Furry Love
comes from some other beginning's end and
I know who I want to take me home
Mi
tirai a sedere sul letto scostando malamente le lenzuola profumate e
artigliandomi i capelli con le dita ancora intorpidite dal sonno; dagli
spiragli delle persiane facevano capolino dei timidi fasci di luce
argentata che ovviamente non illuminavano più di qualche metro
oltre il davanzale fino al quale mi trascinai indossando velocemente
una delle magliette ampie e comode che Sirius mi aveva prestato e che
avevano un odore tremendamente familiare e rassicurante.
Percorsi con lo sguardo il panorama fuori dalla finestra, la strada di
campagna era deserta e le poche case che potevo scorgere erano buie e
silenziose in quella notte così insolitamente calma che anche il
vento sembrava aver rinunciato a turbare.
La luce esterna mi permise di scorgere l’ora sul quadrante
dell’orologio che Jason mi aveva regalato qualche settimana
prima, elegante ma privo dei fronzoli che, il mio fidanzato lo sapeva
bene, odiavo a morte.
Erano quasi le quattro del mattino dell’ultimo giorno della mia
prima settimana da latitante. La prima che ricordassi, quantomeno.
"Non tornare a casa fin quando non te lo dico io."
Grazie,
Jason, per il tuo premuroso consiglio, e dire che pensavo proprio di
tornare a casa tra le braccia dei miei aguzzini. Non riuscivo proprio a fidarmi
di lui né dei suoi ovvi sms ma sapevo bene che non potevo fare altrimenti e una parte di me
sentiva persino la sua mancanza.
Uscii dalla stanza e mi mossi silenziosamente attraverso il corridoio soffermandomi davanti alla porta del mio coinquilino.
Sirius era una persona davvero strana, un mago
davvero strano, ad essere precisi, ma quella convivenza nonostante
tutto non mi pesava affatto, risultava sempre così familiare che
non faticavo più a credere che, tra di noi, ci fossero dei
precedenti.
Scorsi la sua sagoma distesa sul letto e il suo petto nudo che si
alzava ed abbassava al ritmo del suo respiro regolare che mi convinse a
non disturbarlo. Nel suo caso, tra l’altro, il detto “non
svegliare il can che dorme” non era esattamente un modo di dire
considerato che alla stranezza delle sue abilità magiche si
aggiungeva la capacità di trasformarsi in un adorabile cagnolone
nero.
Rain.
Quel nome mi era tornato in mente come un lampo, qualche giorno prima,
e Sirius sentendomelo pronunciare aveva sorriso come un bambino e mi
aveva abbracciata, forte.
Sorrisi arrivando fino alla cucina per prendere un bicchiere
d’acqua e poi abbandonarmi su una sedia con un sospiro
rassegnato. Non avrei più chiuso occhio, questo era certo.
Sentii una voce provenire dal salotto e subito scattai in piedi, ero
facilmente impressionabile, nell’ultimo periodo e nessun uomo o
mago sano di mente avrebbe mai neanche lontanamente potuto pensare di
darmi torto senza beccarsi una sonora capocciata sul naso.
Avevo scoperto di essere stata ingannata e manipolata, ero stata
costretta a scappare da mio suocero che si era rivelato essere un mago
in preda ad un’implacabile follia omicida e convivevo con un uomo
che si dichiarava, tra le righe, un mio ex e che di tanto in tanto
amava farsi grattare le orecchie sotto forma di canide: avevo ogni
sacrosanto diritto di essere tesa ma questo non impedì alla mia
stupida, stupidissima incoscienza di trascinarmi fino al luogo dal
quale sentivo provenire la voce che scoprii appartenere ad un
giornalista che dallo schermo della televisione parlava placido
scandendo parole che non riuscii immediatamente a captare, troppo
distratta dalla convinzione di non aver mai visto prima quella tv in
quella stanza.
“..la casa è stata quasi totalmente distrutta dalle
fiamme. I coniugi Kane, cinquanta e cinquantasei anni, sono deceduti
durante la corsa verso l’ospedale più vicino. Il figlio,
di anni venti, non ha superato la notte.”
Mi sentii mancare e mi inginocchiai mentre sullo schermo si
susseguivano immagini della casa in campagna nella quale ero cresciuta,
di quel che ne restava: fredde e mute macerie del mio passato che mi
era stato ancora una volta strappato insieme alle persone che
più amavo sulla faccia della terra.
Ero sola, la mia più grande paura si era realizzata e con ogni probabilità la colpa era mia e solo mia.
Piansi in silenzio per qualche istante mentre i volti dei miei genitori
e di mio fratello si dipingevano, colmi di terrore, nella mia mente che
ricostruiva le possibili e atroci dinamiche di quel disastro, vedevo
Russell che appiccava fuoco alla mia casa, vedevo la mia famiglia
intrappolata tra le fiamme e nelle mie orecchie c’erano le urla
che ero stata troppo lontana per sentire, le richieste di un aiuto che
non gli avevo concesso.
-NO!
Urlavo stringendomi le gambe al petto e affondando il viso tra le mani
mentre voci dentro e fuori dalla mia testa continuavano a ripetere che
era stata colpa mia, la voce di mia madre continuava a chiedermi dove
fossi, perché non li avessi salvati e neanche tapparmi le
orecchie serviva mentre il sangue mi pulsava frenetico nelle vene
pompato a mille dal cuore in tumulto.
-Hannah?- Sirius corse in cucina e si accasciò al mio fianco, stringendomi. –Per la barba di Merlino, che diav..?-
Si zittì mentre io continuavo a singhiozzare e lo sentii
irrigidirsi contro di me che mi ero abbandonata stretta tra le sue
braccia con il viso premuto sul suo petto nudo, incapace di respirare,
incapace di pensare.
-RIDDICULUS!- urlò quella parola con rabbia ed io singhiozzai
ancora più forte mentre lui mi prendeva tra le braccia e mi
sollevava.
-Va tutto bene, Hannah, non era reale.
-Si che lo era.. io.. loro sono morti ed io.. io non c’ero e..-
parlavo a fatica con voce strozzata tirando forte i capelli quasi a
volerli staccare dalla testa mentre lui cercava di allontanare le mie
mani per evitare che mi ferissi. Ma non sentivo alcun dolore fisico
mentre affogavo dentro me stessa e dentro la mia più grande
paura.
-Sono sola, adesso, Sirius.-
-Ssh.- mi posò delicatamente su un letto che riconobbi come il
suo e mi prese il viso tra le mani. –Hannah, guardami.-
Continuavo a singhiozzare e non riuscivo ad aprire gli occhi ancora colmi di lacrime che sembravano scottare e sanguinare.
-Non era reale, Hannah, era una creatura magica. I Mollicci si
trasformano nella cosa che più temiamo e se non sei preparato ti
annientano come quello di prima ha fatto con te. Devi credermi.-
-NO!-
-Chiama i tuoi genitori, vedrai che stanno bene.- mormorò
porgendomi il mio cellulare e scostandomi i capelli fradici di lacrime
dal viso. –Ma prima respira, li ucciderai tu se ti sentiranno in
queste condizioni, sai? Se ti vedessero poi..-
Il tono dispettoso che aveva adoperato mi scosse ed emisi uno strano
suono a metà tra un singhiozzo e un risolino isterico.
Afferrai il telefono e come in trance composi il numero del cellulare
di mio padre che rispose dopo così tanti squilli che mi
sembrò di impazzire.
-Pronto?-
-Papà!- cercai di reprimere le lacrime di gioia e sollievo che tuttavia ricominciarono a rigarmi, copiose, il viso.
-Tesoro che succede?- chiese allarmato e potei immaginarlo mentre si
tirava a sedere sul letto facendo saltare in aria mia madre; “Sta
male?” la sentii infatti mormorare dopo qualche istante mentre
una improvvisa e irrefrenabile voglia di ridere e piangere insieme mi
invadeva come una scarica.
-Niente, niente solo.. un brutto sogno e avevo bisogno di sentire la
vostra voce.- confessai, imbarazzata, sperando di suonare credibile.
Seguirono lunghi istanti di silenzio e poi un grugnito contrariato.
-Lucy torna a dormire, tua figlia è semplicemente pazza.- lo
sentii biascicare, nervoso, e mi ritrovai a sorridere come una scema
sotto lo sguardo sollevato di Sirius che, seduto accanto a me, mi
fissava con una espressione finalmente rilassata e quasi divertita.
-Non sono pazza, è solo che mi mancate e..-
-No, infatti, non sei pazza, sei una criminale. Adesso torniamo a
dormire, fatti prescrivere una buona dose di valeriana che aiuti a
dormire te e noi.- sbuffò, probabilmente pentito del tono
scocciato che aveva assunto. -Anche tu ci manchi, Hannah, ma se
chiamassi che so.. all’ora di pranzo, probabilmente ti odieremmo
meno.-
-Scusatemi. Tornate a dormire, vi.. vi voglio bene.- risposi reprimendo un risolino.
Chiuse la chiamata ed io gli occhi, tirando un profondo respiro.
-Ti pregherei di farmi una carrellata di tutte le strambe creature in
cui rischio di imbattermi in tua compagnia perché, e dico sul
serio, la prossima potrebbe essermi fatale.-
Restammo stesi sul suo letto in silenzio fino a quando le prime luci
dell’alba non cominciarono a filtrare attraverso le persiane; mi
ero rannicchiata vicino al suo petto e ne inspiravo continuamente il
profumo che sembrava avere uno strano potere calmante sui miei nervi
così come le sue mani che mi accarezzavano piano i capelli
chiari intorpidendo i miei sensi fin quasi a farmi piombare di nuovo
nella dormiveglia.
-Cosa hai visto, tu?- chiesi ad un tratto sollevando lo sguardo per incrociare il suo.
-James. Il padre del mio figlioccio e mio migliore amico.- disse con un
filo di voce assumendo un’espressione malinconica che lo rese
improvvisamente vulnerabile ai miei occhi.
Sapevo, a grandi linea, la storia dell’omicidio dei Potter e
della sua ingiusta condanna ma decisi ugualmente di approfondire
l’argomento sperando che, parlarne, avrebbe affievolito il dolore
che quello scontro aveva rinnovato.
-E’ la tua più grande paura? Non capisco, hai detto che il
Molliccio si trasforma in ciò che noi più temiamo.-
-Mi guardava arrabbiato, il suo volto era pallido e gli occhi freddi mentre sembrava accusami della sua morte.-
-Sei innocente, perché avrebbe dovuto?-
-Perché fui io a consigliargli di scegliere Peter Minus come
Custode, pensai che se avesse scelto me sarebbe stato troppo scontato e
che nessuno avrebbe mai pensato a lui.
Non sapevo che fosse lo schifoso traditore che è diventato o
che, forse, è sempre stato.- parlò con concitazione e
istintivamente la mia mano corse ad afferrare la sua, stretta a pugno,
che subito si rilassò intrecciando le sue dita alle mie.
-Non potevi saperlo.-
-Forse se avessero scelto me sarebbero ancora vivi, io.. sarei morto piuttosto che tradirli.-
Gli circondai il torace con le braccia e mi strinsi a lui con il suo
cuore che batteva forte nelle mie orecchie e la sua pelle nuda e calda
contro la mia; dopo qualche istante di sorpresa rispose alla stretta e
ci ritrovammo intrecciati e vicini come non ricordavo che fossimo mai
stati.
Percepivo il suo dolore come fosse il mio e una parte di me aveva
sentito l’impulso di approfondire quel contatto come se fosse
scontato, come se non potessi farne a meno.
-Sirius.-
-Mh?- la sua risposta mi vibrò sulla pelle attraverso le labbra
premute contro la mia spalla scoperta dallo scollo della t-shirt.
-Voglio ricordarmi di te. Ti rivoglio indietro perché so che ci
sei, da qualche parte dentro la mia testa. Devo solo.. ritrovarti.-
Mi sollevai un po’ per portare il mio viso all’altezza del
suo e vidi i suoi occhi grigi brillare di una intensità
magnifica e affondare nei miei mentre con le labbra accarezzavo le sue,
prima piano, quasi impercettibilmente, poi con maggiore decisione
stringendo il labbro inferiore in un bacio vero.
Lo sentii fremere e poi le sue mani salirono lungo la mia schiena per
arrivare alla nuca e spingere il mio volto contro il suo mentre
respiravo l’aria da lui e non sentivo nient’altro.
Gli accarezzai il petto con le mani aperte e sospirò contro la
mia bocca mentre mi premevo contro di lui colta da una improvvisa
frenesia.
Le sue mani sembravano infuocare la mia pelle al loro passaggio e le
sue labbra morbide si modellavano sulle mie che rispondevano senza
alcun imbarazzo a baci sempre più passionali.
Percorse con la bocca la linea della mia mascella e poi il collo
facendomi sospirare forte e stringergli il viso tra le mani mentre le
sue mi sollevavano la t-shirt sfiorando la pelle che fino a quel
momento era rimasta nascosta da quell’ostacolo di cotone.
Jason non era capace di farmi sentire come stava facendo Sirius, il
sesso con il mio fidanzato, che non avrei più neanche dovuto
definire tale, non somigliava neanche lontanamente a quel che stava
accadendo tra di noi, non ne aveva l’intensità e mancava
l’intesa incredibile che invece si era istantaneamente creata
negli ultimi istanti.
Sapevo dove toccarlo, sapevo dove le mie labbra potevano farlo
sospirare e lui riusciva a farmi tendere come una corda di violino
rischiando di farmi impazzire anche solo guardandomi con quei suoi
occhi magnetici.
Mi ritrovai su di lui, le sue mani costringevano dolcemente il mio
corpo contro il suo mentre continuavo a baciarlo come se non potessi
mai averne abbastanza.
Rividi per un istante noi due nel salotto di una casa che non
conoscevo, vicini e imbarazzati e poi avvinghiati l’uno e
all’altra.
Sentii la sua voce nella mia testa che sussurrava parole dolci provenienti da ricordi che riaffioravano, incerti.
-Non voglio più fare a meno di te, di questo. Voglio averti così ogni volta che vorremo, guardarti non mi basta più.-
Esitai un istante, fermandomi e trattenendo il respiro.
-Quando avrai finito di consumarmi con lo sguardo per ragioni a me ignote, gradirei che preparassi qualcosa per colazione. E’ il minimo che tu possa fare dopo avermi svegliato passeggiandomi addosso di sabato mattina.-
Istintivamente
mi venne da ridere e lo feci gettando la testa indietro mentre lui si
fermava, le mani ancora ancorate ai miei fianchi e lo sguardo confuso.
-Che ti prende?-
Ridevo di gioia e gli circondai il collo con le braccia premendo le
labbra sul suo collo tante e tante volte senza smettere di ridere.
-Non è gentile ridere in certi frangenti, te l’hanno mai detto?-
-Mi ricordo, Sirius. Mi ricordo di te.-
Emise una sorta di grido di gioia e si sollevò per abbracciarmi
forte facendomi ricominciare a ridere mentre rotolavamo sul letto come
due bambini un po’ troppo svestiti.
-Ora capisci perché avrei volentieri evirato quell’imbecille del tuo falso fidanzato?-
Song: Closing time - Semisonic
Artwork: HilaryC
Post scriptum: Non odiatemi per il mio indecoroso ritardo, sono una giovane studentessa universitaria che vive in una ridente cittadina sul meraviglioso Mediterraneo.. non è facile conciliare l'estate con le responsabilità, dalle mie parti! Vi adoro. Ciao.