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Autore: Saecchan    10/09/2008    8 recensioni
Semplici vicende che accadono nel passaggio tra twilight e new moon ^^.
"Ma io non sono una frittella".
Genere: Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Ahahah! XD Questo capitolo mi fa ridere... *non sa proprio cosa scrivere*
Buon divertimento XD
Spero di tornare presto con una nuova fanfic :D
.SAE~
Quando mi svegliai, il sole era alto nel cielo, e dalla finestra sentii un venticello fresco spifferare ed infilarsi furtivamente sotto le mie coperte.
Mi voltai di scatto e tastai, con il palmo della mano, il materasso, in cerca del gelido corpo di Edward. Ma nel letto c’ero solo io.
Il mio cuore iniziò a battere forte e mi precipitai per le scale.
“Papà! Papà!”, strillai ansiosa.
“Tranquilla, è andato a pesca con Harry”, rispose una voce vellutata proveniente dalla cucina. Corsi, allora, irrequieta fino a raggiungere la stanza, da cui proveniva uno strano odore di sciroppo d’acero, fin quando mi trovai davanti un bizzarro dio greco con addosso un ridicolo grembiulino e una padella sospesa a mezz’aria.
“Frittelle?”, disse innocente.
Piegai la testa da un lato e, rilassandomi, mi sedetti al tavolo.
“Sei impossibile”, dissi esasperata.
“Può darsi”, rispose avvicinando la padella al mio piatto. “Sapevo che ti saresti svegliata affamata. Volevo solo essere gentile”.
“Tu sei sempre, continuamente, e schifosamente gentile”, dissi agitando la testa e portandomi una mano per sorreggermi la fronte.
“Può darsi”, replicò con un risolino.
Con flessibilità di polso e grazia, spalmò sulle frittelle dell’ennesimo sciroppo d’acero, e pronunciando un’elegante parola francese –di quale ignoro il significato- mostrò la sua opera d’arte, portandosi le mani sui fianchi e gonfiando il suo orgoglio.
Rimasi a fissarlo inerte.
“Beh? Non le provi? Sono buone, sai?”, disse incrociando le braccia sul petto.
“Come fai a sapere che sono buone?”, dissi afferrando la forchetta ed iniziando a tagliarne un pezzo.
“Beh, a voi piacciono molto. Ne deduco che siano buone. E poi anche io ero umano, e mi piaceva il cibo umano”.
“…impreffionante”, esclamai a bocca piena.
“Zitta e mangia. È maleducazione parlare a bocca piena, non lo sai?”.
“Fì che lo fò! Ma fono a cafa mia, e faffo quello ‘he voglio”.
Edward portò gli occhi al cielo, scuotendo la testa, e si sedette alla sedia di fronte. Con i pugni sotto il mento, osservava ogni mia mossa.
“La fmetti di fiffarmi?”.
“Non ti sto fissando. Ti sto ammirando”.
“Ammifando?”, ingoiai un boccone, bevvi un sorso d’acqua e continuai: “E cosa ammiri? Una semplice umana che si rimpinza di frittelle?”, dissi ironica.
“Può darsi”, rispose con sguardo intrigante.
“Oh, Edward, ti ho mai detto che sei un uomo di molte parole?”, risposi seccata e afferrai un altro boccone.
In risposta si mise a ridere –come suo solito- e quando alzai lo sguardo incrociai il suo sorriso sghembo che tanto mi metteva K.O.
Probabilmente ebbi un’altra delle mie mancanze, e mi ritrovai con la faccia spiaccicata sul piatto.
“Oh, mio Dio, Bella! Bella?! Su, forza, alzati. Con te non so proprio cosa fare”, disse mentre mi alzava agguantandomi dalle spalle e portandomi in posizione eretta. “Sei un disastro”.
“Non è… colpa mia… se mi uccidi così…”, dissi riprendendomi.
“Certo, io sorrido alla mia fidanzata, e l’uccido! Mi sembra ovvio”.
Sentii un brivido gelido salirmi per la schiena, inchiodando con lo sguardo Edward –che intanto si era riaccomodato davanti a me.
“C-come mi hai chiamata?”, dissi rapida e spaventata.
“Come prego?”.
“M-mi hai ch-chiamata in un modo: ripetilo”.
Edward si guardò un attimo intorno, piegò la testa d’un lato e disse lentamente: “Fidanzata?”.
“Sì, sì. Hai detto proprio così!”, dissi agitata.
“Beh? Cosa c’è di strano? Preferisci un termine tipo: ragazza, anima gemella, compagna, consor-…”, disse alzando le spalle.
“No, no, no. Tu hai detto fidanzata. FI. DAN. ZA. TA.”, dissi come se stessi parlando ad uno scemo.
“Sì, l’ho detto; cosa c’è di male?”.
“AH!”, esclamai euforica, alzandomi rapida dalla sedia. “Hai detto proprio così!”, continuai a ripetermi come se avessi vinto ad un quiz televisivo.
“Bella, inizi a farmi paura”, disse sconcertato Edward. “Prima svieni per qualunque cosa faccia, poi inizi a parlare da sola e a ripetere cose ovvie. Stai uscendo pazza?”.
“Ma tu l’hai detto! Hai detto che sono la tua fidanzata!!”, replicai iniziando a saltellare e a battere le mani, euforica.
Edward continuava a fissarmi smarrito.
“Capisci cosa vuol dire? Eh?, capisci cosa possa significare per una stupida umana, senza valori, senza alcuna dote, essere la FIDANZATA di un… di un… di un coso come te!?”, dissi muovendo freneticamente la testa, come se fosse una cosa tanto ovvia.
Edward scoppiò in una risata fragorosa, e quando si riprese, si avvicinò, mi abbracciò, e accarezzandomi i capelli disse:
“Innanzitutto: tu non sei senza valori; ed io non sono un “coso”“, disse ridendo. “E poi, non ho ancora capito bene che idea di me ti sia fatta. Io ti ho dichiarato il mio amore, pensavo fosse abbastanza per farti capire che ti appartengo. Sbagliavo?”, disse, stavolta baciandomi la fronte.
“Oh, Edward… tu sei così… antico, cavalleresco. Non è tutto come una volta. Sai, al giorno d’oggi ci si scambiano le dichiarazioni d’amore, come fossero caramelle!”, dissi gongolante.
“Credevi che il mio amore fosse una caramella?”, rispose questa volta con un filo di delusione negli occhi.
“Oh, no, no, no. Assolutamente no. E’ solo che… wow, sentirti dire che sono la tua fidanzata, mi fa sentire elettrizzata. Mi fa sentire una donna”. Edward sospirò, mi strinse forte e mi sussurrò all’orecchio.
“Bella, io ti amo. E’ questa ne è la prova”.
Si avvicinò più lentamente alle mie labbra, mi guardò intensamente, e una volta giunto a una spanna dalle mie labbra, si fermò.
“Sicura che non svieni anche questa volta?”, disse, spirando il suo delicatissimo profumo nella mia bocca.
“Farò… il… mio… meglio…”, sospirai appesa alle sue labbra.
Edward sorrise sghembo, e come al solito il bacio finì troppo presto.
Mi rimise a sedere, e volò alla sua postazione. Fissò la mia espressione da ebete e ridendo, disse: “Ora mangia, o si raffredderà la mia opera d’arte”.
Controvoglia, mi resi conto di essere tornata alla dura realtà, e il mio stomaco brontolò famelico.
Trangugiai l’intera frittella, ed Edward ne versò un’altra nel piatto.
“Un’altra?”, chiesi sbigottita.
“Ti servono forze, se non vuoi svenire anche a scuola”.
“Ma oggi è domeni-…”.
“Ma io sono un tipo che pensa al futuro”, disse ridendo.
Scossi la testa esasperata, e tornai all’attacco.
Senza neanche accorgermene, mi incantai con la forchetta impugnata a mezz’aria, e la frittella sul piatto che implorava pietà.
“Non è giusto”, dissi pensosa.
“Cosa?”.
“Tu fai uno sforzo enorme, eppure io non potrò mai sapere come ti senti. A volte mi sento proprio un mostro. Tu fai tantissimo per me, mentre io resto a gongolarmi tra le tue braccia”.
Edward scoppiò a ridere per l’ennesima volta.
“Sai benissimo, che se c’è un mostro qui, quello sono io. E tu non devi affatto sentirti in colpa. Corri più rischi tra le mie braccia che ad un raduno di kamikaze”.
“Carina la cosa”, dissi spigliata.
“Cosa, le mie braccia?”.
“No, il raduno di kamikaze”.
Edward scosse la testa, e io tornai seria.
“No, vedi, è che… a volte per non farti soffrire tutti questi sforzi che fai, vorrei essere te”.
Edward mi guardò curioso, poggiò i gomiti sul tavolo e si avvicinò vertiginosamente.
“Vorresti sapere cosa provo io a stare con te?”, disse a bassa voce.
“Sì, ecco”, risposi di tutto tono.
“Bene. Guarda giù”, disse intraprendente.
“Il piatto?”, chiesi confusa.
“Sì, esatto: il piatto. Bene, ora, guarda intensamente la frittella. E’ buona, è calda, è soffice. Ha un ottimo profumo, ed inoltre è molto gustosa”.
“Sì, insomma, è gradevol-…”, interruppi, critica.
“In breve: è una prelibatezza per te. Vorresti pappartela tutta senza problemi”, continuò a dire, come se fosse una storia del terrore.
“Non ti seguo”, dissi ancora più confusa.
“A te piace la frittella. Tu vuoi mangiare la frittella. Eppure, tu ti innamori irreparabilmente della frittella, e pur di starle accanto, resisti alla tua fame”.
Continuai a fissarlo senza afferrare il concetto.
“Quello sono io. Mi sono innamorato della frittella, e preferirei morire di fame pur di sfiorarla”, disse tornando eretto e spavaldo sulla sedia.
“… ma è una frittella”, sbottai.
“No, non è una frittella. Cioè, sì, lo è, è una frittella. Ma quella frittella rappresenta te. Io mi sono innamorato della preda, del mio cibo, della frittella”, disse con tono ovvio.
“Cioè vuoi dire che…”, dissi abbassando lo sguardo, occupata a cercare risposte. “…che io sono una frittella?”.
Edward sospirò esasperato, e si lasciò rilassare sullo schienale della sedia.
“Va bene, lascia stare Bella. Te lo spiegherò un’altra volta”, disse, ed incrociando le braccia sul tavolo, ci affondò il mento.
Io feci spallucce e tornai alla mia frittella.
Ma questa volta, oh sì, l’avrei mangiata tutta.
  
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