Capitolo III: Loro
La
moto sfreccia veloce.
Scivola
rapida sull’asfalto nero.
Le
auto al loro fianco sono piccole e lente.
Si
muovono a rilento.
Sono
attimi.
Fotogrammi
di una notte.
Lei
non si stringe a lui.
Non
vuole cedere al suo orgoglio.
Lui
guarda dritto davanti a sé.
Non
vuole stare ad ascoltarla.
Vorrebbero
essere vicini, ma non è possibile.
Vorrebbero
sfiorarsi, ma lo fanno.
Sono
attimi.
Il
casco li separa.
Ma
è veramente il casco?
No.
Non è il casco.
C’è
un muro tra loro.
Lei
muove le dita.
Ha
i crampi.
Non
dice nulla.
Hanno
litigato.
Lui
osserva il movimento delle sue dita.
La
osserva senza fare nulla.
Senza
rallentare.
Hanno
litigato.
Ancora.
Per
lo stesso motivo.
Quella
moto sulla quale sfrecciano veloci.
Insieme,
ma separati.
Vicini,
ma lontani.
Una
lacrima scivola silenziosa.
No.
Non
è colpa della velocità.
È
il suo cuore che piange.
La
osserva dallo specchietto.
Una
lacrima scivola silenziosa sulla sua guancia.
Non
sa se è la velocità.
Non
crede.
Ne
è certo.
Oggi
hanno litigato e lei è stata chiara.
È
stanca.
Lui
si è annientato per una moto.
Vive
in funzione di quel mezzo.
Un
mezzo che non gli può donare amore.
Un
mezzo senza vita.
Senza
calore.
Senza
amore.
Lei
è stanca e gelosa.
Gelosa
di una moto.
E
lui lo ha capito.
La
sta perdendo.
Anzi
l’ha persa.
Lei
ha avuto più volte l’impulso di distruggerla.
Prenderla
a martellate.
Si
è sempre fermata.
Per
lui.
Per
il dolore che gli avrebbe provocato.
Ed
il dolore che sente lei?
Non
importa.
Per
un suo sorriso sarebbe disposta a tutto.
Anche
a morire.
Lui
oggi ha superato il limite.
Se
ne è reso conto.
Le
ha detto che è falsa.
Ma
sa che non è vero.
Sa
che lei è la persona più sincera che abbia mai conosciuto.
Hanno
litigato per uno zaino troppo pesante.
Uno
zaino che lei non riesce a portare in spalla.
Lui
le ha detto che lei non capisce.
Ma
è lei a non capire?
Oppure
sono entrambi?
Lui
non vuole perderla.
Senza
di lei sarebbe morto.
Ed
intanto un’altra lacrima scende furtiva dagli occhi di lei.
Lei
che si volta a guardare il mare alla sua destra.
La
luna che si rispecchia in questa tavola blu.
È
bellissima.
Lei
o la Luna?
Alzano
entrambi gli occhi al cielo trapunto di stelle.
Una
stella cadente.
La
vedono. Entrambi. Contemporaneamente.
Seguono
la scia.
Una
lacrima di lei.
Un
desiderio.
“Aiutami”.
“Non
farmela perdere.”
Sono
attimi.
Lei
torna a guardare il mare in cerca di un po’ di pace.
Chiude
gli occhi e lascia che il vento sul viso porti con sé le mie lacrime.
Lui
la guarda.
Vorrebbe
essere lui a portar via le lacrime.
Restano
in silenzio.
Cosa
si può dire davanti una vita che finisce?
Restano
in silenzio.
Non
parlano.
Non
hanno nulla da dirsi.
Non
più. Lei… ha deciso di lasciarlo.
Troppo
diversi, e la moto è solo la scusa.
Lo
sa lui.
Lo
sa lei.
Lui.
Bello. Ricco. Intelligente. Introverso. Spigoloso. Irritabile.
Il
Principe Azzurro e non perde mai occasione per ricordarlo.
Si
reputa fortunato ad averla incontrata e a possedere il suo cuore
Lei.
Gradevole. Povera. Allegra. Bella. Dolce. Intelligente.
La
Cenerentola delle fiabe, quando lo dice lui la rimprovera, ma in fondo sa che è
vero.
La
sua Principessa che troppo spesso si sottovaluta.
Diversi.
Lontani
anni luce.
E
per questo così innamorati.
Lei
in lui ha trovato il suo porto sicuro.
La
sua ancora di salvezza.
Lui
in lei ha trovato la sua forza.
La
sua unica ragione di esistere.
Ma
lei adesso è stanca.
Dopo
otto anni dice basta.
Non
si tratta della moto, ma di loro.
Lo
ama ma non può sentirsi sempre inferiore a lui.
Non
può.
Ed
oggi le sue parole le hanno fatto aprire gli occhi.
“Ti
faccio fare la vita di una principessa e non puoi lamentarti.”
Come
se lei non potesse permettersi nulla.
Ma
lui sa che non è così.
È
lui ad essere indegno.
È
lui a dover baciare il suolo su cui lei cammina.
“Ti
faccio fare la vita di una principessa e non puoi lamentarti.”
Ma
lui sa che non è vero.
È
grazie a lei se conduce la vita di un Principe.
E
tutto grazie al suo amore.
Accelera
per non ripensare ai suoi occhi feriti.
Accelera
per scacciare via il dolore che prova nel cuore.
Non
voleva. Chiederà il suo Perdono.
Sa
che “Scusa. Non volevo” stavolta non funzionerà.
Ha
sbagliato.
L’ha
ferita.
Lei
chiude gli occhi ed aumenta la presa sul carburatore.
Ha
paura della velocità.
Ha
paura di cadere.
Ma
per orgoglio non dice nulla.
Restano
in apnea.
Lui
accelera ancora di più.
La
vuole sentire parlare.
Dire
qualcosa.
Urlare
di fermarsi.
Odia
il silenzio.
Non
può lasciarlo.
Non
vuole che gli dica basta.
Ha
bisogno di lei.
Ha
bisogno di lei per sentirsi migliore.
Sono
attimi.
La
velocità è tale da farle mancare il fiato.
Ma
stasera è l’ultima volta che ci salirà.
Vuole
godersi sino alla fine questa corsa.
Ha
deciso di vivere quest’ultima corsa.
L’ultima
corsa.
Quella
moto può aver vinto la guerra.
Lei
vuole vincere l’ultima battaglia.
Vuole
vivere mentre sfrecciano a tutta velocità per le strade notturne.
Impaurita
apre gli occhi.
Un’altra
lacrima, ma questa causata dalla velocità.
Sorride
mestamente al pensiero che sarà l’ultima volta.
Non
ci saranno altre possibilità di godere di questo.
Il
loro profumo.
Il
loro calore.
È
l’ultima volta.
Osservano
il mare per un istante.
Insieme
come è sempre stato.
Poi
riportano lo sguardo davanti a loro.
Ed
allora la vedono.
Una
macchina sorpassa in curva.
Arriva
diritta davanti a loro.
Lui
le urla di stringersi al suo torace.
Lei
lo fa.
Si
fida.
Come
è sempre stato.
Sono
attimi.
Interminabili.
Il
cuore batte a mille.
Lo
sentono in testa.
Sono
attimi.
Le
luci dell’auto li abbagliano.
Lei
chiude gli occhi impaurita.
Il
respiro accelerato.
Lui
la osserva.
Un’ultima
volta.
Poi
è veloce.
Cerca
di decelerare.
La
sterzata per evitare l’impatto frontale.
Lo
stridere delle ruote sull’asfalto.
Sono
attimi.
Il
botto.
Le
orecchie che fischiano.
Il
rumore di qualcosa che va in pezzi.
Sono
attimi.
Dolore?
No. Non sentono nulla.
Sono
attimi.
Lei
si rialza come se non fosse successo nulla.
Ancora
non ha capito nulla.
Si
guarda attorno.
Cerca
di riordinare le idee.
Forse
il suo è stato solo un sogno.
Ma
non è così.
È
la vita.
Ed
alla fine la vede.
Lei.
La moto.
A
terra su di un fianco.
La
ruota davanti ancora gira, come se fosse leggera, come se fosse quella delle
biciclette.
Il
faro si accende e si spegne.
La
carena completamente distrutta.
Istintivamente
si porta le mani alla bocca.
Vorrebbe
urlare ma è impietrita.
Con
gli occhi pieni di lacrime lo cerca.
Il
suo principe.
E
lui?
Lui
cerca di alzarsi ma non riesce a muoversi.
Non
ha ancora preso coscienza di sé.
Sta
forse morendo?
Se
lo chiede ma ha paura della risposta.
È
questo morire?
Perdere
il contatto con il proprio corpo.
Non
sentire più il calore del suo corpo. Del corpo di lei.
Perdere
il contatto con la realtà.
Non
vederla più.
Perdere
il contatto con tutto ciò che ci circonda.
Non
sentire più il suono della sua voce.
Cerca
di aprire gli occhi, ma sente le palpebre troppo pesanti.
Dove
è lei?
Sta
bene?
Perché
non la sente vicina?
Cosa
le ha fatto?
Sono
attimi.
E
lei, intanto, cerca di slacciare il casco ma con sorpresa nota di non indossarlo
più.
Deve
esserle scivolato durante la caduta.
Un
senso di angoscia le pervade l’animo.
Perché
non sente la sua voce?
Si
volta a destra e a sinistra.
Il
terrore negli occhi.
Trema.
Non
può essere vero.
Lo
vede.
Sdraiato
in terra.
Forse
dorme.
Forse
è…
No.
Non
è vero nulla.
Corre
verso di lui.
Io
li osservo.
Non
posso fare nulla.
Si
inginocchia.
Forse
sta pregando?
Non
lo sfiora.
Lo
guarda.
Sì,
adesso ne sono certa, sta pregando.
Adesso
la sento pregare.
Non
riesce a toccarlo.
Non
vuole svegliarlo.
Lui
dorme.
Almeno
spera che stia dormendo, altrimenti…
Altrimenti
lei è morta.
Intanto
lo guarda.
I
jeans strappati.
Li
avevano comprati insieme.
Il
maglione lacerato.
L’unico
regalo che lui avesse davvero apprezzato.
Il
casco mezzo rotto.
Un
casco che non lo ha protetto.
Il
viso tumefatto dagli urti.
Vorrebbe
baciare le sue ferite ma non lo fa.
È
bloccata.
Paura.
Il
sangue scivola lento da una ferita alla tempia.
Lo
guarda ipnotizzata.
Ed
intanto continua la sua lenta litania.
“Ti
prego salvalo…”
Neanche
si accorge di stare pregando.
Prega
con il cuore.
“Non
morire”.
Ed
intanto una pozza di sangue si allarga sull’asfalto.
Lei
continua a guardare il sangue ma neanche se ne accorge.
Sono
attimi.
Ed
intanto lui riprende coscienza del suo corpo.
E
di lei.
Lei
è… la sua vita.
La
sua unica ragione di essere.
Lentamente
riapre gli occhi.
Cerca
di mettere a fuoco ciò che lo circonda.
Ha
paura.
Il
cuore corre veloce.
Gli
fa male il petto.
Ma
alla fine riesce a farlo.
Apre
gli occhi.
Ma
è debole.
Troppo
debole per alzarsi.
Non
ha ancora capito di essere incosciente.
Non
ha ancora capito che la vita scivola via dal suo corpo.
O
forse sì?
Come
posso stargli accanto.
Come
posso sorreggerlo mentre porto via la sua vita?
Ma
intanto lui cerca lei.
Non
gli importa di altro.
Cerca
solo lei.
Quasi
per caso vede la sua moto.
La
ruota anteriore gira ancora, sembra leggera, come quella di una bicicletta.
Il
faro davanti si accende e si spegne ad intermittenza.
La
carena completamente distrutta.
Non
gli importa di quell’ammasso di ferro.
Non
adesso.
In
fondo non gli è mai importato.
Adesso
è un altro il suo obiettivo.
Ha
bisogno di lei.
Come
se fosse ossigeno per i suoi polmoni.
Ha
bisogno di saperla al sicuro.
Al
sicuro tra le sue braccia.
La
cerca.
Sull’asfalto
freddo.
La
cerca ma spera di non trovarla.
Magari
sta cercando di chiamare aiuto.
È
questo che pensa mentre la vita scivola via dal suo corpo.
Forse
è per questo che non è con lui.
Ci
spera.
Ci
crede.
Si
ripete che è così.
È
per questo motivo.
Lei
sta cercando aiuto.
Per
lui.
Solo
per lui.
Lei
sta bene.
Lui
l’ha protetta.
Illusioni
di un cuore innamorato.
Il
cielo stellato è ancora sopra di noi.
La
luna si rispecchia ancora nel mare.
Un
mare tinto di rosso.
Rosso
sangue.
Cerca
ancora.
Alla
fine è riuscito a trovarla.
La
vede.
Non
può essere lei.
Lì.
Da sola.
Stesa
sull’asfalto.
Sta
dormendo.
Sì.
Sta dormendo.
Non
può essere diversamente.
Almeno
lo spera.
Sdraiata
su di un fianco.
È
lontana.
Vorrebbe
raggiungerla ma non riesce a muovere un muscolo.
Vorrebbe
correre da lei.
Per
stringerla.
Per
proteggerla.
Per
svegliarla.
Ma
non può.
Non
ha la forza.
È
un debole.
Si
reputa tale.
La
guarda e piange.
È
così piccola.
Indifesa.
Fragile.
Un’altra
lacrima sfugge al suo controllo.
Finalmente
se ne accorge.
Sta
piangendo.
Sta
pregando.
Come
lei.
Fatemi
morire, ma salvate lei.
Sono
attimi.
Ed
alla fine arriva il mio turno.
Entro
in scena io.
Con
l’aspetto di una bambina.
Sono
sempre stata così.
Ho
il corpo di una bambina.
Mi
daranno sei o sette anni al massimo.
Ma
non è così.
Io
sono… vecchia.
Ho
perso il conto dei miei anni.
Sono
nata con questo mondo.
Con
esso morirò.
Sempre
se è possibile uccidere la Morte.
Mi
avvicino a lei.
La
guardo piangere.
Fissare
il corpo di lui.
Fissarlo
come se in realtà non fosse qui.
Alla
fine mi decido a parlare.
-
Non puoi fare nulla per lui.
Credimi,
soffro nel dirti ciò.
Soffro
terribilmente.
Io
sono la Morte.
Non
guardo in faccia nessuno.
O
almeno è questo che raccontano di me.
Ma
cosa ne sanno gli umani di me?
Cosa
possono capire dei miei sentimenti?
Mi
temono.
Mi
evitano.
Mi
invocano al bisogno.
Ma
non sono io a decidere.
Non
ho nessun potere.
Io
non godo nel privare della vita.
Io…
vorrei vivere.
Come
voi.
Come
lei.
Come
lui.
Lui
che adesso la guarda.
La
guarda come se non esistesse cosa più preziosa.
Darei
la mia eternità per poter amare, anche solo un attimo.
Darei
in dono la mia immortalità per essere amata solo per un secondo.
-
Chi sei?
Chi
sono?
Perché
gli umani non vogliono mai accettare la realtà?
Perché
devono costringermi a recitare in un ruolo che odio.
Chi
sono?
Davvero
non hai capito chi sono?
Guarda
dentro te stessa.
Guardo
i suoi occhi.
Gli
occhi di lei.
Impauriti.
Disperati.
Hai
capito chi sono.
Allora
perché non pronunci il mio nome?
Attendi.
Non
posso che recitare la parte che mi è stata assegnata.
-
La Morte.
Le
sue speranza si infrangono.
Le
sue pupille si diradano.
Il
suo corpo inizia a tremare.
No.
Hai
ragione. Non sono una bambina.
Non
sono umana.
Ma
poi cosa ci differenzia?
Cosa
sai tu di me?
Cosa
puoi sapere dei miei sentimenti?
Anch’io
soffro.
La
Morte non è mai umana.
Non
è vero.
La
morte è più umana di quello che tu credi.
Ti
porta via ciò che più ami.
Non mi diverto.
Non
mi sono mai divertita nel mio ruolo.
Costretta
a vivere nella solitudine.
A
divedere le persone che si amano.
Come
sto facendo adesso.
La
vedo.
Corre
verso di me.
Mi
afferra per le spalle e mi scuote ripetutamente.
Cosa
credi di fare?
Io
non posso soffrire.
Io
non percepisco il dolore fisico.
No.
Io
percepisco solo il dolore dell’anima.
Credimi
però, è terribile.
È
terribile sentire il tuo cuore straziato.
Vorrei
piangere ma non posso.
Alla
Morte non è concesso piangere.
Ed
intanto mi scuoti e mi urli contro.
Non
hai più paura di me.
Il
dolore ti ha fatto vincere la paura.
-
Perché? Perché lui?
Ma
non rispondo.
Non
esiste una risposta a questa domanda.
Non
posso dirti “Era scritto così…”.
Non
è una giustificazione.
Non
è una spiegazione.
Ma
alla fine esiste una spiegazione?
Ti
osservo con i miei occhi di ghiaccio.
Occhi
di ghiaccio…
Occhi
che piangono lacrime invisibili.
Lacrime
di sangue.
Ti
prego, guardami negli occhi.
In
fondo ad essi, se vuoi, puoi leggervi tutto il dolore che sto provando in questo
momento.
Forse…
Forse
anche la morte è umana.
Proprio
così.
Anche
la Morte è umana.
Ma
non nutrire false speranza.
-
Perché lui?
Ancora
la stessa domanda.
Ancora
la tua voce strozzata.
-
Il suo cuore si sta per fermare.
È
solo in questo momento che una domanda si formula nella tua mente.
Sono
attimi.
-
E se prendessi me?
Cosa
hai detto?
Ripeti
ancora la tua richiesta.
Ho
capito cosa hai detto ma non posso accettarlo.
Non
si accettano compromessi.
-
Prendi me al suo posto. Io sono viva. Sto bene.
Scuoto
il capo addolorata.
Non
puoi sostituirti a lui.
Non
è questo ciò che è stato scritto per te.
Non
puoi.
Hai
una vita da vivere.
Tu
sei ancora viva.
Stai
lottando per la vita.
Apri
gli occhi.
Volto
il viso dal lato opposto rispetto al nostro.
Ed
allora te ne accorgi.
Proprio
dove ti trovavi pochi minuti fa c’è un corpo.
Un
corpo?
Sicura
di non averlo riconosciuto?
Ti
avvicini lentamente.
Hai
paura.
Sei
titubante.
Non
preoccuparti, mi prenderò io cura di lui.
Non
vuoi lasciarlo solo ma non puoi fare diversamente.
Devi
aprire gli occhi.
Devi
capire che non è un incubo.
È
la verità.
È
la tua vita.
Avanzi
lentamente.
Ad
ogni passo il dubbio diventa certezza.
Nel
tuo cuore già sai cosa troverai.
Hai
capito.
No.
Non
ti sbagli.
Sei
proprio tu.
Quello
è il tuo corpo.
Lì
a terra.
Sdraiata
su di un fianco.
Sembra
che la consapevolezza di essere priva di sensi in terra non ti sconvolga.
Il
braccio sinistro ricade sul fianco destro.
Sembra
quasi che tu stia riposando dopo una serata serena.
Il
casco ancora allacciato.
Non
si è slacciato durante la caduta.
La
tua voce arriva in un sussurro.
-
Respiro?
-
Sì. Sei ancora viva.
Osservi
il sangue solcare il tuo viso.
È
così rosso.
È
così vivo.
La
manica del giubbotto è strappata.
Eri
sicura di essere viva.
Adesso
hai dei dubbi.
Un
pezzo di acciaio è conficcato nel tuo braccio.
Sei
smarrita.
Non
senti dolore.
Questo
ti spaventa.
Ma
allo stesso tempo ti rincuora.
Ma
ciò vuol dire che stai male.
Ti
inginocchi distrutta.
Hai
capito.
Hai
capito che è grave.
Più
grave di quel che pensavi.
Mi
inginocchio al tuo fianco.
Hai
bisogno di una guida.
Di
qualcuno che ti guidi.
Sono
qui, non temere.
Non
ti abbandono.
Sono
umana.
Umana.
Che
strano.
Non
mi ero mai resa conto di come suonasse strana questa parola.
Umana.
Ma
non posso distrarmi.
Hai
bisogno di me.
-
Adesso ti trovi in una specie di limbo.
La
consapevolezza di sembrare umana è riuscita a calmarmi.
Mi
ha resa tranquilla.
Quasi
serena.
Anche
io posso provare delle emozioni.
-
Sono in coma?
Sei
in coma?
Non
è corretto.
Ma
è la spiegazione più vicina alla realtà.
Annuisco
con il capo.
È
una mezza verità.
Spero
che tu possa capirmi.
Come
faccio a spiegarti che stai decidendo del tuo futuro?
-
Se sono ancora viva allora puoi prendere me.
Come
fai?
Come
fai ad anticipare i miei pensieri?
Come
fai ad intuire ciò che temo?
Sei
folle.
Non
è così che funziona.
Io
devo prendere un’anima.
Ma
non la tua.
Non
è così che funziona.
-
Sei qui per prendere un’anima. Che importa se è la sua o la mia?
Scuoto
il capo inorridita.
-
Il suo cuore si sta per fermare. Il tuo no.
Come
fai a non capire.
Lui
è destinato a morire.
È
scritto così.
Io…
tu… noi non possiamo opporci.
Perché
non capisci?
-
Perché la mia anima non va bene?
Perché
la tua anima non va bene?
Non
lo so.
Non
farmi domande alle quali non so risponderti.
Tutti
davanti alla morte fuggono lontani.
Tutti.
Perché
tu non lo fai?
Ti
avvicini e posi delicatamente una mano sulla mia spalla.
Mai
nessuno mi aveva toccata.
Sei
molto più alta di me.
Ed
io, per la prima volta, mi sento piccola.
Deve
chinare il capo per potermi guardare negli occhi.
Mi
sta trattando da… umana.
È
come se stesse realmente parlando con una bambina.
Grazie.
Grazie
per questo regalo.
-
Prendi me. Andiamo, non ti cambia nulla.
È
vero non cambia nulla.
O
forse sì.
-
Tu volevi lasciarlo prima dell’incidente.
Le
mie parole sembrano destabilizzarti.
Volevi
lasciarlo.
Prima
dell’incidente.
Una vita fa.
Sono
attimi.
-
Lo so. È vero. Ma lo avrei lasciato vivo. Adesso è diverso.
Mi
guardi e mi sorridi.
Perché?
Perché
mi tratti con… affetto?
Inizio
a piangere e a fare di non con la testa.
Non
puoi.
Non
devi trattarmi così.
Io
sono la Morte.
Tu
devi temermi.
Non
puoi volermi bene.
Non
puoi trattarmi come una bambina.
Ti
avvicini e mi abbraccio cercando di tranquillizzarmi.
È
strano.
Sento
un calore in mezzo al petto.
Un
calore li dove dovrebbe battere il cuore.
Cuore.
La
Morte può avere un cuore?
-
Perché? Tu lo volevi lasciare. Adesso… adesso ti sacrifichi per lui. Perché?
Asciughi
le mie lacrime.
Sorridi
ancora davanti a questa bambina.
Sì.
Sono solo una bambina.
Mi
sono illusa di essere la Morte ma non è vero.
Sono
solo una bambina.
Dopo
attimi interminabili.
Attimi
in cui mi sento umana.
Rispondi
alla mia domanda.
Con
semplicità.
Come
se fosse ovvio.
-
Lo amo e non potrei sopravvivere sapendo che non ho fatto nulla per salvarlo.
I
singhiozzi si acquietano.
Le
guance hanno acquistato un po’ di colore.
Amore.
Quello
che ha dato a me.
Allora…
Forse…
Anche
io posso fare qualcosa per lei.
Le
devo un favore.
Lei
mi ha fatto sentire normale.
-
Se verrai via con me non potrai più tornare indietro.
Mi
guarda.
Sono
solo una bambina.
Perché
devo ricoprire un ruolo così importante?
-
Non preoccuparti. Lo so ma devo farlo. Io lo amo.
La
guardo smarrita.
L’amore
può portarti a tanto?
Può
portarti ad un sacrificio simile?
Rinunciare
alla vita.
Ma
cosa è una vita senza amore?
Nulla.
È
solo un susseguirsi di momenti senza emozioni.
-
Ed i tuoi genitori?
Genitori.
Coloro
che ti amano.
Di
un amore incondizionato.
Dell’amore
più puro.
Una
madre.
Che
ti ha portato dentro di sé per nove mesi.
Che
ti conosce meglio di quanto tu conosci te stessa.
Un
padre.
Che
ti ha protetto contro il dolore.
Che
ti considera la cosa più importante della sua vita.
-
Mi perdoneranno.
Sarà
davvero possibile.
È
possibile accettare la morte di un figlio?
Accettare
di seppellire un figlio?
Una
parte di sé…
La
parte migliore.
Come
puoi fare una cosa simile a loro?
Ed
io…
Perché
non riesco a frenare le mie lacrime?
-
Lui non lo avrebbe fatto per te.
È
una bugia.
Lo
sappiamo entrambe.
Lui
lo avrebbe fatto.
L’ama.
-
Però lo avrebbe fatto per la sua moto.
Riesci
ancora a scherzare.
Sorrido
mestamente.
È
così ingiusta la vita.
È
così ingiusta la morte.
Vorrei
aiutarli ma non posso.
Non
ho il potere di decidere.
Io
eseguo solo degli ordini.
-
Lo fai per amore?
Annuisci
come se fosse ovvio ciò che ti ho chiesto.
Ma
è davvero così sensato?
Se
morirai non potrai più vederlo.
-
Sai che non potrai tornare indietro e che Nessuno si impietosirà per il tuo
sacrificio?
Annuisce
ancora.
Non
è un film.
Lo
sa.
Finalmente
ha capito che non potrà più tornare indietro.
Sei
davvero pronta?
Sei
pronta a rinunciare a vivere?
-
Vuoi… vuoi vederlo per l’ultima volta?
Mi
fermo.
E
tu lo fai con me.
Mi
guardi smarrita.
Vederlo
per l’ultima volta.
Per
l’ultima volta essere umana.
Sei
pronta a tutto questo?
Sono
attimi.
- No. Preferisco conservare il ricordo del suo volto sorridente.
Cerco
di annuire ma è difficile.
Stai
rinunciando a tutto per amore.
È
umanamente possibile tutto questo?
Non
so.
Ma
non voglio lasciarti sola.
Ti
porgo la mano e tu l’afferri senza paura.
Un
paio di passi e poi ti blocchi.
Hai
paura?
Vuoi
tornare indietro?
Ti
capirei se decidessi di fermarti.
Avere
paura della Morte è… umano.
-
Ci hai ripensato?
-
No. Solo che… soffrirò?
No.
Non
ci hai ripensato.
Ma
hai paura.
Non
di me.
Ma
della sofferenza.
Scuoto
la testa e riprendiamo il nostro cammino.
Silenziosa
piangi.
Vuoi
fare la forte ma in fin dei conti sei umana.
Hai
paura.
Soffri.
Ma
non vuoi tirarti indietro.
Piangi
perché non potrai più rivedere i tuoi cari.
Piangi
perché sai che lui si sentirà in colpa.
Sei
così umana… ed io ti invidio.
Per
me non ha mai pianto nessuno.
Sono
sempre stata sola.
Tu
sei stata la prima a trattarmi come un essere umano.
-
Se vuoi… possiamo fare uno strappo alle regole. I tuoi cari… sapranno che li
ami.
Mi
sorridi riconoscente.
Asciughi
le tue lacrime.
Sento
il tuo cuore più leggero.
È
questo quello di cui avevi bisogno?
Essere
rassicurata.
Ci
vuole così poco per renderti serena?
Ti
importava davvero che i tuoi sapessero che li ami?
Sei
speciale.
Sei
sincera.
Dopo
un paio di minuti rompi il silenzio.
-
Come ti chiami?
Ti
fisso interdetta.
Un
nome?
Io
non sono umana.
Io
non possiedo un nome.
Non
possiedo un nome di persona.
-
Cosa vorresti dire? Il mio nome è Morte.
Scuoti
la testa e cerchi di formulare diversamente la domanda.
-
Avrai un nome con cui gli altri ti chiamavano prima di iniziare... questo lavoro!
Ti
guardo tristemente.
Questo
lavoro.
Ho
fatto questo lavoro da sempre.
Non
ho genitori.
Non
ho vissuto un’infanzia.
Non
ho un futuro.
Io
sarò sempre così.
Non
cambierò mai.
Ma
perché rattristarti con il mio dolore.
Dolore.
Un
sentimento umano.
Scusa
se ti dico una bugia.
Lo
faccio per non dispiacerti.
-
Non lo ricordo più.
-
Che ne diresti se te ne dessi uno io?
Forse
sei venuta per salvarmi.
Forse
sei un angelo.
Forse…
Mi
renderesti felice se scegliessi un nome per me.
Se
tu…
Imparassi
a volermi bene.
Ti
fermi a riflettere.
Poi
sorridi verso di me.
-
Che ne dici del nome Sara?
-
Perché Sara?
Mi
abbracci ancora una volta.
Forte.
Con
affetto.
Sento
un po’ di calore.
Il
tuo calore.
Il
nostro calore.
Ancora
quel calore al posto del cuore.
-
Sara è il nome che avrei voluto dare ad una figlia.
-
Sì, mi piace. Sara… suona bene!
Sorrido.
Adesso
sono Sara.
Sorrido
come una bambina.
Posso
fingere che tu sia la mia mamma?
Sono
attimi.
Attimi di pura felicità.
Poi
tutto torna normale.
Poi
Sara svanisce.
Torna
la Morte.
Mi
avvicino a lui.
Silenziosa.
Guardinga.
Cosa
hai fatto per meritare il suo amore?
Cosa
hai fatto per fare in modo che quell’angelo si sacrificasse per te?
Sono
attimi.
Gelo.
Quello
attorno al tuo corpo.
Improvviso.
Come
un fulmine a ciel sereno.
Inspiegabile.
Come
il sorriso di un neonato.
Tu immagini ma non vuoi accettare.
No.
Tu
non vuoi che lei ti lasci.
Non
vuoi sentirti ancora solo.
Non vuole lasciarla.
Si
alza.
È
debole ma trova la forza per farlo.
Si
mette in piedi.
La
raggiunge.
Si
inginocchia al suo fianco.
Come
lei poco prima.
E
proprio come lei non trova il coraggio di sfiorarla.
Ha
paura di farle male.
Ma
non sa che già ne ha fatto parecchio?
Non
sa che con il suo comportamento l’ha ferita?
Lo
sa.
Ma
preferisce non pensarci.
Adesso
la sta perdendo.
Anzi.
L’ha
già persa.
Urla
di chiamare un’ambulanza.
Non
affannarti tanto.
Nessuno
ti sente.
Ti
stai chiedendo perché non apre gli occhi?
La
stai implorando di non lasciarti.
Piangi
ormai senza più freni.
Ed
io piango con te.
Perché
stasera?
Perché
proprio stasera sono così… umana?
Perché
proprio stasera ho deciso di avvicinarmi a voi?
Non
potevo restare nell’oscurità come sempre?
Non
potevo decidere di continuare con il solito registro?
Cosa
avete voi di diverso dagli altri umani che ho conosciuto?
Le
tue lacrime si infrangono sul suo casco.
Vorresti
asciugare il sangue che sporca il suo viso.
Ti
avvicini per farlo ma ti blocchi.
Tremi.
Paura.
Di
ferirla ancora perché lo sai che ha sofferto a causa tua.
È
così fragile.
Ti
inginocchi e vicino al suo orecchio inizi a parlarle.
Non
può sentirti.
Le
chiedi di non lasciarti
Senza
di lei saresti morto.
Di continuare a sorriderti.
Perché
è grazie al suo sorriso che ti senti vivo.
La
preghi ma lei non può fare nulla.
-
Non può più sentirti.
Alla
fine decido di apparire anche ai tuoi occhi.
È
giusto che tu sappia.
Non
puoi continuare ad illuderti.
Ti
giri verso di me.
Ti
sorprende la mia voce infantile. Piccola. Leggermente acuta.
Una
bambina.
Anche
ai tuoi occhi appaio come una bambina.
Sei,
sette anni al massimo.
Anche
per te sono piccola.
Capelli
neri e liscissimi che ricadono sulle spalle.
Sul
viso un’espressione triste.
Devo
sembrarti la bambina più triste del mondo.
E
lo sono.
Non
ti curi di me e continui a parlare con lei.
Le
chiedi di restarti accanto.
Ma
lei ha scelto.
-
Ho detto che non può più sentirti. Lei ormai ha scelto.
Alzi
la testa verso di me.
Mi
guardi boccheggiante.
Non
capisci ciò che ho detto.
Scuoti
la testa e mi rispondi di andare via.
-
Vai da tua madre. Non è un posto adatto ad una bambina.
Ai
tuoi occhi sembra che io non capisca.
Sei
tu a non capire.
Continui
a guardarmi.
Allora
devo spiegarti la realtà dei fatti.
-
Lei ha scelto di morire per salvare te.
Alzi
la testa di scatto e mi guardi negli occhi.
Ti
sembro così ingenua. Così debole.
Ma
non lo sono e lo hai capito.
Tiri
fuori parte della tua rabbia.
Sai
che è tutta colpa tua.
Sai
che se lei adesso è li a terra è perché tu non sei riuscito a proteggerla.
E
ti sfoghi su di me.
Ed
hai ragione.
Io
non dovrei essere qui.
-
Che cazzo stai dicendo? Vai da tua madre immediatamente.
-
Non puoi negare l’evidenza. Ha scelto di morire.
Non
mi trattengo oltre.
Non
puoi fare finta di nulla.
Prenditi
le tue responsabilità.
È
tutta colpa tua.
La
tua rabbia esplode.
Esplode
improvvisa.
Mi
afferra per un braccio e mi scuoti ripetutamente.
Mi
imponi di non fiatare.
Mi
ordini di sparire.
Ma
io resto ferma al mio posto.
Parli
a me oppure a te stesso?
Sei
tu che devi tacere?
Sei
tu che devi sparire?
Sei
arrabbiato con te stesso?
È
vero?
Ti
senti responsabile?
Forse
lo sei.
Forse
no.
Questa
è la vita.
Oggi
si è felici.
Domani
non si sa.
Rimpiangi
tutti i momenti sprecati con lei.
Rimpiangi
tutte le parole non dette.
Rimpiangi
il fatto di non averla amata come meritava.
E
fai bene.
Lei
non lo meritava.
Mi
guardi con quell’espressione triste.
Sembra
quasi che tu abbia bisogno del mio perdono.
Hai
capito chi sono?
-
Chi sei?
Sulle
mie labbra si disegna uno strano sorriso.
Sei
così simile a lei.
Forse
mi sono sbagliata.
Scuoto
il capo e poi guardo lei con tenerezza.
Sai
è stata la prima a trattarmi in modo umano.
Dimmi.
Adesso
non ti sembro più una bambina.
Sembro
molto più grande, è vero?
Perché
sorridevo?
Vuoi
saperlo?
Ti
farà male scoprirlo.
-
Anche lei mi ha fatto la stessa domanda.
Ti
guardo e poi torno guardare lei.
Mi
avvicina al tuo viso e sto quasi per sfiorare la guancia di lei.
Quasi
però.
Mi
blocca.
Mi
hai riconosciuto?
Hai
finalmente capito chi sono?
Non
vuoi che la tocchi.
Nessuno
può farlo.
Mi
guardi diritto negli occhi.
Vuoi
la verità?
Perdonami
se ti farò del male.
-
Sono la Morte.
Sono
attimi.
È
folle vero?
È
solo un incubo.
Ma
non è così.
No.
Tra
un po’ non ti sveglierai e ti troverai al suo fianco.
Addormentata.
No.
Lei
non c’è più.
È
vero.
Hai
ragione.
La
morte è qualcosa di… definitivo.
Definitiva.
Io
sono conclusiva.
Io
metto la parola fine sulla vita di una persona.
Non
sono lontana da voi.
Vivo
al vostro fianco.
Solo
che avete troppa paura per vedermi.
Avevate
tanti progetti.
Mi
spiace.
Ha
rinunciato a tutto pur di salvarti.
La
vostra famiglia.
Ed
i vostri figli?
-
Lei ha deciso di morire al posto tuo.
È
questa la vostra famiglia.
Sono
questi i vostri figli.
La
sua vita per la tua.
Amala.
E
rispettala.
Queste
parole suonano come una condanna a morte.
No.
Non
lo sono.
È
il suo ultimo regalo.
Abbine
cura.
Non
sarai mai solo.
Lei
sarà sempre con te.
No.
Non
guardare quel corpo.
Sta
morendo.
Sarà
viva ancora per poco.
Viva.
Il
suo torace si alza e si abbassa.
Lentamente
è vero, ma continua a respirare.
Ma
ancora per quanto?
Non
odiarla.
Amala.
Lei
lo ha fatto.
-
Lo ha fatto per te. Perché ti ama.
Scuoti
la testa incredulo.
Continui
a piangere.
Piangi
adesso?
È
tardi ormai.
Non
puoi fare più nulla.
È
la fine.
Io
sono la fine.
-
Portami da lei. Ti prego. Non posso vivere senza di lei. Aiutami.
Ti
guardo.
E
piango anch’io.
Lei
si è sacrificata per te.
Ha
dato la sua vita per te.
Tu
rinunci a questo dono per stare con lei.
Perché?
Piango
anche io.
Anche
io ho un animo umano.
L’ho
scoperto grazie a lei.
Grazie
a voi.
Perché
devo impedirvi di essere felici?
-
Non posso mi spiace.
-
No. Tu devi portarmi da lei.
No.
Non
posso.
Continui
a piangere come un bambino.
Guardi
il suo viso.
Sembra
che tu stia dormendo.
Ma
sappiamo che non è così.
Non
resiste oltre.
Accarezza
il tuo viso e le sue dita si macchiano di sangue.
Il
tuo.
Sembra
impazzito.
I
suoi occhi sono lontani.
In
un altro tempo.
-
Allora mi ucciderò. Così potrò raggiungerla.
Non
puoi.
Non
è così che funziona.
Ti
indico un corpo a terra.
Segui
il mio dito.
Resti
basito.
Il
tuo corpo.
Steso
in terra.
Immobile.
Dormi?
-
Che vuol dire?
Mi
guardo e mi faccio ancora più piccola.
Come
farò a dirti ciò?
-
Ho un messaggio per te… da parte sua.
Resti
immobile.
Ancora
una volta.
Basito.
Attendi
continui il mio discorso.
Sei
certo di volere ascoltare?
Sei
certo di essere forte abbastanza?
-
Ti ama e da oggi in poi dovrai vivere anche per lei. Dovrai farlo per lei che si
è sacrificata per te. Dimmi lo farai?
Mi
osservi ma in realtà non mi vedi.
Ancora.
Sei
ancora una volta lontano.
È
assurdo.
È
solo un incubo.
È
questo che ti ripeti.
Ti
vuoi convincere che sia falso?
Perché?
Quando
ti sveglierai soffrirai di più.
Sento
una sirena.
Ti
volti a destra.
I
soccorsi?
Presto.
Non
c’è più tempo.
Rispondimi.
Vivrai
anche per lei?
Come
se mi leggessi nella mente rispondi.
Scuoti
la testa in modo negativo.
-
Perché? Lei si è sacrificata per te. Perché non vuoi realizzare il suo ultimo
desiderio?
Inizio
a piangere come una bambina.
Ed
in fondo oggi lo sono.
Per
la prima volta in vita mia sono umana.
Guardo
il tuo corpo.
Sembra
addormentato.
Ma
sappiamo che non è così.
Mi
guardi.
Mi
asciughi le lacrime.
Mi
sorrido.
Come
lei.
Come
lei riesci a farmi sentire quel calore in mezzo al petto.
È
come se avessi un cuore.
-
Dille che la raggiungerò presto.
Illuso.
Non
potrai.
Mi
sorridi.
Sembri
così…
Papà…
Stasera
mi sembra di aver ritrovato i miei genitori.
-
Come ti chiami?
Forse
è vero.
Forse
saresti stato il mio papà se io non fossi stata la Morte.
Capisci.
Capisci
che anche le mi ha fatto la stessa domanda.
-
Sara.
Sorridi.
No.
Non
ti sei sbagliato.
Sara.
Il nome che avreste voluto dare a vostra figlia.
-
È un bel nome.
-
Lo so. Lo ha scelto lei.
Mi
sorridi.
Grazie.
Mi
spettini i capelli.
Mi
sento davvero una bambina.
Sono
davvero felice.
Grazie.
Mi
guardi negli occhi e ripeti ciò che ho detto pochi minuti prima.
-
Allora Sara fammi un favore. Dille che la raggiungerò presto. Molto presto e
che poi non la lascerò più.
Sono
attimi.
Di felicità.
Sospiro
di frustrazione.
Odio
tutto ciò.
-
Non puoi. È una vita per una vita.
No.
Mi
spiace.
Perdonami.
Non
è colpa mia.
Perché?
Perché
non posso salvarli?
Sono
la Morte.
Avrò
pure qualche diritto nello scegliere le mie anime.
Perché
non posso?
No.
Non
è una stupida egoista.
Ha
deciso di lasciarti in vita perché ti ama.
Il
suo dolore… ed il tuo dolore.
Sono
il mio.
Voi…
Mi
avete fatto sentire viva.
Umana.
Ed
io non posso fare nulla per voi.
Perdonatemi.
L’ambulanza
è arrivata.
Due
uomini si avvicinano di corsa.
Si
avvicinano ai vostri corpi.
Tolgono
con cautela i caschi.
Siete
fragili.
State
dormendo?
No.
Sono
attimi.
Al
pronto soccorso.
La
visita.
I
primi soccorsi.
Il
vostro cuore che rallenta la corsa.
Non
arrendetevi.
Elettrocardiogramma
piatto.
Il
massaggio cardiaco.
Il
defibrillatore.
Una
scossa.
Un’altra.
Aumentano
il voltaggio.
Lottate.
Lottate
per sopravvivere.
Io
sono la Morte.
Ma
non voglio che moriate.
Voi
mi avete regalato attimi di vita normale.
Poi
una punta sul tracciato.
Un’altra.
Vi
state riprendendo.
Non
vi lascio.
Resto
con voi.
La
crisi è passata.
State
bene.
Ma
ci sono stati danni.
Siete
in quel limbo nel quale mi avete incontrato.
Entrambi.
Uno
di fronte all’altro.
Vi
sorridete.
-
Io… sono la Morte. Ma ho deciso di risparmiare le vostre vite.
Mi
guardate sorpresi.
Non
è un film.
È
la realtà.
Non
potrò farvi tornare ad una vita normale.
Però
potrò regalarvi un po’ di normalità in questo limbo.
Qui
vivrete insieme.
Fino
a che non tornerò a portarvi via.
Ma
stavolta per sempre.
Non
ci sarà scampo.
Sorridete
a me.
-
Sareste stati dei genitori fantastici.
Vi
avvicinate.
Ma
io faccio un passo indietro.
-
Adesso per me è tempo di andare.
Non
aspetto altro e vado via.
Vi
lascio in questo limbo.
In
quello che gli umani chiamano stato vegetativo.
Era
una vita per un’altra.
Ma
ho deciso di bloccare entrambi.
Almeno
starete insieme.
Almeno
sarete felici.
La
Morte quando vuole può essere umana.
Più
umana degli uomini.
Ecco finita questa fic. È totalmente diversa da ciò che immaginavo. Il terzo capitolo è il più lungo ma non potevo fare diversamente. Dividerlo in due sarebbe stato terribile. È un qualcosa di insensato, lo so perfettamente. Ma quelle messe per iscritto sono emozioni. Per alcuni sarà noioso, per me è stato stancante.
Ringrazio
IREAT per aver commentato il primo capitolo. Ho cercato di descrivere una
situazione reale. Il più reale possibile… e poi mi sono lasciata prendere
dalla fantasia.
Ringrazio
MILE per aver messo la fic tra le preferite.
Grazie
alle 35 persone che hanno letto il primo capitolo ed alle 18 che hanno letto il
secondo.