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Autore: Chains_    04/08/2014    27 recensioni

N= {a, i, l, n} A= {a, i, l, n}
Allin guardò il pezzo di carta passatole dal suo compagno di banco e si accigliò, non capendo subito le sue intenzioni.
“A meno N...” Sussurrò Niall scrivendo l'operazione d'insiemistica.
“Uguale insieme vuoto.”
“I nostri nomi!” Esclamò sorpresa la ragazza.
“Sì, sono composti dalle stesse lettere.”
“E se uno viene sottratto all'altro...”
“L'altro si annulla.” Concluse Niall sorridendo.

Quando Allin ebbe la possibilità di frequentare il liceo di Mullingar, non avrebbe mai pensato che la sua vita sarebbe stata sconvolta dalla presenza di un ragazzo. Per sfortuna gitana, acrobata nel circo di famiglia, non avrebbe voluto né potuto innamorarsi di un irlandese. Eppure fu grazie a Niall che Allin iniziò a credere in un futuro in cui essere zingara sarebbe stato solo un ricordo. Ma il peggio doveva ancora venire. I due dovevano ancora esser separati.

"Sai cosa c'è, cugina? C'è che è sempre stato A-N, non N-A. Chi vieni sottratto a chi? Ora lui sta ad XFactor ed io qui, distante chissà quanto!"

Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=t652GzFXWqc
La Fanfiction prende ispirazione dal vero.
[Personaggisecondari: LittleMix, 5Sos...]
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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"Like Heaven before I die."

Sentite anche voi le campane suonare? Ebbene, sono finalmente a casa. Credevo di morire, ma mi sbagliavo, per fortuna. E niente, da oggi sono nuovamente in carreggiata! Mi dispiace moltissimo per questa interruzione, ma non è potuto essere altrimenti considerando che avevo una connessione pari a zero. Niente, vi auguro buona lettura  eome sempre, vi invito a recensire e già che ci siete a leggere le note finali. Al prossimo capitolo! :)


"Ricorda, accavalla le gambe e li farai sentire in Paradiso ancor prima di morire."

Dal diario di Allin.

#

Non mancava ormai molto alla fine del concerto di Wolverhampton. L'ultima canzone, 'More than this', era appena iniziata. Liam stava già cantando la prima strofa, accompagnato dagli acuti di Zayn e Louis e dal pubblico che, emozionato, sovrastava talvolta le loro voci. E, se i volti di tutti i componenti della band erano illuminati da un radioso sorriso, quello di Niall era una maschera di orrore, dai lineamenti deformati ad opera dalla malinconia. Non che fosse una novità.

«Maledetta canzone» non faceva che ripetersi il ragazzo ogni sacrosanta volta in cui doveva cantare 'More than this'.

Non che non gli piacesse, anzi. Gli piaceva fin troppo, a dismisura, ma, poiché sembrava tanto essere il suo canto disperato verso Allin, scomparsa nel nulla, scivolata dalle sue braccia in un istante, semplicemente la detestava. Con un groppo in gola ad affaticargli la voce cristallina, stava intonando le ultime note del ritornello, quando sentì alcuni insulti provenire dalla folla.

«Sei brutto!» gridavano alcune ragazze, in lontananza. A chi si rivolgevano? L'irlandese si guardò intorno.

Gli fu chiaro che oggetto della loro attenzione fosse proprio lui quando, prima che iniziasse a cantare la propria strofa, le urla divennero tanto forti che tutti 

riuscirono a percepirle. Fu allora che sentì le forze venirgli a mancare, nascondendosi dietro alla tristezza, alla malinconia, alla delusione. Scordandosi 

iniziare a cantare, il giovane si portò entrambe le mani tra i capelli chiari, a giocare nervosamente con alcune ciocche, tirandole tanto da farsi male. Si morse il labbro inferiore, quando si rese conto che questo aveva preso a tremargli. D'improvviso spaesato, Niall serrò le palpebre, sfiorandosele subito dopo con la mano destra. Continuava a reggere il microfono con la sinistra, ma la presa era alquanto scivolosa. La vista gli si stava via via appannando, i suoi occhi cerulei non riuscivano più a mettere a fuoco nulla. Tutto, ogni singola cosa divenne offuscata, nascosta dalla luminosità dell'immagine di Allin, come se fosse tatuata sulle sue pupille. Non riusciva proprio a ragionare, neanche quel minimo che gli sarebbe bastato per calmarsi. Quelle due parole, gridate con cattiveria, le stesse che aveva letto nella lettera di addio lasciatagli dalla bionda, erano state in grado di devastarlo, di riaprire ferite già inflitte e ancora troppo fresche.

«Sei brutto.»

Fluttuanti nell'aria, queste ripresero forma, scritte in quella grafia che tanto si ostinava a credere non fosse davvero di Allin. E lei gli mancava. Gli mancava come mancherebbero ad un ricco i propri soldi, come ad un anziano le abitudini di una vita, come...

Nessun paragone fu in grado di reggere, non per quegli innocenti occhioni azzurri da bambino, vitrei ed arrossati. E forse Allin era stata e sarebbe stata per sempre l'amore della sua vita? Probabile. Non c'era altro modo per giustificare quel peso sul cuore, o di quel sentirsi sempre incompleto, gelido. Perché da quando Allin non gli era vicino, lui sentiva molto più freddo.
Le gambe pronte a cedere, i sudori freddi a bagnargli la fronte, la schiena anch'essa sudaticcia, seppur gremita da brividi, le mani incapaci di rispondere ai comandi.
Niall impallidì, consapevole do cosa gli avrebbero riservato i prossimi minuti. Sentiva già l'attacco di panico gonfiargli il torace, tanto che sembrava quasi sul punto di schiacciargli i polmoni, facendogli venire il respiro corto. Un battito. Due battiti. Troppo vicini per essere regolari. Troppo forti, rimbombanti negli orecchi, tanto da farlo tremare. Il biondo scosse la testa, prima da un lato, poi dall'altro. Percepì il palco vorticare, sotto di sé. Ma non ce ne era motivo, no? Lui stava fermo, infondo. Sentiva di stare fermo.... E pensare che in realtà si stava muovendo. Barcollava per il palco, incespicando nei suoi stessi passi. Perché iniziava a sentire gli occhi della gente puntati su di sé? Perché i loro sguardi, quasi come schegge di uno specchio distrutto, gli penetravano nella pelle, riflettendo tutto la sofferenza che aveva provato e continuava a provare? E per quale motivo tutto aveva iniziato a tacere completamente? 'More than this' era forse già finita? E pioveva? Come spiegare diversamente il bagnato sul viso?

Un lamento si liberò dalle sue labbra screpolate, colorate dal rosso acceso del sangue che ne era uscito. I ragazzi lo guardavano silenziosi, con il terrore a sciupargli i volti giovani, così come le fans, che, incredule di ciò che stavano vedendo, richiamarono più volte Niall urlando il suo nome. Lui non le riusciva neanche a sentirle, percependo giusto un brusio incomprensibile. Era ubriaco, ubriaco marcio di dolore. Fu quando, dopo aver rischiato di cadere si poggiò al divano posto al centro del palco, che Zayn tentò di incrociare i suoi occhi. Il moro tirò un sospiro di sollievo quando ci riuscì. Capì allora che quella situazione non sarebbe potuta andare avanti a lungo. Così lui, conosciuto con la nomina di riservato, il cattivo ragazzo della band, all'apparenza menefreghista, non aspettò un minuto di più prima di mettere fine a quello scempio. Di slancio, diede a Liam il proprio microfono, quindi corse verso Niall, afferrandolo per le spalle nel momento esatto in cui le sue ginocchia gli cedettero, trascinandolo a terra. Dietro di lui il castano fece mente locale, slacciandosi un bottone della camicia a scacchi per prendere aria. La cosa migliore, capì, era continuare a cantare, ricominciare da capo la canzone, con la speranza di destare l'attenzione dal biondo. Harry gli lanciò un occhiata: essendo il più piccolo, in quei momenti, era quello che più si sentiva in difficoltà e non sapeva proprio cosa fare. Louis sorrise, affiancandolo. Insieme, i due, andarono prima dalla band, chiedendogli di riprendere a suonare e poi nel backstage, a calmare le acque, mentre Niall, scombussolato, riprese conoscenza.

«Che cazzo ho fatto? Vaffanculo!» si aggredì a gran voce, pensando di aver mandato -come diceva lui- a puttane un intero spettacolo, così come l'immagine del gruppo.

Dopo essersi inginocchiato a canto a lui, il moro gli tolse il microfono dalle mani, quindi lo strinse a sé, sentendolo singhiozzare nel proprio abbraccio.

«Alzati dai, Nì. Non dare l'impressione di essere debole. Capito? Non lo sei, non cedere. Non cedere» mormorò.

«Trova la forza per alzarti. Appena torniamo a casa chiamo qualcuno che faccia delle ricerche. Te la troviamo noi Allin e come andrà, andrà» aggiunse.

Alla fine, però, fu lui a tirarlo in piedi, prendendolo di peso. Ma Niall, anche dopo la promessa dell'amico, non sembrava ancora pronto a riprendersi dal colpo, sebbene il respiro gli stesse tornando regolare e l'attacco di panico si fosse esaurito. Continuava a piangere sulla sua spalla che, pur essendo sempre attento allo stato dei propri vestiti, non si curava neanche della possibilità che l'amico gli avrebbe imbrattato la felpa di lacrime, saliva o del fondotinta che i truccatori erano fissati con il mettergli, come se ne avesse avuto bisogno. Poi, piano piano, cullato suo malgrado dalle note dolci di 'More than
this', il ragazzo si calmò del tutto. Si asciugò così le lacrime, tirò su con il naso, raccolse il proprio microfono da terra e si allontanò dal moro, raggiungendo l'estremità del palco. Neanche a farlo apposta, era arrivato appunto il suo momento. La sua seconda possibilità, l'occasione per dimostrare quella sana caparbia che lo contraddistingueva. «If i'm lauder, would you see me?» mugolò a tempo di musica, alzando gli occhi al cielo. «Would you lay down in my arms and rescue me?» La sua voce sommessa era la sola a squarciare quel tessuto di silenzio che si era creato nel sentirlo cantare di nuovo, rialzatosi da quel crollo improvviso.

Prese un respiro. «'Cause we are the same!» urlò poi, con voce stridula, sentendo il cuore stringerglisi in una stretta dolorosa. Ci sperava tanto, in quelle parole. Sperava con tutto se stesso che anche Allin, come lui, non fosse cambiata nel corso del tempo e che, quando -grazie a Zayn- l'avrebbe trovata, non ci sarebbero state brutte sorprese ad attenderlo.
L'anglo-pakistano notò il biondo vacillare, allora lo raggiunse ancora, carezzandogli la nuca. «Che diamine fai, Nì? Ti uccidi così, non cantare, non stasera!» avrebbe voluto urlare, eppure dalle sue labbra serrate non uscì neanche un bisbiglio. Piuttosto si limitò a stringere il pungo destro tanto che le nocchie gli si fecero bianche. Non doveva piangere e, no, non lo avrebbe fatto, non davanti a Niall. Con la coda dell'occhio, a testa bassa, lo vide portarsi una mano sul petto, e così concludere il suo assolo. «You save me, and when you leave it's gone again» cantò, concludendo con un sospiro di sollievo. Un applauso si levò dalla folla, impazzita per la sua voce. Poi tutto tornò alla normalità.

#


Erano solo le sette e trentacinque, mancavano più di venti minuti all'appuntamento, ma Allin si trovava già davanti al Magic. Sguardo altezzoso, fiero, una mise a dir poco provocante e tacco dodici, la ragazza scrollò le spalle, scostando di qualche centimetro il trench invernale che le ricopriva. Prese un profondo sospiro, aspettò che un brivido le si scemasse via via lungo la schiena e si decise ad entrare.
Alle otto di sera il locale era sorprendentemente vuoto. Non un cliente riusciva ad intravedersi nella penombra asfissiante che lo caratterizzava, ancora non alleviata dai giochi di luce dei colorati dei faretti da discoteca. La bionda si stava guardando intorno, quando Tabatha sbucò da un punto indefinito, dandole un colpetto su una spalla.

«Clarylin, ciao!» la salutò energicamente.

Allin le piaceva. Era una boccata d'aria fresca, tra tutto quel marcio e costruito che era invece il resto dello staff del night, se escluse quelle che considerava ormai sorelle acquisite.

«Hey!» La bionda le sorrise, ma questo non nascose la sua agitazione.

Tabatha s'intenerì, prendendola sotto braccio. «Stai tranquilla. Vieni con me» la incitò, carezzandole la schiena.

Con passo deciso la trascinò in una stanzetta fatiscente, ridotta peggio di uno sgabuzzino, quindi, senza troppi preamboli, la fece sedere su uno sgabello traballante, davanti ad una luminosa specchiera. Uno sguardo d'accordo, poi iniziò a frugare nell'imponente armadio, attaccato alla parete. Sebbene fosse impegnata nella propria ricerca, iniziò a dare alla bionda alcune dritte per una buona permanenza, o meglio, sopravvivenza al Magic.

«Qui si vive di apparenza, capisci? Ti basti pensare che Nicholas, ad esempio, ha indetto lavori imponenti per l'intero locale, tralasciando questa topaia perché nessun cliente ci metterà mai piede» le disse, con una nota di amarezza ad incupirle la voce.

«Così noi, Clar. Più mostriamo e meglio è» aggiunse distrattamente, poi si voltò verso la bionda con in mano due diversi completi intimi.

Quella impallidì. «Nero o rosa?» le chiese Tabatha, trattenendo una risata.

Indecisa, Allin chinò la testa da un lato. Il primo, quello nero, era più audace nella forma, ma quantomeno di cotone, foderato da un sottile velo di pelle opaca. L'altro invece, era, sì più coprente, ma di pizzo. Dopo un'accurata analisi, l'irlandese ebbe le idee chiare. «Nero!» esclamò di getto, d'altra parte aveva sempre odiato il pizzo. La castana la guardò divertita, quindi le passò il completo nero e si girò di spalle, lasciando che lo indossasse.

«Ti sta benissimo!» esclamò quando poté voltarsi, soddisfatta dalla cernita fatta.

La bionda, con le guance rosse dall'imbarazzo per il complimento appena ricevuto, fece per avvicinarsi allo specchio, quando fu fatta risedere davanti ad una scrivania piena di trucchi.

«Non è ancora finito il mio lavoro!» gridò Tabatha, poi incominciò a truccare Allin come fosse stata una Barbie, regalo tanto desiderato e mai ricevuto quando era una ragazzina.

* * *

«Ecco fatto!» trillò con voce squillante qualche minuto dopo. Quella sera era elettrizzata. Egoista, perché pensava più a se stessa che alle sfide che avrebbe dovuto affrontare Allin nel giro di un paio d'ore e menefreghista all'idea che qualcuno d'alto la stesse reputando tale. La vita l'aveva resa così, poco le importava, ormai era troppo tardi per cambiare.

La bionda scrutò la sua espressione soddisfatta sul volto e incuriosita si alzò, raggiungendo lo specchio a figura intera.

Appena si vide sgranò gli occhi: stentava a riconoscersi. Quella ragazza che, come intrappolata in quel vetro, copiava ogni sua mossa non sembrava di certo lei. Fu in quel preciso istante che capì che, infondo, l'attenta studentessa di fotografia che ambiva a diventare sarebbe potuta coesistere con la lavoratrice del night in cui avrebbe continuato a trasformarsi quasi ogni sera.

«Devi solo scindere te stessa da... Da lei» le consigliò Tabatha, indicando lo specchio con un cenno di testa.

Allin annuì, poi fece spallucce. Era pronta.

* * *


«Ragazze, lei è Clarylin!» la presentò la castana a quelle che Allin capì essere Grace, Talia e Victoria, conosciute come Iris, Scarlet ed Ivy. Mentre la truccava, le aveva accennato di loro, dicendo che erano le uniche di cui avrebbe potuto fidarsi ciecamente. La bionda osservò attenta le tre. Si corrucciò, quando scoprì difficile guardare altrove.

Grace, pensò, doveva essere la ragazza dal il completino blu ed uno splendido fiore di Iris tra i capelli. Accanto a lei, Talia teneva lo sguardo basso, imbarazzato. Con il completo verde che indossava, arricchito dagli stessi ramoscelli di edera che le ricadevano anche tra i capelli scuri, doveva far voltare dalla sua parte non poche teste. Infine, la giovane vestita di rosso era sicuramente Victoria. Da attenta osservatrice quale era notò che, a differenza di tutte le altre -compresa se stessa- la mora indossava anche un corpetto aderente, ovviamente scarlatto. Non poté evitare di lanciarle un'occhiata perplessa, chiedendosi se dietro quella scelta vi fosse o meno un motivo valido.

«La cicatrice del parto, benché siano passati un bel po' di anni, è ancora visibile» le spiegò la diretta interessata, rivolgendole un sorriso materno. Allin, in risposta, si limitò ad annuire taciturna. Non si aspettava di certo una risposta simile.

Grace, percependo imbarazzo nell'atmosfera, si fece avanti. «Chiamami pure Iris o Riri, piacere!» Si presentò.

Talia, osservò l'amica, quindi la imitò «Io invece sono Talia» disse entusiasta «e lei» aggiunse, indicando la ragazza madre «è Victoria!»

«Piacere» balbettò l'irlandese, sentendosi un po' in soggezione.

A sentirla Talia rise divertita, trovando il suo accento straniero davvero tenero. Di rimando, Allin si portò una mano alla bocca. «Quanti anni hai?» avrebbe voluto chiederle, ma evitò, forse perché non voleva risultare invadente, forse perché non voleva sapere la risposta. La prostituta davanti a lei non aveva sicuro diciott'anni.

* * *

«Ma non avevi detto che erano i ragazzi a servire?» chiese la bionda disorientata quando, trascinata da Tabatha, si ritrovò al piano bar. L'altra non rispose. Aspettò invece che il barman posasse alcuni bicchierini sul bancone e gliene porse uno.

«Bevi questo, aiuterà a scioglierti!» le spiegò, dandole un'altra carezza sulla spalla, così da rassicurarla.

Allin fece cenno di consenso con la testa, quindi in un solo sorso ingurgitò quel liquido tanto trasparente quanto forte.

«Ma che cazzo!» sbottò l'irlandese, sentendo la gola bruciare terribilmente.

«Va tutto bene, poi ci ringrazierai» si sentì dire poco dopo da Victoria che, pimpante, aveva raggiunto le due ragazze per bere la propria dose di drink.

Tabatha non mosse lo sguardo da Allin, osservandola attenta. Quando sul suo volto vide sparire del tutto un'accentuata smorfia di fastidio, la prese stringendole un polso, guidandola al centro della pista da ballo, dove si erigevano due imponenti pedane da lapdance. La bionda, confusa dalla mischia in cui si trovava, lanciò uno sguardo impanicato alla castana.

«Hai detto che lavoravi in un circo, no? Non sarà nulla di diverso» le assicurò lei. «Devi solo tenere d'occhio i tuoi spettatori. Quando uno di loro farà capire di volerti, tu scendi giù e raggiungi le camere. Le tua, -precisò- è la numero tredici.»

«Come and get it!» aggiunse facendole l'occhiolino, poi sparì tra la folla.

* * *


Allin, rimasta sola, guardò pensierosa la pedana, sentendo lo stomaco rivoltarsi. Prese un bel respiro, quindi vi salì. Sorrise soddisfatta: da quel rialzo poteva osservare tutto ciò che aveva intorno con molta più facilità. Seppur priva di una coreografia iniziò a muoversi. Non le veniva difficile improvvisare. Riuscì ad acquisire sicurezza, ed essendo ormai in ballo, decise di prendere quella situazione come un gioco. Iniziò allora ad azzardare, chinando talvolta la testa all'indietro e creando con i suoi capelli lunghissimi uno spettacolo di tutto prestigio capace di abbagliare chiunque nel raggio di cinque metri. E, più giocava, più si divertiva, più si sentiva viva. Con un sorriso malizioso, afferrò l'attrezzo con entrambe le mani ed iniziò a strusciarvisi, sculettando oscenamente con i fianchi, come mai avrebbe sognato di fare. Un brusio compiaciuto fece sfondo alla musica reggae, protagonista indiscussa della serata. L'irlandese capì che quella era la strada giusta e, contenta della propria performance, iniziò a muoversi con più impeto. E il tempo passò, tra un passo e l'altro, varie canzoni si susseguirono e lei non si sentiva ancora stanca, anzi. Fomentata, si stava muovendo sulle note di una canzone a lei sconosciuta, quando vide un uomo mostrarle una mazzetta di sterline, tenuta tra le lunghe dita affusolate. Ritrovato un attimo di lucidità, sentì il sangue raggelarsi nelle vene. Tuttavia solo qualche attimo dopo saltò agilmente giù dalla pedana e, con fare provocante, sparì al piano superiore.

* * *


Di spalle rispetto alla porta d'ingresso, Allin attendeva con ansia l'arrivo del suo primo cliente. Prima sarebbe arrivato, del resto, prima avrebbe potuto mettere piede fuori dal Magic, quell'incubo in cui si era dovuta cacciare. Agitata, la giovane si portò una mano sul cuore, concentrandosi sul suo scalpitare, per cercare di tranquillizzarsi. Sedici battiti dopo finalmente sentì qualcuno bussare. Vestito di tutto punto Victor Clift quella sera aveva optato per un passatempo piuttosto diverso dal solito biliardo con i colleghi. Allin gli aprì, squadrandolo poi con attenzione -capelli scuri portati all'indietro, occhi chiari, di un colore imprecisato, lineamenti marcati- «Avrà trent'anni» ipotizzò a perdi tempo, infine mosse qualche passo per la camera. Egli le sorrise languido, perdendosi ad osservare bramante il suo corpo snello, le sue forme accattivanti, la delicatezza che aveva nel camminare. Come non comprenderlo? Allin sembrava quasi una ninfa de, resto, scappata da qualche fiaba, curiosa di vivere il mondo reale.

«Buonasera, piccola» la salutò non appena le fu vicino, con in viso un'espressione orribilmente compiaciuta.

La bionda alzò lo sguardo, incrociando il suo. Tentò di sorridergli una, due volte, ma per il momento l'unico risultato di quegli sforzi non fu che una smorfia di ribrezzo. Cercando di calmarsi, gli voltò le spalle, avvicinandosi ad un tavolino da thé su cui vi era un piccolo assortimento di alcolici, accompagnato da due bicchierini in cristallo.

«Vuole qualcosa da bere?» domandò.

Dalle labbra dell'uomo fuoriuscì una risata maliziosa. «No, fiorellino. L'unica cosa che voglio adesso sei te.»

E difatti, il tempo di versarsi un po' della stesso alcolico offertole poco prima, che Allin sentì le mani dell'uomo cingerle la vita stretta. Al tocco, la ragazza sospirò flebilmente e ingurgitò lo shottino in un sorso solo, prima le fu sfilato il bicchierino dalle mani. Victor voleva giocare. Con un ghigno sul volto iniziò a sfiorarla, stringendola al torace muscoloso.

Lo eccitava.

Di quello che accadde poi, neanche Allin ne ebbe, nel mentre, una nitida concezione. Fu tutto un susseguirsi di tocchi fugaci che la spogliarono in una manciata di secondi.

 

* * *


Ritrovatasi nuda, la diciottenne serrò gli occhi. Quando li riaprì era seduta nel bel mezzo del grande letto matrimoniale, re indiscusso della stanza. Fremette, sentendo la seta rossa delle lenzuola carezzarle ogni centimetro del corpo mentre Victor, ai piedi del letto, si concedette un minuto per osservarla, completamente sua. Si godette a pieno quella visione celestiale che era, bella al tal punto da sembrare eterea. Rapito completamente dalla sua pelle diafana, capace di brillare nella penombra della stanza, quasi come la Luna nel cielo, l'uomo fece fatica anche a slacciarsi la cinta, e, scaltro, sfruttò la situazione a proprio piacere. Si avvicinò sempre più ad Allin che, ubbidiente, eseguì il proprio compito, gattonando verso lui. L'essere nuda ancora la imbarazzava, ma piano piano ci si stava abituando. Liberando dalle labbra un gemito sommesso raggiunse il ricco imprenditore, quindi sì alzò in ginocchio, iniziando ad allentargli il nodo della cravatta porpora che indossava. Lui gemette. «Con la bocca» mormorò esigente, afferrandola per i capelli biondi per avvicinarsela infine al petto. Allin si costrinse a incassare il colpo e, per evitare di urlargli contro, si morse silenziosa l'interno guancia, poi unì le mani dietro alla schiena ed afferrò la stoffa tra i denti. Gratificato, Victor l'aiutò, scrollandosi la giacca gessata di dosso, non curandosene quando essa si sgualcì sul pavimento. Allin riuscì in quel preciso attimo a liberarsi della cravatta, sbottonandogli poi, bottone dopo bottone, la camicia bianca. Quando anche questa toccò terra, la bionda poté constatare come il giovane uomo davanti a sé avesse un fisico di tutto rispetto. Ma fu un attimo, perché poi il panico incominciò a sopraffarla. Il momento cruciale si stava infatti avvicinando e neanche l'alcolico che si era bevuta l'avrebbe resa immune dalla sofferenza che avrebbe comportato. Terrorizzata, incominciò a fissare un punto impreciso davanti a sé, perdendosi a rivedersi intenta a fare l'amore con Niall. Solo quando l'uomo sghignazzò, pensandola vittima del proprio fascino, lei riuscì a scappare dai quei ricordi che la legavano, come catene, al passato.


«Continua, dolcezza» la incitò, stringendole la coscia destra. La bionda annuì.

«Sì» balbettò. Sentì la propria voce inclinarsi e allora ebbe paura di piangere.

Non voleva, non poteva essere debole e per il momento riuscì a vincere le lacrime e così iniziò a spogliare il cliente, non negandogli tocchi seducenti.

«Mi piace» mugolò Clift ed allora sentì l'erezione gonfiargli i pantaloni, facendosi visibile.

Allin si fece coraggio, quindi la carezzò dalla stoffa, stringendola un po' tra le dita. La reazione dell'uomo, al quel tocco, fu immediata quanto distruttiva. Gettando la testa all'indietro, egli prese a strusciarsi oscenamente contro la mano della bionda che dovette lasciarlo fare. Per questo vittorioso, si sfilò poi frettolosamente scarpe, calzini e pantaloni e attese che fosse Allin a privarlo dei boxer bianchi prendendo il suo membro nella mano destra. La ragazza iniziò a muoversi, inizialmente con lentezza, non perdendo il contatto visivo con gli occhi di Victor che brillavano, come se illuminati da un fiamma. Ci volle poco affinché essa, alimentata dall'ardore della passione, si tramutasse in incendio e la bionda si trovò nell'arco di una manciata di secondi con il viso ad un soffio dal suo pube.

Senza possibilità di ribattere fece un cenno d'affermazione appena percepibile, quindi lo avvolse con le labbra, continuando il proprio lavoro, non pensando ai conati di vomito che minacciavano di farle rivoltare anche la cena del primo Natale. Per sua fortuna, poco dopo sopraggiunse l'orgasmo. Schifata, strizzò gli occhi e, quando sentì il liquido seminale del cliente riempirle la bocca, si fece indietro. Lacrime malinconiche incominciarono a riempirle gli occhi chiari al solo ricordo del sapore di Niall, così diverso da quello che percepiva sulla punta della lingua. «Che stupida» si disse. Capì troppo tardi che avrebbe dovuto piangere prima, cedendo ai «Piangi!» di Alex, con la consapevolezza di poter sfogare tutto quel dolore, quel nervosismo che teneva dentro sulla sua spalla. Cercando di fermare il pianto sul nascere, chiuse gli occhi tanto forte che il trucco si iniziò a rovinare, sbavandosi sugli angoli. E se lei era già stanca, emotivamente soprattutto, Clift era più sveglio che mai. Le sorrise con un che di malizioso e un attimo dopo la stava già sovrastando con il proprio corpo, tenendola in trappola. L'aveva in pugno.


«Fai la brava» le consigliò, poi entrò in lei con un colpo secco, tanto rude da non darle neanche il tempo di urlare.

«Una donna è solo una macchina da fottere, mettitelo in testa. Ci concediamo al migliore offerente e chi si è visto si è visto! L'amore felice non esiste, è un miraggio, una favola, un'enorme presa per il culo!» Le schiette parole che Tabatha le aveva quasi urlato mentre la truccava poco prima, con le lacrime agli occhi, si fecero vive nella mente di Allin quando sentì Victor muoversi dentro di sé, affondarle nella carne, con ritmo asfissiante. Mugolò di dolore, dimenandosi.

«Sta' buona!» ansimò in risposta l'uomo, poi le strinse le natiche tra le mani come aveva desiderato fare sin dal primo momento in cui l'aveva vista ballare.

Appagato il suo animo perverso, continuò a spingere, con forza, rabbia, facendo della diciottenne un misero capro espiatorio in cui buttare giù tutte le sue frustrazioni lavorative della giornata. E lei non poteva far altro che stringere i denti, lacerarsi dentro, troppo fragile, sentendo crescere il bisogno di piangere.

Allin iniziò quindi a lottare contro le proprie lacrime e, proprio quando iniziò a credere che ce l'avrebbe fatta, ne sentì una bagnarle il contorno occhi, scorrerle lungo i lati del viso ed infine perdersi tra i capelli chiari. Subito dopo a quella ne successe un'altra, e un'altra ancora. Si ritrovò a ringraziare il cielo perché Victor, famelico, sembrava troppo impegnato a costellarle la pelle di baci, succhiotti e morsi per accorgersi di quel suo crollo emotivo.

Tentando con poco successo di non impastrocchiarsi il viso con il trucco marcato, la ragazza si asciugò il bagnato lungo le guance, mentre sentiva le labbra dell'imprenditore scendere dal collo alle clavicole, arrivando infine ai seni. In balia delle sue attenzioni si lasciò seviziare completamente e, quando sentì un fremito percorrerle il basso ventre, comprese che ormai mancava poco alla fine di quella tortura.

Incominciò a fremere, portandosi le mani sul viso, un po' per coprirsi gli occhi, un po' per camuffare i propri singhiozzi. Si sentiva così sporca, ignobile che per un attimo solo pensò che sarebbe stato meglio farla finita e che forse Machiavelli sbagliava a dire che il fine giustifica i mezzi, perché, dopo tutto, quando questo viene raggiunto, fare i conti con il passato costa troppo dolore.

Qualche succhiotto ancora, poi raggiunse l'orgasmo. Impetuoso, travolgente, le fece tremare addirittura le ossa. Ansimante, Allin inarcò la schiena, sentendo un fuoco distruttivo bruciarle dentro, così diverso dal caldo piacere provato con Niall. Preda degli spasmi, con la mente navigante in un mare di ricordi, la giovane si lasciò andare alla deriva, ad occhi chiusi, finché anche Clift non venne urlando il suo nome, riversandosi nel preservativo.

Soddisfatto ghignò un «Brava, piccola» finale, quindi rotolò da una parte libera del letto, sporcandola del proprio sperma. Sfiancato dal sesso, spropositatamente sudato, si appoggiò con la schiena sulla tastiera, con il fiatone che lo faceva sembrare avviluppato in un attacco d'asma. Si tolse il profilattico mentre la bionda, al suo fianco, chiuse gli occhi. Il dolore che prima si era eclissato, suo malgrado, dal piacere, tornò a farsi presente. Si odiava. Con poca grazia, con gli occhi che le si chiudevano da soli, si sistemò anche lei sul letto. Fece una smorfia infastidita quando si passò poi la lingua sui denti, sentendo ancora il sapore di quello sconosciuto in bocca. In un gesto automatico -definito da Niall vizio infernale, dal momento che lo costringeva a saltarle addosso come un cagnolino in calore- si inumidì le labbra, trovandole secche. All'istante gli occhi di Victor dacché erano semichiusi, furono subito su di lei.

«Bastava chiedere...» farfugliò, con voce impastata.

Allin aggrottò le sopracciglia. Non fece in tempo a realizzare le sue intenzioni che egli si trovò già ad un soffio dal viso. Sentì le sue labbra sfiorarle l'arco di cupido e l'attimo dopo il suo viso tramutarsi in quello di Niall. Vittima di questo tranello, l'irlandese si stava concedendo al cliente, convinta che fosse che il suo biondo, quando incrociò i suoi occhi e in essi non vide altro che cattiveria, malizia.


«Cosa cazzo sto facendo?» domandò a se stessa e, quasi si fosse svegliata improvvisamente da un incubo, in un gesto impulsivo, portò le mani in avanti, senza dosare la forza, spingendo Victor all'indietro che in un tonfo raggiunse il pavimento. Con il cuore in gola, la bionda afferrò il lenzuolo e si sporse verso lui. Lo vide imprecare e, preoccupata sgranò gli occhi. Che aveva combinato? Spaventata dalla possibile reazione dell'uomo, si chiuse in se stessa, con la testa tra le ginocchia e, immobile, sentì quasi tremarle il cuore dalla paura. Poco dopo l'imprenditore riuscì a alzarsi, incenerendola con lo sguardo, poi schioccò la lingua al palato, sfregandosi le mani.

«Cosa dovrei pensare, adesso?» le chiese indispettito, andando a recuperare i propri boxer.

Teatralmente si sfregò una natica. «Non avrei voluto! Mi dispiace!» avrebbe voluto gridare Allin, a squarciagola, se solo ne avesse avuto il coraggio.

Troppo codarda per farlo,si limitò invece a starsene in silenzio, mantenendo la testa bassa, a fissare le ginocchia ossute.

«Dovrei arrabbiarmi, come minimo parlare con il capo...» mormorò il cliente, provando un gusto sinistro nel giocare con le sue insicurezze.

«Tuttavia» aggiunse, nuovamente ad un soffio dal suo viso, «Per il tuo servizietto, chiuderò un occhio e tutto questo resterà un segreto tra di noi» alitò, giocando con una ciocca di capelli fuori posto.

«La ringrazio» riuscì a biascicare Allin, davvero riconoscente. Lui le sorrise viscido, quindi le prese la mano destra, gliela aprì e vi posò una banconota da cinquanta sterline. Infine, nel silenzio più profondo, interrotto unicamente dal ticchettio regolare dell'orologio vintage appeso ad una parete, egli si rivestì per poi raggiungere la porta con un'espressione di gloria primordiale ad illuminargli la faccia.

«Arrivederci, dolcezza» congedò educatamente, poi sparì, lasciando Allin sola con i propri demoni, quelli che lasciava ogni mattina sotto al cuscino e che la notte, appena vi riappoggiava testa, ricominciavano a tormentarla, inseguendola nei suoi incubi peggiori. Stremata, non tanto fisicamente quanto emotivamente, la bionda sospirò e, di peso, si stese sul materasso, coprendosi completamente con il lenzuolo, scudo con cui difendersi dal mondo intero. E il tempo passò. Pensando a nulla di più che al più presto avrebbe dovuto lasciare quella bomboniera di appartamento per andare in un posto più economico, Allin stava per crollare in un sonno profondo quando sentì scoccare le due di notte. Era ora di andare a casa, per lei, e la sola idea di uscire da lì le bastò per trovare la voglia di alzarsi in piedi. «In fin dei conti mi è andata bene» pensò, rigirandosi la banconota tra le dita affusolate. Prima di andare nel camerino a recuperare i vestiti, si fermò vicino al tavolino degli alcolici. Sentiva ancora il sapore pungente di quello che era stato il suo primo cliente e la necessità di pulirsi la bocca da esso. Si raccolse i capelli in una coda, diede una rassettata piuttosto inutile al trucco e poi si versò nel becchierino ancora una volta la stessa bevanda bevuta in precedenza finendola in due soli sorsi. Non era ancora abituata all'alcol, a quel tempo, non capiva quanto questo potesse portarla facilmente sulla strada del non ritorno, quindi, quando dopo la prima dose sentiva ancora un sapore incerto sulla lingua, non esitò a prendersene un altro. Poi infilò i tacchi ed uscì. Era così ubriaca che, per andare a riprendersi i vestiti dovette appoggiarsi a Tabatha che scoprì aspettarla dietro alla porta.
«Mi raccomando! Prendi un taxi!" le ordinò apprensiva Scarlet, dopo che l'ebbe aiutata a rivestirsi. Allin, però, aveva altri piani.

* * *

Con il freddo invernale a penetrarle nelle ossa ed un passo in certo, la bionda camminava per uno dei vicoli meno raccomandati di Londra, a solo qualche isolato dal Magic. Diversamente dal solito, quella notte aveva trovato un posto preciso in cui andare. Spinta dalla notevole quantità di alcol che le faceva vorticare la testa, Allin entrò dentro ad uno studio di tattoos che aveva visto qualche giorno prima, aperto anche in piena notte durante il weekend. Andare da Daniel, l'amico di Alex, quella volta non le era sembrato il caso. Quando varcò la soglia del negozio, il cigolare della porta riempì il silenzio che lo avvolgeva. Stanca, la ragazza si sedette su una delle poltroncine poste davanti ad una cassa un po' arrangiata, aspettando che qualcuno si accorgesse di lei. «Tatuaggio o piercing?» le chiese d'improvviso una donna sulla mezza età. Rosalie Stevens, insieme a suo marito Mike, lavorava lì da quasi vent'anni. Allin la guardò riuscendo, sebbene la stanza fosse poco illuminata, a distinguerne i lineamenti duri del viso, quasi mascolini, accentuati dal taglio corto di capelli. Poca era la pelle lasciata ancora libera di inchiostro. Se Alex le era sembrato esagerato, lei poteva definirsi una sua caricatura, considerando anche i numerosi piercing sfavillanti al chiarore della luce. Allin si accorse di doverle una risposta. «Vorrei farmi un secondo tatuaggio» disse risoluta, lottando per pronunciare ogni parola in modo chiaro e sorridendo soddisfatta, quando il risultato ottenuto notò non essere poi tanto male. «Ottimo, seguimi. Ci penso io a te: Mike è impegnato con un altro cliente.»

La bionda si alzò dalla poltroncina, così seguì la donna in un piccolo studio.

«Allora, ti tiro fuori i cataloghi o hai già qualche idea?» le chiese questa, sistemando gli inchiostri sullo scaffale. La bionda fece un cenno d'affermazione con la testa.

«Voglio un nome, 'Niall'» le rispose.

«E dove?»

«Sul labbro inferiore, nell'interno.»

Rosalie guardò Allin sgomenta. Non capitava spesso che qualcuno venisse per tatuarsi il viso, figurarsi le labbra. Si chiese chi fosse questo Niall.

«Farà male, ti avviso» le disse, quindi le tirò il labbro quanto bastava per incidervi, non prima di aver anestetizzato la zona. Allora puntò l'ago su quella carne così morbida. L'irlandese arricciò il naso, sentiva il sapore amaro dell'inchiostro e ridacchiava. Ubriaca, l'unica cosa che le premeva era avere quel tatuaggio al più presto. Chiudendo gli occhi per il lieve pizzicore, si chiese se mai avrebbe agito così d'impulso se fosse stata lucida, poi fece spallucce. Cosa importava in quel momento? Infondo non si sarebbe mai potuta dare una risposta e le lacrime che versò quando vide il nome di Niall impresso sulla sue labbra furono tante che non provò neanche a fermarle. Si sbrigò a pagare sotto lo sguardo preoccupato di Rosalie quindi, a passo svelto, uscì dallo studio di tatuaggi. Stanca e con un mal di testa inconcepibile, si sedette di peso sul marciapiede ad ascoltare il rumore della notte. Era devastata, le faceva male gran parte del corpo, eppure un lieve sorriso le comparve sul volto.

«Stai bene? Sembri sconvolta» le chiese qualcuno in un sussurro, sedendosi accanto a lei. Allin sbiancò. Quella voce non le era nuova, eppure non riusciva a capire di chi fosse. Dapprima stette in silenzio, quando poi si voltò, per poco non ebbe un mancamento.

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"Perché tu sei tutto ciò che riesco a vedere."

-Dal diario di Niall

 

Spazio autrice

E niente, non mi piace, non mi piace proprio come è venuto fuori il capitolo, ma, credetemi, ho messo tutta me stessa per scriverlo, tra i problemi di rating e altre perplessità. Questo è il frutto di due settimane di lavoro e spero che almeno a voi piaccia un po'. Infondo abbiamo tre personaggi nuovi che rappresentano un po' tre faccie diverse della prostituzione: la ragazza madre, Scarlett, la minorenne, Ivy, quella che segue l'amica per aiutarla, Iris -ovviamente le loro storie veranno approfondite in seguito-. Poi abbiamo il primo approccio di Allin con questo lavoro e l'allusione al fatto che presto dovrà cambiare casa. Per finire, il tatuaggio all'interno labbra che svolgerà un compito decisivo -nulla è campato in aria- e l'incontro finale. Parte il toto nome! Chi sarà la persona avvicinatasi alla bionda? Scrivetemelo in una recensione, sono piuttosto curiosa!
Giorgiaxx

   
 
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