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Autore: topstiel    04/08/2014    1 recensioni
Sei seduto in un letto, e la tua immagine sprofonda nel buio.
Accanto a te, dorme serenamente un bellissimo sconosciuto,
non lo conosci, ovvio, ma il modo in cui le tue dita scorrono lungo la sua pelle
ne tracciano i contorni e si arricciano in una soffice presa,
giuri di averlo fatto per anni.
{AU, Castiel è l’adorabile hipster più conosciuto di tutta Berkeley, ma nessuno sa quanto sia ridotto in pezzi. Dean, meccanico part time ed impertinente fratello maggiore, per fortuna, ha una buona scorta di colla e nastro adesivo.}
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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✖ ETERNAL ✖
2. agg.
  destinato a durare quanto il mondo

 

Ogni anno, in un giorno di tardo novembre, il posto solitamente occupato da Castiel in treno è vuoto. L’Università è privata della sua silenziosa presenza, e Balthazar e Meg sono soliti rivolgersi uno sguardo d’intesa, ignorando i continui fastidi degli altri studenti, curiosi dalla continua assenza del loro amico in quella particolare giornata.

Castiel spegne la sveglia prima che possa suonare. La sua stanza è avvolta dal buio, e un raggio di luce, proveniente dalle serrande, solletica le ombre, giocando a creare indefinite forme. Si perde ad osservarle, Castiel, poi, come scosso dalla realtà della situazione, si alza dal proprio letto con un movimento stanco.

Si riflette davanti allo specchio del bagno, e i solchi sotto ai suoi occhi sembrano più spessi; la sua identità è spezzata e il vuoto protetto dalle sue costole lo corrode più velocemente del solito. 
Si veste in modo diverso. Lo fa solo quel giorno, perché, per una volta, cerca di fare ciò che è giusto.
La cravatta è messa inconsciamente al contrario ed il nodo è troppo stretto, mentre la giacca nera che indossa sotto il suo trench inizia a stargli piccola. I suoi capelli spettinati vengono tirati all’indietro con un accenno di gel. Castiel si guarda di nuovo allo specchio, e i suoi occhi riescono a proiettare la maschera di un uomo che tanto ammirava, indossata da ciò che n’è rimasto di lui.

Mentre siede in cucina, sorseggiando frettolosamente un caffelatte, sente una porta aprirsi e, subito dopo, vede Anna scostare la sedia davanti a lui e sedervisi.
Castiel la ignora, poggiando la tazza sul tavolo ed alzandosi. Si prende un momento per aggiustarsi la camicia spiegazzata e, prima che possa scomparire dietro l’ingresso, sua sorella si decide a parlare. 

“Non devi farlo da solo.” Dice con tono basso, e, anche se le dà le spalle, Castiel conosce lo sguardo pieno di amarezza e pena che gli sta rivolgendo. Non ricevendo alcuna risposta, Anna lo affianca, posando una mano sulla sua spalla per incitarlo a guardarla mentre gli parla. “Io e Michael andremo a fargli visita questo pomeriggio. Vieni con noi, Cassie.”

Castiel evita il suo tocco, fa un passo avanti e poi esita, prima di afferrare saldamente la maniglia della porta principale. “Cosa ne sapete voi?” domanda, serrando la mascella e sentendo la sua stessa voce tremare, mossa da un sentimento a cui deve ancora dare nome. E’ rabbia, è insicurezza, è una voragine che gli permette a stento di respirare.

“Abbiamo fatto i nostri errori, ma ciò non significa che—“ replica Anna, ma, prima che possa terminare di giustificarsi, Castiel spalanca la porta con uno scatto e corre verso il giardino, non volendo sentire altro, se non il pacifico silenzio di un cimitero.


I fiori di pesco sono il simbolo dell’eternità. Gliel’ha assicurato Joshua, il fiorista da cui Castiel ne compra un mazzo ogni anno. 
Sono piccoli e delicati, ed il loro profumo si imprime nella pelle di Castiel, che stringe il manubrio della sua vecchia bicicletta mentre il sole sorge pigramente, illuminandogli la strada davanti.
I rami dei fiori, avvolti da un fascio di carta color verde pastello, sono poggiati sul cestino anteriore della bici, e vibrano mossi dalla velocità con cui Castiel pedala.

La città inizia a svegliarsi: i padroni dei vari bar e caffetterie sollevano le serrande e mettono in forno le paste per i clienti mattutini, qualche studente che abita lontano dalla propria scuola attende l’autobus nell’apposita fermata, sorreggendo un libro e cercando, probabilmente, di imprimersi nella mente formule e date storiche, mentre uomini in giacca e cravatta si avviano verso il proprio ufficio, ignorando gli sguardi disperati di ubriachi senzatetto.
Castiel li supera tutti, sfrecciando su un marciapiede vuoto, la testa altrove. 

Una volta arrivato di fronte all’imponente cancello del cimitero, lascia la bicicletta all’ingresso e, dopo essersi assicurato di aver ben saldato il lucchetto, prende i fiori e se li porta al petto, oltrepassando la soglia d’entrata.

La tomba di James Novak è esattamente come l’ultima volta che si è recato a visitarla.

Il suo nome è inciso in lettere cubitali, affiancato da due date ed una frase che Castiel conosce a memoria. “Che importa l'eternità della dannazione a chi ha trovato, per un attimo, l'infinito della Gioia?” recita ad alta voce, facendo un gesto di saluto verso la lapide. Su di essa, inoltre, c’è una cornice circolare con dentro una foto. Castiel la saprebbe descrivere ad occhi chiusi, anche perché è stato lui stesso a scattarla.

In un tratto è inverno, e il calendario ricorda che mancano solo pochi giorni al termine del duemila e nove. Il giardino è pieno di neve, e la casa pullula di voci e persone, dalla risata di Gabriel al tono serio di Michael.
Castiel siede sui gradini che conducono all’ingresso, tiene una sigaretta tra le dita (le quali si intravedono appena dai buchi sui guanti) e rimira il cielo bianco, chiedendosi se nevicherà ancora. 
Sente il cancello cigolare ed aprirsi, quindi alza subito lo sguardo, spegne la cicca con la suola degli anfibi e si sistema la tracolla della macchina fotografica attorno al collo. Mentre si alza, si stringe del cappotto verde militare, e i suoi occhi incontrano uno sguardo identico al proprio.

"Cas," dice James con enfasi e, solo in quel momento, Castiel nota una ragazza bionda dietro suo fratello arrancare sul marciapiede per non scivolare sul ghiaccio. Si aggrappa al braccio di lui ed accenna un sorriso a Castiel, assumendo, poco dopo, la solita espressione da: "Santa merda, siete proprio uguali."

"Fratello," saluta Castiel, spostando l’attenzione sulla figura accanto a Jimmy, chiedendo silenziosamente spiegazioni con il linguaggio telepatico, che, probabilmente, i gemelli iniziano a creare quando sono alti mezzo metro e si trovano in cucina a sgraffignare biscotti mentre dovrebbero essere a letto.

Jimmy s’illumina, poi cinge con una mano le spalle della sua compagna. “Ti ho parlato di Amelia, no?” dicendo ciò, gli fa l’occhiolino.

"Ah! La famosa Amelia, è un piacere conoscerti." Castiel fa un cenno positivo con il capo, e Amelia allunga una mano verso di lui. Castiel la fissa per un momento, poi gliela stringe gentilmente. "Mi dispiace che tu ti sia beccata quello meno affascinante." le sussurra scherzosamente, e James rotea gli occhi al cielo.
Amelia ride, dando un pizzicotto al suo ragazzo. “Jimmy è okay, per me.” dice con sincerità, per poi voltare il viso per incontrare quello di James, che le sorride con adorazione.

Castiel tossisce, imbarazzato. Si dà una veloce occhiata intorno, lasciando che i due abbiano il loro momento di intimità, poi afferra la propria macchinetta e rimuove l’obbiettivo, tenendolo tra il medio e l’indice della sinistra.

"Un sorriso dalla coppia dell’anno?"

La neve si ritira, e il cielo torna scuro. Pontiac è lontana. Davanti a lui non vi è più la sua metà sorridente, ma solo un mucchio di ossa e cenere sottoterra. 
La foto rivela al mondo il vero James Novak, con addosso il suo immancabile trench e gli occhi luminosi, eterni. Sorride, come aveva fatto quella volta che tornò a casa tenendo per mano un Castiel piangente, il suo viso pieno di segni rossi e i pantaloncini strappati per aver fatto a botte con qualche bulletto che non la smetteva di prendere in giro suo fratello per il suo nome. Come quella volta, a sedici anni, quando rimasero l’intera notte a guardare le stelle e bere birra, parlando d’infinito e piume di pavone. Come quella volta che lesse la lettera d’ammissione all’Università di Castiel con il petto gonfio per l’orgoglio. 
James sorride.

"Uhm." Castiel prende parola dopo aver fissato il grigio della lapide per diversi minuti. Si china per posare il mazzo sul suolo e, sfuggendo all’esitazione, si lascia cadere a terra, sedendosi a gambe incrociate. Si schiarisce la voce con un colpo di tosse, aggrappandosi ai lembi dell’impermeabile che, nonostante i frequenti lavaggi, porta ancora l’odore di suo fratello.

Allunga una mano, Castiel, sfiorando, con un gesto delicato ed affettivo, le lettere che formano il suo nome. Il suo sguardo è fermo su un punto indefinito, mentre la sua mente è intenta a lavorare su cosa dire, quali parole scegliere e, soprattutto, quale sentimento provare. 

Non si cura del freddo vento di novembre che continua a tentare di far tornare i suoi capelli esattamente com’erano quando si è alzato dal letto. Ignora le persone che passano accanto a lui con vistosi fiori tra le mani e che si sporgono verso il basso per accendere candele, per poi premersi contro chi le ha accompagnate, piangendo e singhiozzando per l’assenza di un loro caro.
Castiel non piangerà.

"Mi dispiace, ma Gabriel non potrà deliziarti con la sua presenza, oggi. Verrà il prima possibile, mi ha detto." parla con tono basso. "Nemmeno Nick verrà, ma tu e lui non andavate molto d’accordo in ogni caso. Posso capirti." Accenna una nervosa risata all’ultima frase, giocherellando con dei poveri steli d’erba finiti sotto le sue mani.

I suoi occhi inciampano sui fiori poggiati contro la lapide, e la curva della sua bocca si fa più pronunciata, anche se di poco. 
“All’Università va tutto bene, proprio come ti aspetti che vada. Essendo l’ultimo anno, ammetto di avere un po’ di ansia. Ma i miei professori hanno fiducia in me e io ne ho nel mio lavoro.”

Parla della scuola, Castiel, di ciò che, probabilmente, aveva reso Jimmy fiero di lui più che mai; spiega con termini artistici gli argomenti che vuole portare al prossimo esame e di come i lavori che gli vengono commissionati aumentino di giorno in giorno. Contenendo l’entusiasmo che probabilmente non riuscirebbe a non mostrare se suo fratello fosse lì, parla della tela a cui sta lavorando da settimane, come testimoniano le sue dita ormai perennemente sporche di tempera verde e blu. Ne è orgoglioso, e, testuali parole: “E’ il quadro della mia vita.”

Cala il silenzio, o, forse, c’è sempre stato e Castiel non ha fatto altro che comunicare telepaticamente i propri pensieri, correndo tra i lunghi corridoi del suo palazzo mentale.

La sua figura ansante si volta invano a guardare la strada percorsa, realizzando con terrore il buio che la sta facendo dissolvere, e una luce lo circonda, facendolo brillare come se tenesse una lanterna tra le mani. Porta la sua attenzione davanti a sé, ed è il nulla ciò che vede. Nessuna crepa nelle mura della sua mente, alcun tubo rotto, solo il vuoto. 

Tenta di allungare la mano, ed il bagliore emanato dal suo corpo lo segue, promettendo sicurezza e ricordi. Cammina, i suoi passi sono sonori sul pavimento, fino a che riesce a sentire le suole consumarsi e i suoi piedi nudi atterrare su un prato d’erba. Fino a che riesce a provare qualcosa.

Il suo passo accelera, scivola sul concetto dell’eterno ed il retro del trench si bagna al contatto con la patina di rugiada che dorme sulla coperta fatta di fini steli verdi. I suoi occhi si aprono per la prima volta dopo essere sprofondati nell’oscurità, ed è come aver pulito le lenti dei propri occhiali dopo una giornata impegnativa; chiaro, pulito, puro.


“Parlavi sempre dell’eternità, tu.” Mormora, rivolto con la testa alle nubi bianche rubate alla memoria di una calda giornata di inizio maggio, quando la maestra li aveva accompagnati a vedere un lago, e, dopo aver mangiato un gelato, avevano giocato ad indovinare quali animali formassero le nuvole. Castiel ci vedeva sempre delle api. 

“Riesco ancora a sentirti leggere con dei sussurri frasi di quei patetici romantici prima di andare a letto. E ricordo di quella volta che mi assillasti perché volevi seriamente comprare un pavone e studiare le sue piume.” Lo sbuffo di una risata si aggiunge alla sua voce, e Jimmy è steso accanto a lui a guardare le stelle cadenti. Castiel sorride di rimando, tenendo lo sguardo fisso in alto, verso qualsiasi cosa la sua mente voglia ricordargli.

“Ricordi. Si tratta sempre di quello, e correggimi se mi sbaglio. Vivi una tua vita, e poi lasci tracce di te in qualcun altro. Quest’ultimo vive per conto proprio, e può capitare che, ogni tanto, si ricordi di te, anche se non fai più parte di questa esistenza. Il soggetto ha due scelte: tramandare le storie sulla tua vita ad un’altra persona, la quale si occuperà di tenerti eterno, oppure, portare frammenti di te nella propria tomba.”

Jimmy ama le comete e, da tredicenne, ha avuto una fase di ossessione per l’astrologia. Castiel se lo ricorda. 

“Il fatto è: se tu non desideri più portarti appresso gli scarti lasciati da una persona, perché sono fastidiosi o, magari, ti fanno contorcere il petto in modo doloroso ogni volta che li associ a qualcosa, ciò che puoi fare è semplice, no? Li lasci andare via, li butti nel cestino, attribuisci un volto diverso al suo nome e cancelli il suo numero dalla rubrica del tuo telefono.”

Dice qualcosa che risulta essere lontano alle sue orecchie, indica il cielo e sorride. 

“Fratello, sarebbe egoista da parte mia non volerti rendere infinito?” domanda con tono incerto, differente dalla sua solita sicurezza. Senza accorgersene, si ritrova a fissare un soffitto pieno di scritte e disegni, e James legge a voce alta sul letto nella parte inferiore della struttura a castello. L’ambiente lo abbraccia, sussurrandogli “casa” all’orecchio. 

“Perché ogniqualvolta mi rifletto allo specchio, vedo te; le mie mani tremano quando scorro tra i contatti della mia rubrica, certo di poterti chiamare e chiedere come se la cavi Amelia, quando possiamo vederci per una birra o semplicemente confidarmi per l’uso di un colore su una mia tela.”

L’unico suono che riempie la stanza è lo spaginare del libro che Jimmy teneva tra le mani. Castiel chiama il suo nome, infastidito, e si sporge per guardare verso il basso. Ciò che lo incontra è un vecchio tappeto che si estende in un corridoio che, se non fosse per le numerose stanze ai lati di esso, sarebbe vuoto. La voce di suo fratello echeggia dietro una delle infinite porte. Castiel non sa quale.

“L’eternità è un concetto astratto, mi hai detto un giorno. A quanto pare, è un astrattismo che sa quale tasto premere. A volte penso di poter veramente estrarre dalla mia schiena i cocci che ti sei dimenticato. Poi mi chiedo se sia giusto, cosa mi diresti tu, che ora sei di sicuro come uno di quegli angeli di cui ci parlava Mamma. Mi piacerebbe immaginare che mi diresti solo che sono un grande idiota, prima di stringermi in una di quelle tue prese mortali che chiami abbracci.”

C’è una porta spalancata, ed il fumo scuro che fuoriesce da essa è come un pugno in un occhio. Castiel si dirige verso di essa, e quando stira un braccio davanti a sé, le sue dita arrancano nel vuoto fino ad incontrare una mano che, a sua sorpresa, lo solleva con gentile forza. 

“Tutto bene, giovinastro?” gli chiede una donna robusta dai capelli biondi. Lo guarda con preoccupazione e Castiel si porta una mano sulla schiena, storcendo le labbra quando non sente l’umido che avrebbe dovuto lasciargli la rugiada del prato primaverile. Si limita ad accennare un sì, mostrando ancora un’espressione stordita.

“Te ne stavi steso a terra e mi è preso un colpo. Dannazione, ragazzo! Se hai sonn-” Castiel la osserva confuso e, prima che possa finire la frase, la sconosciuta si volta, udendo un’altra voce femminile, probabilmente quella di sua figlia, chiamarla. Lei si sofferma un momento, controllando il ragazzo di fronte a lei, poi gli dà una vigorosa pacca sulla spalla, prima di tornare da dove è venuta. 

Castiel è ancora confuso. Ma del resto, lo è sempre. 
 

 

Verità universale: Michael Novak è uno stronzo. 

Quando Castiel torna a casa, il viso chino e i piedi strascicanti a terra, trova suo fratello in cucina, evidentemente lì per la pausa pranzo. Sul tavolo c’è la sua borsa in pelle, e da essa fuoriesce appena l’angolo di un foglio e la punta del tappo di una penna bic nera; Michael gli dà le spalle, ha le maniche della camicia arrotolate fin sopra ai gomiti ed è intento a lavare un piatto e una pentola. Castiel lo osserva per un momento, poi si appresta a sgattaiolare verso la propria stanza, volendo evitare uno dei soliti discorsi con il maggiore dei due.

“E’ stato scortese da parte tua uscirtene in quel modo, stamane. Avresti dovuto ascoltare tua sorella.” Afferma Michael prima che Castiel possa abbassare la maniglia della porta, e quest’ultimo si irrigidisce, quindi si volta e si ritrova l’altro a pochi passi da lui, lo sguardo severo sul volto ed un asciugamano tra le mani. 

“Non avrebbe fatto altro che dire cose che sono già di mia conoscenza.” Ribatte a testa alta. 

Michael aggrotta la fronte e serra la mascella, fermandosi prima di dire qualcosa. S’impunta a riflettere, senza mai distogliere lo sguardo da quello di suo fratello, poi, emettendo un profondo sospiro, parla di nuovo.
“Non fare come Anna e Gabriel.” Le sue labbra tremano in modo impercettibile prima che possa pronunciare altro, e qualsiasi altra persona che non conosce Michael non l’avrebbe notato, ma Castiel lo fa. Lui si accorge di tutto. “O Nick.”

“Sto veramente cercando di mantenere in piedi questa famiglia nonostante l’assenza di nostro padre. Ora-- andrò a visitare nostro fratello in tardo pomeriggio, vuoi venire?”

Qualcosa scatta dentro Castiel. Serra i pugni e i suoi occhi fuggono da quelli di Michael, e le sue gambe tremano dalla voglia di tornarsene nella sua beata camera, dove potrà mettere su un CD dei Neighbourhood e continuare ad essere ignorato per il resto della giornata, prima di rigettarsi nella disastrata tempesta che è la sua vita. 

“Ah, adesso è nostro fratello?” si azzarda a domandare con tono distante ed accusatorio. Lo vede scuotere il capo, indignato, e, preso dall’inebriante piacere della ribellione, parla di nuovo: “Ho intenzione di andarmene via da qui.”

Michael ride. “Sul serio? E come? Vuoi andare a vivere con quei drogati dei tuoi - così detti - amici? Pagare una truffa di affitto con quel poco che guadagni con i tuoi ridicoli quadri? Lasciare che il tuo futuro crolli senza che io faccia nulla? No, Castiel.” Sputa crudelmente tali parole, e Castiel osserva suo fratello con gli occhi spalancati, improvvisamente incapace di muoversi. Stringe i pugni, ed il blu delle sue iridi è alimentato dalla vergogna. 

“Non dire così.” 

L’altro lo esamina dalla testa i piedi. Poi, sbuffando, si dirige verso l’ingresso, rivolgendo a Castiel un’ultima occhiata. “Se osi uscire da questa porta con l’intenzione di andartene, non sarai più il benvenuto.” Conclude, uscendo.

Castiel rimane ad osservare il punto da cui Michael è scomparso a lungo. Riflette sulle sue parole, e solo dopo gli balenano tra i pensieri tutte le cose che avrebbe potuto dirgli. “Pensi che Mamma vorrebbe questo?” O “Come vuoi, in questa casa non mi sento il benvenuto in ogni caso.”

E’ facile trovare la via verso la propria camera, ed è facile avvolgersi nelle coperte fino a che solo qualche ciuffo di capelli emerge dalla massa di cuscini e lenzuola. La batteria del suo computer gli riscalda le cosce e, quando apre una pagina di Tumblr con il solo scopo di dare un’occhiata alla dashboard e trovare qualche foto di paesaggi con tristi frasi stampate sopra con cui si sente perfettamente in sintonia, finisce con l’aprire la casella dei messaggi ed accennare un sorriso agli incoraggiamenti lasciati dalle persone che sanno che – qualsiasi sia la vera ragione -, quel particolare giorno di novembre, non è assolutamente il giorno di Castiel.

Qualcosa attira la sua attenzione. Le sue dita scorrono sulla tastiera.

Anonimo ha detto: Perché sei interessante -W

castiel: Ringrazio le tue particolarmente alte aspettative verso di me, ma dubito che “flirtare” con uno come me ne valga la pena. Sono la metà di qualsiasi uomo tu possa avere. 










☆☆☆ N.D.A. ☆☆☆
Un bacino a tutti quelli che hanno letto, seguito e recensito. Siete tutti carinissimi.
Onestamente questo capitolo è una delle cose che ho scritto che mi è piaciuta di più, ci ho messo tanto impegno ;;A;;)/
Inoltre ho pubblicato prima del previsto dato che non credo potrò farlo nei prossimi giorni, gioite ma non fateci l'abitudine.
   
 
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