Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: outofdream    06/08/2014    0 recensioni
Rivisitazione di "Midnight Sun", di S. Meyer.
Dal 5 Capitolo:
[...] e in quegli attimi di totale oscurità, il suo corpo pallido mi appariva come l’unica fonte di luce. E me la immaginavo concentrata sui libri di scuola, mentre si passava una mano fra i capelli, muoveva le sue braccia nel sonno, piegava le gambe quando sedeva scomposta sul divano, corrucciava lievemente le labbra nei momenti disordinati della sua tenera vita, mentre si vestiva o si metteva degli orecchini, mentre si spogliava alla luce tenue della sua abat-jour con gesti stanchi, affaticati, per coricarsi a letto il più in fretta possibile. Me la immaginavo sorridere, come l’avevo vista fare tante volte con Angela e Jessica, voltarsi facendo ondeggiare i lunghi capelli. La immaginavo nella mia vita.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Nota dell’autrice: Salve a tutti! Dunque, come sapete, “Midnight Sun” non è mai stato pubblicato dalla Meyer (che io sappia), e per un po’ mi sono arrabattata a trovare qualche copia in pdf del libro inedito, per sapere che nome dare ai capitoli; purtroppo non trovo più il sito a cui facevo riferimento (immagino sia morto sotto una valanga di altre pagine che ho inserito a caso nella cartella dei Preferiti.. Non mi sorprenderebbe), quindi da adesso in poi andiamo a braccio, vediamo cosa ne esce.
Spero che i nomi che darò ai capitoli per questa rivisitazione della storia vi piacciano.
Buona lettura!


                                                                                                             Incertezza


«Ma guarda chi c’è», soffiò Rosalie con aria insofferente, «non ti si riconosce senza quella mocciosa sempre intorno». «Oh andiamo Rose», arricciò il naso Emmett, «non fare l’antipatica. Se riesce a scopare siamo già a metà dell’opera e possiamo cominciare a dire addio all’Edward palloso di sempre..».
La battuta parve sortire l’effetto desiderato, almeno in Jasper e in me. Quanto a Rosalie e Alice..
«Magari ci deve arrivare piano piano.. Forse fra un paio di secoli sarà in grado di rimorchiarne una della nostra specie». A quelle parole Jasper scoppiò a ridere e con lui Emmett.
«Voi davvero non vi rendete conto di quello che ha fatto, vero? Sono davvero sconcertata. Sinceramente», Rosalie si alzò di scatto dal divano, «Questa faccia di culo va in giro a fare come gli pare e a nessuno sta a cuore questa faccenda? Ma dove credete di vivere?».
«Sai, Rosalie, solo perché tu hai le stesse capacità di gestire le situazioni critiche di un feto, non significa che io non sia minimamente più sviluppato», dissi senza pensare.
«Scusa?», fece Rosalie.
«Non hai capito o non hai sentito proprio? I tuoi 99 anni cominciano a pesare, eh?», sorrisi divertito.
Pessima scelta di parole, coso. Ora le pigli, sorrise Emmett dall’altra parte della stanza.
Rosalie mi fu addosso in un momento – di nuovo. Accidenti, per essere un’attempata novantenne dava ancora del filo da torcere: mi tirò su di peso, scagliandomi oltre la finestra aperta.
«Io ti disintegro!», mi ringhiò contro, saltandomi addosso.
«Potresti provare a suonare meno come un cattivo della Marvel degli anni ’90? Chi sei, Goblin?», scherzai, evitando i suoi colpi uno dietro l’altro. Stare dietro a Rosalie non era poi così difficile, una volta che ci si abituava alla sua forza e alla sua tenacia: le sue mosse seguivano tutte uno schema preciso che tendeva a ripetersi con estrema precisione, colpo dopo colpo ed era forse questo il suo più grande difetto.
Parai l’ennesimo pugno e, afferrandola per l’avambraccio, la lanciai dall’altra parte dell’immenso giardino di casa, facendola schiantare contro il tronco di un pino.
Credo ti serva ancora un po’ di pratica nel fare pace, Ed, soffocò una risata Jasper, affacciato alla finestra.
Se saltiamo la parte dei pugni e degli insulti però, direi che sei sulla buona strada.
Rosalie si alzò in men che non si dica, pronta per il contrattacco.
«Senti, Rose», provai io e per tutta risposta la vidi sradicare dal terreno l’intero albero e lanciarmelo addosso – schivato per miracolo. «Gesù Cristo, Rosalie! Ma che.. È legale fare una cosa del genere?».
«Ti dovrebbe fare di peggio, secondo me», Alice si grattò il collo con fare divertito.
«Dovreste fare queste cose più spesso», Emmett tirò una spallata a Jasper, egualmente divertito, «mi ecciti quando ti arrabbi», ammiccò a Rosalie.
Mi passai una mano sulla faccia, «Ho capito, ho capito.. Ma dopo quello che è successo, non pensate che sarebbe peggio se io fossi sparito dalla sua vita così, senza motivo? Isabella.. Lei si sarebbe insospettita ancora di più.. No?».
«Insospettita?», Alice scoppiò a ridere, incredula, «Hai fermato un’auto in corsa! Cos’altro le potrebbe servire per sospettare di te?».
«Magari è cerebralmente compromessa», fece spallucce Jasper.
«Jas, non ti ci mettere pure tu», lo zittì quella.
«Non è più logico comportarsi così? Non è meglio se continuo a.. Fare finta di essere amico suo? Così posso tenerla d’occhio e se magari smetterà di avere paura di me, sarà una persona in meno a spettegolare sulla nostra famiglia.. D’altro canto, ormai l’ho fatto! L’ho salvata, che posso fare? La devo ammazzare adesso? Tornare indietro nel tempo non posso, a questo punto non è meglio lasciare le cose così come stanno?».
Alice mi lanciò una delle sue solite occhiate: oh, lei lo sapeva che mentivo. A Rosalie forse, Emmett, magari anche a Jasper certi dettagli potevano sfuggire, ma non a Alice. Era affilata più di un coltello e guardava il mondo con una tale pignoleria, una tale attenzione al dettaglio da risultare quasi ossessiva, ma era tutto necessario sembravano dire quegli occhi, «Sì, è tutto necessario».
E lo era davvero – il suo modo di muoversi, di guardare il mondo, di ragionare silenziosamente, di giudicare con precisione erano i suoi modi personalissimi per salvarsi senza dover muovere un muscolo, di proteggerci e nello stesso tempo, abbandonarsi a quella tranquillità illusoria, vaga, che noi tutti conoscevamo fin troppo bene. Lei sapeva cosa mi frullava per la testa, non aveva certo bisogno di chiedere, né di sfruttare i suoi poteri o desiderare i miei per capirmi: sapeva che nulla di ciò che avevo detto aderiva in maniera autentica al tessuto del reale, che non pensavo una di quelle parole, che l’unica cosa che desideravo io era stare con lei. «Non è detto che le cose vadano così male..», la voce di Emmett, per un attimo, la distolse dai suoi intricati ragionamenti interni.
«Non possiamo rischiare», disse, ma c’era dell’incertezza nella sua voce.
«Forse dovremmo andare a Goat Rocks e basta», Rosalie si scrollò di dosso la terra da capelli e vestiti, «non ho più voglia di parlare di quella stronza. Andiamo a mangiare. E poi, se resto ancora qui finisco che lo ammazzo, questo qui».
«Lo prendo come il rinnovamento del nostro affetto fraterno?», le sorrisi, allargando le braccia.
Lei mi tirò un pugno e Emmett rise.
Sarebbe potuta andare peggio, pensai.


Superato l’Olympic National Forest, vicino a Mt Rainer National Park si trovava Goat Rocks, ottantacinque ore per raggiungere il luogo a piedi da Forks, appena una per noi, a corsa. Non che ci fossero dubbi. Goat Rocks mi piacque dal primo momento in cui vi misi piede, la prima volta che capitammo in zona e Carlisle pensò che potesse essere anche una buona idea andarsi a stabilire nelle vicinanze. Mi piacque da subito il modo in cui la luce del sole tingeva i profili delle montagne imbiancate di neve, l’ombra cupa e macabra di cui si poteva godere sotto le fittissime trame degli alberi, quel freddo pungente che mi faceva dimenticare, per un attimo, la temperatura del mio corpo.
E poi, la libertà che provavo nel correre. Dovunque volessi, a che velocità desiderassi, là in mezzo alla natura, in mezzo a quel luogo incontaminato, selvaggio potevo essere me stesso – nessuno poteva temermi, nessuno mi avrebbe guardato con occhi traboccanti d’orrore, non c’era rischio di potersi sentire diversi lì in mezzo a quel miracolo, in mezzo a tutta quella quiete. Mi sentivo parte dell’universo, parte di questo mondo esattamente come chiunque altro e nella stessa maniera ripensavo al fatto che niente, dal Big Bang a oggi, nemmeno una parte di tutta quell’energia che aveva portato il mondo a essere com’era e noi a essere chi eravamo era mai stata creata né distrutta, ma nel corso dei miliardi di anni aveva soltanto trovato nuove forme per esprimersi. Io ero energia. E mi sentivo in diritto, in quei momenti, di far parte dell’intero Cosmo, di non aver meno diritto di esistere di quanto ne avesse una stella o una montagna, un fiume o un fiore e che, esattamente come loro, avevo diritto di esistere, qualsiasi fosse la mia forma o natura.
Ogni volta che correvo, scatenando tutto il mio potenziale fra la fitta boscaglia, ogni volta che cacciavo, che scherzavo con i miei fratelli in quegli stessi luoghi, mi sentivo vivo. E giusto.
«Ci muoviamo verso i picchi? Cosa volete fare?», Jasper lanciò un’occhiata a Rosalie e Alice, «Quanta fame avete?». Rosalie scrollò le spalle, «Come al solito».
«Vuoi fare tu gli onori di casa, stavolta?», ghignò Emmett, prendendola sotto braccio.
«Sì, ho proprio voglia di spezzare qualche collo, oggi», Rosalie mi lanciò un’occhiata di fuoco.
I tre cominciarono a correre verso le pendici della montagna e io fui per imitarli, ma Alice mi tirò per la manica della felpa. Mi voltai stranito verso di lei e trovai a aspettarmi quello sguardo – di nuovo. Sapevo che non se l’era bevuta.
«A che gioco stai giocando, Edward?», domandò seria, incamminandosi lentamente.
Nessuna risposta.
«Edward.. Non ti avvicinare più di così». Continuava a non guardarmi.
Di nuovo, nessuna risposta.
«Questa relazione.. Tutto questo non va bene, non può andare.. È così.. È altamente controproducente», riassunse, analitica. Lo stava facendo di nuovo: provava a distaccarsi, così, come se non le riguardasse nemmeno, per capire meno, per non contaminare il susseguirsi degli eventi con le sue parole, i suoi gesti, le sue preoccupazioni. Provava, ma non riusciva mai.
«Ci sono talmente tanti dettagli, nemmeno così piccoli, che mi infastidiscono in quest’insieme. Che non mi aiutano a capire, che mi mettono di guardia, che mi fanno.. Soffrire», scostò lo sguardo, concentrandosi su un cerbiatto da lei poco distante, «Mi dispiace così tanto, Edward».
Le sue parole mi presero in contro piede. Le dispiaceva?
«Mi dispiace, sì. Mi dispiace che tu l’abbia salvata – mi dispiace per lei, ma più di tutti per te. Non siamo fatti per questo, non siamo fatti per la stabilità, la famiglia tradizionale, le rughe, i nipotini, non siamo fatti per questo tempo. A volte.. A volte mi chiedo cosa sarebbe successo, come sarei stata io, ora, se il passaggio da essere umano a vampiro fosse stato meno doloroso, se almeno avessi potuto.. Accorgermene. Se avessi conservato qualcosa, qualche piccola parte di me, qualche minuscolo brandello della mia vita passata. Ora capisco che mi sbagliavo e mi sento benedetta da questa sorte. Immagino che se avessi ricordi della mia vita da essere umano allora tutto questo sarebbe immensamente più difficile. Se fossero ancora in me, se non avessi avuto la possibilità di vivere in maniera così distaccata dalla mia precedente condizione, sono certa che soffrirei nello stesso modo in cui soffri tu. Magari ti potrei capire meglio. Non so come debba essere per te o Jasper. O Carlisle. Ma immagino che anche questa parte di te abbia influito sulla tua decisione di salvarla, no?».
Sì.
Sì, oh, sì. Mi piaceva così tanto quell’illusione, quel giocare a fare finta, quel voler insistere nel non vedere ciò che ero diventato. Mi piaceva la sensazione che provavo, quando le sedevo accanto, nell’aula di Biologia. Isabella era come.. Era le montagne di Goat Rocks, i suoi campi sterminati, le radure, le fronde degli alberi gocciolanti di rugiada, era casa mia, quella a Chicago. Era il sorriso di mia madre quando ci vedeva tutti riuniti a tavola, il tramonto riflesso sui vetri traslucidi della mia vecchia scuola superiore.
Era uno specchio e quando l’avevo di fronte io mi specchiavo umano.
E io avrei voluto questo, ogni giorno, ogni mese, ogni anno, per sempre, per sempre.
Per sempre.
Ma non parlai, sapevo di non averne veramente diritto.
«Tra un paio d’anni, forse meno, noi ce ne andremo da Forks. Tu puoi.. Starle un po’ vicino ma a cosa servirebbe? Niente di tutto questo è fatto per durare,.. Niente, tranne noi. Ormai l’hai salvata, è vero, è solo che.. Non dico che sarei stata più contenta o mi sarebbe piaciuto se fosse morta, non dico che sarebbe stato un bene, però tu ti sei compromesso, Edward. Ma non ancora irrimediabilmente. Puoi parlarle, se vuoi, se questa è l’unica cosa che ti rende felice, ma.. Ti prego, non avvicinarti troppo», mi rivolse un sorriso macerato.
«Alice!», Jasper, in lontananza, richiamò la sua attenzione, sventolando il braccio in aria, «Non vieni?», gridò. Lei gli fece cenno di sì con la mano, poi mi guardò un’ultima volta.
«Lei sembra.. Così piccola», e giurai d’averla sentita sospirare mentre, voltandosi, cominciava a correre.
Così piccola.
Quelle parole rimbombarono nella mia testa più e più volte, lo sguardo di Alice, il raggi di sole che pigramente cominciavano a carezzare le punte degli alberi, le cime delle montagne, le risate di Emmett, i sorrisi di Rosalie, sempre quell’aria scontenta e frustrata che aveva quando capitavo nel suo campo visivo, Jasper e le sue battute – tutto si ripeteva nel mio cervello come un filmato senza fine e senza inizio.
Forse Alice aveva ragione, forse il motivo per cui non riuscivo a staccarmi da Isabella era lo stesso secondo il quale non ero in grado di rinunciare alla mia parte umana, ma del resto, chi di noi lo era veramente? Mi ricordo di aver guardato Jasper, Rosalie e Emmett e aver pensato che, forse, alcuni ci riuscivano meglio di altri. Io mi sentivo a metà strada, ora inconsistente e nemmeno Goat Rocks riusciva più a creare in me nessun tipo di connessione. Ma cosa stavo facendo? In che direzione stava andando la mia vita?
Che cosa sto facendo di me stesso?, pensai.
Cosa?
Ero fermo, fermo dal giorno in cui Carlisle mi aveva trovato. Se solo mi avesse lasciato morire, allora sarei potuto diventare qualcos altro, finire in un posto diverso, sperimentare, vedere forse toccare con un mente completamente nuova, perfetta, pura, se solo lui.. O io.. Se Isabella non fosse mai arrivata a Forks.. Se Alice non avesse avuto quella visione.. Scossi la testa: al solito, continuavo a rifarmela con dei fantasmi, ero solo un cane che abbaiava alle ombre. Non potevo smettere di avere paura, di provare rabbia e rigidità di fronte all’oscurità, ma in fondo, questo era tutto ciò che mi rimaneva: se le ombre si fossero dileguate, cosa ne sarebbe stato di me? Cosa avrei fatto di me stesso? E adesso che l’aveva salvata, lei era solo un’altra ombra che si aggiungeva al mucchio, a stagliarsi sulla parete. Oh, Isabella.
Chissà dov’era, in quel momento.


«La Push! Non ci posso credere, quella ragazza è una calamita per i disastri naturali!», Alice alzò le mani al cielo, sconcertata. Carlisle quasi tentò di soffocare una piccola risata, «Se avessi saputo che la notizia ti avrebbe fatto quest’effetto, non mi sarei azzardato a parlare».
«Chi te l’ha detto?», fece Emmett.
«Charlie. Era in ospedale, scortava un tipo ammanettato alla barella che, a giudicare dall’aspetto, non se la cavava granché bene. Immagino che, visto i nostri rispettivi impieghi, io e lui ci vedremo molto più di quanto si possa dire», rispose Carlisle, «Sai, Alice, forse dovresti tranquillizzarti – immagino sarebbe andata là comunque, prima o poi. Billy Black è amico intimo dello sceriffo».
«Non posso pensarci. Ci mancano solo i licantropi», sbottò disgustata Rosalie e tutti noi imitammo la smorfia che si dipinse sul suo volto immacolato. «La tua amica ha un debole per i cazzi delle bestie mitologiche, eh?», fece Emmett.
«Dai, Emmett, non tirare troppo la corda, altrimenti Edward si imbarazza», sghignazzò Jasper. «Tranquillo, fratellino, ci pensiamo noi a proteggere la tua verginità d’acciaio», mostrò i muscoli Emmett, «nessuna ragazzaccia ti toccherà finché ci saremo noi».
«Com’è divertente», soffiai sarcastico, ma per un attimo, vedere Rosalie e Alice ridere così di gusto mi fece passare il malumore. «Ragazzi, smettetela», gli ammonì Esme dall’altra stanza.
«Non credo sappia nulla, comunque», sorrise Carlisle, continuando a leggere la posta e a infilare ordinatamente le bollette della luce e del gas in apposite cartelline di plastica, «D’altro canto, non credo che rischi di venire investita un’altra volta. Anche se», si strofinò piano il labbro.
«Forse dovresti stare più attento del solito, Edward. Sarebbe interessante sapere cos’è successo a La Push», mormorò, sovrappensiero. Era un’autorizzazione a parlarle?
«Non ci allarghiamo», sbottò Alice, «la situazione è già abbastanza delicata senza che ci entrino di mezzo i licantropi. Non voglio nemmeno immaginare a che rogna sarebbe dover trovare un nuovo accordo con quei cani di La Push».
«Non essere maligna, Alice», la rimproverò Carlisle, «ricordati che condividiamo tutti lo stesso destino. La loro non è una natura poi così diversa dalla nostra».
«No, loro sono diversi da noi. Loro sembrano davvero umani. E sono sicuro che non sono freddi come.. Me. Jacob Balck, lui non potrebbe mai spaventare Isabella così tanto», sussurrai, senza rendermene conto, traboccante di invidia. Alzai lo sguardo sugli occhi esterrefatti della mia famiglia.
Pentito immediatamente d’essermi lasciato sfuggire quelle parole, feci presto a levarmi di torno: per me la conversazione era finita lì. Dio, ero così geloso! Un bambino, praticamente! E invidioso, pure. Ma da quando? Invidioso di Jacob, una persona con cui non avevo mai parlato, uno sprovveduto ragazzino indiano. Un licantropo. Se bella avesse saputo cos’era Jacob, forse si sarebbe spaventata, ma era più che rinomato il fatto che i corpi dei giovani appartenenti al clan dei licantropi, anche se non erano ancora giunti al loro stadio finale, anche se non avevano ancora idea e giusta proporzione dei loro poteri e della loro forza, erano.. Caldi.
Loro potevano invecchiare, anche se molto più lentamente di un comune essere umano. Loro potevano.. Avere figli. Una famiglia. Lanciai un’occhiata al di là della finestra – il sole era ormai già sorto, a breve mi sarei dovuto recare a scuola. Dio, il solo pensiero mi stizziva. E quella volta, nemmeno l’idea di poter vedere Isabella riusciva a consolarmi. Io.. Pensavo spesso a lei. Pensavo a toccarla, a baciarla, a come sarebbe stato. Ma al pensiero di Jacob mi veniva solo una grande tristezza – lui era certamente più affine alla mia natura, eppure godeva di così tanti vantaggi! Mi bastava concentrarmi sulla faccenda del calore.
Se Isabella mi avesse toccato, probabilmente sarebbe rabbrividita. Non ci volevo pensare.
Uscii di casa e mi infilai nell’auto parcheggiata nel vialetto, a braccia conserte, scontento. Una routine, da quando l’avevo conosciuta. Passò poco tempo prima che Emmett picchiettasse sul vetro del finestrino.
«Cosa fai?».
«Nulla», sbottai, tirandomi il cappuccio della felpa sulla testa.
«Adesso oltre che a fare amicizia con gli umani ti diletti anche di licantropi?», sorrise, aprendo la portiera anteriore. «Puzzano come cani bagnati, mi fanno schifo», stritolai le parole in una morsa acida e cattiva.
«Pensi davvero le cose che hai detto?», si sedette al volante, rivolgendomi un’occhiata indecifrabile.
«Non lo so».
«Isabella ha paura di te quindi? Non ho capito».
«Non mi stupirebbe. Le basterebbe guardarmi sotto il sole o vedermi correre, che ci vorrebbe? Mica avrei bisogno di farle vedere le zanne», sbottai.
«Non avrei dovuto salvarla», mormorai allora.
«Se l’avessi lasciata morire le avrei risparmiato un sacco di seccature. Io adesso.. Non ce la faccio più. Alice mi ha chiesto di non avvicinarmi troppo, parlarle, se voglio, ma non troppo da.. Capisci, da non poter più tornare indietro. Ma io mi sono già avvicinato irrimediabilmente. Non so più che fare», mi tirai il cappuccio sulla faccia, fino a coprirmi.
«Vorrei stare con lei.. Tanto tempo. Vorrei avere quello che avete tu e Rose».
Emmett soffocò una risata, «Vorresti che Isabella ti pestasse selvaggiamente?».
«Sai cosa voglio dire», indugiai, «ma lei.. È troppo.. Fragile. Non so nemmeno se posso.. Abbracciarla».
Il volto di Jane comparve per un attimo nei miei pensieri. Scossi la testa, tentando di liberarmi da quei momenti. Emmett sospirò, grattandosi la testa.
«Non so cosa dire, Ed».
Ci fu un silenzio imbarazzante. Emmett lanciò un’occhiata all’orologio, «Puoi parlarci, no? Tanto ora andiamo a scuola. Non rischi di ammazzarla se le dici qualcosa».
Sapevo quanto gli costasse incoraggiarmi in quel modo che era tutto, fuorché spontaneo. Era la sua compassione a giocare un ruolo fondamentale: sapevo che vedermi così, non era il massimo per lui. Potevo sentire i suoi pensieri. Letteralmente. Gli facevo così pena, così tristezza e come avrebbe voluto consolarmi meglio, come si stava ingegnando per trovare una soluzione che rendesse felice tutti. Ma nessuna andava bene. Non per noi. Non per lei.
«Fa nulla. Chi se ne frega», sbottai io, esasperato, rivolgendo lo sguardo al tettuccio, «Che stia con quel fesso di Jacob Black a ballare con gli indiani nella riserva, sai quanto me ne fotte. Mi preoccupo per nulla. Basta vedere come mi guarda per capire che le faccio paura. Non è importante».
«Dobbiamo andare», la voce di Alice, stagliata sul ciglio della porta, ci raggiunse, «faremo tardi alle lezioni».
«Quella scuola sta diventando davvero un pruno nel culo», commentai con insofferenza.
«Oh, andiamo. Adesso è da un po’ che non ci facciamo vivi», sorrise Emmett.
«E fra poco dovrebbe anche cominciare a piovere», mormorò Alice.
Grugnii per sottolineare il mio disappunto. Alice e Emmett si rivolsero un’occhiata perplessa.


Arrivammo a scuola prima di quanto avessi desiderato – Alice guidava come una pazza.
Adesso non fare il depresso assoluto, sorrise Emmett, mentre varcavamo le soglie dell’edificio scolastico, puoi anche parlarle. Ma davvero, non tirare troppo la corda.
Annuii, poco interessato. Ci dividemmo tutti molto in fretta, Alice con Emmett a Fisica, Rosalie aveva Ed. Fisica e a Jasper toccava letteratura inglese. Sgattaiolai dietro a un gruppetto di cinque o sei persone e provai a ignorare i loro pensieri, ma fu del tutto inutile.
Eccolo.. Oh, ma guardalo, con quella t-shirt. Roba da pazzi, me lo mangerei. Sotto a chi tocca, pensai, mentre cercavo di allontanare i fastidiosi commenti interni di Lauren, una ragazzina piuttosto antipatica.
La prossima volta dobbiamo proprio invitarlo a La Push. D’estate magari, le sfuggì un sorrisetto malizioso, chissà che visione.. In costume da bagno! Roba da svenire!
Oh, Cristo. Cullen. Ma non era a fare trekking da qualche parte con quel fanatico di suo padre?
, Mike Newton, a poco distanza da me, fissava con odio le mie spalle.
«Buongiorno anche a te, faccia di culo», avrei voluto dirgli.
E poi chiuderlo in un armadietto.
Tsk, ma cosa me ne fotte, continuava, mi posso solo immaginare quanto gli roda di non essere venuto. Sicuramente avrebbe voluto vedere Bella. Povero sfigato, la festa è stata un successo, io ho passato la serata con lei mentre lui chissà dove stava. Come minimo avrebbe voluto starle appiccicato tutta la sera e fare il cretino, magari provare a baciarla. Troppo tardi, coglione! Finalmente hai trovato una che non te la vuole dare. Una come Bella non potrebbe mai essere interessata a uno così.
Quelle parole mi fecero girare di scatto – trovai quello smidollato di Mike a fissarmi con una vera espressione da ebete che si trasformò immediatamente in una ben più spaventata quando si accorse dell’occhiata di fuoco che gli stavo lanciando.
Malato, pensò superandomi.
Un giorno lo avrei gettato in pasto agli orsi di Goat Rocks.
Lanciai un’occhiata alla schiera di ragazzine ferme vicino agli armadietti – odiavo essere fissato così. Per assurdo, più assumevo un’espressione irritata, più sembravano interessate.
Guarda che occhi.. Mamma mia! Sembra uno di quei tipi ricchi e tenebrosi.. Chissà come sarebbe finirci a letto insieme.., scossi la testa divertito: queste bambine mancavano proprio di immaginazione. Andavano a parare sempre lì: sesso, soldi, modelle, storie romantiche al limite del ridicolo.
Lo sapevo, i pensieri di Jessica Stanley mi trafissero il cervello come una dolorosa emicrania, sapevo che gli piaceva, sorrise sorniona. Guardala. Non ce la fa nemmeno a nasconderlo. Sapevo che gli piaceva! Oh, Bella, poverina,.. Se non fossimo amiche mi farebbe quasi ridere questa situazione. Non fa che guardarlo..
Vidi Isabella riflessa negli occhi di Jessica e non potei fare a meno di voltarmi – oh, meravigliosa.
Il suo odore non era nemmeno così forte come gli altri giorno, colpa della pioggia e dell’umido stagnante di quel posto, supposi. Se non altro questo poteva considerarsi un bene. Esitai un momento, non sapevo se fosse stata la mossa giusta avvicinarmi di nuovo, ma prim’ancora che potessi decidere, il mio corpo già si stava muovendo verso di lei.
«Swan», dissi io, il tono provocatorio che sapevo fare sempre effetto.
«Cullen», lei strizzò gli occhi e la punta del suo naso si arricciò di un po’.
«Allora sei ancora viva. Dopo la faccenda del sangue, ormai pensavo che il tuo cadavere fosse già stato occultato», la punzecchiai.
«Sei io muoio il primo a cui vengono a cercare sei tu».
Mi toccò la punta del naso con tenerezza con una confidenza talmente sensazionale, da farmi cadere in ginocchio. Mi toccò come se fosse abituata a farlo da sempre, senza paura, con straordinaria nonchalance.
«Me? Con questa faccia così innocente?».
«Innocente? Non penso proprio».
«A proposito.. Sembra che il falò sia stato un successone. Mike potrebbe pavoneggiarsi di più con gli amici solo se avesse una corona di piume sul culo», risi, ma in maniera forzata. Mi frullavano ancora le parole di Newton in testa. «Una come Bella non potrebbe mai essere interessata a uno così».
«Lascialo stare», disse, «Mi sta simpatico».
«Lui?», ero fuori di me. Letteralmente. Lui?, «Hai dei gusti tremendi».
«Tu piuttosto, vai a fare trekking con gli orsi?».
Per un attimo, persi le fila del discorso. Ancora pensavo a quella frase, ma quando mi resi conto della sua domanda mi ci volle poco per rientrare in carreggiata, e non senza una certa soddisfazione.
«Non avrai mica chiesto in giro dov’è Goat Rocks per sapere dov’ero, vero?».
Le sue orecchie diventarono così rosse! Ahahah, che bambina.
«Sciocchezze».
«Sei furba, eh. Allora ti manco», osai.
«Non dire cretinate», cominciò a camminare dall’aula, non senza prima aver sbattuto rumorosamente il suo armadietto. Sapevo che non avrei dovuto pensare certe cose, ma adesso cominciavo a capire Emmett quando diceva che vedere Rosalie arrabbiata lo eccitava.
«Sei davvero un egocentrico, sai?».
«Il mio fascino è irresistibile, è un lavoro duro mi rendo conto, ma a qualcuno doveva pur toccare», le andai vicino io, «Forse invece della t-shirt dei Black Sabbath preferiresti una con la mia faccia stampata sopra?». Provò a spingermi via, ma sempre senza poca convinzione.
«Guarda che non mi offenderei mica, mi lusingheresti».
«Forse dovresti pensare a cose più serie», disse, «Tipo al compito in classe di Biologia che è fissato per venerdì». «Questo venerdì?», tirai su un’aria molto preoccupata.
«Già».
«Studiamo insieme». Le parole mi uscirono di bocca senza che io nemmeno me ne rendessi conto.
«Cosa?».
«Sì, mi sembri abbastanza presente, mentalmente parlando. E io sono sempre così solo», mugolai, sperando in un sì, «Non ti faccio proprio pena?».
«Più del solito, sì», sorrise.
«Allora?».
«Va bene», disse dopo averci pensato un attimo, «Ci vediamo oggi pomeriggio. Ti aspetto alla fine delle lezioni, nel parcheggio».
Sì, aveva detto sì. La guardai entrare in aula senza poter fare a meno di sorridere.
Aveva detto sì!
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: outofdream