Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Yumao    10/08/2014    8 recensioni
La città in cui vive Emma è racchiusa da mura altissime, assediata da nemici di cui nessuno conosce il nome o l'aspetto, circondata da nient'altro che deserto. Non ha bisogno di un nome, perché non esistono altre città: lontano dalle mura nessuno potrebbe sopravvivere senza perdere ciò che lo rende umano.
La curiosità è peccato, parlarne è pericoloso, anche solo desiderare di vedere il mondo esterno corrompe l'anima. Ma Emma vuole sapere.
Genere: Angst, Avventura, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
4 - i bagni

I bagni

Nessun Sianelese si ritirerebbe da una sfida, e i bambini ancora meno degli adulti. Per quello uscì di casa in punta di piedi, attenta a non fare il minimo rumore. Le riusciva bene, muoversi in silenzio e senza farsi vedere: Agnes la paragonava spesso a un topolino silenzioso.

Anton la aspettava nascosto nel vicolo e assieme corsero via nella fresca notte primaverile. C’era la luna piena a rischiarare i loro passi, ma la luce non avrebbe raggiunto i bassifondi, che sarebbero stati bui e spaventosi. La paura la attraversò con un brivido quasi piacevole mentre ci pensava.

Bruno li raggiunse nella piazzetta dove i ragazzi si trovavano sempre per giocare, strisciando contro il muro per restare in ombra, e assieme scesero nei bassifondi senza dire una parola.

Se un qualsiasi adulto li avesse visti in giro a quell’ora li avrebbe rispediti a casa così in fretta che la loro ombra non avrebbe fatto in tempo a seguirli.

Poco dopo erano nascosti nel vicolo, dietro la botte piena di acqua e di moscerini morti, a scrutare il pontile deserto. «Hai visto? Non c’è nessuno, te l’avevo detto.» Esultò Anton, prima che lei gli tappasse bruscamente la bocca con una mano.

Un’ombra scura stava salendo i gradini che conducevano direttamente all’acqua, come se fosse sorta dal canale stesso. Fu seguita subito da altre due ombre nere e da una figura più minuta, coperta da capo a piedi di una veste bianca che brillò quando catturò un singolo raggio di luna, riflettendolo.

Da dove erano arrivati? Non c’era nessuna barca ormeggiata in quel momento, e i quattro erano perfettamente asciutti, non potevano essere arrivati a nuoto. Avrebbe voluto correre via, ma al pari dei suoi amici era paralizzata dal terrore.

Maurus arrivò pochi secondi dopo, coperto dalla mantellina blu tipica dei pescatori sianelesi, spingendo la barca con una lunga pertica. I quattro salirono in perfetto silenzio e si allontanarono fra lo sciabordio dell’acqua e il lieve scricchiolio del legno.

Anton aveva la bocca spalancata e Bruno era pallido come un fantasma. Lei si alzò subito con le gambe tremanti e andò a guardare il punto da cui le quattro figure sinistre erano comparse.

I gradini scendevano di un metro e mezzo circa, e finivano direttamente nell’acqua. Erano veramente comparsi dal nulla. Anton e Bruno arrivarono alle sue spalle. «Te l’avevo detto che esistevano. E anche che sono maghi.»

Anton tenne fede alla promessa davanti a una folla di marmocchi che lo incitavano, e poi passò a letto un’intera settimana con fortissimi crampi alla pancia.

 

Per i giorni che seguirono Emma evitò Rebecca con più attenzione del solito, cercando di non incrociare il suo sguardo in classe e infilandosi a tutta velocità in qualche corridoio secondario appena le lezioni finivano.

Yuri l’accompagnava fedelmente senza dare segno di accorgersene, eccetto il fatto che fosse diventata insolitamente lesta nel raccogliere i libri e seguirla dopo le lezioni.

Nonostante la sua attenzione non riuscì a evitare di incorrere negli incidenti più strani, come ricevere secchiate d’acqua quando lavorava nel cortile, essere urtata con un’insolita frequenza da ragazzine che correvano avanti e indietro nei corridoi senza una meta apparente, o inciampare in gambe tese in strane attività ginniche.

Per ora la sua evasività e la sua prontezza di riflessi le avevano evitato la maggior parte delle cadute rovinose o delle secchiate d’acqua, ma ormai aveva i nervi a pezzi per il continuo guardarsi le spalle. Rebecca le aveva aizzato contro tutta la scuola e non era al sicuro nemmeno in sua assenza. Non è che non ricevesse scherzi di cattivo gusto anche prima, ma il fatto che fossero così frequenti la stava lentamente logorando, rendendola intollerante e irascibile.

 

Marzo volgeva al termine e, nonostante piovesse quasi tutti i giorni, l’aria era tiepida e sapeva di polline. Gli studenti della scuola passavano i pomeriggi seduti sui muretti sotto i portici del chiosco grande, a guardare la pioggia che scendeva, parlare, studiare, i più grandi anche a fumare. Emma lo evitava come se fosse stato il focolare di un’epidemia di peste.

Un pomeriggio rientrò in camera solo per trovare la scrivania sgombra e i suoi libri scomparsi. Lo stomaco le si attorcigliò sgradevolmente. Qualcuno doveva essere entrato per farli sparire. Il bibliotecario le avrebbe fatto passare dei momenti decisamente poco piacevoli per quei libri scomparsi. Avrebbe dovuto spazzare i pavimenti della biblioteca tutta l’estate per ripagarli… tutte le estati della sua vita, anzi.

Rassegnata salutò Yuri e decise di andare in biblioteca. Tanto presto o tardi avrebbe dovuto affrontare il problema, non valeva la pena di rimanere indietro con lo studio solo per rimandare l’inevitabile.

Quando arrivò allo scranno del bibliotecario e chiese l’accesso aspettò con la sensazione di aver ingoiato una grossa pietra che lui, sfogliando i registri, si accorgesse che aveva dei libri da restituire.

«Allora, sempre reparto geografico?» Chiese con tono di disapprovazione. Emma alzò gli occhi stupita. Si era aspettata un tono arrabbiato, dei rimproveri, o anche solo che le facesse notare che doveva restituire i libri prima di prenderne altri.

Sbirciò il registro e vide, accanto al suo nome e alla runa di Sianel, l’elenco dei libri che aveva perso coperti dal timbro che li indicava come restituiti.

Che razza di scherzo stupido era rubarle i libri solo per restituirli alla biblioteca?

«Allora signorina! Pensi che abbia tutto il giorno?» Emma si riscosse all’improvviso, arrossendo.

«Oh… umh… sì. Geografico.»

«Tsk. Lo sapevo io. Già è diventata mezza tonta a furia di leggere stupidaggini.» Borbottò fra sé e sé aprendo il cancello. Emma non se ne curò e scappò via, dimenticandosi dello strano episodio, già rapita dall’odore dei libri.

Fece il percorso tortuoso che portava all’area geografica, proprio in fondo alla biblioteca, in una zona nascosta e desolata.

Fu quando arrivò alla finestra a incasso che, sentendo una scossa percorrerle tutta la spina dorsale, si ricordò dell’Atlante. Se ne era accorto qualcuno? Si abbassò e guardò sotto al divanetto. Era lì, in mezzo alla polvere dei secoli. Lo tirò fuori con un po’ di fatica e si sedette. Si guardò intorno furtiva e, appurato che non c’era nessuno a pomiciare nei paraggi, allungò le gambe sul divano, mettendosi di lato perché la poca luce che c’era illuminasse bene il libro.

Per un attimo si sentì in pace col mondo: nessuno lì l’avrebbe disturbata questa volta, era il suo territorio. Rebecca non sarebbe tornata in un giorno così piovoso, avrebbe rischiato di rovinarsi i capelli. Il pannello più alto della finestra era aperto ed entrava l’odore del glicine. Aprì delicatamente la prima pagina e si soffermò un secondo sul titolo, poi con il cuore in gola e la paura di essere di nuovo interrotta, girò la pagina.

Era pergamena spessa e pesante, come quella dei libri molto antichi. Ormai erano secoli che la carta era leggera e di qualità peggiore, ma più economica. L’aveva studiato al corso di filologia: una carta di quel genere indicava che il libro era vecchio di almeno quattrocento anni, constatò con timore reverenziale.

C’era una cartina che occupava tutte e due le pagine, che rappresentava la terra. Aveva già visto una mappa della grande terra emersa su cui si trovava la città, ma mai così. Le mappe che aveva visto rappresentavano nei dettagli la città, sulla costa ovest, e i campi esterni che le appartenevano verso sud, le miniere un po’ più lontane, a est. Tutto il resto era indicato come un deserto.

Sfiorò con il dito la zona di costa dove avrebbe dovuto esserci la città. Vuota. Quella mappa risaliva a prima che le mura fossero costruite. Le avevano sempre insegnato che la storia iniziava con la costruzione delle mura, messe lì da una divinità benigna da cui discendeva in linea diretta il Patrono.

Prima delle mura gli uomini erano selvaggi disorganizzati, che vivevano in accampamenti di tende e morivano prima dei trent’anni. Senza cultura, senza coscienza, senza morale, senza anima, che si arrabattavano per sopravvivere in un deserto ostile.

Ma quella mappa sembrava pensarla diversamente.

Ebbe l’impressione che qualcuno le avesse infilato della neve nel colletto della camicia, una scossa elettrica le fece solleticare la nuca e rizzare i capelli. Quello era sicuramente un libro proibito. Non poteva essere una cosa accessibile a tutti gli studenti. Erano proibite cose molto più innocue di quella, quella era praticamente eresia. Un rumore improvviso e un lampo di luce la fecero quasi urlare.

Un fulmine era caduto molto vicino, sul campanile della biblioteca. Calmati… cercò di calmare la respirazione e il tremito delle mani.

Ormai il libro l’ho visto, pensò. Tanto vale andare avanti. In realtà avrebbe dovuto fermarsi, e fermarsi subito. Rimettere il libro dove l’aveva trovato e fingere di non averlo mai visto. Ma la curiosità la teneva incollata alle pagine come un magnete.

Dove ora sorgeva la città non c’era nulla, ma più a nord c’era una folta massa di alberi, disegnati con un leggero tratto di china verde. Al limite sud c’era un puntino con una scritta: Khot. Aveva l’aria di essere una città, anche se infinitamente più piccola. Grande al massimo come una delle gilde. A nord c’erano delle montagne, che spuntavano dalla foresta. Sopra di esse erano segnati altri puntini, altri nomi. Così come sulla costa. Il centro della terra emersa sembrava essere un altopiano, lo capiva dalle linee isometriche, disegnate con inchiostro rosso. Non sembravano esserci alberi lì, se non vicino al fiume dove erano segnati altri due o tre puntini, con accanto i rispettivi nomi. Nel centro esatto c’era un massiccio, da cui nasceva il fiume Golyn che attraversava la Città ancora oggi.

La costa est sembrava caratterizzata da scogliere frastagliate, altre città, altre zone boscose. A sud i boschi erano ancora più fitti, mentre a nord c’erano montagne e ghiaccio azzurrino. Si soffermò a lungo su ogni nome, cercando di memorizzarlo. Erano suoni insoliti, che non aveva mai sentito e che non era sicura di saper pronunciare, ma in qualche modo cercò di ripeterli più e più volte nella sua mente, cercando di ricordare con precisione il punto in cui li aveva visti sulla mappa.

Il suono della campana le fece di nuovo scorrere un fiume di panico attraverso le gambe. Quanto tempo era rimasta a guardare la mappa? Era tardissimo, stavano per chiudere i cancelli! Mise il libro sotto il divano un’altra volta e iniziò a correre, stupita del fatto che anche se si sentiva le gambe fatte di gelatina, tutto sommato erano ancora funzionanti.

 

Si lanciò scivolando oltre al cancello che già si stava chiudendo, sopportando uno sguardo di rimprovero da parte delle guardie. Ansimando fece vedere i documenti e le due rune sull'avambraccio, e appena ricevette il via libera ricominciò a correre.

Arrivò in camera gocciolante e stravolta. Yuri sembrava essersi preoccupata per il suo ritardo, perché appena Emma entrò nella stanza sollevò lo sguardo dal libro che stava leggendo e la studiò con attenzione. «Emy stai bene?»

«Benissimo.» disse decisa. Non poteva raccontare a nessuno del libro, soprattutto a Yuri. Conoscendola, sarebbe andata in giro canticchiando “la mia compagna di stanza ha letto un libro proibito” senza nemmeno rendersene conto. E poi non le piaceva tanto l’idea di metterla nei guai.

«Non hai preso i libri.» Le fece notare con tono leggero.

«Piove.» Disse cercando di giustificare il fiato corto e l’aria sconvolta.  

«Avevo notato anch’io.» Disse Yuri con comica mancanza di ironia, guardando fuori dalla finestra. La loro stanza era proprio sotto un doccione, e quando pioveva una rumorosissima cascata d’acqua scorreva proprio fuori dalla loro finestra per andare a schiantarsi in strada tre piani più sotto. Faceva così tanto rumore che dovevano parlare molto forte per capirsi.

«Sì, piove.» Aggiunse Emma più decisa. «È perché piove che non ho preso i libri, si sarebbero bagnati e sono rimasta fino a tardi perché qui non avrei potuto studiare ecco…» Fece un respiro profondo. Aveva parlato così in fretta che le era mancato il fiato prima di finire. «Ecco perché non ho preso i libri.»

Le sembrò di vedere un sorriso diverso dal solito sol volto di Yuri, quasi di trionfo o di divertimento. Ebbe la netta sensazione che la sua compagna sapesse qualcosa che a lei sfuggiva. Durò appena un attimo, poi tornò allo sguardo stralunato di sempre. «Ah – ha.» Commentò prima di rimettersi a studiare, indifferente. Sto diventando seriamente paranoica, decise Emma. Un rischio che si corre quando si leggono libri proibiti.

Si sentiva gelare fino nelle ossa, e non solo perché era completamente bagnata.

«Vado a lavarmi. Ci vediamo a cena.» Annunciò cercando di mettere assieme tutta la compostezza e la dignità che riuscì a racimolare. Mise un asciugamano e una divisa asciutta in un cesto e partì di corsa alla volta del bagni.

I bagni c’erano su ognuno dei tre piani di dormitorio e la prima volta che li aveva visti, abituata a lavarsi a secchiate con l’acqua del pozzo, aveva quasi pianto dalla commozione.

C’erano due grosse vasche di acqua, una fredda e una bollente. L’acqua veniva attinta da una sorgente calda con un ingegnoso sistema di tubi, che servivano anche a scaldare l’edificio, e poi scaricata nel fiume. Di solito li usava a notte fonda, appena prima che svuotassero le vasche, quando era sicura di non trovare nessuno, ma adesso aveva veramente bisogno di stare a mollo nell’acqua calda.

Fu fortunata: nell’anticamera c’erano solo un paio di cestini contenenti le uniformi pulite, riposte con cura sullo scaffale apposito. Sistemò anche la sua, avendo cura di metterla in modo che lo stemma blu e arancione, simbolo di Sianel, non fosse visibile.

Poi si spogliò lasciando l’uniforme bagnata di pioggia nella cesta del bucato ed entrò nella stanza calda e piena di vapore. Le due ragazze già presenti chiacchieravano in un angolo, lavandosi la schiena a vicenda. Erano del primo anno, due ragazze della gilda dei farmacisti. La guardarono appena. Senza vestiti, con il fisico minuto e il viso tondo, nessuno avrebbe mai detto che era già al terzo anno. A stento sembrava una del primo. Se a questo si aggiunge il fatto che difficilmente i suoi lineamenti restavano impressi nella memoria, contò sul vapore e sull’assenza della divisa per mascherare la sua identità, e si immerse in fretta in acqua dando le spalle alle ragazze per sicurezza.

Appoggiò la testa sulle braccia incrociate sul bordo della vasca e chiuse gli occhi. In pochi istanti il calore le entrò fino nelle ossa, lasciandole le membra piacevolmente intorpidite e la mente un po’ annebbiata. L’acqua calda e il chiacchiericcio sommesso erano riusciti a farla rilassare un pochino, anche se aveva ancora la sensazione di avere un’ancora sul petto.

Non riusciva a togliersi la mappa dalla mente. Poteva essere pericoloso dire a qualcuno che l’aveva vista. Le persone venivano mandate nelle miniere e nei campi esterni per molto meno, e le poche persone che aveva visto tornare dai campi esterni erano ridotte a gusci vuoti, scheletri con lo sguardo fisso. Era una pena peggiore della morte.

Come il nonno di Anton.

Le venne una fitta allo stomaco ricordando il suo amico. Non parlava con lui da quando aveva iniziato la scuola, tre anni prima. Stava bene o si era messo nei guai? Le avrebbero scritto se gli fosse successo qualcosa? Si strofinò gli angoli degli occhi, poi tuffò la testa sott’acqua.

Le ragazzine erano andate via ed Emma uscì dall’acqua per insaponarsi. Doveva essere tardi. Quel giorno il tempo sembrava scorrere a velocità doppia… O forse era lei, appesantita da tutti quei pensieri, a funzionare a velocità dimezzata.

Dopo essersi sciacquata si avvolse nell’asciugamano e uscì.

Qualcosa era profondamente sbagliato, se ne accorse subito, ma ci volle un attimo perché capisse cosa non andava, e quando lo realizzò un’ondata di puro panico partì dal centro del suo stomaco e le inondò le gambe e le braccia, dandole la sensazione di avere un grosso sacco di farina legato ad ogni arto.

L’anticamera era deserta. La sua uniforme era sparita. Il suo cesto era desolatamente vuoto. Con le gambe che tremavano e una seria voglia di piangere di rabbia guardò nel cesto della biancheria sporca. Sparita anche quella.

Doveva uscire e tornare in stanza solo con l’asciugamano, che la copriva a stento? Ma avrebbe dovuto passare dal ballatoio per arrivare in camera sua, l’avrebbe vista chiunque, anche i ragazzi: a quell'ora erano tutti radunati nel chiosco. Avrebbe dato spettacolo. Magari sarebbe stata espulsa per comportamento osceno.

Poteva chiamare qualcuno, ma nessuno l’avrebbe aiutata: l’unico risultato sarebbe stato radunare un folto gruppo di studenti che assistesse alla sua pubblica umiliazione.

Aveva l’impressione che una forza premesse da sotto la sua pelle in ogni direzione, cercando di liberarsi. Un mostro imprigionato in uno spazio troppo stretto che si dibatteva disperatamente cercando di uscire, a costo di farla esplodere in minuscoli coriandoli, e lei avrebbe voluto lasciarlo fare.

Ridotta in coriandoli avrebbe risolto la maggior parte dei suoi problemi.

Però evidentemente la sua pelle era troppo dura per il mostro, che poteva solo dibattersi e farla stare ancora peggio. Urlò frustrata, tirando un pugno al muro, poi sibilò fra i denti un rosaio di imprecazioni fra le migliori di Sianel, massaggiandosi le nocche ammaccate. Non era servito a nulla.

Se invece di tirare un pugno al muro l’avessi tirato a Rebecca, come ti avevo suggerito, sicuramente ti avrebbe fatto stare meglio e a quest'ora non saresti qui.

No, a quest'ora sarei in una cassa da morto nel forno crematorio.

Si accucciò in un angolo della sala, le ginocchia strette al petto, rassegnata ad aspettare che arrivassero le donne che avrebbero dovuto svuotare la vasca, a notte fonda. Intanto il mostro ancora si dibatteva, facendole male.

 

«Emy sei ancora qui?» Emma sollevò la testa con il sollievo che la invadeva come un’onda bollente, più calda dell’acqua del bagno. Saltò subito in piedi cercando di apparire calma e padrona della situazione, per non perdere del tutto quella poca dignità che le era rimasta, ma la voce le tremava.

«Mi hanno rubato la divisa mentre facevo il bagno, non sapevo come uscire e…» Si interruppe prima che la sua voce cedesse un po’ troppo, e scrollò le spalle con una nonchalance perfettamente simulata. O almeno era quello che sperava. «E niente, stavo aspettando che arrivassero le inservienti a svuotare la vasca.»

Yuri la abbracciò affettuosamente, senza preavviso e senza darle il tempo di capire cosa stesse succedendo e di scansarsi. Nonostante quell’abbraccio fosse stato decisamente non richiesto, Emma sentì il nodo della tensione accumulata in quelle settimane sciogliersi dentro di il petto e si trovò pericolosamente vicina alle lacrime.

Si tirò indietro bruscamente, tirando su col naso e cercando di riprendere il controllo. Coglierla di sorpresa a quel modo era quantomeno scorretto.

«Va tutto bene, te ne vado a prendere una subito.» La rassicurò con fare materno dandole dei colpetti sulla spalla e lasciandola ancora più basita.

Yuri sparì di corsa e tornò un minuto dopo, dandole appena il tempo di ricomporsi.

«Mi sono preoccupata non vedendoti arrivare per cena. Magari se corriamo facciamo ancora in tempo.» Spiegò mentre Emma si rivestiva con la divisa invernale. Era un po’ troppo pesante, di lana spessa, ma quelle primaverili erano sparite chissà dove. Con un po’ di fortuna le avrebbe ritrovate in lavanderia.

«Non ho fame… sono troppo stanca.» Yuri sgranò gli occhi. Poi si avvicinò e le posò una mano fresca sulla fronte. Emma si ritrasse. Cos’era, la giornata cittadina del contatto fisico indesiderato? «Non ho la febbre.»

«Oh… allora hai mal di stomaco?»

«Non ho nemmeno mal di stomaco!» Emma cominciava ad essere un po’ offesa. «Non posso non avere appetito senza essere malata?» Dallo sguardo di Yuri, che la osservava come se dovesse manifestare da un momento all’altro i primi segni di una malattia mortale, era evidente che la pensava proprio così.

«Tranquilla, sto bene. Sono solo stanca. Sbrighiamoci con la corvè così posso andare a letto.»

Oheyyy!!! Che dire? In questo capitolo viene fuori qualche lato in più di Emma. A suo modo piuttosto fifona, ma troppo curiosa per farsi fermare dalla paura. Cosa che ammiro, visto che in una situazione del genere, onestamente, proverei profondo disinteresse per qualsiasi cosa potesse mettere in pericolo la mia vita. E nonostante sia una tosta che sopporta stoicamente qualsiasi maltrattamento (in fondo lo sapeva che l'accademia sarebbe stata così) ha anche lei un punto di rottura in cui diventa quasi umana. Certo non era una situazione senza via d'uscita la sua, prima o poi qualcuno sarebbe arrivata ad aiutarla in ogni caso, ma è stato uno scherzo abbastanza antipatico secondo me. Per fortuna che c'è Yuri, più presente di quello che sembra.

Certo che, un abbraccio così a sorpresa... che cosa sleale! tsk!

Grazie mille a chi ha letto fin qui, recensendo o leggendo in silenzio! Le opinioni, positive o negative che siano, fanno sempre piacere, ma anche vedere che ci sono tante visualizzazioni mi fa felice ^^

Alla prossima!  羽毛

   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Yumao