Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Gio_Snower    25/07/2014    2 recensioni
[JeanMarco] {Possibile presenza di un lieve OOC nei personaggi}{Capitoli betati da sara20! Grazie davvero, sei stata fantastica!}
Jean Kirshtein ha diciannove anni ed è il figlio, erede, di una delle più famose famiglie di militari.
Educato per diventare degno del suo cognome, si arruola nell'esercito.
Durante l'addestramento incontra Marco Bodt, un ragazzo normale e dal carattere pacato, a differenza del suo che facilmente cede all'ira.
Jean non immagina nemmeno quanto Marco diverrà importante per la sua vita.
Jean Kirshtein non era un ragazzo come tanti.
Aveva un aspetto nella norma, ma non si era mai paragonato agli altri, anzi, aveva sempre cercato qualsiasi minuscola cosa lo contraddistinguesse e l'aveva valorizzata come gli era sempre stato insegnato.
Estratto dal Capitolo 1
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Jean Kirshtein, Marco Bodt, Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 2 : Scruta dentro te stesso 
 
 "Aspetta da molto?"
 "Non importa quanto si aspetta, ma chi si aspetta."
A qualcuno piace caldo
 
 

L'addestramento era iniziato già da tre mesi. In quei mesi Jean aveva conosciuto Eren, un ragazzo di origine ebrea, dai capelli nerissimi e dagli occhi azzurro-blu; c'aveva litigato quasi subito con Eren e tutt'ora gli capitava di litigare con lui.
Eren gli toglieva quel contegno che aveva acquisito con anni. Lo guardava come se davanti a lui ci fosse una persona qualunque e non l'erede dei Kirshtein. Odiava quello sguardo.
Non capiva proprio come osasse quel ragazzo far prediche sui suoi ideali da eroe aspettandosi pure che la gente lo appoggiasse.
La gente normale non voleva essere un eroe, i ragazzi normali volevano difendere il proprio paese, ma prima di tutto la propria vita. 
E molti, molti di loro, non erano entrati nell'esercito nemmeno per i loro paese, bensì per l'ambizione. Volevano far carriera e quella militare era sicuramente una delle più redditizie. 
Così, dopo uno di quegli ennesimi scontri, Jean uscì dalla mensa – luogo in cui aveva litigato con Eren – e se ne andò verso la torretta più piccola, quella che solitamente era sempre vuota.
Si mise lì, a fissare un cielo scuro pieno di stelle ed a rilassarsi per un solo momento, un piccolo relax che gli sarebbe costato caro in un'altra situazione, ad esempio se suo padre l'avesse scoperto. 
Qualche momento dopo sentì dei passi lievi e sicuri e seppe chi era ancor prima che il ragazzo entrasse chiedendogli un retorico “Posso?”.
«Che vuoi, Marco?», gli chiese Jean irritato.
Il volto dell'amico era invece sereno ed i suoi occhi scuri lo guardavano tranquilli, senza alcuna traccia di agitazione. Marco sorrise e gli si sedette accanto, ma non troppo. Sapeva che Jean preferiva mantenere le distante, ma Jean lo sapeva?
«Litighi sempre con Eren», commentò Marco senza remore. 
Jean sbuffò. «Non lo sopporto», borbottò. Era sorpreso della sua poca reticenza a parlar con Marco, ma non smise. La cosa, in un certo senso, lo faceva sentir... bene. 
«Non è vero», rispose Marco. 
Jean si girò, stupito ed arrabbiato. Come poteva saperlo? Come poteva arrogarsi il diritto di sapere se era o non era vero quello che diceva? Lui non era nessuno.
«E tu che ne sai?!», ribatté irato stringendo gli occhi.
«Ne so più di quanto pensi su di te, Jean», rispose Marco mentre abbassava lo sguardo, indeciso su quali parole usare per non sollevare ulteriormente la collera dell'altro.
«Ti sbagli», borbottò il ragazzo mentre appoggiava il volto sulle braccia incrociate. 
Poi stettero lì in silenzio, ad osservare il cielo e le sue stelle brillanti che lo impreziosivano come mille e più gioielli; la luna sembrava sorridere a quei due ragazzi che sedevano l'uno di fianco all'altro e che, probabilmente, pensavano tutt'ora alle parole che s'erano scambiati.
La risposta di Marco arrivò più tardi, prima che ritornassero nel dormitorio.
«Jean, io ho visto cosa c'è dentro di te, non prenderla a male», gli disse con un lieve sorriso imbarazzato.
In quel momento, Jean vide Marco per quel che era veramente, un ragazzo gentile, ma acuto. Quel volto pieno zeppo di lentiggini, che prima odiava, ora gli sembrava famigliare, quasi rassicurante... era il volto di un amico.
Jean aveva accettato Marco come amico, come suo primo vero amico, anche se Marco non l'avrebbe mai saputo.
Jean scosse la testa e si avvicinò a Marco, gli posò una mano sulla spalla e con un lieve sorriso gli fece cenno di muoversi. L'amico gli sorrise di rimando mentre lo guardava con quei suoi occhi scuri, prima gentili ed ingenui, poi – come per magia – acuti e intensi. 
Sdraiato sul letto, prima di addormentarsi, con le braccia sopra il cuscino come appoggio per la sua testa, Jean rifletté. 
«Ehi, Marco...», lo chiamò sussurrando piano. 
Il ragazzo ci mise un po' a rispondere. 
«Sì, Jean?», chiese con voce assonata. 
«Non sei male come amico...», disse sottovoce Jean. Marco, sdraiato sul letto di sotto, sorrideva e lui lo sapeva. 
«Grazie», rispose Marco sbadigliando.
«...per essere uno normale, ovviamente», continuò Jean.
Sentì il calcio sferrato da Marco al suo materasso e ridacchiò.
«Buonanotte, dolce Jean», lo prese un po' in giro Marco, vendicandosi una volta tanto.
Jean arrossì. «Oh, e dormi per una buona volta!», rispose l'altro goffamente.
Fu il turno di Marco di ridacchiare ed il sonno lo prese proprio mentre finiva di ridere a bassa voce.
Dopo qualche minuto di respiri intervallati e calmi, tipici di chi sta dormendo, Jean si sporse per controllare che l'altro avesse preso davvero sonno.
Marco dormiva con mezza faccia schiacciata sul cuscino, la frangetta nera sparpagliata sul cuscino bianco.
Sorrise, rassicurato e sistemandosi mormorò un «Notte, Marco», poi s'addormentò. 

«Questo, da oggi in poi, sarà il vostro nuovo istruttore!», annunciò Pixie, il loro precedente istruttore, dai baffoni ben curati e dalla capa pelata.
Il nuovo istruttore era molto più basso del vecchio e di molte delle nuove reclute, ha i capelli neri, divisi in mezzo e una strana frangetta che gli ricade sulla fronte piccola; il suo stesso viso è piccolo, così come i suoi occhi grigi e gelidi che sembrano trapassare ed esaminare ognuno di loro in un istante, come se già li conoscesse. 
Il volto, quasi totalmente inespressivo, non aiutava.
Marco, vicino a Jean, sobbalzò leggermente quando gli occhi del nuovo istruttore passarono su di lui, mentre Jean, invece, abituato agli sguardi freddi di suo padre, rispose con uno sguardo altrettanto gelido.
«Caporale Levi Ackerman», si presentò semplicemente l'uomo. Aveva una voce profonda, stranamente accordante alla sua immagine scostante e distaccata.
Un brusio si diffuse fra le reclute.
Chi, d'altronde, non conosceva QUEL Levi?
Nessuno, probabilmente.
Tutti erano a conoscenza delle sue gesta, della sua intera e grande – piccola nel senso letterale – persona.
Era un Eroe.
«Ci sono domande?», chiese Pixie sorridendo maligno.
Marco avanzò di un passo.
«Sissignore!», disse, chiedendo la parola.
Pixie gliela concesse con un cenno del capo.
«Dica, Recluta Bodt». 
Marco deglutì per schiarirsi la voce, un rivolo di sudore freddo gli comparve sulla tempia. «Perché questo cambio di istruttore, Signore? Non è cosa consueta, se posso chiederlo e dirlo, Signore». I suoi occhi neri erano fissi in quelli grigi di Levi.
Levi avanzò di un passo e poi un altro ancora, fino ad arrivare a due passi di distanza da Marco.
«Questi sono gli ordini», disse freddamente «e gli ordini non si discutono».
Quella frase scioccò le Reclute, nessuno si sarebbe mai aspettato una risposta simile da un  Eroe come lui.
Marco deglutì nuovamente ed annuì.
Levi ritornò sui suoi passi, si girò e con voce forte urlò: «Per oggi è tutto!».
Le Reclute poterono tornare nei loro spazi per poter, così, spettegolare un po' su quello che era successo. 

«Sei impazzito, Marco?», gli chiese Jean greve.
Il troppo addestramento gli aveva forse fatto perdere il senno?
«Hai visto quanto era gelido?», esclamò con occhi brillanti ed intimoriti, fissandolo «Pensavo m'avrebbe ghiacciato sul posto! Sai, come quei cubetti di ghiaccio!», rise caldamente.
Jean scosse la testa, non capiva davvero cosa passasse per la testa di Marco.
«Comunque...».
«Sì?».
«È davvero basso», affermò Jean guardando Marco negli occhi, un sorriso ironico sul volto, lo stesso che aveva l'altro.
Scoppiarono a ridere, Marco di quella sua risata allegra ed aperto, Jean di quella sua risata un po' ironica, un po' maligna e roca, ma non brutta.
«Domani vederemo di che pasta è fatto», disse Jean appoggiandosi alla finestra della torretta, diventata ormai il loro posto segreto e personale.
«Su questo ti sbagli. Abbiamo già visto com'è», rispose Marco.
Jean lo osservò e vide un luccicare in quegli occhi scuri, così, capì che Marco aveva ragione.
Anche l'ultima volta, sul fatto di comprendere sé stesso ci aveva preso. Jean sapeva davvero poco di sé e ne era venuto a conoscenza, sebbene l'avesse infastidito quella sera.
Dopo quella notte, infatti, aveva passato molto tempo a riflettere sul tipo di persona che era e non v'aveva trovato molto che gli piacesse, però non l'avrebbe, ovviamente, mai ammesso. 
Specialmente ad alta voce.
Particolarmente a Marco.
D'altronde l'avrebbe capito da solo, no?
«Spero che nessuno scopra che questo posto è vuoto e ci si può rilassare», disse Marco guardando un punto lontano dietro Jean.
«Perché?», domandò.
«È più bello se a sapere di questo segreto siamo solo noi due, no?», sussurrò.
«Forse hai ragione», rispose Jean con un sorriso stampato sul volto che non poté minimamente impedire.
Marco gli sorrise in risposta.
Avere un amico era davvero piacevole. 
   
 
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