essere stato una roccia, prima che crollasse sotto il peso di Giustizia. Non l’aveva mai ammesso ad alta voce ma aveva ammirato il suo coraggio, la sua storia prima di fare lo sbaglio più grande della sua vita. Aveva anche lui deciso di fuggire da un destino già segnato, fatto di prigionia, schiavismo. Non poteva biasimare di certo il circolo per aver tentato di tenere rinchiuso un soggetto come quello visto ciò che era stato capace di fare, ma adesso capiva, dopo aver conosciuto Hawke, dopo averla amata, che la magia non è sempre qualcosa che ti rovina la vita. Sorrise a quel pensiero. Aveva anche una figlia maga. Chi l’avrebbe mai detto. In fondo la magia era anche nel suo sangue… sua sorella stessa era una maga.
Aveva ripensato più volte a lei. L’aveva uccisa con le sue mani. Non se ne pentiva, ma doveva farci i conti tutti i giorni. A volte era facile distogliere il pensiero, altre volte invece trovava conforto solo tra le braccia di Hakwe. Non doveva dirle niente, a lei bastava guardarlo per capire cosa gli stesse passando per la testa e dopo tutti quegli anni aveva ancora la pazienza di avvicinarsi, accarezzarlo e farlo sentire al sicuro.
Quanto l’amava. E quanto era fortunato. Anders non lo era stato altrettanto.
 
 I passi riecheggiarono nell’oscurità.  La sua voce li accompagnò.
“Sapevo che ti avrei rivisto”
Fenris fece il suo ingresso nella stanza. In mano aveva dei rami raccolti nella foresta. Li gettò nel fuoco, senza dire una parola. Quando la stanza fu più illuminata, potè vedere bene in viso Anders. Ebbe quasi un sussulto nel vederlo in quello stato. Il volto era scavato, consumato dallo spirito che lo possedeva forse, gli occhi arrossati, ridotti a piccole fessure cerchiate di nero. Eppure sorrideva.
“Il destino è crudele, ma forse non è troppo tardi per dirti quello che penso…”
Fenris lo interruppe con una smorfia di disgusto, distogliendo gli occhi da ciò che rimaneva di lui.
“Quello che pensa un abominio non è affar mio”
“Però sei venuto qui”
“Non sono venuto per te” affermò sprezzante l’elfo.
“Lo so. Ma lei è già andata via. Allora perché sei ancora qui?”
Hawke era già andata via. Dunque si erano visti? Cosa si erano detti? Cosa era successo?
Non avrebbe voluto farsi tentare dalla gelosia in quel momento. Dubitava fortemente che tra i due fosse accaduto qualcosa, eppure una sorta di fitta allo stomaco non potè impedirgli di farsi quelle domande.
Non dovette umiliare sé stesso e Hawke ponendole. Anders lo anticipò, con quella sorta di arroganza che gli era sempre appartenuta.
“Non hai nulla da temere, non ci siamo nemmeno incontrati. E’ venuta qui, ma non ha mai varcato quella soglia”
Nelle sue parole c’era un misto tra rammarico e gioia. Era talmente difficile indovinare cosa stava provando in quel momento che Fenris non ebbe la forza di rinfacciargli che sapeva benissimo quanto Hawke lo amasse e che di sicuro non l’avrebbe mai tradito.
“Non ti ho chiesto niente” disse solo.
“Lo so. Ma non mi hai nemmeno risposto”
Il silenzio che seguì sembrò più lungo di quanto non fosse in realtà.

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Quando riaprì gli occhi le sue pupille non riuscirono a catturare nessuna immagine. Era completamente buio, ma ben presto si abituò a quell’oscurità. C’era una presenza accanto a lei, non si era sentita sola nemmeno per un attimo. Allungò una mano e accarezzò quei lunghi capelli biondi, così soffici, così familiari. Ne sentiva il profumo. Fieno, misto a erba e terra. Era un odore pungente, ma non fastidioso. Era un odore che conosceva bene e in cui si rifugiava quando il suo cuore era attanagliato da troppi pensieri. Bastava un abbraccio, quell’odore l’avvolgeva e lei si sentiva immediatamente meglio. Anche adesso si sentiva meglio, la febbre doveva essere calata.
Zevran stava dormendo al suo capezzale.
Giocherellò ancora un po’ con quei capelli dorati, poi tentò di alzarsi senza fare rumore, per non svegliarlo. Era brava a muoversi furtivamente, ma non avrebbe potuto ingannare i sensi dell’elfo.
“Come ti senti?” bisbigliò lui ancora assonnato, senza abbandonare la sua posizione.
“Sto bene” rispose Lavriella, “ma ho decisamente bisogno di fare un bagno”
“Indubbiamente puzzi” sentenziò lui.
Una smorfia di disappunto apparve sul volto della regina e Zevran non potè fare a meno di levare il capo dalle coperte per guardarla. La sua Lavriella era decisamente tornata. L’aveva fatto preoccupare, ma adesso sembrava completamente guarita, tanto da avere la forza di lanciargli un guanciale in faccia per la sua battuta poco gradita.
“Non c’è bisogno di sottolinearlo!” disse stizzita, mentre si rialzava, non senza difficoltà. In effetti le girava ancora un po’ la testa, tanto che Zevran dovette sorreggerla finchè non dichiarò di potercela fare da sola.
 
Due giorni dopo Lavriella si era completamente ripresa. Adesso se ne andava tranquillamente a spasso per l’accampamento e raccoglieva scorte per ripartire prima possibile.
Fu mentre raccoglieva delle radici che incontrò Hawke.
Entrambe sapevano bene chi fosse l’altra. La fama di Hawke era giunta fino a Denerim in diverse occasioni. Alistair l’aveva persino incontrata a Kirkwall, descrivendone poi l’aspetto fiero ed elegante e l’arguzia e l’intelligenza. Lavriella aveva persino provato un’effimera fitta di gelosia sentendo parlare in quel modo di lei da suo marito. La ragazzina di Lothering era diventata una celebrità nei Liberi Confini… per poi diventare una ricercata. Si vociferava che fosse tornata nel Ferelden, ma non credeva di certo di ritrovarsela di fronte. Comunque lei non aveva nessun interesse nell’imprigionarla, sapeva bene che certe volte si doveva giocare sporco per uno scopo superiore. Di certo non approvava la distruzione della chiesa e la morte di tante persone innocenti, ma era consapevole che non era stata colpa di Hawke e che gli eventi l’avevano semplicemente travolta costringendola a fare una scelta. Aveva scelto di difendere i più deboli. Non poteva biasimarla. Lei stessa aveva cercato di impedire l’annullamento del circolo del Ferelden, non sarebbe stata tanto ipocrita da incolpare qualcun altro di aver agito allo stesso modo.
Hawke conosceva il volto della regina, sebbene avesse incontrato di persona solo il re. Il ritratto dell’eroina del Ferelden era giunto anche a Kirkwall, tutti erano a conoscenza delle sue gesta, chiunque l’ammirava e le era riconoscente per aver ucciso l’arcidemone. Non aveva paura che potesse rivelarsi una nemica, nessuno meglio di lei poteva capire quanto costasse prendere delle decisioni difficili a discapito di altri.
C’era una sorta di empatia tra loro.
In un certo senso le loro vite si erano sfiorate, incrociandosi da lontano tramite eventi e persone in comune. Solo che si erano concluse in modo differente. Lavriella era amata da tutti e accolta a braccia aperte ovunque andasse, mentre Hawke era costretta a nascondersi e a vivere nell’ombra. Ma Hawke non invidiava la popolarità di Lavriella. C’era passata e sapeva quanto pretendessero gli altri da chi avesse una posizione importante, in un certo senso dover fuggire e nascondersi era stata la sua salvezza. Apprezzava la sua vita tranquilla, anche se certe volte il continuo doversi nascondere era pesante. Ecco perché se ne andava liberamente in giro per l’accampamento Dalish senza mantello e cappuccio, nonostante il freddo.
Le due donne, quasi come fossero vecchie amiche, si soffermarono a chiacchierare, sorprese di scoprire quanti eventi comuni avessero segnato le loro vite tramite intrecci inaspettati.
 
Quella mattina Zevran aveva deciso di unirsi ai cacciatori e aiutarli per ripagare la loro ospitalità, Fenris invece, stava cercando ancora la sua compagna, dopo aver seppellito Anders.
 
 
“Sono qui per me stesso” gli aveva risposto infine.
“Il solito egoista…” sospirò Anders, mentre la consueta espressione dura si stagliava sul volto dell’elfo.
“Senti chi parla” si affrettò a rinfacciargli Fenris, ma il mago non colse la provocazione.
“Ascolta” gli disse invece, “voglio dirti che ti ammiro, e che ti ringrazio”.
Di sicuro l’elfo non se l’aspettava. Restò in silenzio, in attesa che Anders continuasse.
“Hai fatto per Liraya più di quanto avrei mai potuto fare io. Posso ammettere senza rimpianti di essere felice che ci sia tu al suo fianco, per quanto la ami… l’avrei solo fatta soffrire.”
‘Non ti rendi conto che l’hai comunque fatta soffrire?’ avrebbe voluto dirgli Fenris. ‘Lei soffre per te’
Quella consapevolezza era simile a una stretta al cuore, sembrava che qualcuno gliel’avesse afferrato come aveva fatto in passato lui coi cuori di molte persone.
Ma per quanto odiasse o avesse odiato Anders, non riuscì a dirgli che ormai il danno era fatto. Che Liraya versava ancora lacrime per lui. Non sarebbe stata una gioia, un motivo di orgoglio. Fenris sapeva che ciò avrebbe solo distrutto quel che rimaneva di Anders. Era quello che aveva sempre desiderato, cancellarlo dalla faccia della terra, eppure era lì… incapace di arrecargli altra sofferenza. Avrebbe potuto, ma non voleva. Era veramente cambiato.
Parlarono per delle ore, discorrendo di eventi passati ma soprattutto di Hawke, di quanto fosse ancora incredibilmente bella e forte, spavalda, decisa.
Poi le epistassi ricominciarono e la luce del fuoco si affievolì.
Fenris non avrebbe mai pensato che avrebbe condiviso quel momento con colui che aveva odiato in tutti quegli anni, non avrebbe mai pensato di confortarlo in silenzio nei suoi ultimi istanti di vita, né avrebbe mai pensato di piangerlo. Una lacrima scivolò sul suo viso quando pronunciò quelle parole.
“Lei non ti ha mai dimenticato”
Ma non seppe dire se Anders le avesse sentite o meno. Quella confessione gli era costata molto, per quanto fossero parole dette a un moribondo. E quella lacrima che cadde su quel viso ormai spento, fu il concretizzarsi di mille angosce ed emozioni contemporanee.
Anders era morto, tra le sue braccia.
Fenris non riusciva che a pensare a Hawke. Non riusciva che a pensare a sé stesso. Un misto tra sollievo e paura. Terrore per come avrebbe preso lei quella notizia. Sollievo perché finalmente quello spettro era uscito dalle loro vite eppure tristezza perché una parte importante di lui se n’era andata per sempre.
Nel Ferelden era usanza bruciare i morti, ma un fuoco di quelle dimensioni avrebbe potuto attirare degli elfi e non voleva dissacrare con una folla di curiosi gli ultimi istanti col suo ex compagno di avventure.
Così si occupò del corpo nel solo altro modo che conosceva, scavando una buca abbastanza profonda da poter seppellire le spoglie, che ricoprì poi con delle pietre. Su una delle pietre più grandi incise una scritta:
‘Qui riposa il Giusto, ove Vendetta non trovò pace’
  
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