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Autore: TheSlayer    05/08/2014    5 recensioni
Mary Jane Watson ha un nome che la rende il bersaglio di battutacce da parte di tutte le persone che conosce. E la gente non sa nemmeno il vero motivo per cui si chiama così (fortunatamente, perché le battute orribili potrebbero solo peggiorare). Frequenta la Washington University a St. Louis, nel Missouri, e ha una cotta enorme per il suo professore di Scrittura Creativa: Harry Styles.
E se anche il professore mostrasse un interesse particolare nei suoi confronti? Oppure Mary si sta immaginando tutto?
***
Dalla storia:
"Che vita difficile. Avevo un professore che, nella migliore delle ipotesi, era un idiota e non si rendeva conto dell'effetto che faceva sulla gente. E, nella peggiore, era un maledetto diavolo tentatore e faceva apposta a torturarmi in quel modo."
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2 – College Life
 
Il giovedì successivo consegnai il mio tema al professor Styles e gli dissi che avrei preferito una valutazione privata, perché non ero ancora pronta perché i miei lavori venissero letti (e criticati) in pubblico.
Lui sorrise, facendomi sentire le gambe deboli e lo stomaco attorcigliato, e mi diede appuntamento nel suo ufficio per quel pomeriggio.
 
***
 
“Signorina Watson.” Disse. “Mary Jane.” Si corresse subito quando entrai nel suo ufficio. Era esattamente come mi ero immaginata, con le librerie intorno alle pareti, la scrivania di legno scuro e il divano di pelle nera. Cercai di evitare di immaginarmi in atteggiamenti poco appropriati su quel divano e mi sedetti invece sulla poltroncina di fronte alla sua scrivania.
“Professor Styles. Grazie per avermi ricevuta.” Replicai, cercando di sorridere. In verità ero abbastanza agitata, perché sì, lo trovavo davvero attraente, ma lo ammiravo come professore (e anche come scrittore, perché ero andata a comprare i suoi libri, anche se non l’avevo detto a nessuno, nemmeno a Laurel) e avevo paura che potesse odiare quello che avevo scritto.
“Nessun problema, figurati.” Rispose. Cercò il foglio che avevo stampato tra quelli che gli avevano consegnato i miei compagni di classe e un sorriso trionfale spuntò sulle sue labbra quando lo trovò.
“Forse è infantile avere paura di sentire le critiche ai propri lavori davanti a tutta la classe…” Cominciai a dire.
“Oh, no. Assolutamente no, non preoccuparti. Anzi, direi che è piuttosto normale. A me ci sono voluti tre mesi di lezioni prima di trovare il coraggio di affrontare una critica in classe.” Rispose lui.
“Ed è riuscito ad accettarle dopo tre mesi?” Domandai. Mi sembrava strano dare del lei a un ragazzo così giovane, ma era un professore. Dovevo rivolgermi a lui in quel modo.
“Non proprio.” Confessò. “La prima critica è stata brutta, il mio professore è stato abbastanza cattivo e quando sono tornato nel mio dormitorio ho pianto.” Aggiunse, fissando un punto nel vuoto sopra la mia spalla. Sembrava che stesse rivivendo quei momenti. “Non dirlo a nessuno, perderei qualunque tipo di credibilità.”
“Non si preoccupi.” Dissi, trattenendo un sorriso. Immaginai un giovane (più giovane di così) Harry Styles con il viso affondato nel cuscino mentre piangeva. Provai una stretta al cuore e cercai di tornare a concentrarmi sul motivo per cui ero lì.
“Tornando a te e al tuo lavoro, ho letto il tuo tema e l’ho trovato interessante. È grammaticalmente corretto e i contenuti sono buoni, ma l’ho trovato un po’ freddo.”
“Freddo?” Domandai.
“Sì, mi è piaciuto leggere qual è stata la città d’America in cui hai preferito vivere con i tuoi genitori, ma mancavano un po’ di emozioni. Hai scritto tanti dati e tante informazioni che si possono leggere ovunque. Manca quello che c’era qui.” Rispose, indicandosi il cuore.
“Quindi avrei dovuto concentrarmi più su quello che ho provato vivendo in quella città rispetto a quello che ho visto?”
“Più o meno. Va benissimo scrivere delle cose che hai visto, ma cosa hai provato quando le hai viste? Come ti hanno fatta sentire?” Il professor Styles si mise comodo sulla sedia e lesse ad alta voce un paragrafo tratto dal mio tema e capii immediatamente quello che voleva dirmi. Avevo scritto un mucchio di informazioni e di descrizioni che chiunque avrebbe potuto scrivere o leggere su Internet. Non avevo scritto nulla di personale, non come mi sentivo in quel posto, non perché era stato il mio preferito in cui vivere, niente.
“Ha ragione.” Dissi.
“Proveremo a lavorarci, se vuoi. Ti posso dare degli esercizi extra da fare e me li puoi consegnare qui in ufficio, così ne parliamo insieme e ti aiuto a correggerli e a tirare fuori le emozioni.” Propose lui.
Beh, dovevo ammettere che l’idea di avere lezioni private dal professor Styles non mi dispiaceva per niente.
“Sarebbe perfetto!” Esclamai, forse con un po’ troppo entusiasmo.
“Ottimo, allora comincio a darti qualcosa da scrivere per, diciamo, la settimana prossima.”
Il professore scrisse qualcosa su un foglietto, poi lo piegò e me lo porse. Cercai immediatamente di aprirlo.
“No.” Mi ammonì. “Voglio che tu apra questo foglio solo quando sarai pronta per scrivere. E poi voglio che tu inizi il tema scrivendo l’emozione che ti ha evocato quello che c’è scritto. Trova un posto tranquillo, dove puoi essere lasciata in pace. Leggi la traccia e lasciati trasportare dalle emozioni e dai ricordi. Voglio che tu scriva un tema molto personale.” Aggiunse.
Mi sembrava un’ottima idea. Annuii e sorrisi.
“Grazie.” Dissi.
“Consegnami il risultato giovedì durante la lezione. Poi ti convocherò in ufficio per parlarne insieme quando riuscirò a leggerlo.”
Purtroppo era arrivato il momento di salutarci, anche se sarei rimasta in quella stanza per ore e ore. Gli occhi del professor Styles mi ipnotizzavano, il suo sorriso mi faceva battere il cuore e continuavo ad avere pensieri poco appropriati sulle sue labbra e sulle sue mani. E su quei capelli. Avrei voluto stringerli mentre…
“È tutto chiaro?” Sentii la sua voce in lontananza e mi riscossi da quelle immagini.
“Ehm, che cosa? Mi scusi, stavo pensando a… a quello che mi ha appena detto.” Mentii.
Lui scosse la testa, sorridendo. Probabilmente era abituato a fare quell’effetto alle studentesse.
Cercai di non sentirmi stupida, ma non fu un’impresa facile.
“Ti ho detto di provare a trasferire quello che provi qui,” – si interruppe brevemente per mettere una mano sul cuore – “senza farlo passare di qui.” Aggiunse, toccandosi una tempia con l’indice.
“Ci proverò, grazie mille.” Risposi. Poi lo salutai e uscii dal suo ufficio, chiudendo la porta alle mie spalle. Fuori notai una fila di quattro, tra compagni e compagne di classe, che aspettavano di entrare.
 
***
 
"Quindi? Com'è andato il colloquio personale con il professor Styles?" Mi domandò Laurel quella sera.
"Bene, direi." Risposi. Avevo resistito alla tentazione di guardare il biglietto che mi aveva dato, perché non avevo ancora trovato il momento giusto per scrivere. Avrei voluto trovare un posto tranquillo, come mi aveva detto lui, e ascoltare il mio cuore. Inoltre continuavo a sperare che quel pezzo di carta contenesse il suo numero di telefono e un invito nel suo appartamento e non volevo affrontare la più probabile opzione che fosse davvero solo una traccia per un tema.
"Ho parlato con Rae questa mattina e mi ha detto che l’ha visto in corridoio ed è un figo allucinante. Avevi dimenticato di dirmelo." Continuò la mia amica. Annuii, pensando a Rae, con cui avevo pranzato quel giorno. La conoscevo dall'anno prima, perché avevamo frequentato con lei l’ultimo anno della scuola superiore.
"Non è importante." Dissi, cercando di convincermi. "L'unica cosa che mi interessa è che è un insegnante bravissimo." Aggiunsi.
"Certo, se poi puoi anche fantasticare di fare varie cose sulla sua cattedra..."
"Laurel!" Esclamai, lanciandole la maglietta del mio pigiama. Mi stavo preparando per andare a dormire e speravo di sognare il professor Styles.
Non avrei mai potuto avere una storia con lui, ma sognare era ancora permesso, giusto? E speravo con tutta me stessa di essere sua almeno per una volta. Poco importava che si trattasse solo di un sogno. Le emozioni provate erano reali lo stesso, no?
"Che c'è? Io fantastico sul professor Malik. E non sai quanto."
Scoppiai a ridere e scossi la testa.
"E Liam? Non ti piaceva il ragazzo della libreria?" Domandai.
"Certo, e sto progettando di andare a ordinare dei libri o qualcosa del genere. Inoltre ho sentito voci." Replicò la mia amica.
"Cioè?" Chiesi. Aveva attirato la mia attenzione. Ero sempre felice di poter partecipare a una conversazione del genere. C'era anche solo la minima possibilità che potesse nascere una storia d'amore? Era il mio argomento preferito.
"Dicono che sia uno studente dell'ultimo anno e che lavori in quella libreria part-time per pagare la retta." Spiegò Laurel. "E ho anche, sempre molto casualmente, sentito dire che fa parte della confraternita che organizza la festa di venerdì."
"Ma è magnifico! Allora abbiamo un altro motivo per andarci!" Esclamai.
"E per fare shopping. Ho bisogno di qualcosa che dica 'sono disponibile', ma nello stesso momento 'voglio una storia seria'. Insomma, qualcosa del genere." Disse lei. Poi scoppiò a ridere. "Ma chi voglio prendere in giro? Con uno come Liam mi accontento anche di..."
"Ho capito quello che vuoi dire." La interruppi.
"Magari contro il muro." Continuò la mia amica, fissando insistentemente il vuoto fuori dalla finestra del nostro dormitorio. "Ma anche su un tavolo, o per terra, non sono una persona che si formalizza così tanto."
"Laurel." Dissi, scuotendo la testa. "Ti sei dimenticata della cosa più ovvia. Dove succede tutto durante le feste?" Domandai.
"Non lo so, le camere da letto?"
"Il divano." Dissi.
"Oh." Laurel mi guardò per qualche secondo, poi sorrise. "Beh, adesso andrò a dormire con quel pensiero in testa e sono sicura che lo sognerò."
"Sogni d'oro, allora." Dissi con un sorriso. "A proposito, non mi hai detto com'è andata la seconda lezione con Tomlinson."
Sentii un grugnito provenire dalla parte di stanza di Laurel e capii che non era andata bene.
"Era felice dei miei progressi, perché oggi non sono caduta. Però mi ha detto che devo lavorare parecchio sulla mia dizione, sull'espressione e, in generale, su tutto. Mi ha detto che se continuo così l'unica cosa a cui posso aspirare è fare la pubblicità della crema per i pruriti intimi."
Sgranai gli occhi.
"Wow. No, ma è proprio carino con i suoi studenti."
"Te l'ho detto, è come un cane. Fiuta la paura. Ed io sono terrorizzata da lui."
"Ehi, il massimo che possa fare è non farti passare il corso."
"Così dovrei passare un altro anno con lui? No, grazie. Credo che tu mi abbia appena dato la motivazione perfetta per impegnarmi e diventare la studentessa migliore che Tomlinson abbia mai visto.”

 
***

Venerdì pomeriggio Laurel ed io invitammo Rae a fare shopping con noi e comprammo tutte e tre degli abiti molto corti per andare alla festa della confraternita.
"Siete sicure che posso venire anch'io?" Domandò Rae mentre ci preparavamo.
"Ma certo, figurati!" Esclamò Laurel, facendo cadere il tubetto del mascara e macchiando il suo scendiletto. "Merda."
"E' la festa di una confraternita. Se è come nei film... non si accorgeranno nemmeno che c'è una persona in più." Dissi.
"Inoltre hanno invitato ragazze che non fanno parte di una confraternita, quindi penso proprio che sia un party aperto a chiunque." Aggiunse Laurel. Cercò di togliere la macchia nera dal tappeto, ma peggiorò solo la situazione. "Okay, ne comprerò uno nuovo. Ci rinuncio." Disse dopo un po'.
"D'accordo." Rae, era il totale opposto di me: era bionda, aveva gli occhi azzurri e un fisico da mozzare il fiato. Gambe lunghe, seno abbondante e fianchi morbidi.
Insomma, il tipo ideale del novantanove percento degli uomini.
"E poi vestita così non penso che nessuno ti butterà fuori." Commentai, guardando la mia amica e facendole l'occhiolino.
Laurel abbandonò definitivamente il mascara e si dedicò alle scarpe, che avevano il tacco di un'altezza vertiginosa. La ragazza era bellissima, con i suoi lunghi capelli neri - che quella sera aveva stirato - e gli occhi castani da cerbiatto. Il vestito rosso acceso che aveva scelto risaltava sulla sua pelle scura ed ero sicura che Liam l'avrebbe notata. Non poteva non farlo. Non era umanamente possibile.
Io, invece, avevo optato per un mini-abito rosa acceso, che lasciava scoperta una generosa porzione di decolleté e gran parte delle mie gambe. Non sapevo se sarei riuscita a camminare sulle scarpe che avevo comprato, ma ci avrei provato.
Ero al college, stavo per andare alla festa di una confraternita. Era il mio momento per vivere e per non preoccuparmi assolutamente di nulla. Era il mio momento per crescere e fare tutte le esperienze possibili.
"Pronte?" Domandò Rae, guardandosi un'ultima volta allo specchio e sistemando l'orlo del suo abito azzurro.
"Prontissime." Risposi io. Laurel annuì e insieme lasciammo il dormitorio per avviarci alla festa.
"Aspettate, ho dimenticato la borsa!" Esclamai. Non potevo uscire di casa senza il cellulare e le chiavi. "Voi cominciate ad andare, vi raggiungo tra cinque secondi." Aggiunsi.
Fortunatamente non avevo ancora chiuso la porta.
La riaprii, entrai velocemente nella stanza e recuperai la pochette che avevo lasciato sul mio letto. Poi ci ripensai e recuperai anche una giacca di pelle.
Quando uscii dal dormitorio e chiusi la porta alle mie spalle, cominciai a camminare velocemente verso l'ascensore e sbattei la spalla contro un ragazzo.
"Scusa!" Esclamai. Lui mi offrì un braccio per non farmi cadere e quando alzai lo sguardo e mi ritrovai faccia a faccia con il professor Styles sentii un'ondata di imbarazzo. Le guance diventarono rosse e il mio cuore cominciò a battere più forte. "Volevo dire scusi." Mormorai.
Lui sorrise e scosse la testa.
"Nessun problema. Più che altro stai attenta con quelle cose." Aggiunse, squadrandomi dalla testa ai piedi e puntando lo sguardo sulle mie scarpe.
Improvvisamente mi sentii molto consapevole del fatto che non stavo indossando molta stoffa. Infilai la giacca e la chiusi sul davanti per evitare che il mio professore mi vedesse quasi nuda.
"Lo farò." Dissi. "Lei... Non mi aspettavo di trovarla qui." Aggiunsi.
I professori non vivevano nei dormitori. Cosa ci faceva proprio nel mio?
"Già, di solito tendo ad evitare questi edifici, mi ricordano troppo il buco in cui ho vissuto per tutta l'università." Rispose lui. "Ma mia sorella mi ha chiesto di venire a trovarla e non ho potuto dire di no." Aggiunse.
"Oh." Dissi. Sua sorella. Certamente. Che cosa mi aspettavo? Che fosse venuto a trovare me? Beh, una parte di me sicuramente l'aveva sperato, ma sapevo che non era possibile. Ero una sua studentessa. "Beh, buona serata." Aggiunsi dopo qualche secondo di silenzio imbarazzato.
"Grazie, ma credo che ti divertirai di più tu." Replicò, guardandomi di nuovo e puntando il suo sguardo sulle mie gambe.
Arrossii ulteriormente e mi affrettai verso l'ascensore.
 
***
 
“Wow.” Dissi quando arrivai davanti alla casa dei Kappa Alpha Psi.
“Wow è la parola giusta, mia cara Mary Jane.” Aggiunse Laurel, guardando le enormi lettere greche sopra la porta d’ingresso con la bocca aperta.
Si sentiva la musica provenire dall’interno della casa e il giardino era pieno di ragazzi e ragazze che chiacchieravano, ballavano e bevevano da bicchieri di plastica rossa.
“No, direi che non si accorgeranno se avete portato una persona in più.” Rae avanzò di qualche passo e mi prese per mano. Porsi la mia a Laurel e tutte e tre ci avviammo verso la porta d’ingresso.
Non ero mai stata nella casa di una confraternita, ma era esattamente come mi aspettavo che fosse. Enorme, piena di ragazzi ovunque e con decine di quadri raffiguranti vecchi membri alle pareti.
“Oh, chi abbiamo qui?” Domandò un ragazzo a un suo amico, avvicinandosi a noi tre. L’altro sorrise e mise un braccio intorno alle spalle a Laurel.
“Vedo tre ragazze senza bicchieri.” Disse.
“E come fratello minore del Presidente dei Kappa Alpha Psi non posso permettere che succeda!” Esclamò il primo ragazzo prima di sparire tra la folla. Tornò pochi secondi dopo con tre bicchieri di plastica rossa pieni di birra.
“Salute!” Esclamò poi.
Laurel, Rae ed io accettammo i bicchieri e li alzammo verso il soffitto.
“Salute!” Rispondemmo.
“Comunque sono Jasper, piacere di conoscervi!” Disse il primo ragazzo, alzando il tono della voce per sovrastare la musica.
“Ed io sono Sam!” Aggiunse l’altro.
Le mie amiche ed io ci presentammo e seguimmo i due ragazzi nel giardino sul retro, dove c’era un po’ meno gente e la musica era decisamente più bassa.
“Di che confraternita siete? Non vi ho mai viste in giro.” Domandò Sam, squadrando Rae dalla testa ai piedi.
“Oh no, noi non facciamo parte di nessuna confraternita.” Spiegò Laurel. “Ci ha invitate alla festa Zach. Non ho idea di come si chiami di cognome, frequenta il primo anno e l’ho visto ad Anatomia Artistica.” Aggiunse.
“Ah sì, la nuova recluta, Zach George.” Rispose Jasper. “Beh, direi che ha fatto bene il suo lavoro.” Aggiunse con un sorriso.
“Il suo lavoro?” Domandò Laurel.
“Le reclute dovevano invitare più ragazze carine possibili e direi che voi siete le più belle qui dentro.” Rispose Sam, sorridendo a Rae. Lei arrossì leggermente, poi stiracchiò le labbra in un sorriso imbarazzato e abbassò lo sguardo.
“Sapete dirmi se c’è un Liam tra di voi?” Domandò Laurel pochi secondi dopo, quasi casualmente. “Uno che lavora in libreria, magari?”
“Parli di Payne?” Chiese Sam, guardandosi intorno. Poi trovò la persona che stava cercando e la indicò alla mia amica. Il suo sguardo si illuminò e per poco non iniziò a saltellare.
“Sì, proprio lui!” Esclamò lei. “Liam Payne.” Disse poi, sorridendomi.
“Vai da lui.” Mormorai, dandole una leggera spinta.
“Non me lo faccio ripetere due volte!” Replicò Laurel. “Ragazzi, se volete scusarmi… ho una preda da conquistare.” Aggiunse, ridendo.
Scossi la testa e quando tornai a guardare i due ragazzi, notai che Jasper mi stava fissando. Sam era impegnato in una fitta conversazione con Rae ed ero sicura che i due sarebbero finiti a rotolarsi su qualche letto al piano di sopra entro pochi minuti.
“Ehi, ti va di ballare?” Mi chiese improvvisamente.
“È tuo dovere ballare con tutte le ragazze, in qualità di fratello minore del Presidente della confraternita?” Domandai con un pizzico di ironia.
Lui rise.
“Touché.” Rispose. “Stavo proprio per dirti una cosa del genere.”
“Beh, direi che non posso permettermi di rifiutare un invito da una persona così importante.” Replicai.
Jasper mi porse la mano e mi guidò all’interno della casa, dove la musica era quasi assordante.
Cominciammo a ballare insieme, tra un sorso e l’altro di birra, e ad ogni passo ci avvicinammo sempre di più. Poi lui mise la mano alla base della mia schiena e mi attirò ancora più vicina a sé.
Era una bella sensazione e Jasper non era esattamente un brutto ragazzo. Era più alto di me, aveva i capelli e gli occhi scuri e un sorriso che avrebbe potuto illuminare un’intera stanza.
Appoggiai entrambe le mani sul suo petto e continuai a ballare con lui, non curandomi di seguire il ritmo e non accorgendomi di quante canzoni avevo ascoltato.
Jasper non perse tempo. Avvicinò il suo viso al mio e appoggiò le sue labbra alle mie. Mi guardò per qualche istante, come se mi stesse chiedendo il permesso per continuare a baciarmi, e, quando annuii, si avvicinò di nuovo e questa volta mi diede un bacio lungo e lento.
 
“Vuoi venire di sopra?” Mi domandò dopo un po’. Avevamo smesso di ballare e mi ero lasciata guidare verso la parete, dove mi ero appoggiata e avevo lasciato che Jasper continuasse a baciarmi.
“Sì.” Risposi senza indugiare.
 
Avevo avuto solo una storia seria quando avevo diciassette anni ed era finita perché i miei genitori avevano deciso di trasferirsi dall’altra parte dell’America e il mio ragazzo non voleva una relazione a distanza. Mi si era spezzato il cuore e da quel momento avevo deciso di non dare più tanta importanza ai sentimenti. Era completamente inutile perdere mesi a conoscere qualcuno, tanto poi finiva sempre nello stesso modo: io mi trasferivo e non ci sentivamo più.
Ed io amavo il contatto fisico, amavo sentire un’altra persona vicina a me e amavo il sesso, quindi perché sprecare tempo prezioso a parlare, a cercare di scoprire più cose possibili sull’altra persona, quando ci si poteva conoscere perfettamente in quel modo?
 
Jasper mi prese per mano, si fece spazio sulle scale e mi portò nella sua camera. Chiuse la porta a chiave e cominciò a baciarmi, dapprima lentamente e poi con più foga, togliendomi i vestiti e facendomi sdraiare sul suo letto.
“Sarò il tuo Spiderman questa sera, Mary Jane.” Mormorò contro il mio orecchio, mentre con una mano cercava disperatamente di togliersi i pantaloni.
Mi bloccai immediatamente e lo allontanai da me.
“Seriamente?” Domandai.
“Che cos’ho detto?” Chiese lui, confuso.
“Hai detto qualcosa che mi ha appena fatto decidere di mandarti in bianco questa sera.” Risposi, cercando a tentoni il mio vestito sul materasso e rimettendolo.
“Dai, stavo scherzando!” Esclamò lui.
“Io no.” Risposi, rialzandomi dal letto e uscendo dalla sua stanza.
No, Jasper non era decisamente il ragazzo giusto per me. E forse l’avrei anche scoperto prima se solo ci avessi parlato per più di cinque minuti, ma io odiavo perdermi in chiacchiere inutili.

 


Buonasera da Londra!!
Ecco il secondo capitolo di Little White Lies! Mary Jane si sta ambientando al college e la sua cotta per il professor Styles continua a crescere sempre di più. E... è solo la sua immaginazione o lui le ha guardato le gambe quando si sono incrociati in corridoio? Sì, sicuramente si è immaginata tutto.
Cosa succederà nel prossimo capitolo? Vi anticipo che vedremo il secondo appuntamento privato tra il professore e Mary Jane e vedremo che traccia le ha dato per il primo tema.
Grazie per essere passate e per aver letto! Ho letto le vostre bellissime recensioni, ma purtroppo adesso non riesco a rispondere :( Domani mattina dovrei avere del tempo e prometto che appena posso vi rispondo. Intanto ci tenevo a ringraziarvi tantissimo, perché mi scrivete sempre cose bellissime! <3 <3
A martedì prossimo :)
 

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