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Autore: Alkimia    08/08/2014    6 recensioni
[Post-TheWinterSoldier]
"La voce dell’uomo con lo scudo grida di nuovo quel nome. Dentro a un ricordo che sa di neve e paura, il Soldato sente lo sferragliare di un treno coprire le parole del suo amico, un addio che è la somma di tanti inverni.
Amico, il suo 'migliore amico', è questo che ha detto di essere. Se fosse vero, quello che al Soldato resta da provare è un sentimento che impiega qualche minuto a definire: vergogna.
Ma ciò che gli urla nella testa ora ha la voce della vendetta."

Steve ha promesso che ritroverà Bucky. Fury ha promesso che darà la caccia a ciò che è rimasto dell'Hydra. Entrambe le promesse richiedono l’aiuto dei pochi alleati di cui ci si può ancora fidare.
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Natasha Romanoff, Steve Rogers, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!
Capitoli:
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Eighteenth bullet: Apnea
 
With dull black scissors
 and some kerosene,
you burnt the house
but you came to bid him well.
 
NEW YORK
 
Nel grande specchio davanti a lei non c’era una donna nuova.
Natasha Romanoff sapeva che non bastava cambiare qualche particolare del proprio aspetto per sentirsi diversi. Ciò che la rendeva diversa, a volte, erano le bugie che raccontava, le altre vite che diceva di vivere mentre in realtà portava scritto nel sangue un passato di fiocchi di neve e filo spinato che era possibile leggere in un unico verso, inequivocabile, ma che nessuno poteva decifrare. E se anche qualcuno avesse potuto, lei non glielo avrebbe lasciato fare.
È un buon modo per non morire, aveva detto a Steve. Era così che era andata avanti.
Alla fine ciò che serve a ogni persona è solo la facoltà di venire a patti con se stessa.
Non amava farsi toccare, in particolar modo non sopportava che le venissero toccati i capelli, e per questo l’ora intera - perché di un’ora si era trattato - passata sulla poltrona di quel parrucchiere non le era sembrata particolarmente piacevole. Ma aveva accettato l’invito di Pepper perché aveva bisogno di allontanarsi dalla Stark Tower senza che nessuno facesse domande, poter pensare senza che qualcuno le chiedesse se stava bene.
Stava bene?
Non sopporta che le vengano toccati i capelli ma, ora lo sa, c’è stata un’eccezione. Labbra che la chiamavano ancora Natalia, una voce che si arrochiva appena nel pronunciare frasi in russo senza alcuna inflessione.
Natasha ricorda cosa era stato, adesso. Non riesce a ricordare quanto fosse stato grande e se fosse stato più grande del dolore o se semplicemente si fosse mischiato ad esso come il bruciore straziante del calore sulla pelle martoriata dal freddo.
Fa un mezzo sorrisetto soddisfatto a uso e consumo del parrucchiere, un uomo giovane e alto e magro come un fuso che la guarda ansioso di sapere se il suo lavoro l’ha resa contenta.
La donna muove leggermente la testa da un lato e dall’altro, i ricci sono onde morbide che le sfiorano le spalle con leggerezza.
James sarà contento, pensa. Sono pensieri che non le assomigliano, che non assomigliano all’immagine che il mondo ha della Vedova Nera. Ma lui, il Soldato di Inverno, l’ha conosciuta quando quell’immagine ancora non esisteva, quando lei era solo carne e sangue da plasmare sul modello desiderato da una bandiera troppo rossa. L’ha conosciuta quando ancora non aveva imparato a portare maschere e si difendeva dal mondo con un pugnale e con una pistola e con una furia nervosa da cucciolo cresciuto a bastonate. L’ha conosciuta nuda nella neve, determinata ad essere più tenace dell’inverno ed è così che gli è rimasta nel cuore, attraverso il tempo, oltre i muri innalzati da anni di manipolazioni mentali, oltre le spire di elettricità.
Quando lui la guarda, la riconosce davvero e Natasha non ha ancora capito se deve farle paura o se è qualcosa che le dà pace.
Pepper insiste per pagare il conto, lei si oppone per qualche minuto, poi la lascia fare anche se vorrebbe dirle che il regalo più grande che le ha fatto è stato offrirle quello scorcio di normalità: era da tempo che l’agente Romanoff non sbirciava dalla serratura il mondo delle persone comuni e si mescolava con loro.
Natasha si guarda attorno, vede la ragazza bionda con il grembiule spazzare il pavimento dalle ciocche di capelli caduti, il parrucchiere fare una battuta, una cliente in attesa sfogliare una rivista di gossip. Sì, è proprio come sbirciare dalla serratura una stanza nella quale non sei invitata a entrare ma dura sempre troppo poco. Quella volta, non dura nemmeno il tempo necessario a tornare alla Stark Tower perché il suono di uno sparo spezza la quiete e manda in frantumi quel quadro di vita ordinaria in un ricco quartiere residenziale di Brooklyn.
Quello non è il posto in cui la gente si spara per strada. Tra quelle case perfette e le vetrine scintillanti di boutique e gioiellerie, non c’è posto per i criminali di quartiere. Deve essere successo qualcosa.
Natasha è fuori dal negozio ancora prima di avvertire l’andare in frantumi di quel quadro da spot pubblicitario dentro il quale era finita per sbaglio.
Sente il ticchettio dei passi di Pepper nella sua scia. La signorina Potts è dannatamente brava a correre sui tacchi, quasi più di lei.
Il secondo sparo arriva come un suono distorto, qualcosa che ancora una volta sembra irreale e fuori posto.
È come quando la pellicola del film comincia a bruciarsi: l’immagine si confonde e sfuma un istante prima di venire inghiottita dal nero.
E il nero che inghiotte il mondo oltre gli occhi di Natasha comincia dove il suo sguardo incontra la figura di Steve Rogers.
Il Capitano si porta una mano al fianco prima di accasciarsi accanto all’altro corpo steso sull’asfalto.
Natasha non ha bisogno di guardarlo per sapere che si tratta di James. Quello di cui ha bisogno ora è un’arma.
“Nat!”. L’arma, una pistola di piccolo calibro, si materializza nelle sue mani come per magia. Non fa domande, non si chiede da dove Pepper l’abbia tirata fuori. I suoi occhi sono già sul cecchino sopra al tetto di un basso edificio. Non ha neppure pensato a nascondersi per bene, l’idiota. Credeva che in quartiere come quello non ci sarebbe stato nessuno con abbastanza fegato da fermarlo e in effetti si è trattato solo di una fortunata coincidenza o di una sfiga pazzesca, a seconda dei punti di vista.
Natasha spara. Il proiettile entra ed esce dalla testa del cecchino, portandosi dietro una scia di sangue e  frammenti di osso, il corpo cade all’indietro oltre il parapetto e sparisce dalla visuale.
La strada è già diventata deserta.
Mentre il cuore le accelera nel petto con un ritmo che non ricordava, Natasha sente gli occhi di tutto il quartiere puntati su di lei, occhi di ratti chiusi a rintanarsi nei loro antri sicuri, dietro le vetrine dei negozi, dietro finestre dai vetri perfettamente puliti, dentro il guscio di macchine costose, con la vigliaccheria che fa parte della normalità che lei conosce così poco e che non si sente di criticare.
È stato un uragano, un turbinio di tempo e azioni. Un attimo prima era seduta sulla poltrona di un parrucchiere ora guarda il proprio riflesso cupo nella pozza di sangue che si allarga attorno al corpo di James e non ha il coraggio di chinarsi su di lui.
Respira tirando su l’aria dal naso. Sente la neve entrarle dalle narici anche se sa che la neve, quella neve, è lontanissima da lì.
Pepper ha già il telefono attaccato all’orecchio e parla concitata. Natasha sente la consistenza solida dell’impugnatura della piccola pistola nel palmo della mano.
Quando si china sui due corpi, gli occhi di Steve si spalancano di colpo, quasi spaventandola.
«Bucky…» mormora. Le lettere di quel nome inseguono gli ultimi scampoli di un respiro che si sta affievolendo. «È… è…»
Natasha punta gli occhi in quelli di Steve e riacquista lentamente la calma di chi deve pensare al fare e a nient’altro. Captain America non ha inseguito il suo miglior amico per mezzo mondo e mezzo secolo solo per vederselo morire davanti, non può essere successo.
Non farmi questo, James. Nonfarmiquesto.
La donna allunga una mano, sotto ciocche di capelli castani cerca il punto sul collo dove tastare il battito: c’è, flebile e lento, ma c’è. È un bastardo fortunato, deve essere caduto in modo che il peso del corpo faccia pressione sulla ferita provocata dal foro di uscita del proiettile. Forse l’emorragia non lo ucciderà in tempi troppo brevi.
«È vivo» dice. «I soccorsi stanno arrivando, andrà tutto bene». 
Steve stringe i denti, cerca di rimanere lucido. Al margine dei loro sguardi si vede già il lampeggiare blu delle luci di un ambulanza.
Quanto tempo è passato? Natasha non saprebbe dirlo, ma sono stati rapidi.
«Non farmi mai più certi scherzi, Capitano. No, non mi sto riferendo alla macchina» dice la voce di Stark, schizzato fuori da una delle due ambulanze ancora in moto.
Steve sembra riconoscerlo a stento. Natasha e Tony si scambiano uno sguardo teso.
«È lo shock più che la ferita. Rogers non è grave» recita lei nel miglior tono professionale.
Quando le ambulanze si fermano, dai portelloni escono due squadre di paramedici, insieme a Clint e Sam.
«Restatevene in casa, ragazzi, e che diamine! Minaccia anche di piovere» sbotta Clint.
«Chi è stato? Come stanno? Siamo in tempo per fermalo?». Sam fa troppe domande e respiri troppo brevi, sposta nervoso lo sguardo tra la donna e Steve e il Soldato riversi a terra.
«L’ho già fermato» spiega Natasha, lancia un’occhiata al tetto.
«Fermato al punto che non può essere interrogato tipo mai più?». Clint accenna un sorriso bonario, non c’è nessuna cattiveria nel modo in cui sta cercando di dirle che non è stata lucida, che non avrebbe dovuto uccidere il sicario. La sta solo mettendo in guardia, ma lei non riesce a sopportare gli occhi dell’agente Barton che dicono tutte quelle cose con un unico sguardo eloquente.
«Saliamo sul quel tetto, vediamo cosa riusciamo a scoprire, Sam» conclude Clint, indugiando a guardarla ancora per qualche secondo.
«Prima… lui…» rantola Steve, indicando con lo sguardo velato James ai paramedici che sembrano avere più premura di curare Captain America piuttosto che quello che per loro deve essere uno sconosciuto.
Poi Rogers ha la buon senso di chiudere gli occhi e lasciarsi sopraffare dall’incoscienza.
«Dov’è Sharon?» domanda Natasha, voltandosi verso Tony impegnato a verificare - probabilmente per la decima volta in pochi minuti - che Pepper sia illesa.
«È rimasta a fare compagnia a Bruce che si stava agitando per il fatto di non poter venire»
«Hai lasciato la ragazza di Captain America miracolosamente scampato a un attentato a tenere tranquillo Bruce Banner?»
«Senti, finora della logistica se n’è sempre occupata la signorina Potts, ok?».
 
***
 
L’ospedale non faceva parte del progetto iniziale della Stark Tower. C’era un laboratorio medico con attrezzature all’avanguardia, ma all’inizio doveva essere un’area adibita unicamente alla ricerca, almeno fino a quando il padrone di casa non aveva deciso che il monumento edilizio consacrato a se stesso e al suo nome non dovesse diventare una possibile base operativa per gli Avengers, il giorno in cui i cattivi sarebbero tornati, perché, questo è certo, quelli lì tornano sempre.
A questo giro, i cattivi non sono tornati, sono semplicemente rimasti dove sono sempre stati a fare quello che hanno sempre fatto: mangiare dal di dentro quel poco di buono che resta nel mondo.
A Bruce Banner sembra un modo un po’ semplicistico di vederla, ma non è di questo che si deve preoccupare. Ora si deve preoccupare di ringraziare Dio o Tony Stark - che è un po’ come dire Dio in crisi di identità durante una trasferta di lavoro - per aver preso la somma decisione di allestire un ospedale con tutti i crismi in uno dei livelli più bassi della Torre.  
Ma più di ogni altra cosa, quello di cui Bruce Banner ritiene di doversi dare pensiero è il velo di sudore freddo sulla fronte e il battito leggermente in accelerazione, sintomi che gli si sono presentati nel momento in cui si è reso conto che Captain America non può essere anestetizzato come qualsiasi altro paziente.
Ha lasciato medici più capaci e meno nervosi ad occuparsi del Sergente Barnes e di quella brutta ferita. Il proiettile gli ha  reciso un’arteria, l’emorragia lo ha quasi ucciso, anzi forse lo avrebbe ucciso di sicuro se il suo fisico da super soldato non avesse retto l’improvvisa e violenta perdita di sangue.
Per quel che riguarda Steve, è un altro discorso. Il proiettile gli è entrato nel fianco, non ha leso organi vitali, deve solo essere estratto. E il dottor Banner ha estratto proiettili e cose simili in condizioni igieniche e pratiche assai peggiori di quella durante la sua trasferta medio-orientale, ma anche nella peggiore delle situazioni davano al povero diavolo qualcosa che lo aiutasse a non sentire il dolore, fosse anche una dose di droga di dubbia qualità. Cosa si dà a Captain America?
Sharon Carter, occhi grandi come fanali, bussa sul vetro di quella che è una specie di piccola sala operatoria, simile a quelle che negli ospedali pubblici vengono utilizzate per i piccoli interventi che non prevedono il ricovero del paziente.
A certi pazienti andrebbero spezzate le gambe, comunque, così, a scopo di prevenzione.
Bruce si volta a guardare la ragazza. «Che c’è?» le dice, mimandolo con le labbra più che pronunciandolo.
«Cosa stai aspettando?».
Il dottor Banner ha un’illuminazione. Un attimo dopo si rende conto che una soluzione troppo facile e felice raramente si rivela essere quella ottimale.
Guarda Steve steso immobile sul lettino. Sul torace nudo, al centro dei suoi addominali perfetti spicca il segno biancastro di una cicatrice: altra guerra, altro proiettile. A Washington li ha salvati tutti, ha salvato lui, ha salvato Tony e tutte le persone che hanno conosciuto e a cui si sono affezionati da quando è cominciata quell’impresa due anni prima.
In quei due anni, Bruce Banner ha sempre sentito di dovere la vita a tutti loro, quella che gli Avengers gli hanno in qualche modo restituito. Ma Steve Rogers è l’unico che gliel’abbia salvata sul serio, distruggendo gli Helicarrier a costo di lottare contro il suo migliore amico - o quanto meno contro ciò che ne restava.
E anche se non fosse così, lui non vuole essere lo scienziato che ha rischiato di ammazzare Captain America.
«Ok, c’è un problema, senti…» dice uscendo dalla stanza. Sharon gli è addosso in un secondo, praticamente quasi gli salta in braccio. «Mi stai rendendo nervoso, sappilo»
«È una minaccia?»
«Almeno così non potrai dire che non te l’avevo detto. Il problema è che non so come anestetizzarlo, cioè mi è venuta in mente una soluzione, usare la tetrodotoxina B, è una formula che ho elaborato io, rallenta il cuore e induce un forte stato di catalessi, solo che non so che dosaggio usare su di lui. Se ne uso uno troppo basso e mi si sveglia sotto i ferri, dopo a quell’Altro chi glielo racconta? Se ne uso troppo ho paura di non riuscire a far ripartire il cuore. Chiedere di farlo fare a un altro medico non mi sembra comunque una soluzione»
«Se non è complicato non è divertente, eh» borbotta Sharon. «Cosa ti serve per determinare il dosaggio giusto?»
«Una cavia. Fino ad ora la tetrodotoxina l’ho usata solo su me stesso ma i miei parametri non fanno testo, poi è stata usata su Fury, da quello che mi ha detto Natasha, ma di certo non gli ho fatto le analisi del sangue dopo. Mi serve un metabolismo normale per poter confrontare l’effetto del farmaco e poi, con i dovuti calcoli, stabilire la dose adatta a Steve in base al confronto con… cosa stai facendo?».
Bruce guarda perplesso la ragazza sollevarsi le maniche della camicia.
«Ti serve una cavia? Ce l’hai».
Oh, giusto, è così che funzionano le relazioni romantiche. Forse non avrebbe dovuto coinvolgere Sharon  Carter in quella storia: tra rischiare di uccidere Captain America o la fidanzata di Captain America, Bruce non sa cosa sia peggio. 
 
***
 
«Sapevo che sei uno che si annoia facilmente, Stark, ma non pensavo che avresti mai scelto la dissezione dei cadaveri come hobby».
Tony non si lascia distrarre dalla voce di Barton, appena entrato nella stanza. La sua faccia con quelle lenti di ingrandimento calate sugli occhi sembra quella di un grosso insetto. Incide un tratto  dell’avambraccio, il bisturi traccia un sentiero rosso sulla pelle pallida del cecchino morto, proprio come la fiamma ossidrica sul metallo.
«Di solito queste cose le faccio fare a Banner» mormora il padrone di casa con il tono leggero e un po’ spento di chi sta prestando attenzione ad altro che non sia la conversazione. «Ma dato che lui sta giocando all’allegro chirurgo con Rogie mi tocca fare di necessità virtù».
Infila una piccola pinza sottile nell’incisione, la carne fredda ha già smesso di sanguinare.
«Eccolo qui» dice, estraendo un piccolo chip, della misura di una linguetta per lattine.
«Hanno dei chip di localizzazione? Da non credere» esclama Barton, strabuzzando gli occhi.
Stark si sfila la visiera con le lenti, appoggia il chip in un piccolo contenitore di vetro e lo ripulisce delicatamente dal sangue rappreso.
«Credevo che li aveste anche voi dello SHIELD» dice.
«Solo qualche volta»
«Pensavo di metterne uno anche a Pepper, da quella volta che si perse a Venezia mentre eravamo in vacanza, ma lei non ha mai voluto».
Clint Barton soffia una specie di risatina nasale e scuote la testa.
La voce di Jarvis interrompe il silenzio. «Mi aveva chiesto di essere informato sui progressi nel reparto medico, signore»
«Sicuro, Jarvis, spara pure»
«Il dottor Banner è riuscito a sedare opportunamente il Capitano. L’agente Carter non si è ancora svegliata, ma i suoi parametri sono nella norma. L’operazione del Sergente Barnes procede» dichiara l’intelligenza artificiale, lentamente. «L’agente Romanoff e il signor Wilson stanno venendo da lei, signore»
«Dai, che forse riusciamo a salvare la giornata». Tony guarda soddisfatto il chip nel contenitore, ma sta pensando al Capitano e al suo amico del cuore. Sarebbe stato davvero ironico se un cecchino sfigato fosse riuscito a far fuori in un sol colpo Capitan Leggenda e la versione cazzuta di Jon Snow, e l’unica ironia che il signor Stark è disposto a tollerare è la propria.
«Quindi se la caverà, Barnes intendo» dice Barton.
Tony si dà una spinta, facendo ruotare la seduta dello sgabello sul quale si è andato ad appollaiare, in modo da poter guardare in faccia Occhio di Falco.
«Perché, speravi il contrario?»
«Mi stai chiedendo se lo odio? La risposta è no, ho perso dei compagni in passato per colpa sua, ma non lo odio. Se poi è la tua anima da suocera pettegola a cercare soddisfazione e ti stai chiedendo se sono geloso, questa è un’altra storia e non è la parte più importante della faccenda. Natasha ha sparato a questo tizio, in un’altra situazione lo avrebbe solo ferito in modo da lasciarlo vivo per interrogarlo, immagino tu capisca da che parte provenga la mia preoccupazione e perché sono interdetto»
«Non credo sia il soldatino di piombo ad aver mandato in tilt Natasha, non solo. Ad ogni modo, con questo chip credo riusciremo a risalire a un po’ di informazioni utili. Per tutto il resto… beh, proverò a chiedere a Pepper se ha un’amica»
«Coglione»
«L’ho già sentita questa».
Stanno ancora ridacchiando quando Sam e Natasha entrano nel laboratorio. A starsene fuori dalla sala operatoria saranno morti di tensione oltre che di noia.
«Questo tizio deve essere l’ultimo degli idioti» dice la donna, guardando il cadavere. «Se fosse stato un cecchino come si deve, Steve e Bucky non sarebbero ancora vivi»
«La buona notizia è che io ho trovato questo». Tony mostra il chip. «Possiamo sapere da dove viene e forse riuscire a risalire alla base di Boston».
Sam Wilson guarda il cadavere. Il sangue si è raggrumato attorno al foro lasciato dal proiettile e l’odore comincia a ristagnare nell’aria. L’ex-marines solleva un lembo del lenzuolo e copre il corpo con un gesto fin troppo rispettoso per qualcuno che ha cercato di uccidere due suoi compagni. Tony immagina sia il genere di rispetto che i soldati imparano in guerra: quando guardi il viso di un cadavere, non importa più se sia uno dei tuoi o no. Dopo la morte, non ci sono nemici.
«Perché avrebbero mandato un cecchino incapace? E poi, come hanno fatto a trovare Steve e Bucky?» dice poi Sam, incrociando le braccia sul petto.
«Forse la base di Glasgow aveva qualche tipo di allarme che avrebbe mandato un segnale alle altre basi attive se fosse stata distrutta prima di essere sgombrata» ipotizza Clint. E probabilmente ha ragione.
«Christine Pierce ha dato l’allarme prima di venire uccisa dagli stessi alleati di suo padre. Sapevano che il Soldato era vivo, attivo e che li stava cercando, lo hanno trovato mentre eravamo in Austria»
«Non abbiamo lasciato nessuno vivo alle nostre spalle» obietta Natasha.
«No, appunto» dice Tony. «Data la devastazione che vi siete lasciati alle spalle già da prima di Glasgow, devono aver dedotto che il Soldato non agiva da solo. Se sono arrivati a pensare - e ci sarebbe arrivato facilmente anche un bambino - che Captain America era sulle tracce del Soldato e che i due amici si erano riuniti, una volta distrutto l’ultimo avamposto importante del Dipartimento X, quello in Scozia, beh, una volta capito che il Soldato era con lui sapevano che l’unico posto in America in cui sarebbe venuto Steve a cercare supporto era qui». Il padrone di casa fa ruotare gli indici a mezz’aria in un gesto che sembra indicare tutto lo spazio e l’aria contenuti nella Stark Tower. «I giornalisti mi chiedono spesso se è difficile essere famoso, sapete».
Tra i nodi che vengono al pettine, i due soldatini ancora fuori gioco e la consapevolezza del lavoro sporco che resta da fare, la sensazione che Tony prova, che certo tutti loro provano, è quella di una prolungata apnea.
«Sì, ma perché mandare un singolo uomo e neppure troppo capace?» insiste Sam.
La risposta non sembra venire facile, stavolta.
«Perché sono alle strette» dice poi Clint, colto da un’illuminazione. «Perché non vogliono scoprirsi troppo, qualcosa bolle in pentola e non vogliono sollevare il coperchio. Questo è stato solo un tentativo, se andava bene avevano tutto di guadagnato, se andava male, comunque non mi pare che ci abbiano rimesso granché. Stavano solo testando il terreno».
Tony prende un profondo respiro.
La sensazione di apnea ancora gli pesa al centro del petto.
Il cecchino era un avvertimento. Un solo uomo, e pure con una mira non particolarmente perfetta, è quasi riuscito a fare fuori Steve e Bucky in mezzo pomeriggio.
Il prossimo non sarà un tentativo. La prossima volta sarà una guerra e noi non siamo un esercito
Siamo solo una cosa: siamo sotto tiro. È questo che ci hanno voluto dire.
Tony sente l’urgente bisogno di un qualche colpo di genio, di una buona notizia - bisogno di respirare. Sì, come prima cosa deve vedere cosa riesce a scoprire dal chip di localizzazione che il sicario aveva nel braccio.
«Signore» la voce di Jarvis arriva così inattesa da far sussultare tutti quanti. «Il dottor Banner ha completato con successo la medicazione del Capitano. Il sergente Barnes è ancora sotto i ferri. L’agente Carter è addormentata ma stabile».
«Frozen è sano e salvo. Un passo alla volta…» conclude Tony, annuendo. Non lo ammetterebbe neppure sotto tortura, ma quello è il genere di momento in cui invidia a Steve Rogers la sua abilità nel fare discorsi solenni di incoraggiamento. 
Quindi è meglio che tu non te ne stia troppo a letto, Capitano.

 
 
 
 
 



 
Note:
Il riferimento a “quella volta che Pepper si perse in vacanza a Venezia” in realtà è una specie di auto-citazione della mia prima storia nel fandom sugli Avengers e che non ha niente a che vedere con questa fanfiction, ma è una battuta che è venuta fuori da sé.
 
La citazione iniziale è dal brano “Coal War” di Joshua James.
 
La prossima settimana l’aggiornamento arriva di domenica anziché di venerdì. Ma arriva, promesso :D
Intanto, grazie ancora a tutti voi lettori.
Alla prossima ^^
   
 
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