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Autore: mayluke    08/08/2014    7 recensioni
"Non rispondeva mai in modo diretto alle mie domande, cercava di sviare, di raccontarmi sempre la parte positiva delle storie di quel mondo, e se non c'era, la inventava. Voleva proteggermi, salvarmi. E chiunque avesse detto che non eravamo compatibili, sarebbe andato contro il destino."
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Percorrevo velocemente la colorata Blaker Street mentre un leggero vento colpiva i lenzuoli delicati di una casa lavanda, facendoli svolazzare e procurandomi un lieve strato di brividi sulla mia chiara pelle. Ormai il sole era tramontato, lasciando spazio all'oscurità.

Brighton era una città balneare molto carina che si affacciava sulla costa meridionale dell'Inghilterra e piuttosto ricca di turisti provenienti da ogni angolo del mondo.
Era uno dei pochi luoghi dell'Isola baciato dai caldi raggi del sole.

Avrei dovuto accelerare il passo o mia madre si sarebbe arrabbiata parecchio. "Una ragazza di diciassette anni non può girovagare da sola a quest'ora!" mi aveva rimproverato diverse volte.
Ma solo stare seduta sulla sabbia dorata, a bearmi dei mille colori del tramonto che si riflettevano vanitosi sulle onde del mare, mi permetteva di catturare l'ispirazione che cercavo 
per scrivere poesie.

Mia madre lavorava come infermiera all'ospedale della città; amava la sua professione, ma la sua vera ispirazione era probabilmente la musica.
Suonava il violino in numerosi eventi e mostre d'arte, e niente aveva la capacità di migliorare la mia giornata se non osservare la sua espressione fiera e serena, mentre estraeva dall'astuccio nero di pelle il suo amato strumento a corde.

Aveva conosciuto mio padre al PSDA Pet Aid Hospital dove quest'ultimo lavorava come veterinario, un mestiere meraviglioso quanto diabolico: oramai per lui ferie rilassanti erano un lontano ricordo.
Aveva conquistato mia madre salvando il suo obeso gatto Grisù, che purtroppo ci aveva lasciato al mio undicesimo compleanno.

Dopo mezz'ora, finalmente raggiunsi il viale in cui abitavo.

La mia villetta era piuttosto caratteristica, costruita in mattoni e abbellita da infissi bianchi e splendidi ciclamini rossi che sembrava volessero cadere dalla fioriera, nella quale erano ben incastonati.

Probabilmente volevano buttarsi sul serio. Mia madre non aveva mai avuto il dono del giardinaggio e le sue piante avevano due diversi e dolorosi modi per morire: disidratate oppure affogate in un bagno d'acqua.

Estrassi le chiavi dell'entrata del retro, aprii velocemente il cancello di legno con una lieve spinta e proseguii camminando sull'erba del piccolo giardino.

Arrivai di fronte alla porta secondaria, quando quest'ultima si spalancò improvvisamente e una mano circondò il mio polso.
Mi sentii spinta verso un'imponente aiuola e per poco non persi l'equilibrio.
Soffocai un urlo quando compresi che era soltanto la donna delle pulizie, la dolce e ciocciottella Ophelia.

"Ophelia mi hai spaventata!" mormorai appoggiando una mano sul petto con fare teatrale.

Il mio lieve sorriso sparì quando notai l'espressione terrorizzata della domestica.
Il suo viso, solitamente sereno e rilassato, era contratto in una smorfia di paura.

"Cosa succede?" domandai preoccupata.

La donna estrasse dal grembiule una manciata di banconote e me le porse, tremando e facendone cadere alcune disordinatamente a terra.

"Scappa May, scappa" mi ordinò con voce tremante.

"Cosa?!" urlai non comprendendo assolutamente nulla di ciò che stava accadendo.

Prima che riuscisse a rispondere, la sua voce venne improvvisamente coperta da un grido agghiacciante proveniente dall'interno dell'abitazione che mi fece entrare in panico.

"Mamma!" gridai cercando di divincolarmi dalla sua presa ferrea. "Cosa sta succedendo?! Chiama la polizia!" biascicai in lacrime, abbandonandomi in uno stato confusionale, mentre Ophelia mi teneva stretta in un abbraccio.

"I carabinieri non possono fare nulla. I tuoi genitori staranno bene" mi rassicurò invano.

"Come fai a dirlo?" piansi.

"Loro stanno cercando te" mi rivelò tenendomi ferma.

"Cosa? Chi mi sta cercando?" gridai ancora più forte, mentre Ophelia mi trascinò verso l'uscita secondaria da cui ero entrata.

"Vai piccola. Corri il più lontano possibile e non ti fermare" sussurrò al mio orecchio e, con una mossa veloce, mi buttò all'esterno, per poi chiudere a chiave il cancello.

Caddi sul marciapiede e iniziai a picchiare i miei pugni contro il legno, provocandomi qualche ferita superficiale, che però non eguagliava minimamente il dolore interiore che mi lacerava.

Improvvisamente ci furono altre urla e dei rumori indefiniti. Perché nessuno faceva niente?

Successivamente udii dei passi e delle voci sconosciute.
Tentai così di sbirciare da un notevole spazio tra le siepi che circondavano l'abitazione. 

"Dobbiamo trovarla. A tutti i costi" affermò un uomo robusto e brizzolato.

Cercai in tutti i modi possibili di trattenere un urlo quando quel signore si voltò, incrociando per pochi secondi il mio sguardo.
I suoi occhi emanarono una luce rossa quasi accecante, come se quest'ultimi si fossero incendiati, prima di ritornare al loro colore originario.

Fu in quel momento che decisi di ascoltare l'ordine di Ophelia e di scappare velocemente dall'abitazione.

Cosa stava succedendo? Cosa avrei dovuto fare?
La mia mente non riuscì a darmi nessuna risposta logica, ormai il panico mi aveva catturata ed era soltanto l'istinto di sopravvivenza a comandare.

Attraversai qualche vicolo buio, ma successivamente mi accorsi che la vista si stava affievolendo e che, al posto di riconoscere un bidone della spazzatura, vedevo soltanto delle chiazze buie e intermittenti.
Mi appoggiai sul tronco di un albero e cercai di placare i singhiozzi e lo stato di svenimento che minacciava di farmi cadere da un momento all'altro.

"Non ti fermare"

Le parole di Ophelia tamburellavano nelle mie orecchie come strumenti a percussione in un concerto.

Senza essermi calmata a sufficienza per riprendere fiato, mi scostai dalla quercia e proseguii la mia corsa estenuante.
Stavo attraversando un incrocio senza guardare il colore del semaforo, quando un'auto nera mi abbagliò e cercò di frenare al momento. 

Fu inutile.

Il cofano della Range Rover colpì il mio fianco e fui scaraventata a lato della strada, sbattendo contro il marciapiede di cemento.
Percepii un dolore lancinante al capo e, appena sfiorai con le punte delle dita i lunghi capelli, la mia mano si riempì di un colore rossastro.

Gridai.

L'auto si fermò e dal veicolo uscirono due figure scure che si avvicinarono velocemente verso di me. Cercai di sollevarmi da terra facendo pressione sui miei palmi, ma ben presto scoprii che la mia caviglia era fuori uso.
Non potevo scappare, ero lì, bloccata e accovacciata al suolo con ogni singola parte del corpo che pulsava.

Piansi terrorizzata quando si avvicinarono, ma pochi secondi più tardi le macchie nere ricomparvero alla mia vista, fino ad oscurare tutto ciò che mi circondava.
Sentii soltanto che delle forti braccia mi alzarono dalla fredda strada, ignorando i miei confusi tentativi di ribellarmi.

Successivamente il buio più profondo, svenni. 

***

Una luce fioca filtrava dalle sottili fessure delle persiane di legno e si espandeva faticosamente nell'intera stanza dai muri bianchi.
Fu quelle l'immagine che percepii appena mi svegliai.
Non ero più sul suolo dei una strada, ma adagiata su un morbido lenzuolo dalle sfumature tenue del grigio.
Scostai lentamente le coperte che mi avvolgevano le gambe e con difficoltà mi alzai dal letto, per poi appoggiarmi ad un comodino di legno.

Dov'ero finita?

Osservai l'ambiente intorno a me, e appena vidi il mio riflesso sulla superficie di un imponente specchio, mi venne da piangere: la caviglia emanava ancora pulsioni dolorose e sul mio viso era comparsa una profonda sbucciatura che correva dall'occhio fino all'angolo delle labbra.

Sollevai la canottiera nera e accarezzai lievemente dei tagli superficiali che tormentavano il mio fianco insieme ad alcuni lividi.
In seguito però la mia attenzione si spostò sui lunghi capelli mori, che in quel momento erano macchiati di sangue. 

Improvvisamente udii delle voci bisbigliare all'esterno della casa, così, zoppicando, raggiunsi la porta dipinta di bianco per ascoltare le loro parole. 
Aprii di poco e vidi che erano due ragazzi.

"Ti rendi conto di averla investita?!" 

"È sbucata fuori all'improvviso, non l'ho vista. Sono stanco di ripeterlo" borbottò il ragazzo dai capelli color biondo cenere.

"Non l'hai neanche guarita!" 

"Appena si sveglierà la medicherò normalmente" 

"Certo, riuscirai proprio a curarla quando scoprirà che è stata rapita!" si innervosì l'altro.

Prima che riuscissi a controllarla, la mia voce emise un gridolino di terrore, attirando l'attenzione dei ragazzi su di me.
Le mie mani coprirono velocemente la bocca, ma ormai era inutile, gli occhi curiosi del biondo incontrarono i miei. 
  
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