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Autore: HannibalLecter    10/08/2014    1 recensioni
A lei piace lui e lei piace a lui.
A lui piace lei e lui piace a lei.
Perfetto no?
Peccato che entrambi si ostinino ad ignorare questa faccenda continuando tranquillamente il loro percorso che si snoda lungo due rette parallele destinate a non allontanarsi mai ma neanche ad incrociarsi mai, o forse no?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ci sono persone che parlano di shopping terapeutico e che trovano conforto nell'entrare senza sosta in ogni negozio che incontrano e provarsi ogni capo d'abbigliamento che attira la loro attenzione.
Io quando sono giù di morale preferisco isolarmi e concedermi una lunga passeggiata con la sola compagnia del mio Ipod.
Rinchiudermi in un soffocante camerino a fare la contorsionista per cercare, senza successo, di infilarmi vestiti elaboratori pieni di laccetti e fiocchetti, che non so mai dove sbattere continuamente contro le pareti di quegli sgabuzzini da un metro quadrato mi faceva venire l'ansia.
«Scoiattolina, guarda questo!»
Chiamando a raccolta le mie ultime energie mi alzai dalla comoda poltroncina color salvia sulla quale mi ero accasciata per far riposare i miei poveri piedi, che rinchiusi in un paio di stivali tacco 12 sembravano supplicarmi di avere pietà di loro.
Scostai la tendina del camerino e dopo una breve occhiata non potei fare a meno di scoppiare a ridere.
Alfie, uno scheletrino alto quasi due metri, era rinchiuso in un completo viola melanzana talmente stretto da costringerlo a stare nella classica posizione pancia in dentro - petto in fuori.
«Sono ridicolo?» mi chiese quasi mortificato.
Alfie era un vero tesoro ed era anche un sorta di guru della moda solo che aveva un problemino con l'abbinamento dei colori.
Sembrava avere un'allergia a quelli che lui definiva i colori 'over 60', cioè grigio, beige e blu; lui preferiva senza ombra di dubbio un bel pervinca o un vitaminico arancione.
Mi aveva assunto mentre frequentavo ancora l'università ma la nostra amicizia risaliva a sei anni prima quando io, giovane e inesperta matricola, mi rivolsi ad un Alfredo in maglione rosa fragola per sapere dove potevo trovare la biblioteca.
Da allora, nonostante i suoi capricci e il suo puntare i piedi peggio di un bambino di quattro anni, lo avevo trascinato a comprarsi una serie di giacche, camicie, cardigan, pantaloni e scarpe sobrie, adatte agli incontri di lavoro. E così la mattina mi ritrovavo a parlare con un Alfredo in veste professionale, chiuso in un austero completo gessato, ma non appena la redazione chiudeva la sua fantasia irrefrenabile partoriva gli abbinamenti più audaci ed improbabili. Vi assicuro che non dimenticherò mai il suo outfit composto da camicia gialla, calzoni arancio e trench rosso, sembrava un omino alieno arrivato direttamente dal Sole oppure un pazzo sfuggito da una casa di cura, scegliete voi l'opzione che ci aggrada di più.
«Ehm, Alfie, non pensi che sia un po' mmh troppo?»
Lui, perplesso, fissò la sua immagine allo specchio.
«Lo prendo!» esclamò all'improvviso e fece un piroetta su se stesso tutto soddisfatto.
Mi passai disperata una mano tra i capelli; venire a fare shopping con lui era sempre uguale, tu lo consigliavi e lui faceva di testa sua snobbando altamente gli appunti che gli facevi.
Dieci minuti più tardi uscimmo dal negozio e non potei fare a meno di sorridere di fronte alla gioia quasi infantile esibita da Alfie che quasi saltellava facendo roteare la sua preziosa borsina, che conteneva l'ancora più prezioso completo.
«Ora, fragolina, tocca a te. Follow me, baby! E shhh, so che stai per protestare...»
Rimasi con la bocca aperta, zittita ancora prima di avere la possibilità di oppormi.

«Oddio. Alfredo Arnaboldi vieni qui! Subito!»
Trotterellando arrivò, accompagnato da una commessa smorfiosa che sembrava godere nel farmi provare tutti i vestiti più brutti presenti nel negozio.
«Sembro una teiera!»
Il vestito, di organza, era un tripudio di voilant e sbuffi, in più l'effetto confetto era amplificato dall'orrenda fantasia a roselline rosa e uccellini azzurri.
Uccellini azzurri, vi rendete conto?!
Alfie mi osservò attentamente e dopo aver scosso la testa più volte, senza dir nulla afferrò il braccio della commessa e si allontanò con lei.
Insospettita, infilai la testa fuori dal camerino e sbirciai: Alfredo stava rimproverando la commessa.
Rincuorata rientrai nel mio soffocante bugigattolo e iniziai a sfilarmi quell'obbrobrio, indegno persino di essere chiamato abito.
Alfie, nonostante il suo problema con i colori sgargianti, sapeva come valorizzare i punti forti del mio corpo e come celare i difettucci.
Il mio abito preferito in assoluto me lo aveva regalato lui anni prima quando andavamo ancora entrambi all'università.
Avevo vent'anni e lui mi invitò ad accompagnarlo a questa festa a casa di un suo compagno di corso riccone. Ho avuto una fase, tra i sedici e i diciannove anni, durante la quale adoravo vestirmi seguendo uno stile che definivo vintage-hippie. Gonne e vestiti lunghi, ampie camicie candide o ricamate, comodi pantaloni a fantasia, collane e grandi orecchini un po' etnici. In più in quel periodo adoravo i maglioni ampi decorati con renne e vari ghirigori improponibili. Probabilmente Alfie ebbe paura che mi presentassi con il mio adorato maglione a trecce verde bosco e così decise di giocare d'anticipo e mi regalò un impalpabile abito dello stesso colore del mio maglione preferito.
Ricordo che quella sera mi sentii una vera principessa e Alfie era stato il perfetto principe azzurro.
Quella festa resterà indimenticabile perché fu l'occasione nella quale ci scambiammo il nostro primo bacio e nella quale Alfie scoprì, o meglio ebbe la conferma definitiva, di essere gay. Ogni volta che ricordiamo quel momento non possiamo fare altro che scoppiare a ridere; il povero Alfie si impegnò molto ma il risultato non cambiò: né io né lui sentimmo nulla, niente campane, niente farfalle, niente fuochi d'artificio. Da lì però diventammo migliori amici e quando fondò la sua rivista cinematografica mi volle al suo fianco.
«Caramellina mia, provati questo, vedrai che il tuo Alfie ci ha azzeccato, non come qualcuno...»
La commessa, ignorò la frecciatina, ma si allontanò sculettando.
Incontrai lo sguardo divertito del mio amico ed entrambi scoppiammo a ridere.
«Sei tremendo. Oh, Alfie, questo colore...»
Accarezzai quasi timorosa la seta cangiante del mio amato color verde bosco.
«Sei meravigliosa con quel colore, sembri una ninfa»
Gli schiocchiai un bacio sulla guancia e poi tirai la tendina tagliandolo fuori dal camerino.
Feci una giravolta e mi ammirai.
Aveva ragione. Sembravo una creatura delle foreste, eterea, con la mia pelle chiara costellata di qualche lentiggine e i miei occhi verde scuro.

Ruotai sulla mia sedia fucsia e mi chinai ad afferrare la mia borsa.
Alle mie spalle sentii un tossicchiare educato e così lasciai perdere la mia infruttuosa ricerca del cellulare nella mia borsa senza fondo e ruotai nuovamente in modo da fronteggiare il misterioso visitatore, che così misterioso non era dato che avevo già capito chi era guardando le sue scarpe.
«Si?»
Francesco si appollaiò, come sempre, sulla mia scrivania e si sporse a sistemarmi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«Passo da te per le 20.00, va bene?»
La mia mente iniziò a calcolare febbrilmente:
Ore 17.30 uscita dal lavoro
Ore 18.00 doccia+capelli
Ore 18.45 unghie
Ore 19.15 trucco
Ore 19.45 parrucco (o meglio parrucca, unica soluzione ai miei capelli flosci e tristi)
Ore 20.15 scelta di borsa e scarpe
Ok, non ce la potevo fare. 
Opzione 1: compattare i tempi.
Opzione 2: arrivare in ritardo.
Inutile dire che propendevo per la seconda.
Non feci comunque in tempo a chiedergli di abbonarmi una mezz'oretta perché una voce si  intromise: «Eh no! Gin viene con me! Alle otto sono da te, ciliegina»
Francesco si voltò accigliato verso il suo capo: «A dire la verità mi ero proposto per primo...»
Alfie scrollò le spalle e con un sorrisone angelico disse: «A dire il vero sono io qui quello che ti paga lo stipendio...»
Francesco aggrottò la fronte e con fare spazientito esclamò: «Suvvia Alfie non tirare sempre in ballo il fatto che il capo sei tu, è snervante!»
Alfie era diventato amico di Francesco sperando di convertirlo all'omosessualità ma dopo aver scoperto che era una missione talmente impossibile che neanche il mio bel Tom Cruise avrebbe potuto fare qualcosa aveva continuato ad uscirci saltuariamente.
Ignorai i due litiganti che sembravano voler riaffermare il loro essere dei veri maschi alfa e sbottai: «Verrò da sola più tardi»
Afferrai cappotto e borsa, spensi il mio computer color chewing gum e, senza degnarli di uno sguardo, li superai diretta all'ascensore.

«Signorina, aspetti!»
Velocemente infilai un braccio tra le porte metalliche dell'ascensore per bloccarle e permettere all'uomo trafelato che aveva richiamato la mia attenzione di salire.
Uomo trafelato che si rivelò essere il bel figo che avevo già avuto il piacere di conoscere sempre in ascensore.
«Grazie, grazie mille. Ginevra,giusto?»
Si-ricordava-il-mio-nome!
Nono, si ricordava il mio nome?
Si ricordava il mio nome!
Lalala, com'è bella la vita.
Ginevra! Riprenditi. Immediatamente. Contieniti.
Con fare noncurante risposi: «Giusto. Tu invece sei?»
Lo so, lo so, sono una stronza ma non potevo mica fargli capire che di lui mi ricordavo benissimo perché solitamente io in ascensore trovavo tipi grassi e sudati che cercavamo maldestramente di fare conversazione.
Lui fece un sorrisino, come se lo avesse divertito un pensiero passatogli per la mente: «Alessandro Grimaldi. Memoria corta, eh?»
Prego?!
Come si permetteva?
«Oh no, è solo che ogni giorno vedo decine di volti nuovi e, a meno che non mi colpiscano in modo particolare, tendo a dimenticarli»
Touche!
Così impari, brutto sbruffone, a dare per scontato che tutti debbano ricordarsi il tuo bel faccino e a insinuare che abbia poca memoria.
Lui non si scompose e, non appena le porte si aprirono, io sgusciai rapidamente fuori mormorando un arrivederci.

Lanciai un'occhiata all'orologio poggiato sul mio tavolino da toeletta.
20.45
Ero in ritardo.
Molto in ritardo.
Terribilmente in ritardo.
Mi fissai per l'ultima volta allo specchio.
Stranamente, per una volta, mi piacevo e se avessi avuto tredici anni mi sarei fatta un selfie allo specchio corredato da boccuccia a papera e posa simil sexy.
Mi infilai il cappottino, cacciai il cellulare nella clutch ignorando i dodici messaggi e le sette chiamate perse e, dopo aver afferrato le chiavi di casa, uscii rapidamente dal mio appartamento.
Solitamente quando uscivo la sera non prendevo mai la mia auto perché così ero libera di bere qualcosina senza avere il terrore di non essere poi abbastanza lucida per guidare.
Una volta in strada fermai un taxi e mi infilai velocemente nell'abitacolo dando l'indirizzo all'autista.
Il cellulare continuava a vibrare.
Alfie.
Fra.
Val.
Stavo per arrivare: cosa volevano tutti?
Un po' di pazienza, cari.
Pagai e scesi velocemente rischiando di sfracellarmi sul marciapiede.
Una mano mi afferrò prontamente per il braccio mentre una voce familiare urlava istericamente: «Ti ammazzo, ti uccido, ti faccio fuori. Gin, giuro che se non fosse che mi macchierei il vestito lo farei sul serio! Si può sapere dov'eri??»
Sbuffai e mi staccai da Francesco cercando di ritrovare l'equilibrio sui tacchi.
Valeria, la mia collega che si occupa di commedie romantiche, arrivò tutta trafelata.
«Grazie al cielo sei arrivata Gin!»
Sempre più perplessa mi lasciai guidare verso l'ingresso del sontuoso albergo che ospitava il party organizzato da Alfie per dare il benvenuto al nuovo collega che nessuno aveva mai visto e che sarebbe diventato ufficialmente parte del team a partire dal lunedì successivo.
Val mi sfilò il cappotto, Francesco sogghignò mentre Alfie mi spingeva verso l'interno.
Sempre più dubbiosa cercai di farmi spiegare cosa stesse succedendo non ricevendo però risposta. Tentai di puntare i piedi per oppormi ad Alfie che mi stava trascinando come se fossi una bambola attraverso un labirinto di salottini e corridoi. Il mio amico non si perse d'animo e continuò imperterrito il suo tragitto, cercando di ammansirmi con un «Aspetta e vedrai».
Continuammo a camminare fino a quando giungemmo in una sala più ampia e arredata in modo più spartano. Feci vagare lo sguardo per la stanza e incontrai lo sguardo divertito di Fabrizio, addetto stampa, e quello di Giovanni, che si occupava di film d'azione, che mi fece l'occhiolino.
Confusa, tirai una manica della giacca di Alfie per attirare la sua attenzione.
«Dimmi cosa sta succedendo. Ora»
Lui, per tutta risposta, mi prese la mano e dopo avermi rivolto uno sguardo che mi supplicava di non fare storie e di fidarmi, scostò una tenda amaranto e fece un passo in avanti trascinandomi dietro di sé.
Abituata alla penombra dovetti socchiudere gli occhi di fronte alle luci accecanti che mi accolsero.
Quando mi abituai ed ebbi modo di guardarmi intorno mi resi conto del panorama agghiacciante che si parava di fronte a me. Tutti i miei colleghi erano schierati ai piedi del palco sul quale mi trovavo, seduti comodamente su soffici poltroncine, fasciati nei loro abiti eleganti e con un sorriso carico di aspettativa stampato in volto.
Alfie, nel frattempo aveva lasciato la mia mano e avvicinatosi ad un leggio rialzato dotato di microfono pronunciò la mia condanna a morte.
«Cari colleghi e care colleghe, buonasera. Vi ringrazio per essere venuti così numerosi stasera. Come sapete non sono bravo a fare discorsi e così ho delegato questo compito ad una mia fidata collaboratrice nonché cara amica, che si è dichiarata entusiasta e lusingata. Ginevra, il microfono è tutto tuo!»
E con un sorrisone mi sfilò accanto, scese le scalette che conducevano in platea e si accomodò contento nel suo bel posto riservato in prima fila.
Imbarazzata e furiosa al tempo stesso mi avvicinai al leggio, mi schiarii la voce e alzai lo sguardo.
Una cinquantina di persone mi fissava in attesa e io deglutii nervosamente.
«Il nostro adorato capo ama le sorprese ed è anche un gran burlone, stasera la vittima sono io ma se fossi in voi mi guarderei le spalle, d'altra parte come fidarsi di un uomo vestito di color melanzana?» 
Tutti scoppiarono a ridere tranne Alfie che si fingeva offeso e evitava il mio sguardo.
«Dato che sono stata presa alla sprovvista non ho avuto tempo per preparare un discorso serio e organizzato quindi mi darò all'improvvisazione e mi appello alla vostra clemenza sperando non siate troppo severi nel giudicarmi»
Feci una pausa e mi sistemai una ciocca di capelli ribelli sfuggita alla crocchia.
Bene, avevo già messo le mani in avanti per salvaguardarmi in caso di spiacevoli cadute.
«Stasera siamo qui riuniti per dare il benvenuto a questo nuovo collega di cui, onestamente, ignoro non solo l'aspetto ma anche il nome, dal momento che il nostro superiore ha deciso di ammantare quest'uomo di un'aura di mistero. Di cosa potrei parlare dunque? Quando ero piccola sognavo di fare la bibliotecaria, ho sempre amato i libri e l'idea di passare tutta la vita tra di essi mi sembrava paradisiaca. Al liceo ci fecero vedere 'Philadelphia' e quel film mi colpì con la forza di un pugno, di uno schiaffo. Kafka diceva che i libri non devono renderci felici, no, i libri devono svegliarci con un pugno violento sul cranio e devono essere l'ascia che spezza il lago ghiacciato che alberga dentro di noi. Io che amavo tanto la letteratura, trovai tutto ciò in un film e non in un libro definito classico. Tom Hanks con la sua interpretazione mi aveva scosso più di quanto Tolstoj o Shakespeare o Leopardi avessero mai fatto»
Ormai era come se le parole uscissero spontanee, quasi non mi rendevo conto di star raccontando dei miei ricordi intimi di fronte ad un'intera platea che sembrava interessata alle mie parole.
«Colpita decisi di informarmi e documentarmi e così facendo mi imbattei in una recensione che affondava quello che ai miei occhi di adolescente sembrava un capolavoro. Rimasi scossa e decisi di mettere per iscritto le sensazioni regalatemi da quella pellicola, una volta fatto inviai la mia modesta opinione al giornalista, autore del famoso articolo. Due giorni più tardi pubblicarono la mia recensione sul Corriere della Sera. Mi appassionai al mondo del cinema; ogni settimana sceglievo con cura un film da andare a vedere e poi, una volta a casa, scrivevo le mie impressioni su un blocchetto. Scegliere scienze della comunicazione fu naturale, non dovetti pensarci. Alda Merini in una sua poesia scrisse che i poeti, pur lavorando di notte, in disparte, al riparo dalle luci  abbaglianti della vita alla luce del sole, con le loro parole fanno più rumore di una muta cupola di stelle. Noi giornalisti non possiamo neanche lontanamente paragonarci a dei poeti, noi siamo nettamente inferiori, a mio avviso, noi dovremmo essere al servizio della verità nuda e cruda, dell'informazione chiara e accessibile a tutti, della divulgazione. Però anche noi, nel nostro piccolo, possiamo con i nostri brevi articoli far sentire la nostra voce e cambiare in qualche modo le cose. Ho provato una volta a vedere un film dopo aver letto una recensione negativa e un'altra volta dopo averne letto una entusiasta. Vi assicuro che ne sono stata profondamente influenzata, e allora ho pensato: se io, giornalista, quindi a conoscenza dei trucchetti subdoli spesso presenti nel nostro mondo lavorativo, non sono riuscita a restare impermeabile alle opinioni espresse da altri giornalisti, provate a pensare all'effetto che ciò che scriviamo ha sulla gente comune, estranea al nostro settore. Le parole hanno un potere, potere che può essere utile o terribile. Le parole consolano, curano, illustrano, raccontano ma possono anche ferire, profondamente, in un modo proprio solo della violenza verbale. Noi lavoriamo con le parole, abbiamo quindi tra le nostre mani un potere. Ogni potere porta con sé una responsabilità; auguro quindi al nostro nuovo collega di essere altezza del compito che si appresta a compiere, di restare fedele ai propri principi, di ricordare sempre che noi siamo solo giornalisti: non inventiamo, noi riportiamo solo. Vi prego di scusarmi se pensate che abbia detto sciocchezze infarcite di retorica da due soldi, grazie a tutti per l'attenzione»
Tutta la platea si alzò e iniziò ad applaudire. Io esterrefatta non trovai di meglio da fare che arrossire come una dodicenne.
Parlare in pubblico non era mai stato un problema per me, ricordo come se fosse ieri il discorso che tenni alla consegna del diploma. Avevo passato notti insonni intenta a scrivere, correggere e cancellare la bozza di un probabile discorso. Era finita che prima di salire sul palco avevo stracciato il figlio sul quale avevo riportato in bella calligrafia il discorso e avevo improvvisato.
Un Alfie raggiante arrivò saltellando sul palco e mi stritolò in un abbraccio.
«Sei stata meravigliosa!» mi sussurrò in un orecchio e subito dopo, in preda ad una felicità incontenibile, mi diede un bacio sulla guancia e uno sulla fronte.
Io, imbarazzata, non perché non fossi abituata ai gesti affettuosi del mio migliore amico ma perché quest'ultimi stavano avvenendo di fronte a cinquanta paia di occhi curiosi, mi scostai e gli rivolsi uno sguardo di ghiaccio.
«Dopo facciamo i conti» sibilai a denti stretti.
Alfie mi rivolse un sorriso furbetto e poi, dopo essersi voltato verso il pubblico, esordì con un: «Carissimi, l'attesa è finita» 
Fece un cenno con il capo e un uomo si alzò dalle ultime file e si fece strada fino al palco, tra gli sguardi curiosi dei miei colleghi, che ignorando ogni forma di buona educazione lo stavano fissando sfacciatamente.
Non poteva essere vero.
Era impossibile.
Chiusi gli occhi per un istante e li riaprii sperando di trovarmi davanti un'altra persona.
«Ecco a voi Alessandro Grimaldi! Vieni avanti caro» esclamò tutto pimpante Alfredo.
Alzai lo sguardo e mi accorsi che il nuovo attivato mi stava fissando divertito.
Rossa in volto, mi affrettai a lasciare il palco cercando di non dare nell'occhio.
Non appena fui al sicuro nella sala in penombra attigua alla tenda che conduceva sul palco mi sedetti su una poltroncina.
La voce di Alfie mi raggiunse ovattata: «E ora basta chiacchiere, godiamoci questa festa!»
Mi alzai rapidamente non appena sentii dei passi avvicinarsi e mi diressi spedita alla volta del bagno.

«Giuro che se mi fai ancora una cosa del genere io mi travesto da ninja, faccio irruzione in casa tua e do fuoco al tuo guardaroba da pappagallo finocchio!»
Alfie, nonostante lo avessi agguantato per il bavero della camicia e gli stessi rivolgendo il migliore sguardo inceneritore del mio repertorio, non si scompose, anzi, ebbe la faccia tosta di rispondermi con un sorrisino.
«Oh Gin, mi faresti solo un favore, perché così facendo mi offriresti il pretesto perfetto per rifarmi completamente l'armadio»
Uffa! Era impossibile scalfire il perenne buonumore e la fastidiosa positività di Alfie.
Frustrata mi consolai con una tartina che sapeva di polistirolo.
«Se non amassi questo lavoro mi sarei già licenziata anni fa; sei un tiranno senza pietà per i tuoi sottoposti» mi lamentai imbronciata.
Lui gettò il capo indietro e scoppiò a ridere: «Licenziati, vediamo dove lo trovi un altro tiranno che ti prepara la parmigiana di melanzane, arriva a casa tua carico di gelato e assorbenti ogni volta che stai attraversando quel tanto odiato periodo del mese e che viene con te ai concerti dei Placebo e dei Depeche Mode»
Cazzo, mi costava ammetterlo ma aveva ragione. Alfie prima di essere il mio datore di lavoro era un mio caro amico; mi aveva visto malata con le guance arrossate e il naso gocciolante, aveva assistito al triste spettacolo di una Ginevra ubriaca coi capelli sconvolti che vomitava nelle toilette di un McDonald dimenticato da Dio ed era stato spettatore del mio declino, culminato con la mia clausura in casa, vestita con un orribile pigiama di flanella color vomito, di sei giorni, dopo la recente rottura con Nicola. Era stato Alfie a venirmi a prendere quando mi ero messa in testa di raggiungere il mio ex in Sicilia da sola in auto e mi ero trovata sperduta tra le colline umbre. Era stato Alfie ad accompagnarmi a fare quella stupidaggine di tatuaggio: io avevo una melanzana e lui un'anguria. 
Senza sapere perché gli gettai le braccia al collo e lo strinsi con forza a me.
«Sei uno zuccone crudele ma ti voglio tanto tanto bene»
Lui mi accarezzò la schiena e mi sussurrò: «Gin, stavo per confessarti tutto l'amore che provo per te ma è giunto qualcuno che reclama la tua presenza»
Mi voltai e incontrai due occhi di un intenso verde bosco, sì, aveva gli occhi del mio colore preferito.
Mi staccai da Alfie e lo fronteggiai, ero stata stupida, davvero pensavo che sarebbe stato possibile evitarlo per tutta la sera?
«Mi dispiace interrompere questa tenera scenetta ma volevo chiedere alla signorina se potevo avere l'onore di averla come compagna in questo ballo»
Non riuscii neanche ad aprire la bocca per rispondere con un secco diniego perché il mio capo fedifrago mi diede una spinta in avanti e disse: «Caro Alessandro, certo che la nostra Gin accetta il tuo invito, anzi ne è onorata» 
Alessandro mi prese a braccetto e mi condusse verso il centro della sala dove una decina di coppie stavano ballando.
Ebbi appena il tempo di voltarmi e sillabare infuriata «onorata?» in direzione di Alfie.
«Allora, si ricorda di me, signorina Smemorina?»
Ha ha ha, quest'uomo era un concentrato di simpatia. 
Mi avvolse la vita con un braccio e fui costretta a ridurre la distanza tra di noi. Cosa non si fa per uno stupido ballo.
«Credo che sarò costretta a ricordarmi di Lei d'ora in poi»
Dovevo trovare al più presto un modo per portare anche lui nel limbo dove risiedevano i miei amici maschi non omosessuali per cui non provavo alcuna attrazione sessuale, non potevo fare pensieri poco ortodossi ogni volta che vedevo i suoi occhi fissarmi o avere una vampata di caldo, in pieno stile donna in menopausa, non appena parlava con quella sua voce sensuale leggermente strascicata. 
«Io Le assicuro che di Lei mi ricordavo alla perfezione già prima di incontrarla in ascensore. Ginevra Visconti e il suo discorso sul 'se vuoi puoi' sono stati il mio incubo per anni»
Sorpresa lo fissai a bocca aperta. Questo significava che avevamo fatto il liceo insieme e che senza saperlo io lo avevo visto centinaia di volte. Evidentemente da ragazzo era un rospo perché al quartetto delle meraviglie nessun bel ragazzo sfuggiva. 
«Sei del '90 come me?»
La musica avvolgente e le calde luci soffuse creavano un'atmosfera intima che sembrava racchiuderci in un abbraccio rassicurante.
Alessandro scosse la testa divertito: «Siamo passati al tu? Comunque no, ero al secondo anno di università e venni alla consegna del diploma di mio fratello. Mi sconvolse, non ci sono altre parole per descrivere l'effetto che ebbero le tue parole su di me, furono per me quel pugno che ti spacca il cranio di cui hai parlato tu. Sono passati molti anni ma tu sei ancora maledettamente brava con le parole»
Quel discorso fu forse il migliore che io abbia mai fatto, ricordo che in modo molto semplice, forte del mio giovane entusiasmo, avevo incoraggiato i miei compagni a seguire i propri sogni e a non permettere ad altri di scegliere per loro. 
«Perché?»
Fissai il suo volto, che inaspettatamente assunse una piega amara.
«Non ti riguarda» disse brusco.
Colpita dal suo tono duro mi scostai e rimanemmo nel centro della sala, con le braccia abbandonate lungo i fianchi, a fissarci senza vederci veramente, ognuno perso nei propri ricordi.
«Gingin, ti accompagno a casa ok? Vado a recuperare il tuo cappotto. Ti aspetto all'ingresso»
Annuii in direzione di Francesco che si allontanò rapidamente e io feci per seguirlo ma una mani mi trattenne.
«Non prenderla per scortesia, è solo che non volevo tediarti raccontandoti tristi vicende familiari. Buonanotte Ginny»
Scomparve velocemente tra le poche coppie rimaste sulla pista e l'ultima immagine che ebbi di lui furono due spalle curvate da un passato doloroso.
Ginny.

 

Eccomi qui!
Sono consapevole di essere alquanto inconstante nella scrittura: a volte silenzio per un mese e poi, improvvisamente, due capitoli in pochi giorni.
Chiedo scusa ma il modo di scrivere riflette il mio modo di essere: disorganizzata, disordinata, scostante, incostante.
Ormai si è capito chi sarà il nostro protagonista, resta solo da delinearne il carattere. 
Spero che la storia continui a piacere a voi lettori silenziosi e all'unica persona che finora ha recensito e che approfitto per ringraziare nuovamente.
Fatemi sapere cosa ne pensate, anche un breve giudizio.
Grazie mille :)
S. xxx

  
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