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Autore: Tomi Dark angel    05/08/2014    8 recensioni
Mi chiamo John Watson e vivo a Londra. È dodici giorni a nord di disperazione e pochi gradi a sud di piogge torrenziali. Si trova esattamente sul meridiano della miseria. La mia città, in una parola è… solida. (...) L’unico problema sono le infestazioni: in alcuni posti hanno topi o zanzare. Noi invece abbiamo… i draghi.
Johnlock
Genere: Generale, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Un tempo, migliaia e migliaia di anni addietro, nacque la Terra. Era un pianeta ancora arido, incolore, disordinato. Del suo principio, si ricorda nient’altro che una massa informe di roccia e lande desolate. Nessuna forma di vita, nessun movimento. Tutto faceva pensare che la Terra fosse nient’altro che semplice stella marcita, astro privo di luce e calore, che ben presto sarebbe morto ripiegato sulle sue stesse miserie.
Poi, d’improvviso e senza apparente motivo, qualcosa cambiò. Una piccola chiazza di colore nacque dal nulla. Semplice, effimera, verdognola. Lì, in quel luogo inospitale, vita e colori non erano contemplati.
Però, quei sottili fili d’erba c’erano. Piccoli, innocenti, così fragili da poter essere distrutti dal primo violento soffio di vento. Sbagliato. Lì il vento non esisteva ancora, quindi la Terra risultava impotente dinanzi a quel cambiamento inappropriato, fastidioso, ma abbastanza minuscolo da non infastidire eccessivamente. Sì, forse il pianete poteva ignorarlo.
Tuttavia, col passare del tempo, dei giorni, delle ore, quella chiazza di verde si allargò poco a poco, sensibilmente, passando inosservata ad ogni aridità di quel pianeta inospitale. Da essa nacquero gli alberi, ruvidi arbusti possenti che distesero i rami per proteggere il nuovo nascituro, una novità che il pianeta non avrebbe mai accettato: un fiorellino piccolo, gentile, con minuscoli steli di timido smeraldo e petali di un bianco accecante, puro, candido d’infantilità.
Il pianeta rabbrividì dinanzi a quella nuova macchia di colore e luce. Non era naturale, assolutamente. Si infuriò a tal punto da annuvolare il cielo, tingendolo di nuove sfumature arrabbiate, di colore naturale, che precedettero lo sbocciare del primo, violento soffio di vento. Gli alberi furono spazzati via, gli steli d’erba si piegarono feriti e il fiore rabbrividì, ancorato alla vita con la stessa disperazione che l’aveva spinto a nascere lì, in quel territorio arido ma bisognoso di speranza.
Il mondo non era un posto ospitale, il mondo era violento. Quel fiore, unica macchiolina di bellezza, non sarebbe sopravvissuto.
Fu allora tuttavia, che qualcos’altro mutò: dalla terra cominciarono a sollevarsi le montagne, piccoli cumuli di terra che ad ogni colpo delle creature sottostanti s’innalzavano su, sempre più su, fino a svettare contro il cielo, oltre le nubi. Bestie meravigliose, colorate, brillanti di puro arcobaleno emersero ancora luride e informi dalla terra. Esauste, con le ali accartocciate e i lunghi colli ricurvi di stanchezza. Ognuna caracollò al suolo per riposare, per respirare aria pulita, viva, pulsante di luce ancora malsana.
Tuttavia, un solo drago si comportò diversamente dagli altri. Lottò contro le raffiche di vento, inchiodò gli artigli spezzati al suolo e lentamente, trascinando la mole gigantesca, avanzò. Ansimava forte dalla bocca e i suoi muscoli appena nati tremavano per lo sforzo. Le squame non ancora rafforzate si graffiavano, spezzandosi a contatto col suolo e la coda si trascinava nel fango e nel sozzume come peso morto, strascicato, inutile.
Eppure, la bestia tentò ancora, tentò di avanzare contro le raffiche di vento e l’aridità di un pianeta astioso, violento, marcio dalla nascita. Perse sangue, sforzò ogni cellula informe del corpo bitorzoluto, ancora informe, ma alla fine, raggiunse la sua meta. Proprio lì, quando il fiore stava per essere strappato, una gigantesca vela rattrappita, sporca di fango e lava, si piegò a suo indirizzo per coprirlo, per proteggerlo.
Il drago si accasciò soddisfatto, lasciò che la stanchezza gli scuotesse gli arti di un tremito feroce. Faceva male, tanto. Però, adesso c’era qualcosa di diverso. Il fiore, così piccolo e innocente, si appoggiava a lui, ringraziando la sua ala con piccole, infantili carezze di steli puliti e petali delicati.
Dinanzi a questa scena bizzarra, nuova… il mondo intero si fermò.
Accadde questo in passato, all’alba delle ere, e così segue adesso, nel futuro più lontano che essere vivente sia riuscito a raggiungere.
Una guerra. Sangue. Odio. Rabbia.
Tutti piegati, tutti spezzati dinanzi all’innocenza pulita di qualcosa più grande, più resistente di qualsiasi violenza. Un abbraccio. Tutto qui. Niente di più, niente di meno.
Il mondo si ferma, osserva dal basso la caduta di due piccole figure avvinghiate, consumate dalle fiamme e dal sangue rosso e argentato. Un uomo e un drago. Entità diverse, lontane, opposte. Cielo e terra, bestia e semplice umano. Piovono dal cielo lentamente, abbandonati, privi di forze mentre alle loro spalle la volta celeste sembra esplodere in un vortice di fiamme che avvampano, guizzano di violenti riflessi cremisi e dorati.
Una bestia gigantesca, padrona del cielo e figlia della lava più oscura, smette infine di respirare. Moriarty si spegne contorcendosi, oscurando il cielo con una gigantesca colonna di fuoco che lo abbraccia, turbina violenta e infine si scarica su, verso astri irraggiungibili, verso mete lontane che nessuno può immaginare.
Dove vanno i draghi quando muoiono? Il paradiso esiste anche per loro? C’è qualcuno che si prende cura di quelle anime bestiali, ma anche così terribilmente umane?
La battaglia sottostante si blocca e lascia che un fremito percorra ogni combattente, ogni singolo elemento. Ognuno percepisce il peso della scomparsa di Moriarty, ognuno comprende poco a poco che il re di una delle fazioni è finalmente caduto.
I draghi nemici atterrano e chinano il capo sconfitti. Altri si lasciano abbattere al suolo e chiudere i musi giganteschi da zampe possenti di creature vincitrici. L’acqua smette di agitarsi, la terra non trema più. Sgomberato il fumo nerastro grazie al possente vento smosso da ali gigantesche che sbattono, anche il cielo torna a respirare.
La battaglia è finita. Ma non è vinta.
-JOHN!!!-
Greg tende una mano verso le piccole figure che precipitano. Sente che Sherlock non riuscirà a spalancare le ali, né ad evitare l’impatto. Si schianteranno così, senza protezioni? L’urto col suolo potrebbe essere fatale, considerata l’altezza.
Però, forse, non è ancora il loro momento.
Un guizzo violetto, luccichio di artigli d’acciaio. Una grossa zampa squamata si chiude sui loro corpi, interrompendo la caduta con dolcezza.
“Io in te, ci credo ancora…”
Noah sbatte forte le ali per mantenere la quota. Stremato, sanguinante, prossimo al collasso, ma mai abbastanza debole da abbandonare la sua famiglia. S’impegna per non svenire, sbatte ripetutamente le palpebre per restare cosciente. L’ha promesso. Ha promesso di difendere Sherlock, di restare accanto a John. Sono stati gli unici a volergli veramente bene, gli unici disposti a occuparsi di lui con pazienza sempre rinata, instancabile, viva. Quelli sono i suoi genitori. Quella è la sua stessa vita, cominciata lì, tra mani di giovane soldato e zampe di re allora decaduto.
Improvvisamente, il dolore agli arti si fa troppo forte, troppo straziante. Noah ha perso troppo sangue, non ce la farà a restare in piedi ancora per molto. Tuttavia, a volte il futuro ha strani progetti. Cambia di continuo le carte in tavola, muta ogni suo aspetto e alla fine, muove le sue pedine più importanti. Così ha sempre fatto in passato, e così è anche adesso.
Qualcuno lo afferra dall’alto e strattona con forza, impedendogli di cadere. Un altro corpo gigantesco si appoggia al suo, sostenendolo con dolcezza quasi materna.
-Giusto in tempo, eh?- urla Greg dalla sommità del cranio di Mycroft.
-Rilassati, tesoro.- esclama Molly, arpionata a un corno di Irene.
Entrambi i draghi sostengono Noah, entrambi gli impediscono di cadere e muovono i loro artigli con cauta gentilezza, nonostante le moli imponenti, distruttive, che al contrario potrebbero schiacciarlo. Anche loro appaiono feriti, esausti, prossimi al crollo. Eppure, senza smentirsi, lasciano che Noah atterri dolcemente in riva al mare, laddove tutto è iniziato. Apre gli artigli mentre Greg e Molly smontano dai rispettivi draghi e affannati, raggiungono di corsa i piccoli corpo accasciati al suolo.
Gli umani tacciono, i draghi superstiti trattengono il respiro. Il mondo intero interrompe la sua corsa, fermando ogni orologio, ogni secondo di troppo.
-John! Sherlock!-
Greg si inginocchia accanto a uno Sherlock immobile, rannicchiato, appoggiato su un fianco, con le ali chiuse protettive intorno al corpo. Il suo corpo fuma, la sua gola perde troppo sangue. Non si muove, non dà segni di vita. Forse è troppo tardi.
Noah, Mycroft, Edarion, Irene e Anthea si trasformano in umani e avanzano lentamente verso il piccolo corpo martoriato del sovrano più giusto che il loro popolo abbia mai avuto.
Ha saputo riscoprire l’umanità laddove solo bestie assassine parevano governare.
Ha saputo proteggere il fiore della speranza dalla rabbia del mondo ancora arido, ancora marcio.
Ha saputo vedere il bene nei cuori di ognuno di loro.
Sherlock si è fidato del suo popolo, ha lasciato che si risvegliasse, che scegliesse. Libertà dopotutto, significa anche questo. Poter decidere la propria strada. E tutto questo, i sopravvissuti lo devono anche a John, alla sua pazienza, al suo amore. È stato lui a plasmare quel sovrano, è stato lui a spingerlo a risorgere.
-Sherlock?- chiama Noah debolmente. Si inginocchia tremante di dolore e stanchezza. Cerca John  con lo sguardo, poi torna a fissare il viso mortalmente pallido di Sherlock.
-Sherlock?-
Allunga una mano e lo tocca. Dolcemente, comincia a scuoterlo, e Mycroft spalanca gli occhi perché sa che quelli sono gli stessi gesti che compì suo fratello davanti al corpo della madre. L’ha dedotto anni fa, ed è certo di non sbagliarsi. Adesso che vede gli stessi avvenimenti accadere di nuovo, adesso che i due visi di Noah si trasformano dannati nella faccia di suo fratello allora così fragile, così piccolo… Mycroft sa cosa ha passato Sherlock. Adesso capisce.
-Sherlock… dobbiamo andare a casa.-
Mycroft trattiene il respiro, stringe i pugni. Gli uomini tutto intorno chinano il capo e incredibilmente, uno ad uno, cominciano a inginocchiarsi. Lentamente, con cautela, si prostrano fedeli ai piedi di coloro che hanno saputo guardare oltre la differenza razziale. Nessuna guerra si piega al cospetto di una falsa grandezza, e questo prova che Sherlock e John, erano grandi davvero.
I draghi acquatici emergono dolcemente e anche loro, imitando gli uomini, chinano le gigantesche teste iridescenti. Uno, due, dieci, cento. A loro seguiranno i draghi montagna, poi quelli rocciosi, quelli albero.
Irene poggia un ginocchio per terra, si copre gli occhi con una mano e lentamente, china il capo. La imitano subito Mike, Anthea, Greg, Edarion. Anche Mycroft si costringe a piegare il capo. Riconosce che suo fratello dopotutto, non è mai stato stupido come sembrava. Ha lottato contro se stesso, ha vinto ogni sua battaglia e alla fine, è risorto dalle ceneri.
I draghi nemici potrebbero scappare, adesso. Se solo si voltassero, potrebbero dileguarsi e riorganizzarsi per una sommossa, per ricominciare la guerra. Si guardano tra di loro, comunicando con gli occhi, parlando con sguardi intensi e assai chiari. Lanciano occhiate ai cadaveri che affollano il terreno e l’acqua, posano le iridi lucenti sul sangue che ricopre ogni centimetro di quella terra sporca, esausta, ma che miracolosamente ancora li sostiene.
La guerra si è portata via tante cose. Finanche i sopravvissuti non saranno più gli stessi, dopo quel giorno. La storia poteva cambiare dall’inizio, e i presenti lo capiscono solo adesso. Se non avessero attaccato anziché ragionare, se non avessero voltato le spalle alle loro stesse coscienze pur di sfogare stupidi eccessi di rabbia… sarebbe stato tutto diverso.
Mai più sangue, mai più violenza.
Mai più guerra.
Lentamente, uno dopo l’altro, i draghi nemici atterrano pesantemente, esausti, feriti, tremanti di debolezza. Nessuno li degna di uno sguardo, nessuno si preoccupa di loro. Tuttavia, pochi umani nelle vicinanze li fissano stralunati quando tutti insieme, i draghi si inchinano a loro volta.
“Il sole esiste ancora, anche quando le nuvole lo coprono”.
-Sherlock… John…-
Noah chiude gli occhi e singhiozza. Due grandi lacrime, una per viso, sgorgano dagli occhi serrati, esausti. Occhi di bambino cresciuto troppo in fretta, occhi di giovane saggio che più di ogni altro ha lottato contro il mondo intero per seguire i suoi ideali, per rispettarli, per vivere.
Ma ancora una volta, il destino mescola le carte, le riodrina… e ogni cosa sguscia al suo posto.
Tra le nubi si spalanca un varco piccolo, sottile, fragile, che lascia piovere dal cielo un piccolo nastro di sole dorato. Esso cade aggraziato, gentile, colpendo di morbide carezze le ali sigillate del drago più bello di tutti. Gli illumina il viso di carità gentile, gli riscalda la pelle di rinnovato tepore.
Lentamente, il corpo di Sherlock Holmes comincia a riscaldarsi.
Noah sbarra gli occhi, fissa speranzoso quel piccolo barlume di speranza. Non ha mai pregato in vita sua. In realtà, non sa propriamente a quale dio rivolgersi, né come fare per parlargli. Tuttavia, adesso ha bisogno di aiuto. Per Sherlock, per John.
Serra forte gli occhi, stringe con le piccole dita insanguinate la mano abbandonata di Sherlock.
“Ti prego. Ti prego, lasciali vivere. Portati via qualsiasi cosa, chiunque, ma non loro. Sono la mia famiglia… ti prego, chiunque tu sia. Se esisti, abbi pietà. Se esisti… ascoltami.”
Le nubi si intensificano di nuovo. Nere, soffocanti, aggressive. I draghi alzano lo sguardo mentre il raggio di sole si indebolisce, vibrando di stanchezza. Non scalderà a lungo il corpo di Sherlock.
Le bizzarrie della vita sono molteplici. Sembrano prenderci in giro, ingannarci, ridere di noi. E forse, è così adesso, mentre uno dei draghi nemici ha l’idea. Non Mycroft, così intelligente da risultare pari a suo fratello. Non gli uomini, inventori e grandi costruttori di soluzioni e comodità odierne.
No. Ad agire per primo, sarà un nemico anonimo, sopravvissuto, ma il cui petto ancora si scuote delle parole di John Watson.
“…vi avvalete di un onore che erroneamente pensate ancora in piedi ma che in realtà voi stessi avete ammazzato insieme al primo omicidio immotivato che avete mosso sul prossimo.”
Forse, John Watson aveva ragione. Ma forse, di nuovo, c’è un modo per rimediare.
Lentamente, quasi con cautela, il drago solleva il capo gigantesco verso il cielo. Inspira profondamente, a pieni polmoni, gonfiando d’aria ancora malsana il petto ampio di muscoli e scaglie corazzate. Infine, dopo ciò, il drago espira bruscamente verso il cielo. Piccoli fiotti d’aria colpiscono le nubi, smuovendole, facendole vibrare ferite.
Gli altri draghi lo fissano, sbattono le palpebre, capiscono. Uno dopo l’altro, per la prima volta d’accordo su qualcosa che non sia il muovere violenza sul mondo intero, essi imitano il loro ormai esausto fratello. Espirano bruscamente, sforzando i polmoni brucianti di ferite.
“Credete in Sherlock Holmes!”
Le nubi vibrano ancora. Indietreggiano ferrite, lentamente, con fatica. Ma alla fine, esse cominciano a dissiparsi.
Uno, due, tre raggi di sole piovono dal cielo. Ad essi, seguono altri nastri dorati, sottili, caldi. Alcuni colpiscono il viso di Sherlock, altri gli bagnano le ali, altri ancora le corna e i capelli.
Il calore ritorna, un pallido sboccio di rosa gli colora le guance. E intanto, Noah gli stringe più forte la mano. Prega ancora, sempre più forte, urlando silenziosamente le sue invocazioni al cielo.
“CHE DIO INTERVENGA!!! SE ESISTI, NON ABBANDONARCI!!!”
Un fremito, fruscio di qualcosa che si muove.
Le dita di Sherlock si piegano lentamente, con dolcezza quasi puerile stringono la mano di Noah che bruscamente solleva le palpebre e lo fissa. A rilanciargli lo sguardo, trova due brillanti occhi di cristallo. Esausti, lucidi di sofferenza… ma vivi, luminosi come polvere di stelle.
Noah sorride prima di lasciarsi sfuggire un singhiozzo. Si porta la mano di Sherlock alle labbra e la bacia con dolcezza, sporcandosi la bocca di sangue. Non gli importa, non è rilevante. Quelle dita adesso sono così calde, così morbide e vive…
-Sherlock…?- mormora Molly, sopraffatta dall’emozione. Non osa avvicinarsi, non osa alzare la voce per spezzare il precario equilibrio di magia che si è venuto a creare. –Jo… John è…?-
Ma inspiegabilmente, Sherlock sorride. Arriccia stancamente un angolo delle labbra, lasciando che gli occhi ammicchino luminosi, guizzanti, intelligenti. Lentamente, schiude le ali. Come guscio di aurora boreale, esse frusciano, allargano il varco d’aria e sangue che timidamente rivela un corpo rannicchiato, dai vestiti bruciacchiati… ma illeso.
John Watson riposa esausto nell’abbraccio protettivo di Sherlock. Nasconde il viso contro il suo petto, intreccia le gambe con le sue, lascia che la lunga coda squamata li avvolga in un unico inscindibile abbraccio. Sorride sereno, adesso, mentre stringe tra le dita quella pelle umana mista a squame di creatura corazzata. Il suo viso è rilassato, felice, puro. Quella non è la faccia di un soldato… quella è la faccia di un uomo finalmente tornato bambino.
-È vivo…- esala Greg mentre Molly si copre la bocca con entrambe le mani e scoppia in lacrime. L’amico la oltrepassa per raggiungere John e Sherlock. Tocca il collo di John, tasta la vena pulsante di energia che sporge appena dalla pelle sporca di terra e sangue non suo. Infine, Greg incrocia gli occhi di Sherlock e lo fissa impassibile mentre questo, dal basso, gli restituisce uno sguardo fermo, indecifrabile.
Alla fine però, Greg esplode.
–Me l’hai riportato vivo!-
Si china su Sherlock e abbraccia entrambi con forza, calore, riconoscenza. Si graffia appena contro le squame del drago, ignora a bella posta il sangue di Furia Buia che gli inzuppa le mani.
E, mentre tutto intorno a loro esplode un oceano di ruggiti, applausi e grida di gioia, finalmente anche Greg piange. 
John ha sempre avuto ragione, dopotutto: essere diversi non significa essere sbagliati. In ognuno di noi c’è il giusto e l’errato, il bianco e il nero. Tuttavia, sta a noi decidere quale strada scegliere. È questo dopotutto, che ci rende liberi. Non le armi, non la violenza. Qualsiasi scelta può essere giusta, qualsiasi guerra può cadere se soltanto si guarda alla pace. Il mondo intero può piegarsi se uno dopo l’altro, il mondo scegliesse di non lottare più con la violenza. Decidere la propria strada è impegnativo, Greg lo sa bene, ma John e Sherlock hanno insegnato a tutti loro che alla fine, se si gettano le armi e lentamente si sceglie una stretta di mano allo schiaffo, allora il mondo può cambiare davvero.
La diversità non esiste. E la prova lampante, viva, reale… sono quelle due piccole creature così differenti, così lontane. Eppure, nonostante questo, entrambi hanno un cuore, entrambi respirano, osservano, sorridono, vivono. Entrambi adesso si stringono reciprocamente in quell’abbraccio delicato che sa di amore, serenità e protezione. Lì, dove l’ultima violenza si è infine consumata, la speranza sboccia rosea, gentile e lentamente, emanata dal dolce abbraccio di due semplici esseri viventi, ripulisce il marcio del mondo.
 
John non ha mai amato dormire. Troppi incubi. Sogna la guerra, le urla, il sangue e il dolore. Fa un male insopportabile rivedere i suoi fallimenti, fissare le vite che debolmente sono scivolate tra le sue dita impotenti. Solitamente, John si sveglia di soprassalto, sudato e stanco più di prima. No, riposare non fa per lui.
È un soldato. Lui combatte, corre, spara. Ma non si ferma. Non può.
Tuttavia, adesso qualcosa è cambiato. Nessun incubo tormenta il suo riposo, e anche adesso, nel dormiveglia, John sente di non aver sognato niente di brutto. Non sa perché, non sa quale miracolo abbia mosso su di lui invisibili mani caritatevoli… ma è successo.
John si muove appena, desideroso di sapere, di scoprire, di conoscere l’ebbrezza di un risveglio lento, pulito, senza grida. Nessuno sparo gli rimbomba nella gabbia toracica, nessun urlo moribondo gli risuona nelle orecchie.
C’è silenzio. O quasi.
Un fruscio morbido lo riscuote dal torpore, facendogli schiudere gli occhi sulla luce di una stanza non sua. Inspira profumo di spezie e vaniglia, stringe debolmente le dita sul bordo ruvido di qualcosa che lo ricopre di seta e polvere di stelle. Riflessi cristallini gli illuminano il viso, emanati dalla bizzarra coperta che si riscopre essere semplicemente l’ala della creatura seduta su una sedia accanto al letto.
L’uomo che lo veglia siede a gambe accavallate, la schiena dritta, le mani artigliate strette con delicatezza attorno alla rigida copertina di un libro ingiallito dal tempo. Non sembra accorgersi del risveglio di John, il che lascia intendere che il drago sia momentaneamente rinchiuso nel suo Mind Palace. Poco male: John ha finalmente il tempo di guardarlo così come ha sempre voluto fare.
Lascia sfilare gli occhi sul profilo aristocratico, nobile, dal naso dritto e dalle labbra piene. La luce che viene dall’esterno, esattamente da una finestra poco distante, dipinge sugli zigomi affilati ombre che morbide, risaltano il pallore lunare della pelle priva di imperfezioni. Le ciglia sono lunghe e nerissime, i capelli lucidi come piume di corvo.
Al momento, Sherlock indossa soltanto i pantaloni, e certamente, a John non dispiace. Osserva i pettorali armoniosi, i muscoli lunghi e affusolati, il collo pallido come lucente madreperla. Quello è l’aspetto che qualsiasi splendido dio potrebbe avere. Quella è la creatura con la quale John sceglierebbe mille e mille volte di passare la vita.
Quello è l’inizio di un’ultima, grande avventura.
 
Sherlock cammina lentamente, sfilando leggero lungo il corridoio, tra le porte serrate, lungo un percorso che la sua stessa mente lo spinge a seguire. Non indossa abiti; lì non ne ha bisogno.
La luce filtra possente dagli usci, illuminando di candido pallore i muri bianchi, le porte lignee, il pavimento chiaro sul quale ticchettano come lancette d’orologio gli artigli ricurvi del drago che avanza lentamente.
Sherlock si guarda intorno, fissando ogni porta, ricordando ogni dato celato nella stanza che essa sigilla. Ma non sono le informazioni che sta cercando, adesso. Non questa volta.
-Per quanto ancora hai intenzione di cercarmi?- domanda una voce alle sue spalle.
Sherlock si volta lentamente, con calma, ma nulla può prepararlo alla mutazione che lo abbraccia improvvisamente: il panorama cambia, le porte spariscono. Sherlock non sa perché, ma succede. Egli stesso sente qualcosa scivolargli addosso, abbracciargli il torace e urtargli le gambe.
Una veste argentata, dal colletto rigido intarsiato di decorazioni zaffiro che morbide si ripetono lungo i bordi delle maniche larghissime. Sulla schiena vi sono due tagli per lasciare spazio alle ali, sulle spalle vi è un mantello di seta che scivola tra di esse per cadere come strascico azzurrino ai piedi della giovane Furia Buia. Intorno alla fronte vi è un cerchietto d’argento semplice, sottile, brillante come polvere di diamanti.
Ma è intorno a lui che il mondo cambia davvero.
Il tramonto splende di rosso e oro sulla distesa infinita di un oceano limpido come cristallo, pulito come anima di infante. Bianche sponde sia abbattono pacifiche sulla sabbia di una spiaggia coperta di polvere d’oro finissima, leggera, intervallata da brillii cristallini, come se qualcuno ci avesse cosparso dei diamanti.
E lì, sulle sponde del più bell’incontro di cielo, terra e acqua, svetta una figura alta e slanciata, abbracciata da una candida veste di regina.
L’acqua lambisce carezzevole i piedi nudi di Nevora, scivolando sulla coda e sul mantello di finissimo cristallo quasi invisibile ad occhi umani. L’abito la avvolge stretto, sinuoso, abbracciando i fianchi stretti e la vita appena più larga. I seni sono alti e pieni, il viso fiero, sorridente, pallido come quello del figlio. Ha lunghi capelli neri intrecciati finemente con steli di candida orchidea, occhi brillanti di cristallo e una corona da sovrana che svetta sul capo.
-Ce l’hai fatta, figlio mio.- sorride lei mentre Sherlock avanza lentamente sulla sabbia, trascinandosi alle spalle lo strascico del mantello. I suoi piedi nudi affondano, si colorano d’oro quando i granelli s’impigliano tra le scaglie e lungo gli artigli ricurvi. Sua madre sembra più giovane, più serena di quando era in vita.
-Ce l’abbiamo fatta, madre. Tu eri al mio fianco.- risponde lui, raggiungendola. Si inchina leggermente alla regina, riconoscendone il grado e la superiorità, ma ella scuote lentamente il capo.
-Non sono più una regina, Sherlock: adesso, il sovrano sei tu.-
Sherlock si raddrizza e intreccia le dita dietro la schiena, fissandola.
-La corona non mi serve. Ho fatto ciò che volevi, ma adesso lascerò il comando a mio padre.-
Ma Nevora scuote il capo.
-No, figlio mio. È a te che i nostri popoli devono fedeltà, è a te che gli uomini hanno affidato le loro speranze. Al tuo cospetto, essi hanno combattuto e, al tuo cospetto, essi si sono radunati. Hai risanato il mondo, figlio mio, e questo fa di te re più di qualsiasi grande ti abbia preceduto.-
Nevora distende un braccio e lentamente, appoggia una mano sulla guancia del figlio, costringendolo ad alzare lo sguardo per intrecciarlo al suo. Sorride benigna, fiera, materna.
-Dopo la mia morte, la nostra gente ha dimenticato i grandi delle epoche passate. Giustizia, pace, serenità. Ci vorrà ancora molto per riafferrare le redini di ciò che è stato, ma non è impossibile: hanno bisogno di una guida, figlio mio, e quella guida sei tu. Tu sai, tu ricordi. E, con John al tuo fianco, saprai essere il re di cui hanno bisogno. Non sarai solo, bada. Altri ti affiancheranno e sì, quando cadrai, essi sapranno sostenerti. Il male ci sarà sempre, e sulla tua strada dovrai affrontarne ancora parecchio. Presto, esso cercherà di piantar nuovamente radici nel mondo. Non dimenticare tuttavia, che anche tu hai uno scudo: quel giovane, John… il tuo scudo è lui. Lui ti spinge a rialzarti ogni volta, lui ti spinge a lottare e a credere nell’alba di un nuovo giorno.-
Nevora gli strizza l’occhio con fare complice.
-Forse, gli umani non sono poi così deboli, no?-
Inconsciamente, Sherlock si appoggia dolcemente alla sua mano e sorride appena, socchiudendo gli occhi.
-Tu lo sapevi.-
-Io l’ho sempre saputo, figlio mio… così come ho sempre saputo che il mio giusto successore saresti stato tu. Adesso, sta a te riportare la luce sul mondo. Regna come dovresti, Sherlock Holmes… e non dimenticare che insieme, tu e John potrete annientare qualsiasi oscurità. Riprendi il sentiero della giustizia, riprendi il sentiero della pace. Sii re.-
Detto questo, Nevora si solleva sulle punte delle zampe squamose e dolcemente, appoggia le labbra sulla fronte di Sherlock, benedicendolo, rassicurandolo, spingendolo lungo la strada che forse, l’ha sempre atteso.
-Buona fortuna, tesoro.- mormora, allontanandosi. Indietreggia di pochi passi, affondando nell’acqua fino a metà polpaccio.
-Dove vai?- chiede Sherlock, sbarrando appena gli occhi. Lei sorride ancora e distoglie lo sguardo, posandolo sul tramonto raggiante, dorato di aspettative e stanchezza per il giorno appena trascorso.
-Il mio posto non è più qui.- sorride infine, protendendosi affascinata verso l’orizzonte. –Hai trovato la tua strada, Sherlock, ma sta a te percorrerla adesso. Io… sì, io credo di poter andare, finalmente.-
-No, aspetta!-
Sherlock avanza ancora, fino a bagnarsi le zampe nell’acqua cristallina. Protende una mano verso sua madre, incapace di lasciarla andare ancora una volta. Sulla fronte ha ancora il calore di quel bacio e nell’aria, annusa nuovamente il profumo di sua madre, quell’aroma di sole e fiori di campo che ha creduto di aver dimenticato. Non vuole dimenticare di nuovo, non vuole lasciarla andare.
Lei lo guarda benigna, senza abbandonare il sorriso. Nell’acqua, la sua veste galleggia, urtandogli i polpacci, affondando e riemergendo come leggerissimo velo incantato. Il sole bagna d’oro il suo viso, rischiarandolo di elegante magnificenza.
-Sono stanca, tesoro. Per me, è ora di andare oltre.-
-Non voglio… perderti.-
Lei inarca un sopracciglio, piccata.
-Chi ti ha detto che mi perderai? Abbiamo vissuto tanto insieme, figlio mio. Ti ho insegnato a volare, a camminare, a parlare. I primi libri che hai letto, te li regalai io. Quindi, sì, credo di poter affermare con certezza che in te vivrà ogni mio gesto, ogni mio pensiero. Tu mi conosci, Sherlock: devo essere libera per sentirmi felice. Perciò, se vorrai credere in ciò che ti dico e seguire il tuo sentiero da solo, così come deve essere, devi lasciarmi andare.-
Madre e figlio si fissano, occhi negli occhi, affetto materno e amore di figlio. Infine però, Sherlock indietreggia. Chiude gli occhi, annuisce. Semplicemente, la lascia andare.
-Vai. Sii libera.-
-Oh, ma io lo sono già, ormai.- sorride Nevora, indietreggiando ancora verso il sole, verso il futuro. –E credo, Sherlock, che sia ora per te di trovare la tua, di libertà. Ti sta aspettando adesso, proprio qui fuori.-
Nevora spalanca le ali, le sbatte una volta sola. Le punte acuminate affondano nell’acqua, sollevando in aria due splendidi ventagli di schizzi adamantini mentre il suo corpo si innalza leggero, ancora fradicio ma regale così come è sempre stato.
-A proposito- dice lei prima di voltarsi. –John Watson è proprio un bell’uomo. Bel colpo.-
Gli strizza l’occhio un’ultima volta mentre Sherlock arrossisce appena, esclamando un puerile “MAMMA!!!” di ragazzino imbarazzato. Lei ride felice, libera, leggera. Poi, sale sempre di più, virando verso il sole, verso il cielo, sotto gli occhi lucidi del figlio ormai re.
Il drago solleva una mano in segno di saluto e spalanca le ali a sua volta, oscurando il cielo, facendo splendere d’oro le membrane d’aurora boreale. Non ruggisce, non si muove. Semplicemente, osserva l’ultima grande regina delle ere passate che si allontana, sparendo lucente nella luce accecante del tramonto.
Con la totale scomparsa di Nevora, si chiude un’era: l’era della grande sovrana gentile, figlia delle stelle e della pace. Ad essa, succederà Sherlock Holmes, figlio, uomo, drago, sbocciato dalle idee della madre, cresciuto dalla violenza del mondo… e infine, maturato tra le piccole mani innamorate di un insignificante essere umano.
Sherlock non la rivedrà mai più.
Eppure, quello non è un addio, ma un arrivederci. Si incontreranno ancora, dinanzi a quello stesso tramonto, sulle sponde pulite di quello stesso oceano incontaminato. Per l’ultima volta, Nevora gli tenderà la mano e Sherlock, ormai stanco di anzianità, la afferrerà per lasciarsi trasportare via, leggero di un ultimo volo che lo vedrà pesante di un’altra creatura che mai lo avrà abbandonato: John Watson sarà con lui allora, fino alla fine. E insieme, essi voleranno oltre, lasciandosi alle spalle l’ennesima era terminata. Ne inizierà un’altra, con l’arrivo del nuovo giorno… al trono questa volta, salirà un drago viola, a due teste. E, Sherlock lo sa, non potrà esserci scelta migliore di quella.
Arrivederci, mamma.
Arrivederci, figlio mio.
 
Un tocco fragile sul viso. Dita umane, morbide, delicate che accarezzano Sherlock con tanta devozione da sfiorarlo quasi timorose.
John affonda le mani nei capelli soffici di seta, scorre i polpastrelli lungo le tempie, gli zigomi, la mandibola coperta di piccoli spuntoni. Ripercorre manualmente quel viso elegante, baciato dalla luce, immobile come splendida statua michelangiolesca.
Quasi inconsciamente, sorride alla vista dello sguardo vacuo di Sherlock. Gli ricorda la prima volta che gli ha proposto un caso. Sembrano passati secoli da allora, ma in realtà è trascorso appena qualche mese dal loro primo incontro. Nonostante questo però, John sente che il suo posto è sempre stato quello: affiancare Sherlock, vivere dei suoi respiri, dei suoi sguardi, della sua voce. Del prima, John non vuole ricordare altro.
L’uomo passa troppo tempo a guardarsi indietro, col risultato di perdersi ciò che ha dinanzi. John ha consumato metà della sua vita a piangere le sue perdite, i suoi errori, il suo passato. Si è sempre rifiutato di avanzare, di cambiare il corso della sua storia. Poi, con l’arrivo di quella bizzarra quanto arrogante creatura alata, qualcosa è cambiato. La sua vita, il suo futuro… tutto. E John non può desiderare niente di più bello.
Una mano calda si appoggia sulla sua, ancora ferma sul collo di Sherlock. John sussulta e sbarra gli occhi, accorgendosi improvvisamente che sì, Sherlock si è svegliato. Lo fissa negli occhi, studiandolo col familiare sguardo di indecifrabile cristallo.
John si sente esposto, fragile, proprio come la prima volta che l’ha incontrato. L’effetto devastante di quelle iridi chiarissime non smetterà mai di stupirlo, dovesse passare un secolo. Saranno sempre nuove, sorprendenti, intelligentissime… e bellissime. Proprio come il loro proprietario.
-Io… scusami, ti ho… svegliato? Si dice così quando esci dal tuo Mind Palace?- esclama John, parlando velocemente. Vorrebbe ritrarre la mano da quel viso così bello, così familiare, ma Sherlock non glielo permette. Al contrario, continua a fissarlo intensamente con occhi che, John si accorge con stupore, brillano ancora di un velo di lacrime.
-Sherlock?- chiama stupito, ma lui non risponde. Al contrario, John lo vede respirare profondamente, a pieni polmoni per riprendere il controllo. John vorrebbe domandare, vorrebbe sapere cosa lo ha sconvolto, ma sente anche che non è il momento di chiedere. Quando Sherlock si sentirà meglio, glielo dirà.
Quella creatura impassibile, conosce in realtà le emozioni meglio di chiunque altro.
Per questo, John sorride dolcemente di un sorriso innamorato e, stiracchiando i muscoli, si china per stringerlo in un abbraccio gentile, affettuoso, traboccante di totale devozione. Gli accarezza la schiena squamata, fa scorrere le dita lungo le vele sporgenti delle ali gigantesche e dolcemente, inspira quel profumo magnifico che ha saputo estrarlo dall’inferno stesso.
Sorprendentemente, Sherlock lo strattona con gentilezza, lasciando che John sieda a cavalcioni sulle sue ginocchia. Poi, senza proferir parola, nasconde il viso contro il suo collo mentre una mano dell’umano sale da accarezzargli la base del corno sinistro.
Restano immobili, sereni, respirando l’uno l’aria dell’altro, ascoltando reciprocamente i cuori di entrambi che armoniosi, si sintonizzano su pulsazioni lente, sincronizzate, come palpiti d’unico essere. Sherlock chiude gli occhi, inspirando il profumo di John. Non somiglia per niente a quello di Nevora. Però è bello.
“E credo, Sherlock, che sia ora per te di trovare la tua, di libertà. Ti sta aspettando adesso, proprio qui fuori”.
Finalmente, Sherlock capisce il significato di quelle parole. La sua libertà, il suo futuro… li stringe adesso, tra le mani. Essi si racchiudono nell’unica creatura che Sherlock ha sempre amato, l’unico che gli ha dato la forza di rialzarsi, di vivere davvero.
Forse, Nevora ha ragione. È ora di andare avanti, è ora di proseguire per la strada che egli stesso ha scelto. Sherlock camminerà sulle sue gambe, seguendo i suoi principi, la sua giustizia, il suo futuro. Cadrà più volte, ma non sarà mai realmente solo.
-Sono qui.- mormora John, e Sherlock trattiene il respiro. Inconsciamente, un sorriso sboccia sulle sue labbra, stiracchiandole, illuminandogli il viso di luce nuova, viva, felice.
E, mentre il sole illumina con più forza il cielo, filtrando dalle finestre e bagnando la coppia di luce dorata, Sherlock allontana leggermente John da sé. Lo guarda negli occhi, studia con cura quel viso bagnato di sole.
Quel viso, lui lo ama da morire. Per quel viso così umano, così imperfetto, Sherlock tirerebbe giù il cielo intero.
-Che c’è?- sorride John imbarazzato, ma Sherlock scuote il capo, sorridendo ancora.
-Niente, John. Bentornato a casa.-
E allora Sherlock si china e lo bacia con dolcezza, gentile di amore, leggero di serenità mai provata prima. Gli morde dolcemente le labbra, lascia che morbido fumo argentato scaturisca dalla sua gola per sfiorare la lingua dell’altro mentre la intreccia alla sua.
Le mani corrono, esplorano, accarezzano. E Sherlock capisce che sì, con John al suo fianco, potrebbe accettare il trono offertogli da Nevora.
-JOOOHN!!!-
Qualcosa di pesante sfonda la porta, sradicandola dai cardini mentre una furia violetta attraversa la stanza e si scaglia di peso su John e Sherlock, abbracciandoli con forza erculea. L’umano annaspa spaventato mentre la Furia Buia pianta le punte delle ali nel pavimento per evitarsi di cadere.
-John! Sherlock! State bene?- esclama Noah, nascondendo i volti contro i colli di Sherlock e John. Respira velocemente, affannato, spaventato come il bambino che è sempre stato.
John ricorda la prima volta che l’ha visto. È stato Noah a insegnargli che tutto il suo sapere sui draghi era sbagliato. È stato Noah ad affiancarli, a seguirli ovunque andassero. Ha sempre nutrito una profonda fiducia in entrambi, pur conoscendoli poco. Non ha fatto domande, non si è impicciato nelle loro faccende personali o nel loro passato. Tuttavia, John ha sempre avuto la bizzarra sensazione che quel minuscolo bambino a due teste, in realtà lo conoscesse più di chiunque altro.
-Stiamo bene, Noah. Tutti e due.- sorride John, abbracciandolo forte. Accarezza i capelli del bambino, inspira il suo familiare odore di vento, tipico di tutti i draghi alati. Quello è il suo bambino, il suo Noah. Quel piccolo è parte della sua famiglia.
Lo allontana leggermente da sé per guardarlo in viso. Sorride, John, e pensa di non poter mai fare altro nella vita.
Quello è il suo posto.
Lì, seduto sulle gambe di Sherlock, con un piccolo draghetto a due teste in grembo e le ali della Furia Buia che lentamente si chiudono protettive su di loro, lucenti come polvere di stelle, grandi quanto un vero e proprio mondo personale.
John accarezza Sherlock in viso, facendo scorrere la mano sulla sua guancia, fino alle labbra cesellate. Intreccia gli occhi con i suoi, sorride di una felicità spensierata, viva, che per anni ha creduto irraggiungibile.
-Cosa ne facciamo di lui, Sherlock?- domanda scherzoso, alludendo al corpicino adesso minuscolo di Noah. Lo vede accovacciarsi, abbassare gli occhi, chinare il capo dispiaciuto. Forse, quella frase non è esattamente ciò che si aspettava di sentire.
Sherlock fissa Noah, lo giudica, studia ogni suo tratto somatico. Poi, sorprendentemente, gli cinge le spalle con un braccio e lo attira a sé, baciandogli con dolcezza entrambe le fronti. È un gesto nobile, affettuoso… paterno. John non l’ha mai visto fare una cosa del genere.
-Benvenuto in famiglia, figlio mio.- risponde infine, pensando a ciò che avrebbe detto sua madre. Ricorda i loro ultimi momenti, l’ultimo bacio benedetto che gli ha poggiato sulla fronte. E adesso, lui ripete il gesto lì, al cospetto dell’unica famiglia che ha sempre voluto e accettato.
Noah sbarra gli occhi, si copre la bocca con una mano tremante. Dopo la morte di sua madre, non ha più avuto una famiglia. Se l’è sempre cavata da solo, sopravvivendo alla giornata… senza nessuno ad occuparsi di lui. Adesso invece, quelle due splendide creature innamorate lo abbracciano come un figlio.
Singhiozza forte, lasciando libero sfogo alle lacrime e alla felicità. Poi, dolcemente, si aggrappa al collo di Sherlock mentre John gli accarezza la piccola schiena scossa dai singulti.
-Grazie… graziegraziegrazie.- mormora a ripetizione contro il collo del suo protettore più prezioso. Un sovrano, un drago, un padre. Finalmente, Noah ha trovato la sua famiglia.
-Andiamo, adesso.- dice Sherlock, raddrizzandosi. –John, devo farti vedere una cosa.-
John si alza, incespicando per un breve giramento di testa. Quasi cade per terra, ma un’ala gentile gli impedisce di urtare il suolo, così come ha sempre fatto dalla prima volta che lui e Sherlock si sono conosciuti.
Noah si aggrappa al collo di Sherlock mentre questi si alza lentamente in piedi, attento a non distruggere niente dell’appartamento spartano che li ospita momentaneamente.
-Vivrò qui, Sherlock?- chiede improvvisamente John, guardandosi intorno stranito. In effetti, non è certo che quel posto così piccolo possa ospitare un drago… per quando Sherlock verrà a fargli visita. Il pensiero di vederlo allontanarsi gli è così doloroso che per qualche istante, John trattiene il fiato e chiude gli occhi.
Una mano gentile, morbida di pelle umana e affilata di squame taglienti, scivola nella sua. Le dita si intrecciano, i palmi aderiscono con perfezione quasi impossibile e finalmente, John solleva lo sguardo.
-Casa mia può andar bene?- dice Sherlock con un mezzo sorriso.
Il cuore di John si gonfia improvvisamente, i suoi occhi splendono di nuove lacrime che tuttavia, non hanno il tempo di uscire. Sherlock si china e gli bacia gli angoli degli occhi come se fosse la cosa più naturale del mondo.
-S… sì.- sorride John, abbracciando lui e Noah. –Andrà benissimo.-
Ed è così che, mano nella mano o stretti in un piccolo abbraccio affettuoso, Sherlock, John e Noah escono finalmente all’aria aperta.
John si aspetta di tutto. Pace, tranquillità, silenzio dopo la battaglia devastante. Tutto, tranne quello.
Draghi. Lì, a Londra!
-Ma che…-
John li guarda gareggiare in cielo, fiere cavalcature di umani urlanti di felicità, o correre avanti e indietro, inseguiti da ben più minuti esseri umani che non smettono di ridere. Un drago roccia avanza incespicando mentre tre bambini gli si appendono giocosi alle sporgenze pietrose; un drago albero scorrazza avanti e indietro, trascinandosi dietro quella che sembra una slitta improvvisata stracolma di ragazzi scavezzacollo.
I detriti sono stati spazzati via, rimpiazzati da costruzioni solide, nuove, rinate dall’antichità: ogni casa è piccola, massiccia, elegante. L’edera avvolge gentilmente i muri, inerpicandosi fino ai tetti, e le strade sono punteggiate di alberi, erba e fiori. Ai lati della strada principale, vi sono gigantesche statue marmoree di draghi alte almeno sei metri che, impennate sulle zampe posteriori, sorreggono brillanti archi di vetro intagliato di arabeschi.
È una città nuova, sconosciuta, da favola. Non sembra Londra, ma John sa che quella è la città dove è nato, cresciuto, morto e resuscitato.
-Cosa… quanto ho dormito?- domanda stupito, mentre un gruppo di cuccioli di drago gli passa davanti di corsa, mulinando le pericolosissime code spuntonate. Costringono diverse persone ad abbassarsi, per poco non distruggono una delle statue, ma sembrano inarrestabili e anche terribilmente divertenti.
-Due giorni.- risponde Sherlock, avanzando al suo fianco. –Ma tutti noi abbiamo dato una mano.-
Al suo passaggio, diverse persone si girano e li salutano con sorrisi e sventolii di mano. Una bambina si aggrappa alla gamba di Sherlock, che incespica imbarazzato tra le risate di John e i brontolii gelosi di Noah.
-Ehilà, John!- esclama Greg, raggiungendolo di corsa. Lo abbraccia con forza, sollevandolo da terra e ignorando ogni sua fervida protesta. –Come stai? Meglio, vedo.-
Indossa nuovamente il distintivo da ispettore e sorride raggiante, sereno come John non l’ha mai visto.
Alle sue spalle sopraggiunge qualcun altro, una creatura abbigliata in abiti classici e con in mano il suo fedele ombrello nero.
-Vedo che ti sei rimesso, John.- saluta Mycroft, senza degnare il fratello di uno sguardo.
-Immagino di sì. Ma tu lo sapevi già, vero?- risponde John, e allora Mycroft si lascia sfuggire un mezzo sorriso. Annuisce e quasi distrattamente fa scivolare la mano in quella di Greg.
John sbarra gli occhi, fissandoli entrambi.
-No, siete seri?!- esclama mentre Sherlock si copre gli occhi con una mano.
-Vorrei essere cieco…- commenta, vibrante di disgusto mentre Greg scoppia a ridere, rosso in faccia e leggermente impacciato.
-Sì, noi… ehm…-
-John!-
Mrs Hudson compare all’orizzonte. Corre veloce, agile come una ragazzina, e il suo viso è così rilassato da sembrare seriamente ringiovanito. Abbraccia forte suo figlio, gli scompiglia i capelli, gli bacia la punta del naso mentre John arrossisce e imbarazzato cerca di richiamarla all’ordine.
-John!-
Molly, Irene e Mike li raggiungono di corsa. Sorridono, corrono agili tra i draghi che li sorpassano di tanto in tanto. Mike incespica e quasi rischia di cadere e i draghi ne approfittano per atterrarlo e rotolarsi nell’erba, trascinandoselo dietro.
Molly si slancia in avanti, leggera come gazzella, serena come bambino ancora in fasce e dolcemente, stringe Sherlock e John in un abbraccio soffocante. Non si preoccupa più dell’imbarazzo che ha sempre provato nei confronti di Sherlock, non si preoccupa più del passato, delle perdite, della sua vita vissuta a metà.
Il passato non potrà essere cancellato, questo mai. Ognuno ha perso un pezzo d’anima, ognuno ha sofferto le pene dell’inferno. Tuttavia, ormai è ora di andare avanti. Hanno pianto abbastanza, e abbastanza si sono voltati indietro, verso il passato, verso le troppe vite che hanno visto spegnersi. Forse però, non è tardi per ricominciare.
Molly ha perso tanto, in passato. La sua famiglia non c’è più, i suoi innocenti occhi di ragazza hanno visto troppa violenza. Tuttavia, adesso, Molly fissa John e Sherlock con rinnovata serenità, viva di sorrisi luminosi e occhi brillanti, fiduciosi nel domani.
-È finita.- mormora, esausta di felicità. Quasi piange nel guardarli, e John sa che la sua amica non smetterà mai di ringraziarli entrambi per ciò che hanno fatto. –È finita davvero.-
-A quanto pare sì.- aggiunge Irene, sorridendo sorniona a indirizzo di Sherlock. –Almeno per ora, dolcezze. È tempo di guardare avanti… è tempo che sul trono salga un nuovo re.-
Tutti fissano Sherlock, tutti annusano l’aria in cerca di un pericoloso rifiuto. Mycroft si appoggia all’ombrello, Greg serra forte i denti, Molly stringe i pugni. Sanno che un eventuale rifiuto di Sherlock potrebbe segnare altre scissioni.
Draghi d’acqua, di terra e di roccia, rispondono solo e soltanto a lui, adesso.
-Non è ancora il tempo per parlarne.- sopraggiunge Edarion. Avanza lentamente verso di loro, le mani intrecciate e una lunga veste indosso. Gentilmente, raggiunge il figlio e gli appoggia una mano sulla spalla, sorridendo appena.
-Noi due sappiamo già, Sherlock.- ammicca complice, e Sherlock annuisce. Ha la strana sensazione che Nevora non abbia parlato soltanto con lui.
-Sii deciso in ogni tua scelta, e ricorda che qualunque strada sceglierai, noi ti seguiremo.-
Uno dopo l’altro, i presenti annuiscono. Draghi e umani affiancati, simili, sicuri dei loro stessi legami. Differenze ormai, non ce ne sono più.
-Andate, adesso.- mormora Edarion, facendo un passo indietro, e gli altri lo imitano sorridenti, felici, attorniati da umani e draghi mescolati, uniti, che come bambini giocano tra loro, collaborano, si inseguono.
Quello è il loro mondo. Quella è pace.  
 -Andiamo? Dove?- chiede John, mentre Sherlock e Noah distendono le ali, stiracchiandole al cielo come distese setose di aurora boreale e lucente ametista.
Automaticamente, John allaccia le mani al collo di Sherlock e intreccia le gambe alle sue, rifiutandosi di separarsi da lui, di lasciarlo andare.
Non ce ne sarà bisogno. Mai più.
-A casa.-
Ultime parole, ultima promessa. John sorride e annuisce, appoggiandosi a lui con cieca fedeltà.
Sherlock sorride e spicca il volo, sbattendo le ali con forza, tagliando l’aria, issandosi nel cielo come lucente cometa oscura. Al suo fianco, vi è un umano piccolo e testardo. Si sono conosciuti così, dopotutto.
John Watson colpì Sherlock Holmes a un’ala, strappandolo al cielo, al suo popolo, alla sua libertà. Scelse poi di impegnarsi per restituire alla volta azzurra l’astro più brillante del creato, su accanto al sole e alla luna, più brillante di qualsiasi stella, più possente di qualsiasi montagna. John ci è riuscito. E, in cambio, quella stessa eterea creatura ha saputo dargli ciò che di più prezioso abbia mai sognato di possedere: la leggerezza del volo, la serenità dell’amore e le ali di un’indomita libertà.
 
Dunque, questa è la mia storia. La nostra storia. Così, amici miei, io chiudo il mio racconto. C’è altro da dire? Non molto, in realtà. So bene che la nostra avventura è appena iniziata, così come so che ben presto, dovremo affrontare guai ben più grossi di Jim Moriarty. Lo capisco da Sherlock, che col passare dei mesi pare innervosirsi ogni istante di più. Lo stesso Noah annusa l’aria spaventato, ma non voglio credere che esista davvero qualcosa capace di allarmare un drago, specie se il rettile in questione è una Furia Buia.
Oh, lasciamo perdere i nostri problemi. Io sono felice così, dopotutto: amo la mia casa, la mia famiglia, i miei amici che non mancano mai di invaderci casa alle ore più sconclusionate del giorno e della notte. È la mia vita, che vogliamo farci?
Ora, torniamo a noi. Sì, perché ho intenzione di concludere il racconto così come l’ho iniziato. Ha bisogno di un’aggiustatina, non vi pare?
Questa è Londra. Nevica per nove mesi all’anno, e negli altri tre grandina. Le cose da mangiare che crescono qui sono dure e insapore, e le persone che crescono qui lo sono ancora di più. L’unica cosa positiva, sono gli animali da compagnia: in molti posti hanno pony e pappagallini. Noi invece abbiamo:
I DRAGHI.
 
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Angolo dell’autrice:
Ebbene sì, ragazzi miei. Questa è davvero la fine. E, come sempre, devo tediarvi con uno dei miei piccoli discorsi da pazza furiosa. Forse sarò ripetitiva, è vero, ma non perderò mai l’occasione di dirvelo.
Viaggiate. Aprite le vostre menti e volate alto, sempre e comunque, qualsiasi cosa capiti. Leggete, scrivete, sognate. L’uomo migliore del mondo non sarebbe mai grande davvero se non inseguisse un sogno, un pensiero di libertà e un soffio di vita vera. Non sempre è facile realizzarsi, è vero, ma le cose veramente belle non sono mai semplici. Io ho combattuto contro me stessa, contro il mondo, e sto ancora lottando. Sono stata debole, ammalata, stanca. Tuttavia, non ho mai smesso di scrivere. Per me stessa, per voi. Leggere ci aiuta a tornare liberi, ad essere bambini di nuovo, e io voglio provare altre mille e mille volte che questa libertà esiste. Scriverò sempre, così come mi è stato chiesto di promettere, ma voi in cambio … vivete. Sognate. Siate bambini sempre e comunque, anche quando ogni cosa vi remerà contro. E leggendo, traete le vostre morali da ogni storia, da ogni personaggio, da ogni frase. Infine, applicate quanto di più giusto riuscite a carpire dai personaggi che vi appassionano:
Siate liberi come Sherlock.
Siate testardi come John.
Siate gentili come Molly e intelligenti come gli Holmes.
Siate tutti loro, siate voi stessi. E infine, abbiate sempre la forza di credere che da qualche parte, le fiabe esistono davvero. Guardate in alto, sulle vostre teste, e immaginate l’epica battaglia tra i draconici Sherlock e Moriarty. Guardate la vostra città e immaginatela sede di draghi e umani che si rincorrono ridendo. Guardate le vostre vite e rendetele avventure vere, così come hanno fatto i personaggi di questo racconto. Loro hanno sconfitto la guerra. Voi, potete sconfiggere qualsiasi orribile titano semplicemente credendo di poterci riuscire.
Noioso, vero? Probabilmente sì, e probabilmente, se qualcuno commenterà, lo farà per insultarmi a dovere dopo questo discorsetto da vecchiaccia precoce XD Ora, tornando a noi, annuncio che no, non vi libererete di me. In parte, questa storia resta aperta, e questo perché adesso esce Dragon Trainer 2. È vero, ho già in porto l’ennesima Johnlock, che stavolta li vedrà impegnati nella mitologia egizia, ma non è mai detta l’ultima parola!
Ora, passiamo ai ringraziamenti, e a un piccolo regalo: dopo aver elencato i nomi dei miei bellissimi draghetti recensori, troverete uno sprazzo della prossima storia, che dovrei pubblicare a settembre, se non mi dedicherò al sequel di questo scritto.
Ringrazio di cuore i miei angeli più belli. Coloro che hanno avuto la costanza di recensire, di leggere assiduamente, di ricordarmi che forse valeva davvero la pena pubblicare un altro capitolo. I vostri commenti, che mi hanno fatto piangere e ridere, sono i veri protagonisti di questa storia. È la vostra presenza a ricordarmi che posso scrivere sempre nuove avventure, e per questo non smetterò mai di ringraziarvi. Grazie di cuore. Grazie. E un abbraccio forte e speciale alle ultime persone che hanno recensito:

Kimi o Aishiteiru
Wibbly Wobbly Timey Wimey
Sonia_0911
GretaJackson16
Ari_in_wonderland
Fatelfay

Grazie ancora. E adesso, spazio al mio ultimo, piccolo regalo:
...Sono al buio, tutti e due. E, con un prigioniero svenuto tra le braccia, John non può difendersi. Non usciranno vivi di lì, a meno che gli alleati non raggiungano quella stanza per tirarli fuori.
Improvvisamente però, un flebile sussurro gli accarezza le orecchie. È una voce diversa da quella remota delle ombre, John lo riconosce. È viva, profonda come i più oscuri abissi della terra. Quella è una voce tranquilla, placida, capace di piegare i monti e le maree al suo semplice, egoistico volere.
Un oceano di brividi ricopre la pelle di John, facendolo sentire piccolo e indifeso come un bambino. Si accosta timoroso al viso del prigioniero per ascoltare, per seguire quella voce ovunque essa conduca.
Un lampo d’acciaio, il sibilo di lama che fende l’aria. D’improvviso, l’ultima corda cede, emettendo le ormai familiari scintille cremisi.
John sussulta e si volta, pronto a difendersi con pistola e coltello. Tende i muscoli, affila lo sguardo nella semioscurità, ma tutto ciò che vede è un’ombra corpulenta d’uomo altezzoso che lentamente rinfodera la spada. Si raddrizza, volta le spalle. Infine, torna a confondersi tra i suoi simili, sussurrando a bassa voce le sue frasi sconclusionate.
John realizza lentamente il vero potere di quelle ombre. Non sono impalpabili. Possono combattere, possono ucciderlo.
Lentamente, il prigioniero si risveglia. Muove gli arti, respira a fondo. John allunga una mano verso il suo viso, ma non lo trova, segno che… possibile? Quell’uomo ha veramente trovato la forza per alzarsi a sedere?
-Stai bene?- domanda lentamente, desideroso di ascoltare nuovamente quella voce. Stavolta infatti, la risposta non tarda ad arrivare.
-Non fare domande stupide, ragazzino. Sono più resistente di chiunque tu conosca, quindi non infastidirmi.-
Veloce, concitato. Arrogante. John respira profondamente per non prenderlo a pugni lì, sul posto, rischiando di stordirlo di nuovo.
-Sei Sherlock Holmes?-
-Altra domanda stupida. Non ci sono altri prigionieri qui.-
-Potresti rispondere senza insultarmi?-
-Potresti porre le giuste domande, almeno per impedirti di sembrare un imbecille?-
John stringe la presa sul coltello, poi lentamente si alza in piedi.
-Ottimo. Deduco che tu riesca ad alzarti con le tue sole for…-
-Stai giù.-
D’improvviso, Sherlock Holmes lo tira per un polso, costringendolo ad accovacciarsi…
Tomi Dark Angel

 
  
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