I bagni
Nessun Sianelese si ritirerebbe da una sfida, e i
bambini ancora meno degli adulti. Per quello uscì di casa in punta di piedi,
attenta a non fare il minimo rumore. Le riusciva bene, muoversi in silenzio e
senza farsi vedere: Agnes la paragonava spesso a un topolino silenzioso.
Anton la aspettava nascosto nel vicolo e assieme
corsero via nella fresca notte primaverile. C’era la luna piena a rischiarare i
loro passi, ma la luce non avrebbe raggiunto i bassifondi, che sarebbero stati
bui e spaventosi. La paura la attraversò con un brivido quasi piacevole mentre
ci pensava.
Bruno li raggiunse nella piazzetta dove i ragazzi
si trovavano sempre per giocare, strisciando contro il muro per restare in
ombra, e assieme scesero nei bassifondi senza dire una parola.
Se un qualsiasi adulto li avesse visti in giro a
quell’ora li avrebbe rispediti a casa così in fretta che la loro ombra non
avrebbe fatto in tempo a seguirli.
Poco dopo erano nascosti nel vicolo, dietro la
botte piena di acqua e di moscerini morti, a scrutare il pontile deserto. «Hai
visto? Non c’è nessuno, te l’avevo detto.» Esultò Anton, prima che lei gli
tappasse bruscamente la bocca con una mano.
Un’ombra scura stava salendo i gradini che conducevano
direttamente all’acqua, come se fosse sorta dal canale stesso. Fu seguita
subito da altre due ombre nere e da una figura più minuta, coperta da capo a
piedi di una veste bianca che brillò quando catturò un singolo raggio di luna,
riflettendolo.
Da dove erano arrivati? Non c’era nessuna barca
ormeggiata in quel momento, e i quattro erano perfettamente asciutti, non
potevano essere arrivati a nuoto. Avrebbe voluto correre via, ma al pari dei
suoi amici era paralizzata dal terrore.
Maurus arrivò pochi secondi dopo, coperto dalla
mantellina blu tipica dei pescatori sianelesi, spingendo la barca con una lunga
pertica. I quattro salirono in perfetto silenzio e si allontanarono fra lo
sciabordio dell’acqua e il lieve scricchiolio del legno.
Anton aveva la bocca spalancata e Bruno era
pallido come un fantasma. Lei si alzò subito con le gambe tremanti e andò a
guardare il punto da cui le quattro figure sinistre erano comparse.
I gradini scendevano di un metro e mezzo circa, e
finivano direttamente nell’acqua. Erano veramente comparsi dal nulla. Anton e
Bruno arrivarono alle sue spalle. «Te l’avevo detto che esistevano. E anche che
sono maghi.»
Anton tenne fede alla promessa davanti a una
folla di marmocchi che lo incitavano, e poi passò a letto un’intera settimana
con fortissimi crampi alla pancia.
Per i
giorni che seguirono Emma evitò Rebecca con più attenzione del solito, cercando
di non incrociare il suo sguardo in classe e infilandosi a tutta velocità in
qualche corridoio secondario appena le lezioni finivano.
Yuri
l’accompagnava fedelmente senza dare segno di accorgersene, eccetto il fatto
che fosse diventata insolitamente lesta nel raccogliere i libri e seguirla dopo le lezioni.
Nonostante
la sua attenzione non riuscì a evitare di incorrere negli incidenti più strani,
come ricevere secchiate d’acqua quando lavorava nel cortile, essere urtata con
un’insolita frequenza da ragazzine che correvano avanti e indietro nei
corridoi senza una meta apparente, o inciampare in gambe tese in strane attività ginniche.
Per
ora la sua evasività e la sua prontezza di riflessi le avevano
evitato la
maggior parte delle cadute rovinose o delle secchiate d’acqua, ma
ormai aveva i
nervi a pezzi per il continuo guardarsi le spalle. Rebecca le aveva
aizzato
contro tutta la scuola e non era al sicuro nemmeno in sua assenza. Non
è che non ricevesse scherzi di cattivo gusto anche prima, ma il
fatto che fossero così frequenti la stava lentamente logorando,
rendendola intollerante e irascibile.
Marzo
volgeva al termine e, nonostante piovesse quasi tutti i giorni, l’aria era
tiepida e sapeva di polline. Gli studenti della scuola passavano i pomeriggi
seduti sui muretti sotto i portici del chiosco grande, a guardare la pioggia
che scendeva, parlare, studiare, i più grandi anche a fumare. Emma lo evitava
come se fosse stato il focolare di un’epidemia di peste.
Un
pomeriggio rientrò in camera solo per trovare la scrivania sgombra e i suoi
libri scomparsi. Lo stomaco le si attorcigliò sgradevolmente. Qualcuno doveva
essere entrato per farli sparire. Il bibliotecario le avrebbe fatto
passare dei momenti decisamente poco piacevoli per quei libri scomparsi. Avrebbe dovuto
spazzare i pavimenti della biblioteca tutta l’estate per ripagarli… tutte le estati della sua vita, anzi.
Rassegnata
salutò Yuri e decise di andare in biblioteca. Tanto presto o tardi avrebbe
dovuto affrontare il problema, non valeva la pena di rimanere indietro con lo studio solo per
rimandare l’inevitabile.
Quando
arrivò allo scranno del bibliotecario e chiese l’accesso aspettò con la
sensazione di aver ingoiato una grossa pietra che lui, sfogliando i registri,
si accorgesse che aveva dei libri da restituire.
«Allora,
sempre reparto geografico?» Chiese con tono di disapprovazione. Emma alzò gli
occhi stupita. Si era aspettata un tono arrabbiato, dei rimproveri, o anche
solo che le facesse notare che doveva restituire i libri prima di prenderne
altri.
Sbirciò
il registro e vide, accanto al suo nome e alla runa di Sianel, l’elenco dei
libri che aveva perso coperti dal timbro che li indicava come restituiti.
Che
razza di scherzo stupido era rubarle i libri solo per restituirli alla
biblioteca?
«Allora
signorina! Pensi che abbia tutto il giorno?» Emma si riscosse all’improvviso,
arrossendo.
«Oh…
umh… sì. Geografico.»
«Tsk. Lo
sapevo io. Già è diventata mezza tonta a furia di leggere stupidaggini.»
Borbottò fra sé e sé aprendo il cancello. Emma non se ne curò e scappò via,
dimenticandosi dello strano episodio, già rapita dall’odore dei libri.
Fece
il percorso tortuoso che portava all’area geografica, proprio in fondo alla
biblioteca, in una zona nascosta e desolata.
Fu
quando arrivò alla finestra a incasso che, sentendo una scossa percorrerle
tutta la spina dorsale, si ricordò dell’Atlante. Se ne era accorto qualcuno? Si
abbassò e guardò sotto al divanetto. Era lì, in mezzo alla polvere dei secoli.
Lo tirò fuori con un po’ di fatica e si sedette. Si guardò
intorno furtiva e, appurato che non c’era nessuno a pomiciare nei paraggi,
allungò le gambe sul divano, mettendosi di lato perché la poca luce che c’era illuminasse
bene il libro.
Per
un
attimo si sentì in pace col mondo: nessuno lì
l’avrebbe disturbata questa
volta, era il suo territorio. Rebecca non sarebbe tornata in un giorno
così
piovoso, avrebbe rischiato di rovinarsi i capelli. Il pannello
più alto della finestra era aperto ed entrava l’odore del
glicine. Aprì delicatamente la prima pagina e si soffermò
un secondo sul
titolo, poi con il cuore in gola e la paura di essere di nuovo
interrotta, girò
la pagina.
Era
pergamena spessa e pesante, come quella dei libri molto antichi. Ormai erano
secoli che la carta era leggera e di qualità peggiore, ma più economica. L’aveva
studiato al corso di filologia: una carta di quel genere indicava che il libro
era vecchio di almeno quattrocento anni, constatò con timore reverenziale.
C’era
una cartina che occupava tutte e due le pagine, che rappresentava la terra.
Aveva già visto una mappa della grande terra emersa su cui si trovava la città,
ma mai così. Le mappe che aveva visto rappresentavano nei dettagli la città,
sulla costa ovest, e i campi esterni che le appartenevano verso sud, le miniere
un po’ più lontane, a est. Tutto il resto era indicato come un deserto.
Sfiorò
con il dito la zona di costa dove avrebbe dovuto esserci la città. Vuota.
Quella mappa risaliva a prima che le mura fossero costruite. Le avevano sempre
insegnato che la storia iniziava con la costruzione delle mura, messe lì da una
divinità benigna da cui discendeva in linea diretta il Patrono.
Prima
delle mura gli uomini erano selvaggi disorganizzati, che vivevano in
accampamenti di tende e morivano prima dei trent’anni. Senza cultura, senza
coscienza, senza morale, senza anima, che si arrabattavano per sopravvivere in
un deserto ostile.
Ma
quella mappa sembrava pensarla diversamente.
Ebbe
l’impressione che qualcuno le avesse infilato della neve nel colletto della
camicia, una scossa elettrica le fece solleticare la nuca e rizzare i capelli.
Quello era sicuramente un libro proibito. Non poteva essere una cosa
accessibile a tutti gli studenti. Erano proibite cose molto più innocue di
quella, quella era praticamente eresia. Un rumore improvviso e un lampo di luce
la fecero quasi urlare.
Un
fulmine era caduto molto vicino, sul campanile della biblioteca. Calmati… cercò di calmare la
respirazione e il tremito delle mani.
Ormai il libro l’ho visto, pensò. Tanto vale andare avanti. In realtà avrebbe dovuto fermarsi, e
fermarsi subito. Rimettere il libro dove l’aveva trovato e fingere di non
averlo mai visto. Ma la curiosità la teneva incollata alle pagine come un
magnete.
Dove
ora sorgeva la città non c’era nulla, ma più a nord
c’era una folta massa di
alberi, disegnati con un leggero tratto di china verde. Al limite sud
c’era un
puntino con una scritta: Khot. Aveva l’aria di essere una
città, anche se
infinitamente più piccola. Grande al massimo come una delle
gilde. A nord c’erano delle montagne, che spuntavano dalla
foresta. Sopra di esse erano segnati altri puntini, altri nomi.
Così come sulla
costa. Il centro della terra emersa sembrava essere un altopiano, lo
capiva
dalle linee isometriche, disegnate con inchiostro rosso. Non sembravano
esserci
alberi lì, se non vicino al fiume dove erano segnati altri due o
tre puntini,
con accanto i rispettivi nomi. Nel centro esatto c’era un
massiccio, da cui
nasceva il fiume Golyn che attraversava la Città ancora oggi.
La
costa est sembrava caratterizzata da scogliere frastagliate, altre
città, altre
zone boscose. A sud i boschi erano ancora più fitti, mentre a
nord c’erano
montagne e ghiaccio azzurrino. Si soffermò a lungo su ogni nome,
cercando di memorizzarlo. Erano suoni insoliti, che non aveva mai
sentito e che non era sicura di saper pronunciare, ma in qualche modo
cercò di ripeterli più e più volte nella sua
mente, cercando di ricordare con precisione il punto in cui li aveva
visti sulla mappa.
Il
suono della campana le fece di nuovo scorrere un fiume di panico attraverso le
gambe. Quanto tempo era rimasta a guardare la mappa? Era tardissimo, stavano
per chiudere i cancelli! Mise il libro sotto il divano un’altra volta e iniziò
a correre, stupita del fatto che anche se si sentiva le gambe fatte di gelatina,
tutto sommato erano ancora funzionanti.
Si
lanciò scivolando oltre al cancello che già si stava chiudendo, sopportando uno
sguardo di rimprovero da parte delle guardie. Ansimando fece vedere i documenti
e le due rune sull'avambraccio, e appena ricevette il via libera ricominciò a correre.
Arrivò
in camera gocciolante e stravolta. Yuri sembrava essersi preoccupata per il suo
ritardo, perché appena Emma entrò nella stanza sollevò lo sguardo dal libro che stava
leggendo e la studiò con attenzione. «Emy stai bene?»
«Benissimo.»
disse decisa. Non poteva raccontare a nessuno del libro, soprattutto a Yuri. Conoscendola,
sarebbe andata in giro canticchiando “la mia compagna di stanza ha letto un
libro proibito” senza nemmeno rendersene conto. E poi non le piaceva tanto l’idea
di metterla nei guai.
«Non
hai preso i libri.» Le fece notare con tono leggero.
«Piove.»
Disse cercando di giustificare il fiato corto e l’aria sconvolta.
«Avevo
notato anch’io.» Disse Yuri con comica mancanza di ironia, guardando fuori
dalla finestra. La loro stanza era proprio sotto un doccione, e quando pioveva
una rumorosissima cascata d’acqua scorreva proprio fuori dalla loro finestra
per andare a schiantarsi in strada tre piani più sotto. Faceva così tanto
rumore che dovevano parlare molto forte per capirsi.
«Sì,
piove.» Aggiunse Emma più decisa. «È perché piove che non ho preso i libri, si sarebbero
bagnati e sono rimasta fino a tardi perché qui non avrei potuto studiare ecco…»
Fece un respiro profondo. Aveva parlato così in fretta che le era mancato il
fiato prima di finire. «Ecco perché non ho preso i libri.»
Le
sembrò di vedere un sorriso diverso dal solito sol volto di
Yuri, quasi di
trionfo o di divertimento. Ebbe la netta sensazione che la sua compagna
sapesse qualcosa che a lei sfuggiva. Durò appena un attimo, poi
tornò allo sguardo stralunato di sempre. «Ah
– ha.» Commentò prima di rimettersi a studiare,
indifferente. Sto diventando seriamente paranoica, decise
Emma. Un rischio che si corre quando si leggono libri proibiti.
Si
sentiva gelare fino nelle ossa, e non solo perché era completamente bagnata.
«Vado
a lavarmi. Ci vediamo a cena.» Annunciò cercando di mettere assieme tutta la
compostezza e la dignità che riuscì a racimolare. Mise un asciugamano e una
divisa asciutta in un cesto e partì di corsa alla volta del bagni.
I
bagni c’erano su ognuno dei tre piani di dormitorio e la prima volta che li
aveva visti, abituata a lavarsi a secchiate con l’acqua del pozzo, aveva quasi
pianto dalla commozione.
C’erano
due grosse vasche di acqua, una fredda e una bollente. L’acqua veniva attinta
da una sorgente calda con un ingegnoso sistema di tubi, che servivano anche a
scaldare l’edificio, e poi scaricata nel fiume. Di solito li usava a notte
fonda, appena prima che svuotassero le vasche, quando era sicura di non trovare
nessuno, ma adesso aveva veramente bisogno di stare a mollo nell’acqua calda.
Fu
fortunata: nell’anticamera c’erano solo un paio di cestini contenenti le
uniformi pulite, riposte con cura sullo scaffale apposito. Sistemò anche la
sua, avendo cura di metterla in modo che lo stemma blu e arancione, simbolo di
Sianel, non fosse visibile.
Poi
si
spogliò lasciando l’uniforme bagnata di pioggia nella
cesta del bucato ed entrò
nella stanza calda e piena di vapore. Le due ragazze già
presenti
chiacchieravano in un angolo, lavandosi la schiena a vicenda. Erano del
primo
anno, due ragazze della gilda dei farmacisti. La guardarono appena.
Senza
vestiti, con il fisico minuto e il viso tondo, nessuno avrebbe mai
detto che
era già al terzo anno. A stento sembrava una del primo. Se a
questo si aggiunge il fatto che difficilmente i suoi lineamenti
restavano impressi nella memoria, contò sul vapore e
sull’assenza
della divisa per mascherare la sua identità, e si immerse in
fretta in acqua
dando le spalle alle ragazze per sicurezza.
Appoggiò
la testa sulle braccia incrociate sul bordo della vasca e chiuse gli occhi. In
pochi istanti il calore le entrò fino nelle ossa, lasciandole le membra
piacevolmente intorpidite e la mente un po’ annebbiata. L’acqua calda e il
chiacchiericcio sommesso erano riusciti a farla rilassare un pochino, anche se
aveva ancora la sensazione di avere un’ancora sul petto.
Non
riusciva a togliersi la mappa dalla mente. Poteva essere pericoloso dire a
qualcuno che l’aveva vista. Le persone venivano mandate nelle miniere e nei
campi esterni per molto meno, e le poche persone che aveva visto tornare dai
campi esterni erano ridotte a gusci vuoti, scheletri con lo sguardo fisso. Era
una pena peggiore della morte.
Come
il nonno di Anton.
Le venne
una fitta allo stomaco ricordando il suo amico. Non parlava con lui da quando aveva
iniziato la scuola, tre anni prima. Stava bene o si era messo nei guai? Le
avrebbero scritto se gli fosse successo qualcosa? Si strofinò gli angoli degli
occhi, poi tuffò la testa sott’acqua.
Le
ragazzine erano andate via ed Emma uscì dall’acqua per insaponarsi. Doveva
essere tardi. Quel giorno il tempo sembrava scorrere a velocità doppia… O forse
era lei, appesantita da tutti quei pensieri, a funzionare a velocità dimezzata.
Dopo
essersi sciacquata si avvolse nell’asciugamano e uscì.
Qualcosa
era profondamente sbagliato, se ne accorse subito, ma ci volle un attimo perché
capisse cosa non andava, e quando lo realizzò un’ondata di puro panico partì
dal centro del suo stomaco e le inondò le gambe e le braccia, dandole la
sensazione di avere un grosso sacco di farina legato ad ogni arto.
L’anticamera
era deserta. La sua uniforme era sparita. Il suo cesto era desolatamente vuoto.
Con le gambe che tremavano e una seria voglia di piangere di rabbia guardò nel
cesto della biancheria sporca. Sparita anche quella.
Doveva
uscire e tornare in stanza solo con l’asciugamano, che la copriva a stento? Ma avrebbe dovuto passare
dal ballatoio per arrivare in camera sua, l’avrebbe vista chiunque, anche i
ragazzi: a quell'ora erano tutti radunati nel chiosco. Avrebbe dato spettacolo. Magari sarebbe stata espulsa per
comportamento osceno.
Poteva
chiamare qualcuno, ma nessuno l’avrebbe aiutata: l’unico risultato sarebbe
stato radunare un folto gruppo di studenti che assistesse alla sua pubblica
umiliazione.
Aveva
l’impressione che una forza premesse da sotto la sua pelle in ogni direzione,
cercando di liberarsi. Un mostro imprigionato in uno spazio troppo stretto che
si dibatteva disperatamente cercando di uscire, a costo di farla esplodere in
minuscoli coriandoli, e lei avrebbe voluto lasciarlo fare.
Ridotta
in coriandoli avrebbe risolto la maggior parte dei suoi problemi.
Però
evidentemente la sua pelle era troppo dura per il mostro, che poteva solo
dibattersi e farla stare ancora peggio. Urlò frustrata, tirando un pugno al
muro, poi sibilò fra i denti un rosaio di imprecazioni fra le migliori di
Sianel, massaggiandosi le nocche ammaccate. Non era servito a nulla.
Se invece di tirare un pugno al muro l’avessi
tirato a Rebecca, come ti avevo suggerito, sicuramente ti avrebbe fatto stare
meglio e a quest'ora non saresti qui.
No, a quest'ora sarei in una cassa da morto nel forno crematorio.
Si
accucciò in un angolo della sala, le ginocchia strette al petto, rassegnata ad
aspettare che arrivassero le donne che avrebbero dovuto svuotare la vasca, a
notte fonda. Intanto il mostro ancora si dibatteva, facendole male.
«Emy
sei ancora qui?» Emma sollevò la testa con il sollievo che la invadeva come
un’onda bollente, più calda dell’acqua del bagno. Saltò subito in piedi
cercando di apparire calma e padrona della situazione, per non perdere del
tutto quella poca dignità che le era rimasta, ma la voce le tremava.
«Mi
hanno rubato la divisa mentre facevo il bagno, non sapevo come uscire e…» Si
interruppe prima che la sua voce cedesse un po’ troppo, e scrollò le spalle con una
nonchalance perfettamente simulata. O almeno era quello che sperava. «E niente, stavo aspettando che arrivassero le inservienti a
svuotare la vasca.»
Yuri
la abbracciò affettuosamente, senza preavviso e senza darle il tempo di capire
cosa stesse succedendo e di scansarsi. Nonostante quell’abbraccio fosse stato
decisamente non richiesto, Emma sentì il nodo della tensione accumulata in
quelle settimane sciogliersi dentro di il petto e si trovò pericolosamente
vicina alle lacrime.
Si
tirò indietro bruscamente, tirando su col naso e cercando di riprendere il
controllo. Coglierla di sorpresa a quel modo era quantomeno scorretto.
«Va
tutto bene, te ne vado a prendere una subito.» La rassicurò con fare materno
dandole dei colpetti sulla spalla e lasciandola ancora più basita.
Yuri
sparì di corsa e tornò un minuto dopo, dandole appena il tempo di ricomporsi.
«Mi
sono preoccupata non vedendoti arrivare per cena. Magari se corriamo facciamo
ancora in tempo.» Spiegò mentre Emma si rivestiva con la divisa invernale. Era
un po’ troppo pesante, di lana spessa, ma quelle primaverili erano sparite
chissà dove. Con un po’ di fortuna le avrebbe ritrovate in lavanderia.
«Non
ho fame… sono troppo stanca.» Yuri sgranò gli occhi. Poi si avvicinò e le posò
una mano fresca sulla fronte. Emma si ritrasse. Cos’era, la giornata cittadina
del contatto fisico indesiderato? «Non ho la febbre.»
«Oh…
allora hai mal di stomaco?»
«Non
ho nemmeno mal di stomaco!» Emma cominciava ad essere un po’ offesa. «Non posso
non avere appetito senza essere malata?» Dallo sguardo di Yuri, che la
osservava come se dovesse manifestare da un momento all’altro i primi segni di
una malattia mortale, era evidente che la pensava proprio così.
«Tranquilla, sto bene. Sono solo stanca. Sbrighiamoci con la corvè così posso andare a letto.»
Oheyyy!!! Che dire? In questo capitolo viene fuori qualche lato in più di Emma. A suo modo piuttosto fifona, ma troppo curiosa per farsi fermare dalla paura. Cosa che ammiro, visto che in una situazione del genere, onestamente, proverei profondo disinteresse per qualsiasi cosa potesse mettere in pericolo la mia vita. E nonostante sia una tosta che sopporta stoicamente qualsiasi maltrattamento (in fondo lo sapeva che l'accademia sarebbe stata così) ha anche lei un punto di rottura in cui diventa quasi umana. Certo non era una situazione senza via d'uscita la sua, prima o poi qualcuno sarebbe arrivata ad aiutarla in ogni caso, ma è stato uno scherzo abbastanza antipatico secondo me. Per fortuna che c'è Yuri, più presente di quello che sembra.
Certo che, un abbraccio così a sorpresa... che cosa sleale! tsk!
Grazie mille a chi ha letto fin qui, recensendo o leggendo in silenzio! Le opinioni, positive o negative che siano, fanno sempre piacere, ma anche vedere che ci sono tante visualizzazioni mi fa felice ^^
Alla prossima! 羽毛