Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Gio_Snower    05/08/2014    3 recensioni
[JeanMarco] {Possibile presenza di un lieve OOC nei personaggi}{Capitoli betati da sara20! Grazie davvero, sei stata fantastica!}
Jean Kirshtein ha diciannove anni ed è il figlio, erede, di una delle più famose famiglie di militari.
Educato per diventare degno del suo cognome, si arruola nell'esercito.
Durante l'addestramento incontra Marco Bodt, un ragazzo normale e dal carattere pacato, a differenza del suo che facilmente cede all'ira.
Jean non immagina nemmeno quanto Marco diverrà importante per la sua vita.
Jean Kirshtein non era un ragazzo come tanti.
Aveva un aspetto nella norma, ma non si era mai paragonato agli altri, anzi, aveva sempre cercato qualsiasi minuscola cosa lo contraddistinguesse e l'aveva valorizzata come gli era sempre stato insegnato.
Estratto dal Capitolo 1
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Jean Kirshtein, Marco Bodt, Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo 3 : Oltre l'amicizia 

L'amore è come l'elettricità,
tutti la usano ma nessuno sa come funziona.
Tandem, 2000

 

Da qualche tempo, quando Marco si girava e sorrideva, Jean era convinto di vedere una specie di aura luccicante circondarlo insieme a fiori, spesso margherite e poteva giurare di sentire a pelle il momento esatto in cui l'altro avrebbe pronunciato il suo nome, con la solita intonazione dolce e semplice della sua voce pacata; questa cosa lo innervosiva e lo faceva arrabbiare con intensità tali da farlo scostare immediatamente dall'amico che, non capendo, ci rimaneva male e, così, pure Jean soffriva.
Possibile che non capisse?
Ma come poteva, d'altronde, dare la colpa a Marco se neanche lui capiva bene quel suo comportamento? Quel suo arrossire? Quel suo cuore che accelerava il battito ad ogni sorriso di Marco? Poteva, per il semplice fatto che era Jean.
Fin dall'infanzia gli era stato insegnato che non era mai colpa sua, non poteva esserlo.
Lui era un membro della famiglia Kirshtein ed i membri di quella nobile famiglia non commettevano mai e poi mai, errori.
Era innaturale per loro, tutto qui.
Quindi, non era di certo colpa sua quel strano comportamento che aveva assunto, né quel suo evitare Marco.
Venne il giorno della visita dei familiari alle giovani Reclute, ma Jean sapeva che nessuno sarebbe venuto né per lui né per Marco, quindi optò per l'oziare sul letto con gli occhi chiusi, riposando il corpo per l'eventuale e quasi sicuro addestramento del giorno dopo.
Si sorprese sentendo un gran vociare di primo mattino, così si alzò e uscì dai dormitori.
Vide Eren, Armin, Reiner (soprannominato Rey), Berthold (detto Berty) e quell'idiota di Conny che parlavano circondando delle persone.
Decise di avvinarsi per vedere meglio, era curioso di sapere cosa stesse succedendo.
Marco dietro di lui lo seguiva, anch'esso interessato all'episodio che si stava svolgendo.
Quando fu lì, la vide.
Una ragazza dai capelli nerissimi, dai tratti orientali, ma delicati e dalla pelle scura, ma non troppo. Occhi neri e diretti.
Arrossì, sorprendendosi lui stesso. 
Era bellissima.
Ma chi era?
La donna si avvicinò ad Eren e gli mise una mano sul braccio con fare protettivo. 
«Mikasa! Smettila, non siamo più bambini», protestò Eren. Si chiamava Mikasa.
Ma Eren, come poteva parlarle così?
Notò le altre ragazze vicino a lei, una alta e lentigginosa, una bionda e piccola di statura, un'altra bionda e dal naso a forma di becco e dagli occhi azzurri gelidi e una ragazza dagli occhi marroni ed i lunghi capelli castano scuro raccolti in una coda di cavallo.
«Chi sono?», chiese Jean a Reiner mostrandosi indifferente quando in realtà era ansioso di sapere che rapporto avesse Mikasa con Eren.
«La sorella di Eren con le loro amiche», rispose Reiner, scostandosi un po' dal gruppo.
«Fratelli?! Non si assomigliano minimamente!», obiettò Jean.
«Da quello che so, lei è stata adottata dal padre di Eren. Sai che suo padre è un medico dell'esercito, no?», spiegò Reiner.
Jean annuì, ascoltando con un interesse che non riusciva più a mascherare... o almeno non del tutto.
«Be', a quanto pare sua madre era una centralinista dell'esercito che cooperava con i soldati durante le missioni e suo padre un maggiore. Morirono tutti e due durante un attacco terroristico, lei si salvò per miracolo. Si mormora che Eren e lei uccisero i pochi terroristi rimasti nella base dopo l'attacco. La cosa sorprendente era la loro età», finì Reiner lanciando verso Mikasa ed Eren uno sguardo pieno di rispetto.
Jean capì in quell'esatto momento che Eren e Mikasa sarebbero sempre stati legati. La cosa non gli piacque. 
Ringraziò Reiner con un cenno del capo e si avvicinò a Mikasa. 
Lui era Jean Kirshtein, non si sarebbe di certo tirato indietro. 
«Ti chiami Mikasa, vero?», le domandò. Lei annuì, fissandolo con quei suoi occhi neri, profondi come pozzi.
Jean pensò ad altri occhi neri, occhi puntati su di lui che sembravano infiniti, che sembravano risucchiarlo come buchi neri.
Gli occhi di Marco.
Si rimproverò per quel pensiero e sorrise accattivante e, nella sua mente, bellissimo. 
«Il mio nome è Jean Kirshtein. Hai dei capelli bellissimi», le disse.
Lei annuì. «Piacere di conoscerti. Grazie per il complimento», rispose seriamente. La sua voce era più dolce di quello che aveva immaginato ed era leggermente roca.
Si sentì lusingato.
Più tardi scoprì il nome delle altre.
La ragazza alta e con le lentiggini si chiamava Ymir ed a quanto pareva stava sempre con Christa, la ragazza minuta e bionda dall'aspetto delicato ed angelico.
La ragazza bassa e dai gelidi occhi azzurri si chiamava Annie mentre l'altra, quella con una lunga coda di capelli castano scuro ed un'espressione stupida dipinta sul volto, era Sasha; quell'espressione stupida gli ricordò Conny.
Forse quei due starebbero bene, insieme, pensò Jean, ma anche pensandolo non è che gli interessasse poi molto. 
Si girò e trovò Marco che lo guardava, quando i loro occhi si incrociarono lui sorrise.
Un sorriso complicato, fragile ed intenso.
Il cuore di Jean sobbalzò prima di battere furiosamente nel suo petto mentre arrossiva violentemente.
Oh, merda, pensò, consapevole finalmente di quel qualcosa che aveva cercato di evitare.
Quel qualcosa su cui aveva ostinatamente chiuso gli occhi.
Distolse lo sguardo, imbarazzato e confuso.
Lui, un membro della famiglia Kirshtein, provava quei sentimenti verso una persona che suo padre non avrebbe mai considerato all'altezza della famiglia e, per di più, maschio.
L'unico pensiero che gli folgorò in mente in quel momento fu: adesso sono fottuto.

Arrivò presto la sera.
Mikasa e le sue amiche erano andate via ore prima. La ragazza dai scuri capelli aveva lanciato ad Eren uno sguardo esitante e pieno di premura a cui il ragazzo aveva risposto annuendo, poi lei si era voltata e se n'era andata, sebbene a malincuore.
Jean, ora, fissava il vuoto pensando ai quei capelli neri ed a quegli occhi penetranti, simili a quelli di chi evitava.
«Ti piace quella ragazza, Jean?», domandò Marco con un sussurro.
«Sì, è molto carina, non trovi?», rispose Jean, esitando solo per un istante. «Anche se è imparentata con Jaeger», sbuffò.
Il silenzio di Marco era chiaro e scese come un muro fra loro due. Jean si girò su un lato e sospirò. 
«Domani...», iniziò Jean.
«Sì?», chiese Marco con un bisbiglio.
«Andiamo nel nostro solito posto, dopo l'addestramento con il Caporale Levi», disse.
Marco non rispose, né Jean si sporse verso di lui, eppure sapeva che il quel momento il moro stava sorridendo, un sorriso che, ne era certo, gli avrebbe fatto sobbalzare il cuore.


Il grigio e freddo sguardo del Caporale Ackerman li seguiva costantemente, senza lasciarli mai. Le Reclute, sotto quell'esame attento e feroce, si sentivano come prede braccate da una fiera, elegante e superiore a loro perfino nel cacciare.  
Il Caporale Ackerman poteva essere pur basso di statura, ma aveva una gran fama che nessuno aveva mai messo in dubbio e Jean aveva capito subito il perché.
Nonostante i suoi modi diretti, mascherati con eleganza naturale e intelligenza, Levi Ackerman era una persona molto prudente e riflessiva. I suoi occhi esaminavano ogni cosa attentamente, diffidando di ognuno, di ogni singolo elemento; possedeva inoltre un carattere ambiguo e scostante, sembrava sempre infastidito od incazzato.
E spesso, troppo spesso, i suoi occhi grigi brillavano in cerca di sangue, una smania che metteva i brividi alle povere Reclute sotto la sua supervisione.
Quel mattino, Jean correva inseguito da quegli occhi attenti e vigili.
«Buone capacità fisiche», commentò Levi, ma Jean sapeva che non era un complimento, piuttosto un commento positivo nei suoi confronti, e basta, finita lì. 
Non dovevi aspettarti niente di più di quel che mostrava, perché Levi portava su di sé le speranze di troppi.
«Cooperativo e bravo nel conquistare la fiducia di altri, un buon soldato», commentò Levi quando toccò a Marco.
Lui deglutì, davanti al Caporale, intimorito da quel suo solito cipiglio. 
Levi lo ignorò e passò ad altri.

Jean si precipitò alla torretta, certo che Marco lo stava già aspettando là.
Quando varcò la soglia, infatti, lo vide: era lì, seduto sulla cornice della finestra, la testa rivolta verso destra e leggermente verso l'altro, gli occhi scuri puntanti su qualcosa e non su di lui.
Calmò il fiatone e si diede un contegno, poi si schiarì la voce.
Marco, che fino a pochi secondi prima era perso nei suoi pensieri, si riscosse e puntò i suoi occhi neri in quelli di Jean.
Sorrise, di quel suo sorriso sincero, il volto leggermente in controluce, i capelli scuri, gli occhi neri fissi su Jean, le guance ricoperte di lentiggini lievemente arrossate.
Era bellissimo.
Si sentì d'un tratto rassicurato, tranquillo, in pace.
Solo stando lì, in quel momento, solo guardando quel sorriso chiedendosi se era giusto ricambiarlo o meno.
S'avvicinò a Marco, quasi correndo e senza che se ne rendesse conto, quasi, le sue labbra erano su quelle di lui, la sua mano stringeva a sé quella di Marco ed i loro corpi erano l'uno contro l'altro, vicini come mai prima.
Le loro labbra a contatto, ruvide e morbide, fini e piene.
Jean si sentì completo, poi aprì gli occhi e si staccò, allontanandosi da Marco che lo guardava, senza dir niente.
Silenzio.
«Aaaah!», urlò Jean accovacciandosi e mettendosi le mani sulla testa, quell'insopportabile silenzio fra loro lo esasperava.
Poi la risata di Marco lo ruppe.
Quella risata calda, leggera, roca e timida.
«Mi hai sorpreso!», esclamò tra una risata e l'altra «Non me l'aspettavo proprio questo tuo assalto!», continuò.
Jean arrossì. 
«Vuoi dirmi qualcosa, Jean?», gli domandò Marco fissandolo. Di nuovo quello sguardo acuto e serio, un sorrisetto sulle labbra.
«Tu...», disse «...mi piaci», mormorò pianissimo Jean. «Forse», aggiunse.
«Non ho sentito bene», annunciò Marco, prendendolo in giro volutamente.
«Cos-?! Tu-», Jean diventò rosso in volto, livido d'imbarazzo. «Hai sentito benissimo!», lo accusò.
«Invece no», insistette Marco, ridacchiando.
Jean si tirò su e si grattò la testa, decidendo il da farsi. 
Distolse lo sguardo da Marco ed arrossendo ancora un po', mormorò: «Tu mi piaci, credo... ecco».
Non si aspettava una risposta, se non un rifiuto, ma Marco lo sorprese come suo solito.
«Anche tu mi piaci, Jean», rispose Marco.
Jean si sbalordì. Poi ghignò.
«Era ovvio», rispose. Marco rise mentre arrossiva leggermente.


«A causa degli attacchi terroristici avvenuti in questa nazione, il Generale ha dato l'ordine di mobilitare le reclute, facendole scendere in campo come risorsa speciale in una missione altrettanto speciale e delicata», spiegò Pixie «Domani partiremo per il campo di battaglia e sarà diverso dall'addestramento. Alcuni di voi potrebbero morire, lo sapete?», disse, guardandoli ad uno ad uno negli occhi. Nessuno distolse lo sguardo.
«Bene, domani partiremo per la prima linea», finì. 
«Capito?».
Jean guardò Marco e Marco guardò Jean, poi distolsero i loro sguardi, slegandoli dall'intreccio che aveva appena intessuto con essi.
«Sissignore!», rispose le Reclute in coro.
Il destino li voleva lì, a combattere per la patria.
D'altronde, erano gli ordini e gli ordini andavano rispettati.
Jean era preoccupato, preoccupato per la vita di Marco più che per la sua. 
Dopotutto, la sua vita gli appariva di così poco valore rispetto a quella dell'altro.
No, non doveva lasciarsi andare ai pensieri cupi, alla paura, alla debolezza.
Doveva essere forte ed aver fiducia in Marco.
Andò a preparare le sue cose con un brutto presentimento.


   
 
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