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Autore: Scarlett_Brooks_39    10/08/2014    3 recensioni
Rebecca è una ragazza di sedici anni come tante: bella, popolare, brillante, attorniata da amiche e da ragazzi. Un giorno però vedrà spuntare un paio di ali in mezzo alle sue scapole e quello sarà l'inizio di un'avventura unica, in cui molte persone a lei care verranno messe in pericolo. Tra i demoni che dovrà fronteggiare ci sarà anche Iader, magnetico angelo nero a fianco di Lucifero. Nascerà tra i due una storia d'amore o si odieranno per sempre?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2
Rette parallele.




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Rebekah aprì gli occhi e si ritrovò sdraiata sulle piastrelle fredde del bagno della casa di Madison. Si mise a sedere, portandosi una mano tra i capelli corvini e mossi. Aveva ancora le ali, abbastanza grandi da essere notate dalle persone normali. Si ricordò di Sheila, di Metatron, del Paradiso e... di Tristan. Ecco chi era quel ragazzo accasciato sul pavimento alla sua destra. Era vestito con una corazza simile a quella di Metatron, ma i ghirigori erano esclusivamente argento e celestino. Non poteva uscire in quelle condizioni in mezzo ai suoi amici, ne avrebbero parlato tutti come qualcosa di losco e non teneva a diventare lo zimbello della scuola.
'Usciremo dalla porta sul retro', pensò Rebekah,'Si, appena questo coso si sveglia...'.
"Questo coso si chiama Tristan."
Ma lo aveva solo pensato! Ora era chiaro che gli Angeli potessero leggere nel pensiero. Poteva farlo anche lei?
"Non è molto carino frugare nella mente degli altri, Tristan."
Rise appena, scoprendo due fossette sconosciute fino a quel momento.
"Mi dispiace Rebekah, da ora in poi mi conterrò. Non ci siamo ancora presentati, almeno, non ufficialmente, quindi... sono Tristan."
Allungò la mano per stringerla alla ragazza e lei lo guardò interdetta.
"Oh, non è così che si fa? Sono desolato, pensavo che voi umani..."
"No, no, è proprio così che si fa ma mi chiedevo come potessi saperlo, visto che non sei... di qui."
"Oh, beh, questa non è la mia prima missione sulla Terra. Ho passato un po' di tempo qua, imparando qualcosa."
"Oh, bene. Ma... come faremo ad uscire da qui? Con queste... ali gigantesche e quegli abiti?"
Disse lei, alludendo alla sua corazza.
"Per le ali non c'è problema."
Respirò a fondo e le ali si ritirarono, piano piano, come se fossero una qualche specie di corazza simile a quelle di Iron Man, fino a scomparire totalmente sotto la pelle.
"Come... come hai fatto?"
"Ho respirato. Le tue ali non sono completamente tue, sono come un animale da compagnia. Più amore dimostri, più loro ti danno retta. Devi essere tu a dirgli cosa fare, usando gentilezza ed autocontrollo. Prova."
"Va bene."
Rebekah respirò a fondo, pensando 'Su Fuffi, tornatene a cuccia e va' a mordere l'osso.'
Non successe niente.
"Non succederà mai niente, se le prendi in giro."
"Avevi detto che non l'avresti più fatto."
"No, avevo detto che mi sarei moderato. Avanti, di' solo per favore, so che ti riesce bene."
Lei lo guardò di sottecchi, poi chiuse gli occhi nuovamente ed inspirò.  
'Per favore, sparite.'
E le ali, piano piano, iniziarono a scomparire, proprio come era successo a Tristan.
"Ottimo! Per i vestiti... non so davvero cosa fare."
"Vediamo... c'è l'uscita sul retro, potremmo usare quella per arrivare a casa mia, là troverò qualche vestito di mio padre. Ma come faremo a giustificare la tua presenza?"
"Tua madre conosce la verità, con un po' di fortuna mi accoglierà nella vostra casa. Sapeva che questo momento sarebbe arrivato."
Lei annuì, ma rimase scettica sul fatto di sua madre. Non la credeva capace di poter accogliere un estraneo così, da un momento all'altro.
Poi indicò una porta di legno che dava sul giardino posteriore, rimanendo ancora pensierosa.
Si avviarono con cautela, Rebekah per prima. C'era un piccolo sentiero nel bosco che conduceva direttamente a casa sua. Cosa avrebbe detto a sua madre? Beh, ci avrebbe pensato quando sarebbe stato il momento.
Rebekah fece segno a Tristan di continuare, l'avrebbe raggiunto subito dopo aver chiamato Madison, fingendo un finto malessere. Ma proprio quando stava per farlo, qualcuno l'afferrò per un braccio. Si voltò. Era Adam.
"Beck, ma che ti è successo? Stai bene?"
"Ehm, Adam! Sono felice di vederti"- la ragazza faceva tutto il possibile per coprire Tristan, nascosto dietro un cespuglio. Se Adam l'avesse visto, il piano d'emergenza di Rebekah sarebbe andato in fumo e allora si che sarebbe stata nei guai - "A dire il vero non mi sento affatto bene, devo proprio andare a casa. Potresti intanto dire a Madison che mi dispiace davvero per essere stata così poco alla sua festa? E anche che dopo la chiamerò e le spiegherò tutto, sul serio. Ma ora... devo proprio andarmene. Sento che sto per svenire."
"Non ti lascio andare via così, non in queste condizioni. Ti accompagno io a casa."
Diamine, no! E ora? Cosa poteva fare?
"No, Adam, mia madre è proprio qui all'angolo... non c'è bisogno, davvero."
"Si invece. Ti accompagnerò fino alla macchina di tua madre, finché non sarai al sicuro."
Una parola per descriverlo? Straziante. E Testardo.
"Davvero, Adam..."
"Insisto."
"Ho detto di no, andrò a casa da sola."
Quelle parole le uscirono fluide e leggere dalla bocca in un solo respiro. Aveva avvertito qualcosa di strano, come uno sconosciuto potere che la faceva sentire forte, grande.
"Certamente."
Come, nessun battibecco? Le sembrava troppo, troppo strano.
"Ci vediamo a scuola."
"Ciao, Beck."
Lui se ne andò e la lasciò sola. Tristan sbucò dal cespuglio, battendo le mani.
"Neanche dieci minuti ed hai già sperimentato il tuo Potere."
"Potere?"
"Si, quello di poter dare ordini alle persone. È un Potere da Angeli Terrestri, per evitare complicazioni. Quando hai mosso la bocca gli occhi di Adam sono stati ipnotizzati ed il Potere ha fatto effetto. Di solito un Angelo Terrestre ci mette in media una settimana prima di sperimentarlo. Ben fatto, Beck."
"Grazie, ma dobbiamo proprio andare. Ah, e non chiamarmi più in quel modo, chiaro? Odio quando mi chiamano così."
Tristan rise e Rebekah provò qualcosa di indecifrabile.

"Mamma!"
Rebekah gridò quelle parole in un tono simile all'agitazione e misto all'ansia, ma anche all'eccitazione e alla curiosità. Chissà che faccia avrebbe avuto sua madre davanti a ciò che stava per mostrarle. O meglio, davanti a chi.
"Rebecca non c'è bisogno di urlare."
Lei scese le scale leggermente a chiocciola che portavano alle stanze superiori.
Quasi le venne un colpo davanti a Tristan. Rebekah non capiva se era a causa dell'arrivo di Tristan a sconvolgere la sua normale vita, o al fatto che sua figlia avesse portato un ragazzo a casa.
La sua espressione rimaneva indescrivibile, non si capiva se fosse sorpresa o terrorizzata o felice, tuttavia rimaneva a bocca aperta, a fissare Tristan.
"Mamma, lui è..."
"I suoi capelli sono troppo biondi ed i suoi occhi troppo azzurri per essere un normale umano. Sei un Angelo, vero?"
Perspicace, pensò Rebekah.
"Mi chiamo Tristan, sono un Cherubino e sono venuto qui per aiutare l'Angelo Terreno a sconfiggere i demoni."
"Oh, certo, mi sembra... giusto. Mia madre aveva detto che questo giorno sarebbe arrivato. Rebecca, porta Tristan nella camera degli ospiti, io intanto vado a prendere il Cordiale."
"Non mi chiamo più Rebecca. Da oggi in poi sono Rebekah, mamma."
Era sorpresa dal suo nuovo tono fermo e pacato, entrambe lo erano, ma con quelle ali... con il fatto di essere il nuovo Angelo Terreno pronto a salvare il mondo, non sapeva come, ma si sentiva più forte, come se il suo periodo di soggiogamento fosse finito e fosse finalmente riuscita a rompere la bolla che la teneva lontana dal mondo, dal mondo che lei voleva.
Sua madre non disse niente, si voltò in direzione della cucina, dove avrebbe preso la sua dose di Cordiale, quella extra, che prendeva in situazioni troppo difficili per pensarci su troppo sobria.
"Questa è la tua stanza."
Disse Rebekah con aria dispersiva, come persa nel vuoto.
Entrò appena, indicando il letto.
"Il tuo letto, la tua scrivania, il tuo armadio, la tua finestra... Insomma, la tua stanza. La mia camera è questa qui accanto, perciò se hai bisogno d'aiuto, non esitare."
"Certo. Grazie mille Rebekah. Beh, ci si... becca? È così che si dice?"
Lei soffocò una risatina divertita, poi gli rispose.
"Si, è così che si dice."
Pensò che sarebbe stato bello insegnare a Tristan tante cose del suo mondo, passare con lui tanto tempo, senza tralasciare la caccia ai demoni, certo.
Lui le sorrise timido e lei ricambiò.
Si fissarono per un lungo instante, in cui i loro sguardi si fusero. Tristan pensava che gli occhi di Rebekah fossero grandi ed espressivi e nascondessero una forza nascosta, una forza che pian piano sarebbe riaffiorata.
Rebekah pensava che quegli occhi fossero fatti di lapislazzuli fusi, così misteriosi, così magnetici.
Quasi all'unisono i due piegarono la testa e Rebekah scomparve.
Riapparve un attimo dopo, poggiandosi allo stipite della porta e dicendo:"Scusa, ehm, mi ero dimenticata che la cena è alle otto."
"Oh... d'accordo. Grazie."
Gli sorrise di nuovo e sparì, dandosi una botta in testa e rimproverandosi di aver fatto la figura della stupida. Non le succedeva spesso, non con i ragazzi almeno, ma stavolta, come aveva già pensato in precedenza, con Tristan era diverso.

"Questa è una situazione delicata."
Disse la madre di Rebekah, ancora piuttosto sobria dopo due dosi di Cordiale, magari perché il cibo ne aveva assorbito un po'.
Teneva le mani all'altezza del viso e gesticolava mentre parlava.
"Ma ne usciremo fuori a testa alta. Tristan inizierà la scuola da domani, mi sono già messa d'accordo con la Preside. Diremo a tutti che sei un lontano cugino, venuto qui per imparare l'Inglese.
"Ma in realtà cosa sei venuto a fare? Perché devo aver perso qualche passaggio.."
Sussurrò il padre di Rebekah, incuriosito.
"Si pensa che Lucifero si sia liberato e viva nella mente di un umano."
"Si, ma come fare a sapere quale umano?"
"Perché cercherà di avvicinarsi a Rebekah, o per lo meno di ucciderla. Inoltre abbiamo i nostri vantaggi, alcuni attrezzi di ultima generazione."
"Oh, certo."
Il sangue di Rebekah si gelò alle parole 'o per lo meno ucciderla'. Questo non le era stato detto ed il solo pensiero la spaventava, ma soprattutto la spaventava il tono di leggerezza con cui Tristan l'aveva detto. Forse a lui non importava di lei, forse era inutile stargli dietro. Non ci avrebbe perso più tempo, aveva deciso.
L'impulsività era uno dei suoi difetti, o magari pregi, in alcuni casi.
"Aspetta, non avevano detto che sarei potuta morire!"
"Infatti non morirai, ma è una possibilità."
Disse ancora lui, mantenendo il tono di leggerezza che tanto la infastidiva ed ingoiando un ciuffo verde.
"Mhh, saporita. Com'è che si chiama?"
"Insalata. Voi Cherubini siete tutti vegetariani?"
"Si, non possiamo mangiare carne, per rispetto."
"Certo, naturale."
"Se ci fosse stata la nonna, adesso avrei potuto chiederle consiglio... Ei, Tristan, ma non esiste un modo per mettersi in contatto... Si, insomma..."
"No, non esiste, anche perché tua nonna è ancora viva."
"Come?"
La nonna di Rebekah era morta cinque anni fa, quando aveva undici anni. Non ricordava molte cose di quel periodo, solo tanti buchi di memoria. Uno di questi era il volto di sua madre quando le diceva che la nonna era volata in cielo. Come poteva...
"Avremmo voluto dirtelo, ma..."
I suoi genitori continuavano a guardarsi, come quando la madre scovava Rebekah da piccola a giocare col fango. Con le mani nel sacco.
"Ma??"
"Si, tua nonna è ancora viva. Ma l'abbiamo fatto per il tuo bene! Eri piccola, non potevi capire! Adesso è rinchiusa in un manicomio, perché delira su angeli e demoni, e nessuno le crede."
"Avresti dovuto lasciare a me la scelta di decidere, o quantomeno dirmelo prima!"
"Lo sappiamo, abbiamo sbagliato, ma..."
"Ma niente!"
"Rebecca, non rispondere così a tuo padre!"
"Perché dovrei portarvi rispetto, quando voi non ne avete portato a me?"
Lei si alzò da tavola, sbattendo il tovagliolo sul tavolo.
"E comunque il mio nome è Rebekah e presto andrò a trovare la nonna."
Lasciò il tavolo e si diresse verso camera sua, sbattendo la porta e scavalcando il balcone, andando a sedere sul tetto.
Le piaceva stare lassù, ma quando decideva di farlo doveva chiudere a chiave la porta o aspettare che sua madre si fosse addormentata, perché lei non avrebbe mai acconsentito.
Guardava un punto fisso nel vuoto, tenendo la mandibola serrata, rimanendo in silenzio. Una sottile membrana lucida le offuscava la vista, ma non voleva piangere, non voleva comportarsi da stupida, anche se non ne aveva tutti i torti. Si sentiva presa in giro, umiliata. Come potevano non averglielo detto prima...
"A volte fa bene piangere."
Era una voce vellutata, ma profonda: la voce di Tristan.
Si voltò verso la finestra e lo vide affacciato alla finestra. Lo guardò senza dire niente.
"Mi faresti un po' di spazio?"
Rebekah annuì e Tristan si mise a sedere accanto a lei, scavalcando la finestra con un gesto molto abile. A lei servivano almeno due minuti per accertarsi di essere al sicuro sulle tegole del tetto.
"Sai qual è la cosa che mi da' più fastidio?"
Cominciò lei, non distogliendo lo sguardo dal punto nel vuoto.
"Ho sempre fatto quello che mi diceva lei, anche se non mi andava bene. Solo poche volte mi sono ribellata, ma sapevo che non era giusto, perché lei lavorava e aveva da fare e non potevo assillarla anche con i miei problemi. Tante volte mi ha fatto sentire una persona pessima, cattiva. E lo penso ancora. Ma avermi nascosto che mia nonna era ancora viva... mi ha tolto la possibilità di scegliere ed è questo che mi fa più male, perché non si fida di me, non si è mai fidata. E io ora... sento qualcosa all'interno del mio cuore, qualcosa che si diffonde e arriva al cervello e penso che sia l'odio. Ma io non voglio odiarla, non voglio, è mia madre, ma è più forte di me! Per non parlare di mio padre: lui sapeva tutto, fin dall'inizio e l'ha sempre assecondata, sempre. Mi sento così... tradita."
"L'odio e la vendetta non sono la soluzione."
"Lo so, credimi, ci sto provando, ma... è più forte di me."
"Dobbiamo andarcene da qui."
Si tolse la maglietta, rivelando un corpo perfetto, un torace asciutto e muscoloso e Rebekah lo guardò sconcertata.
"Scusa, ma che fai?"
Pochi secondi dopo gli spuntarono le ali, le sue bellissime e grandi ali bianche, con sfumature grigie e azzurrine.
"Dai, chiedi loro di venir fuori."
"D'accordo, ma voltati."
Tristan si voltò con un sorrisetto e Rebekah si tolse la maglietta per lasciar crescere le sue ali.
'Per favore, venite fuori.'
Ed anche le sue spuntarono, leggermente più piccole, bianchissime e con piume affusolate e snelle.
Si rimise la canottiera alla meglio, sperando che Tristan non avesse visto niente.
"E adesso?"
"E adesso voliamo."
Lui saltò in aria e con un salto si staccò dal tetto, lasciando Rebekah a metà fra l'impotenza e la frustrazione.
"No, no, fermo! E io come faccio? Non ho mai volato prima!"
"C'è sempre una prima volta, dai, salta!"
Lei lo guardò interdetta, poi però si disse che doveva provare. Chiuse gli occhi e iniziò il conto alla rovescia.
Tre... due... uno!
Saltò in aria, senza aprire gli occhi. Sentiva l'aria fredda della sera che l'avvolgeva, e sentiva il senso di vertigine aumentare dentro di se', come quando da piccola suo padre la spingeva sull'altalena e rimaneva a mezz'aria, col fiato sospeso. Trasalì a quel ricordo. Aprì gli occhi e vide che stava precipitando per terra. D'istinto aprì le braccia, come per volersi fermare, ma le sue braccia rimasero ferme, impotenti, mentre le ali iniziarono a muoversi sempre più velocemente, con movimenti ampi, e la riportarono in alto.
È come andare in bicicletta, pensò Rebekah.
"Molto bene, ora seguimi, se ci riesci!"
Tristan iniziò a volare, sempre più in alto e lei lo seguì. Sentiva l'aria invaderle i sensi, spingerla indietro, quando lei voleva solo andare avanti. Sentiva che Rebecca non c' era più, era scomparsa. Ora si sentiva una persona diversa, di nome Rebekah. Un Angelo Terreno, che non obbedisce a nessun altro se non a se stessa e alle necessità che le si presentano davanti. Non sarà più soggiogata dagli altri, sarà una persona nuova, che sconfiggerà i Demoni e ritroverà sua nonna. Sarà più forte, meno altruista e non si farà mettere i piedi in testa più da nessuno, sua madre per prima.

"Buona giornata!"
Esclamò sua madre, prima che loro uscissero di casa, sbattendo la porta. Era il primo giorno di scuola, anche per Rebekah. Indossava un paio di jeans attillati, una maglietta rossa semplice ed un paio di stivali. Si era truccata più del solito ed aveva usato la matita nera sotto l'occhio. Era andata contro sua madre che non appena l'aveva vista aveva esclamato:"Rebecca, il rosso è un colore volgare!"
"Anche bere come una spugna lo è, perciò non sei proprio nella posizione di poter fare critiche. Ah e il mio nome non è Rebecca, ma Rebekah. Cerca di ricordartelo."
Aveva preso una fetta biscottata al volo e l'aveva spalmata di marmellata al mirtillo, dopodiché aveva fatto un sorriso a sua madre che la osservava sbalordita, aveva preso lo zaino e si era avviata verso la porta, insieme a Tristan.
Lui riusciva ad essere attraente anche indossando solo una maglietta a maniche corte nera, un paio di jeans larghi ed un paio di stivaletti bassi.
Avrebbe fatto di sicuro conquiste al primo giorno di scuola.

"Questa è la nostra scuola."
Aveva detto Rebekah prima di entrare.
Lei si sentiva come una veterana nei confronti di Tristan, pronta a consigliargli a chi rivolgersi e a chi no, le varie categorie di studenti, i suoi amici e nemici.
Entrarono nel corridoio e salirono le scale, per poi arrivare agli armadietti.
Il suo era il numero 123, quello di Tristan il 122.
Cercò di non badarci tanto, in fondo era pur sempre un amico. Erano quasi arrivati, quando una ragazza dai capelli biondi colpì Rebekah sulla spalla.
"Ops, scusami!"
Recitò con aria poco socievole e con voce irritante, di un'ottava sopra al normale.
Rebekah non ci fece caso, sospirò, chiudendo gli occhi e scuotendo la testa.
'È solo un'idiota, non merita la mia attenzione', pensò lei.
"Chi era quella ragazza? Sembrava che ti conoscesse, data l'occhiata di fuoco che ti ha scoccato."
"Lei era la mia migliore amica, due anni fa."
"Oh... e ora non lo è più?"
"No. Ci siamo accorte di non aver più le stesse priorità, perciò io ho iniziato a risponderle sempre meno, lei è un'attrice nata e va matta per il vittimismo, perciò vuole far credere a tutti di essere migliore di me. Ha sempre voluto esserlo, sin da piccole. Ma lei non piace alla gente: è distaccata, fredda, poco socievole e soprattutto non sa farsi degli amici. Credimi, sto molto meglio ora."
"Non ci credo molto, si vede che le vuoi ancora bene."
"Sì, forse in fondo le voglio anche un po' di bene, ma credimi, non se lo merita. Ha fatto cose che non potrò perdonarle facilmente."
"Tipo?"
"Beh... non mi ha detto certe cose di estrema importanza, cose da donne, che non so spiegarti, ma ha tradito la mia fiducia dimostrando di non averne in me, perciò il nostro rapporto si è incrinato sempre più, fino a rompersi del tutto."
"Tu vorresti che si ricreasse?'
"Sinceramente? No, affatto. Ho nuove amiche, non ho bisogno di lei."
"Mmm, certo."
"Oh, eccoci. 123, 122."
Il suo era il numero 123, quello di Tristan il 122.
Quelli di Madison, Eve, Rose e Anna erano poco più in là. Fra poco sarebbe andata a presentar loro Tristan.
"Ciao, Beck."
Rebekah si voltò e si trovò di lato Adam. I capelli castani erano tirati all'indietro da un getto di gel. I suoi occhi marroni scavavano a fondo nella sua anima, non trovando ciò che volevano davvero scoprire.
"Adam! Mi hai spaventata."
"Scusa."
Le rispondeva a monosillabi, l'espressione indecifrabile, seria, fissa nei suoi occhi.
"Piacere, sono Tristan."
Tristan prese in pugno la situazione, porgendo la mano ad Adam.
"Ciao. E tu sei?"
"Il cugino di Rebekah."
"Rebecca, vorrai dire."
"No, Adam. Il mio vero nome è Rebekah, l'ho scoperto ieri a dire la verità, è il mio nome di battesimo."
"E posso continuare a chiamarti Beck?"
"Ma si, naturale."
Cosa ci faceva ancora qui?, pensò Rebekah, in imbarazzo. Tristan pensò che Adam era davvero un povero umano innamorato e senza speranze. Gli faceva anche un po' pena, così fragile, sciocco e sempliciotto. Una strana sensazione s'insinuò tra i suoi pensieri: gelosia. Ma no, non era possibile, i Cherubini non hanno sentimenti, se non il senso della giustizia, del perdono e della misericordia.
Cos'era, dunque? Tristan non lo sapeva, in tutti i casi era molto, molto forte.
"Scusa, dovrei prendere i libri."
"Questo è il tuo armadietto?"
"Si, beh, così pare."
Non era ben chiaro a Rebekah come questo potesse essere possibile, ma sapeva di sicuro che c'era lo zampino di Madison.
Cercò di non badarci tanto, in fondo era pur sempre un amico. No?
"Noi andiamo, ciao Adam."
"Come, di già? Pensavo che avremmo fatto la strada insieme..."
"Devo andare dalle ragazze... magari ci vediamo a pranzo, eh?"
Si voltò e Tristan fece fatica a starle dietro.
"Chi era quello?"
"Chi, Adam?"
"Si, quel povero ragazzo che ti sbava dietro. Si dice così, vero?"
"Si si dice così, comunque è solo un amico."
"Certo, come no."
"Che vuoi dire?"
"Senti, io non so niente di questo mondo, ma ho passato tanto tempo a studiarvi, da lassù, e  so riconoscere quando uno è innamorato marcio."
"Okay! È il mio ex ragazzo."
"L'hai lasciato tu, vero?"
"Si, perché mi sono accorta di non amarlo come avrei dovuto."
"Oh... brutta cosa. Brutta, brutta cosa."
"Senti, Dottor Stranamore, dobbiamo muoverci. Devo farti conoscere le mie amiche. Ah, e per curiosità, sei sicuro che i Demoni..."
"Shhhh! Non devi dirlo ad alta voce, vuoi che ci scoprano subito?!"
"Va bene, ma calmati!"
"Dove dobbiamo cercarli?"
"Da nessuna parte. Se ci sono, verranno fuori e noi saremo pronti."
"No, tu sarai pronto. Cosa dovrei fare io?"
"Tenere gli occhi aperti e usare questi."
Tristan le porse un bracciale, un anello ed una collana.
"Quindi se incontro un mostro devo solo prenderlo a collanate, certo, capito."
"Non fare la sarcastica. Queste sono armi da guerra."
"Sicuro."
"Basta premere qui."
Tristan spinse la pietra al centro dell'anello e questo si trasformò in un coltello.
"Wo! E questo?"
"Questo coltello è fatto di un materiale speciale, disintegra i Bui."
"I Bui?"
"Dobbiamo chiamarli così, siamo pur sempre sotto copertura."
"Okay, ora però andiamo.
Raggiunsero il gruppo di ragazze in mezzo al corridoio. Tristan pensò a quanto fossero strane: indossavano abiti troppo ricercati, firmati, appariscenti. Niente che dicesse chi erano veramente, come la sua corazza cherubina, che lo faceva appartenere ad una stirpe, ma dicevano solo quello che volevano apparire.
Rebekah, la nuova Rebekah, era totalmente diversa da loro. Era semplice, ma attraente. I suoi capelli castani creavano un effetto straordinario accompagnati dalla maglietta rossa e quei suoi occhi marroni così espressivi, dolci, nascondevano un'anima forte e determinata, che presto sarebbe venuta fuori. Aveva qualcosa di... unico. Forse perché era l'Angelo Terreno, forse perché emanava un'aurea che solo Tristan sapeva vedere. Ovunque andasse inondava di luce gli altri. Trista scosse la testa, smettendo di fare queste riflessioni. Non poteva innamorarsi. Innamorarsi era concesso agli umani, non agli Angeli e poi aveva delle missioni da compiere. Missioni più importanti dell'amore.
"Tristan, loro sono Madison, Eve, Rose e Anna. Lui è mio cugino Tristan. Viene dall'Europa."
"Davvero? Da che nazione?"
Tristan si rese conto che la ragazza dai capelli rossi, Anna, stava parlando con lui.
"Francia. Parigi."
"Oh, mon ami! Che piacere conoscerti!"
Esclamò un ragazzo alto, dai capelli color nocciola.
"Lui è Tim, il ragazzo di Madison."
"In persona! Allora, come te la cavi col baseball?"
"Baseball?"
"Francesino, non puoi non aver mai giocato a baseball!"
"Mi dispiace, io..."
"Non preoccuparti, non so giocare nemmeno io."
Lo appoggiò la ragazza bionda, Eve.
"Dobbiamo rimediare! Tim sta cercando nuovi giocatori per la squadra della scuola, perché non fai le selezioni?"
"Ehm... non so..."
Si voltò verso Rebekah e vide il suo sorriso d'incoraggiamento, così dolce, così sincero, e si ritrovò perso.
In qualche modo lei le infuse sicurezza, la sua aurea lo avvolse, trasmettendogli il suo appoggio.
"Certo."
Lei sorrise, felice di vedere che sapeva inserirsi bene nel suo gruppo.
Notò che quando sorrideva il suo viso si illuminava ancora di più, accennando due tenere fossette scavate nelle guance.
"Bene! Ti aspetto domani alle tre al campo d'atletica, qua davanti."
"D'accordo."
Intanto Adam li osservava da dietro le spalle di Rose, e si chiedeva come mai oggi la sua Beck fosse così radiosa. Aveva paura di non esser lui la ragione dei suoi sorrisi. L'avrebbe tanto voluto.
Tristan e Rebekah sorrisero e poco a poco il gruppo si smembrò, poiché era suonata la campanella e tutti si avviavano verso le proprie lezioni.
"Cos'hai alla prima ora?"
"Scrittura creativa. Tu?"
"Anch'io."
"Anch'io. Mi aspettereste?"
Di nuovo Adam. Sembrava che godesse a mettere i bastoni tra le ruote a Rebekah, pensò lei. Ma lui in realtà aveva solo paura di perderla. Troppa paura.
I due lo attesero e lui si infilò in mezzo a loro, come per dispetto.
'Adam...'- pensò Rebekah, irritata - 'Se continui così sei sulla via del non ritorno'.

L'ora passò abbastanza in fretta. Rebekah adorava scrittura creativa, Tristan meno, era più portato per matematica. Sembrava che i due si completassero a vicenda.
Appena usciti nei corridoi il loro gruppo si riformò e tutti si riunirono intorno a Tristan e Rebekah, come calamite, Adam per primo. Non li aveva persi di vista un attimo. Non si beveva affatto la storia del cugino francese, sapeva che c'era dell'altro. L'aveva visto dai loro sguardi.
Rebekah guardò Tristan e la sua espressione cambiò. Lei intuì subito che c'era qualcosa che non quadrava.
Lui le fece segno con la testa di guardare a sinistra e lei lo fece. Vide un ragazzo alto, con un gubbino di pelle nera e gli occhi verdi. Lo stesso che aveva visto alla festa di Madison.
Le si fermò il cuore. Poi ripartì, più veloce che mai.
Lei annuì, poi con una scusa liquidò i suoi amici e si avviò con Tristan per il corridoio. Adam li vide e decise di seguirli, se non fosse stato per Eve, che lo trascinò via per la maglietta.
Erano nell'aula di scienze, il signor Regger, il loro professore, stava preparando i fogli per la prossima lezione.
"Ragazzi, entrate pure."
"Ci scusi signor Regger, non volevamo disturbarla... stavamo cercando una persona."
Una folata di vento chiuse la porta alle loro spalle, facendoli sussultare. Rebekah sentiva che erano in pericolo, pur avendo di fronte il professore più gentile e buono che avesse mai conosciuto.
"Capisco... chi stavate cercando?"
"Un ragazzo... un mio amico."
Disse Tristan, pacato.
"Lei per caso l'ha visto?"
L'uomo dai capelli brizzolati e ricci stava mischiando due provette insieme. Cosa voleva fare? Rebekah riconobbe il bicarbonato e capì che erano davvero in pericolo.
"Potrei averlo visto. Oppure potrei aver visto di meglio."
In quel momento lanciò la provetta contro di loro, che la evitarono per un soffio. Cadde per terra, non lontano dai piedi di Tristan. Il pavimento bagnato dallo strano miscuglio stava iniziando a puzzare, e a fumare.
Intanto la porta cercava di essere aperta da qualcuno al di fuori, probabilmente Adam, pensò Rebekah.
Quando entrambi voltarono lo sguardo, il signor Regger si era trasformato in un mostro.
Si era accasciato per terra, urlando, mentre il suo corpo diventava sempre più grande, più robusto, e i piedi diventavano zampe con unghie affilate ed il viso si trasformava in una smorfia orrenda. Alzò la testa, scoprendo due occhi gialli carichi d'odio. I due angeli si guardarono, in preda al panico e poi Tristan annuì, come a voler dire 'Ce la faremo, andrà tutto bene'.
"Dammi quello che cerco, Rebekah."
La ragazza rimase scioccata, c'era qualcosa che non le avevano detto. Qualcosa di molto, molto importante, che in tanti volevano e che lei, apparentemente, aveva. Ma lei non sapeva cosa.
"Io non ho niente."
"Allora sarò costretto ad ucciderti."
Detto questo, il demone si slanciò in avanti, cercando di atterrare su di lei.
Non poteva tirar fuori le ali, l'avrebbero ostacolata e basta.
Lo schivò, pensando a cosa fare. Intanto Tristan cercava di attirarlo dalla sua parte, ma era impossibile, il demone voleva uccidere lei, non lui.
Tirò fuori il coltello/ anello e lo mostrò, davanti al corpo. Il demone si mise a ridere e con una manata la fece atterrare in un angolo della stanza, facendole sbattere la testa nello spigolo di un banco. La sua vista si stava via via offuscando, Tristan cercava di fermarlo, ma il demone avanzava imperterrito verso lei, ansimando con le sue narici grandi e sporche.
La prese per il collo, e lei vide con orrore il colore dei suoi occhi malefici e demoniaci.
Poi successe qualcosa di inaspettato, che Rebekah non aveva programmato: d'impulso lei liberò una mano dalla stretta del mostro e cercò di portarla davanti a se', poi lo guardò dritto negli occhi e sentì una strana sensazione, come se il potere di cento angeli fosse dentro lei.
L'espressione del mostro cambiò, diventò sofferente. La lasciò cadere e lei fece cenno a Tristan di agire. Lui non se lo fece ripetere due volte: saltò in groppa al demone e lo colpì in testa, al cervello. Il mostrò si smaterializzò, riassumendo le sembianze del professor Regger. Era accasciato a terra, privo di sensi.
Rebekah cadde a terra, esausta. Ciò che era appena successo era troppo strano e troppo orribile per lei. Le faceva male la testa. Non avrebbe mai voluto far del male a qualcuno, ma per restare viva doveva pur farlo. Da ora in poi sarebbe stata questa la sua vita ed il solo pensiero la spaventò.
Tristan fu subito al suo fianco, la sorresse, la confortò.
"Ei, è andato tutto bene."
"Lo so, lo so. Adesso mi riprendo. Dobbiamo chiamare un'ambulanza per il signor Regger."
"Si, ma come stai?"
"Dobbiamo pensare a lui, non a me. Io starò bene."
Tristan si stupì del suo altruismo. Era una delle tante cose che lo aveva colpito di lei.
 
Chiamarono l'ambulanza e tornarono a casa. Scese la sera e Rebekah tornò sul tetto, a guardare nel vuoto. Tristan sapeva di poterla trovare lì, ma la sua porta era chiusa a chiave, non voleva vedere nessuno.
Allora lui la raggiunse dall'altra finestra, e le si sedette accanto.
"Tristan..."
"Non dire niente."
"Voglio stare da sola."
"Anch'io. Possiamo stare da soli insieme. Prometto che non fiaterò."
Per un po' ci fu silenzio tra i due, poi Rebekah sbottò, non riusciva a frenare il vomito di parole che le veniva su dalla gola.
"Perché lo fai?"
"Che cosa?"
"Perché mi aiuti? Tu sei un Cherubino, avresti potuto startene benissimo lassù, in Paradiso, dove nessuno avrebbe mai potuto disturbarti. E anche se ti hanno affidato una missione, potresti evitare di farmi da analista! Non ho bisogno di te, non ho bisogno di nessuno, voglio solo essere lasciata in pace e mi riprenderò, da sola."
Lui non disse niente e lei provò ancora di più il desiderio di dargli uno schiaffo in quel viso perfetto.
Si alzò, dicendo in tono piatto, senza emozioni: "Basta, me ne vado, non riesco a sopportarti."
Ma alzandosi, lei scivolò, finendo quasi per terra. Tristan la prese al volo, e i due rimasero in quella posizione, lei nella braccia di lui, per alcuni minuti. In quei minuti si guardarono dritti negli occhi. A entrambi batteva forte il cuore, anche se a Tristan non era permesso.
"Io sento un forte desiderio di proteggerti, ecco perché lo faccio. Non posso smettere di vederti sorridere."
Quelle parole, cariche d'emozione, di sentimento, spiazzarono Rebekah. Era proprio questo quello che cercava, quello che Adam non aveva? Era giusto quello che stavano facendo? Non lo sapeva, ma non riusciva a staccare gli occhi da quei lapislazzuli che la guardavano, ricchi di un sentimento indefinito.
Si sarebbe lasciata andare, glielo imponeva la nuova Rebekah. Sì, si sarebbe avvicinata ancora, rompendo quel poco spazio che li divideva, e l'avrebbe baciato.
Stava per farlo, era decisa, quando lui girò la testa e la magia svanì.
Rebekah era sorpresa, mai nessuno l'aveva rifiutata, e ora lui sì. Perché? Se aveva detto che voleva proteggerla, che non poteva smettere di vederla sorridere, c'era qualcosa di più forte dell'amicizia, oppure no? Decise di lasciar perdere, di andare a dormire, di smettere di assillare la sua povera testa già carica di domande senza riposta.
Tristan aveva letto nella sua mente, non aveva resistito. Sapeva che lei voleva baciarlo, e anche lui voleva toccare quelle labbra morbide e vellutate, ma sapeva che non poteva. Era un Cherubino e lei un Angelo Terreno, e queste categorie erano due rette parallele, non s'incontravano mai. Alla fine sarebbe tornato in Paradiso, mentre lei sarebbe dovuta rimanere sulla Terra. Tristan non poteva provare sentimenti umani, eppure quelli cos'erano? Il suo cuore batteva e lui non capiva dove aveva sbagliato. Il suo cuore non doveva battere così, a nessuno dei suoi compagni era mai capitato, perché a lui si? Che aveva fatto di sbagliato? E per quanto la sua brama di baciare Rebekah fosse grande, immensa, infinita, si convinse che quello che stava per fare non avrebbe portato a nulla di buono. Per questo voltò la testa, dandosi tuttavia del codardo. Quella era un'occasione perfetta, perché l'aveva sprecata? Avrebbe voluto tornare indietro nel tempo, ma sapeva che non era possibile.
"Dovremmo andare a dormire."
Disse Rebekah, guardandolo negli occhi e cercando di capire cosa stesse pensando.
La sua espressione sembrava pensierosa, carica di rimorso. A lei sembrò indecifrabile.
"Si, dovremmo."
Lei annuì con un mezzo sorriso e si voltò per rientrare in camera sua.
Tristan non sapeva bene cosa fare, l'avrebbe lasciata andare, o no?
Poi si buttò: la prese per mano, attirandola a se' e lei quasi inciampò in una tegola, finendo addosso a lui. Approfittando del momento lui la baciò con impeto, come Rebekah aveva tanto desiderato, sin da piccola. Aveva sempre sognato un bacio così.
Era questo che mancava ad Adam, era questo ciò che voleva lei. Ora che l'aveva trovato, non se lo sarebbe lasciato scappare.
Si baciarono a lungo, ininterrottamente, tranne brevi pause per riprendere fiato.
Rimasero così, con le fronti poggiate l'una sull'altra, a guardarsi negli occhi ed a ridere. Non gli importava cosa fosse giusto o sbagliato, anche se Tristan non poteva provare sentimenti umani, li stava provando lo stesso e questo lo spaventava. Ma con Rebekah al suo fianco, sentiva anche di poter affrontare qualsiasi cosa.


 
  
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