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Autore: Strongstay    06/08/2014    4 recensioni
Il riccio si girò verso di me e accolse le mie piccole mani tra le sue facendo incrociare le nostre dita.
Harry:"Mi ami?" chiese sussurrando.
Elizabeth:"Da morire" risposi portandomi alle labbra le sue mani baciandogli lentamente le nocche.
Harry:"Ne sei sicura?" chiese sorridendo.
Elizabeth:"E' l'unica certezza che ho." dissi facendo spallucce.
Harry:"Mi amerai per sempre?" chiese guardandomi dritto negli occhi.
Elizabeth:"Per sempre." affermai sicura di me.
Harry:"Promesso?" chiese accarezzandomi la schiena.
Elizabeth:"Promesso."
Genere: Erotico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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With the heart on fire

Harry's pov

Il mio cuore prese a martellare contro la mia gabbia toracica, le mie mani tremanti sollevarono il suo corpo inerte dalle macerie e lo trascinarono frettolosamente all'esterno dell'autostrada.
"NO!"
Le mie labbra tremanti riuscirono a pronunciare unicamente quel monosillabo, prima che le mie iridi verdognole lasciassero libero accesso alle lacrime che minacciavano di bagnarmi totalmente gli zigomi. Affondai il volto sul suo petto e la strinsi delicatamente a me. Il mio angelo minacciava di spegnersi.
Il suo corpo, nonostante le numerose ferite, era ancora angelico e innocente, proprio come la prima volta che incontrai il suo sguardo; era così bella. Adesso, il suo corpo era distrutto a causa mia e non potevo accettare che le fosse accaduto qualcosa, quando avevo promesso di proteggerla a costo della mia stessa vita.
Le sue labbra tremavano, i suoi occhi si aprirono leggermente e quando scrutò la mia figura delle lacrime salate bagnarono il suo volto.
"Lasciami morire." Sussurrò.
La sua voce era quasi impercettibile. L'avevo resa forte, al mio fianco era cresciuta, nulla la spaventava più, ma adesso sembrava così piccola, indifesa. Schiusi le labbra per dirle qualcosa, ma non ci riuscii, mi vergognavo di me stesso.
"Addio Harry." Sospirò, lasciando che le sue ciglia is abbracciassero nuovamente.
Immediatamente, strinsi il suo corpo al mio e le sollevai leggermente la schiena, facendo si che il suo torace toccasse il mio.

Il suo battito accelerò di poco, aumentando allo stesso ritmo del mio, sorrisi pensando di farle quest'effetto anche in una situazione così critica.
"Non ti lascerò morire!" Urlai, singhiozzando.
Il suo corpo sobbalzò, sentendo la mia voce così rotta. Non mi aveva mai visto così prima di allora, nessuno mi aveva mai visto in quelle condizioni, eppure in quel momento non mi vergognavo affatto di mostrare la mia fragilità, ero troppo concentrato ad immergere i miei sensi tra le sue braccia, sperando in un miracolo, che mi permettesse di salvare la situazione.
Prima di afferrare il mio cellulare, lasciai un morbido bacio sulle sue labbra sanguinati ed afferrai il suo polso, sentendo ancora il suo battito farsi spazio sotto la sua cute rovinata.
L'ambulanza non tardò ad arrivare. Lasciai, riluttante, il polso della mora distesa sull'asfalto e lasciai che la caricassero su una barella, fasciandole il volto con una mascherina di ossigeno.
Afferrai la sua mano e le carezzai le nocche delicatamente, entrando con lei nella macchina che tanto avrei sperato di non osservare da così vicino.
Quando l'ambulanza partì mi sedetti di fianco alla figura angelica e poggiai il volto sul suo ventre, bagnandolo leggermente con le lacrime salate che non la smettevano di scendere lungo i miei zigomi. Le mie labbra tremarono quando le sue mani delicate si insediarono per qualche istante tra i miei ricci scuri, aggrovigliandoli tra le sue dita. Avevo sempre amato quel contatto. Girai il mio volto verso il suo e non potei non osservare le sue iridi azzurre - adesso scure e contornate da un rosso acceso - incapaci di aprirsi del tutto. Quando le mie labbra tremanti, mimarono un "ti amo", la mora serrò le sue iridi, ritrasse le sue fragili mani e asciugò le piccole lacrime che le sbavavano il mascara, ormai colato del tutto. Il suo respiro contro la mascherina si faceva sempre più pesante, dei gemiti fuoriuscivano dalle sue labbra quando l'automobile accelerava leggermente e guardarla contorcersi per il dolore e non poter intervenire mi stava lentamente uccidendo.
Portai il viso tra le mani e numerose immagini di me e Elizabeth si fecero spazio nella mia mente. Non potei non notare quanto fossi cambiato insieme a lei, il mio amore per lei mi aveva fatto superare ogni barriera che mi impediva di essere me stesso e lo stesso valeva per lei, era cresciuta a dismisura al mio fianco, era una guerriera e adesso si ritrovava a combattere contro la morte a causa mia, a causa della persona che avrebbe dovuto salvarla. Lentamente, l'avevo resa preda del mio amore, non l'avrei mai lasciata andare se ciò fosse dipeso da me, avrei voluto passare un'intera vita al suo fianco, ma stando con me i suoi lati più oscuri si erano fatti evidenti. La mia presenza non le beneficiava di certo da questo punto di vista e mi sentivo un egoista rendendomene conto solo adesso, vedendola intenta a contorcersi sulla barella.
Il problema era che me n'ero innamorato, m'ero innamorato perdutamente delle sue iridi color ghiaccio, così fredde, eppure capaci di illuminare una stanza, delle sue piccole labbra a forma di cuore, delicate come mai ne avevo viste prima, dei suoi capelli castani, spesso sfumati con colorazioni rossastre, che si rendevano evidenti nelle giornate più soleggiate, delle piccole lentiggini che le contornavano gli zigomi, quasi impercettibili, del suo sorriso, della sua risatina leggera. Avevo compreso di amarla in ogni suo singolo particolare, e ne ero consapevole da parecchio ormai.

Amanda per me non era nulla in confronto a lei e non riuscivo a comprendere cosa mi avesse spinto ad accettare di passare una notte di sesso con lei. Avevo l'oro ed ero andato ad accontentarmi dell'argento. Tuttavia, ero intenzionato a riprendermi ciò che mi spettava di diritto: Elizabeth. La ragazza dai capelli mori era di mia proprietà, avevamo passato mesi e mesi a progettare un futuro insieme, a sussurrarci "ti amo", a consumarci le labbra e adesso non avrei permesso che l'unica mia fonte di felicità fosse portata via dalle mie braccia.
Fui riportato brutalmente alla realtà, quando un gruppo di infermieri entrarono nell'ambulanza, trascinando la barella di Elizabeth all'interno dell'ospedale. Mi asciugai frettolosamente le lacrime, che mi avevano inevitabilmente rigato gli zigomi e le corsi dietro, facendomi spazio tra i pochi medici che si aggiravano tra i corridoi all'una di notte.
Prima di prendere l'ascensore di servizio al fianco di Elizabeth mi dovetti imbattere in alcuni documenti da firmare, sfortunatamente, quelle pagine sporche d'inchiostro furono leggermente bagnate dalle mie mani sudate a causa dello stress, ma poco mi importava. Elizabeth entrò in un ascensore riservato ai pazienti, accompagnata da numerosi medici e infermieri che iniziarono ad esaminare la situazione, pasticciando la cartella clinica riservata a lei. A me non fu permesso di utilizzare l'ascensore, ma con l'adrenalina e la paura che mi scorrevano nelle vene, raggiunsi il terzo piano in poco più di un minuto, riuscendo persino a precederli. Affannato, poggiai una mano sul mio petto e potei sentire il mio cuore scalpitare contro la mia gabbia toracica, quell'organo si stava lentamente consumando a causa della tremenda ansia, che ormai mi si leggeva negli occhi.
L'ascensore alla mia destra si aprii e all'istante afferrai la mano di Elizabeth, che sobbalzò a quel contatto. Mi sforzai a sorridere per infonderle fiducia, ma quella ragazza non era come le altre, era fin troppo realista e intelligente per credere a quel sorriso che tratteneva la marea di lacrime che minacciavano di inondarmi il volto.
"Andrà tutto bene." Le sussurrai ad un orecchio, cercando di convincere più me stesso, che lei.
Lei annuì debolmente in risposta, prima di serrare le palpebre e concentrarsi unicamente sull'ossigeno che le permetteva di rimanere ancora in vita. La mia mano lasciò la sua, quando la mora fu portata nella stanza nella quale sarebbe stata controllata e curata. Mi ritrovai solo, in uno stretto corridoi bianco.

Un distributore automatico era l'unico a tenermi compagnia mentre, pian piano, i miei pensieri ebbero la meglio su di me, impossessandosi della mia mente. Fui sopraffatto dalle troppe domande alle quali non sapevo e non potevo rispondere. I mille ricordi, i baci rubati, le carezze delicate, le prime esperienze per entrambi, perché infondo, non ero mai stato innamorato prima di allora. Non riuscivo a sopportare che il mio angelo, la mia Liz, fosse nella stanza alle mie spalle, lottando contro la morte e che io fossi accasciato a terra, con la schiena contro un muro rovinato, incapace di agire o addirittura, di accettare quella situazione. Se avessi potuto scegliere avrei preferito essere lì, al suo posto, avrei preferito perdere la vita, piuttosto che viverne una senza di lei, perché senza il suo sorriso, senza il suo calore, senza la sua risatina stramba, che vita sarebbe stata la mia? Non riuscivo nemmeno a definirla tale. Quei pensieri mi scossero troppo, non averla qui tra le mie braccia era insopportabile, così decisi di sfogarmi. Il mio corpo si racchiude in se stesso, le mie braccia stringevano le mie gambe piegate e il mio volto era incastrato tra le mie ginocchia, lasciai che tutte le lacrime che possedevo mi bagnassero il volto, che tutti quei ricordi fossero affrontati e sentii le tempie bruciarmi, ripensando alle innumerevoli volte in cui il mio corpo era andato a contatto con il suo. Dei gemiti fuoriuscirono dalle mie labbra, che presero a sussurrare il suo nome, implorandola di tornare da me, perché un'altra paura mi perseguitava. Speravo con tutto me stesso che i medici riuscissero a salvarla, ma temevo follemente che non sarebbe tornata da me. Mai avrei potuto sopportare che il mio piccolo angelo capitasse tra le mani di qualcun altro, lei era mia, me l'aveva giurato e avrei fatto di tutto pur di averla in mio possesso per l'eternità.
Con il passare delle ore riuscii a tranquillizzarmi. Afferrai tra le mani il mio cellulare e, notando le quattordici chiamate perse di Gemma e Luke, mi decisi a richiamarli, cercando di non sembrare troppo agitato. Appena composi il numero, la ragazza dai capelli colorati accettò la chiamata e prese ad urlare.
"Cazzo, Harry! Finalmente ti sei degnato di chiamarmi. Stai bene? Sei vivo? Dove sei? Elizabeth è lì con te? L'hai trovata?" Chiese Gemma, singhiozzando preoccupata.
"S-sto bene Gemma..." Sospirai, trattenendo le lacrime. "Elizabeth è qui con me. Sono in ospedale, ha fatto un incidente."
In quell'istante, le mie iridi ripresero a pizzicarmi, coprendosi con un leggero strato acquoso.
"Come un incidente?" Urlò, continuando a singhiozzare, ancora più di prima.
Sentii Luke afferrare il cellulare di mia sorella e con calma allontanarsi da lei.
"Dove siete?" Chiese con voce soffocata.
"Siamo al 'The Princess Grace Hospital.'" Affermai, sistemandomi i capelli sudati, che mi scendevano sul volto.
"Siamo lì tra un quarto d'ora. Non fare cazzate, mi raccomando."

* * *
 
Il mio volto, incastrato tra le mie ginocchia, fu scosso brutalmente da delle piccole mani, per poi essere sollevato e scosso nuovamente. Dalle mie labbra fuoriuscì un gemito, prima che riuscissi a separare definitivamente le mie palpebre, precedentemente serrate. Le mie iridi arrossate, a causa delle troppe lacrime versate, incontrarono quelle di mia sorella e sforzai un sorriso, per non farla preoccupare troppo.
"È inutile, con me quel sorriso non funziona!" Urlò Gemma, lasciando che delle piccole lacrime rigasserò il suo volto.
"Harry, vieni con me, ti do una ripulita." Affermò Luke, sollevandomi da terra.
Quando Gemma notò che stringevo tra le mani delle lattine di birra, me le tolse brutalmente dalle mani e mi uccise con uno sguardo. Sapevo che odiava vedermi consumare alcolici ma, in quel momento più che mai, solo l'alcol poteva aiutarmi. Con la schiena curva, incapace di sorreggermi del tutto, mi diressi, affiancato da Luke, in uno squallido bagno, dove potei darmi una ripulita.
Sciacquai le mie mani, leggermente tagliuzzate, sotto l'acqua calda e potei sentire le ferite aperte bruciarmi leggermente. Dopodiché passai al mio volto, che sciacquai più volte, non ottendendo però il risultato che tanto avevo sperato. Una sciacquata d'acqua avrebbe dovuto ripulirmi da ogni orribile ricordo di quella serata, ma sfortunatamente quei ricordi erano sempre più vivi nella mia mente. Spostai lo sguardo dal pavimento allo specchio davanti ai miei occhi e quando osservai la mia figura riflessa nello specchio, potei osservare le mie iridi, già arrossate, scurirsi sempre di più.
"Mi sento uno schifo." Sospirai, passando lentamente le mie dita sul mio volto.
"Vuoi tornare a casa? Starò io con Elizabeth... Hai bisogno di riposare un po'" Affermò Luke, dandomi una pacca sulla spalla.
Sentii i muscoli irrigidirsi notevolmente sotto la mia cute, sfiorai con le dita le mie labbra carnose, che avevano avuto il privilegio di sfiorare così tante volte quelle del mio angelo, adesso rovinate, sanguinanti. La sua mancanza stava lacerando ogni parte di me. La mia pazienza era arrivata al limite, il mio sguardo non incontrava più il suo da troppo tempo, la sua voce non mi cullava da ore ormai e non potevo accettarlo, ne avevo abbastanza.
Spinsi Luke contro il muro e lo bloccai per le spalle, il mio cuore scalpitava contro il mio petto e le mie iridi erano fisse sulle sue.
"I-io non ho bisogno di riposare!" Ringhiai, osservando Luke intimidirsi leggermente. "Non mi porterete via da qui!" Continuai successivamente. "Io ho solo bisogno di lei, cazzo!" Mi imposi di trattenere le lacrime, ma ero fin troppo vulnerabile e le lacrime mi inondarono il volto dopo pochi istanti. Lasciai la presa dalle spalle di Luke e mi accasciai nuovamente a terra, contro la porta scorrevole del bagno, chiusa a chiave dall'interno.
"Devi essere forte, Harry. Devi essere forte per lei." Sussurrò Luke, sorridendo debolmente.
"I-io non riesco ad accettare che adesso lei sia lì dentro e che io non possa farci niente."
Restammo entrambi qualche istante in silenzio e lasciammo che la quiete avesse la meglio sui singhiozzi. Quando mi sentii pronto ad affrontare quella situazione, mi alzai e mi diressi verso la sua stanza, attendendo notizie dal medico, che fortunatamente non tardò ad arrivare. Un uomo sulla cinquantina, con un camice bianchissimo e una mascherina verde acqua di avvicinò a me e Gemma, squadrandoci attentamente.
"Con chi posso parlare della Signorina Williams?" Chiese, spostandosi la mascherina sotto al mento.
"Può parlare con me." Risposi, alzandomi frettolosamente dalla sedia e avvicinandomi a lui.
"Bene, la Signorina si è ripresa, è stata davvero fortunata. Riporta alcune lesioni lungo il corpo, ma nulla di grave. Faremo delle analisi per assicurarci al 100% che non ci siano altri problemi più importanti."
"Grazie mille, adesso la posso vedere?" Chiesi sorridendo.
"Ehm, non so se la Signorina gradirebbe delle visite..."
"La prego, ho bisogno di vederla." Lo implorai.
"Va bene, ma non si faccia beccare dagli inservienti. Io adesso torno a casa perché non ho altri pazienti per stanotte, ma ci vediamo domani per le analisi." "Grazie mille, arrivederci." Salutai il dottore con una stretta di mano e mi fiondai frettolosamente davanti alla porta delle stanza di Elizabeth, ma mi paralizzai. L'ansia mi stava torturando, temevo che vedendomi mi avrebbe urlato di andarmene o avrebbe chiamato la sicurezza, tuttavia la voglia irrefrenabile di incontrare nuovamente il suo sguardo superava ogni cosa, così feci leva sulla maniglia ed entrai nella stanza.
Lo spazio intorno a me era buio, il bianco sporco delle pareti era interrotto solamente da un letto, dei piccoli macchinari e un enorme armadio in legno scadente. Il mio sguardo si soffermò istintivamente sulla ragazza stesa sul letto, con le palpebre serrate e una cascata di capelli che le circondavano il volto. Afferrai una sedia dalla parete e la trascinai vicino al suo letto, cercando di fare meno rumore possibile, mi ci sedetti e rimasi immobile, scrutando attentamente la figura angelica davanti si miei occhi.
La sua fronte era fasciata da alcune bende sterilizzate e alcuni lividi le contornavano gli zigomi, le sue palpebre erano gonifie e da esse fuoriusciva, di tanto in tanto, una piccola scia di lacrime salate, le sue labbra erano rosse come non le avevo mai viste, ricoperte da taglietti e lividi, inoltre numerosi lividi le ricoprivano le braccia e le gambe, fermandosi alle gionocchia, perfettamente incerottate.
Nonostante il suo corpo fosse in condizioni pietose, non potevo fare altro che ammirarla in ogni minimo particolare. Esserle stato lontano per poche ore mi aveva corroso l'anima, e adesso, che potevo averla al mio fianco, avrei sfruttato ogni secondo.
Passò qualche minuto e il sonno si faceva sentire, tuttavia volevo restare sveglio per quando si sarebbe svegliata, così decisi di ingannare il tempo, dandole una leggera ripulita. 
Afferrai dal comodino accanto a lei una spugna e le disinfettai le ferite, in quell'istante la mora aprì gli occhi.

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-Note autore-

Eccomi qui, in ritardo come sempre, ma ho fatto prima possibile, credetemi. Come vanno le vacanze, splendori miei?
Beh, non posso soffermarmi tanto per oggi, ma come sempre spero di ricevere delle vostre recensioni sul capitolo perché mi sono sempre d'aiuto.
Spero che il capitolo vi piaccia,

Strongstay xx
  
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