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Autore: Carlos Olivera    10/08/2014    1 recensioni
In un mondo, Celestis, in cui coesistono scienza e stregoneria, e in una città, Kyrador, in cui tutto poggia su di un delicato equilibrio di prosperità, degrado, omertà e opulenza, due organizzazioni si impegnano a garantire il mantenimento della pace e dell'ordine nel nome dell'umanità.
Da una parte, il Magic Administration Bureau (MAB), una forza di sicurezza intergovernativa il cui scopo è tutelare e garantire il corretto utilizzo della magia, dall'altra il suo braccio armato, il Tactical Magician Division (TMD), incaricato di costrastare quanto di più aberrante ed oscuro la magia stessa sia in grado di generare.
La comparsa di una nuova droga, la Lilith, e il ritorno di un'ombra oscura proveniente dal passato, minacceranno all'improvviso di rompere l'equilibrio; e allora, per la giovane cadetta MAB Carmy O'Neill e per i due agenti TMD Julian Vyce e Jake Aulas, verrà il momento di scoprire i molti segreti e gli intricati meccanismi nascosti negli angoli più oscuri della Città delle Nebbie
Genere: Avventura, Fantasy, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tales Of Celestis'
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All’arrivo dei soccorsi fu fatta una prima conta dei danni; in tutto si contarono cinque morti e dodici feriti, inclusi gli agenti di sicurezza del campus e le varie forze dell’ordine intervenute per contrastare l’EDA.

A conti fatti era un bilancio decisamente modesto, rispetto al potenziale di vittime che avrebbe potuto esserci qualora la manovra di contenimento non fosse avvenuta in tempi così rapidi.

Tra i feriti, Alexia era sicuramente uno dei più seri, tanto che i paramedici si affrettarono a caricarla, ancora incosciente, a bordo della prima ambulanza disponibile, che partì a sirene spiegate diretta al più vicino ospedale; secondo una prima diagnosi non era in pericolo di vita, ma occorrevano esami approfonditi per capire la vera entità delle numerose ferite interne che il combattimento le aveva lasciato.

Anche Cane e Lucas erano un po’ ammaccati, con i postumi di uno stress da affaticamento per il primo e una lussazione per il secondo che avrebbe richiesto quasi sicuramente un’ingessatura.

Carmy a paragone se l’era cavata con poco, giusto qualche graffio, ma era niente in confronto alla ferita che i suoi colleghi sapevano essersi aperta nel suo animo.

Mentre i paramedici finivano di medicarla, sedeva in silenzio, gli occhi nel vuoto e l’espressione spenta, tanto che il delegato di polizia incaricato di redigere il rapporto aveva rinunciato sul nascere a prendere la sua deposizione.

Non sapeva se sentirsi sollevata per l’incredibile combinazione di eventi che le aveva evitato di finire sotto quel telone che come una collinetta artificiale si innalzava ora nel mezzo del cortile, o rattristata e piena di vergogna per ciò che la sua fortuna aveva invece comportato.

Sarebbe potuto capitare a lei; anzi, era destino dovesse capitare a lei. Ma quello stesso destino aveva deciso altrimenti, e pur senza volerlo era stata un'altra persona a prendere il suo posto in quella specie di perversa prova sul campo che qualcuno aveva voluto organizzare.

Perché questo era stato: un esperimento.

Ma più di ogni altra cosa, si vergognava della sua incapacità. Vedere tutte quelle persone ferite, tutti quei morti, e ripensare a ciò che non era stata in grado di fare nel mezzo della battaglia, aumentava il suo senso di impotenza, facendola sentire ancora più in colpa per ciò che era accaduto.

Ma più di ogni cosa, ripensava a Noce. L’aveva visto trasformarsi in quel mostro davanti ai suoi occhi, e nel suo sguardo aveva letto la paura, unita ad una disperata richiesta di aiuto lanciata nell’ultimo momento di lucidità cui lei non era stata in grado di rispondere.

Cane, che dei tre colleghi era sicuramente quello messo meglio, le si avvicinò, ma per lungo tempo i due non riuscirono a scambiarsi neanche una sillaba, lui perché non riusciva a trovare le parole giuste lei perché troppo presa nei suoi pensieri.

«Stai bene?» si risolse infine a domandare Cane

«Il Capitano?» chiese invece lei dopo un interminabile silenzio

«Tranquilla, non morirà per così poco» ma subito dopo l’uomo si rifece serio. «Comunque io parlavo di te.»

E allora, di nuovo, Carmy tacque.

«Non se lo meritava.» mormorò con gli occhi lucidi

«Nessuno si merita una sorte simile. Sono cose che succedono.»

«Qui non c’entra il caso. È stato voluto. Lo hanno volutamente trasformato in quella… quella cosa. Anzi, volevano farlo con me! Se non fosse stato per lui, io ora…»

Poi, nei suoi occhi apparve la rassegnazione, unita ad una punta di sarcastica autocommiserazione.

«Avevi ragione tu. La Kyrador in cui io credevo in realtà non esiste.

Non è mai esistita» e guardò verso gli agenti in tuta protettiva che iniziavano l’opera di dissezione del mostro per poterlo portare via. «Quella. Quella è la vera Kyrador.»

Cane non riuscì a dire niente; forse perché, fin dall’inizio, anche lui l’aveva pensata allo stesso modo.

 

Se non fosse stato per la piega drammatica che avevano preso gli eventi, Fittzwater sarebbe entrato negli uffici della Polizia Militare gongolando per l’ottima prova di battaglia mostrata dalle sue nuovissime unità, ma in quel momento la resa persino superiore alle attese dei Vormund contro un’EDA si classe elevata era l’ultima delle sue preoccupazioni.

Owens schiumava di rabbia, e malgrado la porta dell’ufficio fosse chiusa gli urlacci che i due presero a scambiarsi quasi subito furono tali da catturare l’attenzione di tutti i presenti.

La situazione era precipitata, e in un certo senso lo sapevano entrambi; certo, nessuno dei due si aspettava che le cose potessero precipitare fino a quel punto. Ciò che li divideva era la decisione circa la prossima mossa da seguire, che secondo Owens poteva essere una sola.

«Fino a che si trattava di una questione di droga era un conto, ma qui siamo di fronte ad un attentato terroristico in piena regola!»

«E secondo te quell’imbecille di Timur avrebbe i mezzi e la sagacia per mettere in piedi una cosa del genere? Sono sicuro quanto te che si è trattato di un attentato, ma scommetto quello che vuoi che non è stata un’idea sua!»

«Di chi sia stata non mi importa! E non importa neanche ai piani alti! Dopo quello che è successo, mi sorprende che non siano già venuti qui a rilevare tutto il materiale raccolto finora e a prendere il controllo dell’indagine.

E comunque vada, la mia squadra stava quasi per restarci secca! Quindi, per quel che mi riguarda, non intendo aspettare un minuto di più!»

«Aspetta, ti prego» tentò disperatamente Fittzwater quando l’amico aveva già le mani sulla tastiera del telefono. «In questo modo manderai all’aria mesi di indagini. Non te ne importa niente? Tutti quei laboratori di cui non sappiamo ancora nulla…»

«Si fottano i laboratori» ringhiò Owens a denti stretti. «Fino a quando mi sarà possibile, intendo fare a modo mio, e non intendo perdere altro tempo.»

Quindi il Direttore guardò dritto negl’occhi Fittzwater, fulminandolo.

«Da questo momento l’indagine passa sotto il controllo della Sezione Speciale dell’Agenzia, e quelli non sono abituati come me e te alle finezze estetiche. Tutto quello che possiamo fare è cercare di prendere Timur vivo prima che lo facciano loro, o Lilith a parte questa indagine finirà dritta nel cesso. Quindi, ti consiglio di preparare i tuoi uomini. Più posti assalteremo nello stesso momento, più possibilità abbiamo di sradicare quanti più rami della setta possibili» e come il centralino di controllo attivò la linea, ordinò perentorio. «Chiamatemi il TMD!»

Fittzwater guardò un’ultima volta il suo vecchio amico, supplicandolo con lo sguardo di fermarsi, ma di fronte ad una seconda occhiata perentoria poté solo andarsene sbattendo con forza la porta fin quasi a buttarla giù.

 

Due minuti dopo, nella caserma dei reparti speciali, l’allarme d’intervento scaraventò la squadra di Jake dalla sala da pranzo direttamente a bordo della camionetta d’intervento che già li aspettava per partire.

«Qual è l’incarico?» domandò Ruch

«Una cattura» replicò scherzosamente Madison leggendo le direttive arrivate sul suo comunicatore. «C’è una Chiesa di Ela da ripulire all’Ottavo Distretto. Abbiamo l’ordine di recuperarne il capo.»

«E ci chiamano per una scemenza simile?» protestò Dylan

«Pare che sia collegato con quello che è successo ieri all’università.

Gli ordini sono di mettere in sicurezza l’edificio in cui si trova il bersaglio e arrestare quante più persone possibili. L’arresto del capo di quegli esaltati, Plivis Emeraude, è classificato come priorità uno. In altre parole, qualunque cosa accada, dobbiamo prenderlo vivo.»

«Per quale motivo un piccolo prelato dovrebbe essere così importante?» chiese Jake

«Queste non sono cose che ci riguardano. In ogni caso si tratta di una operazione congiunta con la polizia cittadina, pertanto la sincronia d’intervento sarà fondamentale.

Il bersaglio si trova in un edificio residenziale a Ladner, nella zona di Hestrid Point. La Polizia Militare ci ha fornito tutte le mappe, le informazioni e le planimetrie di cui avremo bisogno.»

Rapidamente vennero assegnati gli incarichi e fu illustrato il piano d’attacco: Madison, Ruth e Shiffon avrebbero creato un diversivo e attirato l’attenzione delle guardie, mentre Dylan e Jake avrebbero raggiunto velocemente il retro della villa facendo irruzione e catturando il bersaglio prima che questi potesse avere il tempo necessario per poter fuggire.

«E ora forza, Bravo! Andiamo a guadagnarci la paga!»

 

Timur da parte sua, come aveva saputo dell’avvenuta riuscita del piano, ma anche del modo in cui esso era andato in parte a rotoli per l’intromissione di quel Noce che aveva sempre considerato un idiota, aveva deciso di lasciare velocemente la città e ritirarsi nella sua tenuta sul mare.

Non solo in questo modo poteva dare tempo alle acque di calmarsi, ma soprattutto la villa costituiva un’ottima postazione difensiva, dalla quale era facile accorgersi di eventuali minacce e agire di conseguenza.

Di certo però Timur e i suoi uomini non si aspettavano di doversi confrontare con una squadra TMD, contro la quale i sistemi d’allarmi e le armi di piccolo calibro che la scorta del prelato aveva con sé erano ben poca cosa.

A cento metri dalla casa, cui si accedeva per una strada stretta e tortuosa che attraversava un boschetto, la camionetta d’assalto lanciò alcune delle granate fumogene, che colpito il cortile con estrema precisione generarono una densa e fitta coltre bianca.

Protetto dal fumo il mezzo sfondò il cancello, travolgendo anche due guardie che fecero appena in tempo a spostarsi, e come le portiere posteriori si aprirono la squadra di Madison sciamò all’esterno armi in pugno aprendo subito il fuoco.

La minuscola guarnigione, formata per buona parte da ex membri dell’esercito congedati con disonore, oppose una difesa piuttosto stentata, ma prima che potessero arrendersi Jake e Dylan, passando sotto il loro naso grazie alla cortina fumogena, erano già all’interno della villa, dove tuttavia avevano trovato ad attenderli altra resistenza.

Dax, che aveva sniffato Lilith in polvere fino a poco prima, si presentò nel salone prospiciente l’ingresso con una mitraglietta per mano, l’espressione infervorata e la faccia che ancora parzialmente tinta di polvere blu sembrava quella di un demone infernale.

L’uomo oppose una resistenza quasi insensata, tanto che alla fine i due agenti furono costretti ad abbatterlo, anche se Dax aveva tanta di quella droga in corpo che nell’atto della morte questa irrigidì tutti i muscoli, tramutandolo in una statua che con le dita paralizzate sui grilletti seguitò a sparare fino all’esaurimento dei caricatori, saturando l’aria di fumo acre e devastando completamente il salone.

«Muoviamoci!» ordinò allora Jake.

Nel mentre, però, Timur se l’era già data a gambe, e sfruttando un passaggio segreto in cantina aveva imboccato la scala lunga e stretta scavata direttamente nelle viscere della scogliera che, scendendo verso il basso, lo condusse fino ad una grotta marina segreta, ben nascosta dall’esterno da una parete magica, dove un motoscafo lo attendeva per scappare.

«Avanti, metti in moto!» ordinò con gli occhi fuori dalle orbite, solo per scoprire in un secondo momento che l’autista era sparito.

Subito dopo, un rumore di passi attirò la sua attenzione, e alzati gli occhi il priore si trovò a tu per tu con una faccia famigliare.

«Che ci fai tu qui?

Ce li hai portati tu per caso? Comunque vada, sappiate che io mi chiamo fuori! Non mi avevate detto che sarebbe stato così pericoloso! Ora salgo sulla mia barca, prendo la prima aeronave per Callisto, e tanti saluti! Tenetevi i soldi e tutto il resto, io non voglio più saperne nulla!»

Poi, di colpo, la sua espressione si trasformò, facendosi atterrita e piena di terrore.

«Aspetta! Che vuoi fare? No, ti prego! No!».

 

Nel mentre, in superficie, la situazione all’interno della villa era stata pacificata, e sia Jake che Dylan si erano messi alla ricerca di Timur, senza però riuscire a trovarlo.

Non era occorso molto perché i due agenti si imbattessero invece nel passaggio segreto, lasciato imprudentemente spalancato dal priore, ma mentre lo stavano ancora percorrendo il fragore di uno sparo riempì quel cunicolo stretto e angusto con potenza assordante.

«Merda, corri!» gridò Dylan, che procedeva in testa.

Quando arrivarono alla grotta, però, era già troppo tardi; Timur giaceva sul terreno umido, un braccio parzialmente immerso nell’acqua, la tunica fradicia del sangue che usciva a fiotti da un foro nella gola; accanto a lui, una pistola ancora fumante.

«È ancora vivo!» esclamò Jake che, inginocchiatosi davanti a lui, lo vide muovere leggermente le palpebre. «Presto, aiutalo!»

Dylan fece il possibile, e fu anche ordinato di portare quanto prima sul posto l’unità medica di emergenza, ma quasi subito fu evidente che per quanti incantesimi curativi si potesse usare per quel poveretto non c’era speranza.

Con le sue ultime forze, come a voler implorare aiuto, il priore afferrò il polso di Dylan, guardandolo con i suoi occhi spalancati che, di secondo in secondo, diventavano sempre più bianchi.

«M… on… a…» mormorò, tossendo fiotti di sangue

Quindi, sfinito da un’ennesima convulsione, rantolò nuovamente sulla roccia esalando l’ultimo respiro.

Jake e Dylan si guardarono tra di loro, poi il primo, ancora scosso per le parole incomprensibili che Timur gli aveva rivolto prima di morire, prese la radio.

«Bravo Quattro» disse con un filo di voce. «Il bersaglio è morto. Obiettivo fallito. Ripeto. Il bersaglio è morto. Obiettivo fallito.»

«Bravo Quattro, ricevuto.» rispose, dopo qualche attimo, la voce di Madison

 

Alexia si risvegliò solo quattro giorni dopo i fatti dell’università, ritrovandosi con sua stessa sorpresa ancora viva e distesa su di un letto dell’ospedale di St. John.

Ad assistere al suo risveglio, il Direttore Owens, che vedendola aprire gli occhi cercò di nascondere dietro ad un sincero sorriso di sollievo il suo reale stato d’animo.

«Ehi, finalmente. Era ora che ti svegliassi. Lo sai quanto mi hai fatto stare in pensiero?»

«Direttore!?»

Nel momento del risveglio, e nonostante i sedativi, Alexia aveva sentito un gran dolore in tutto il corpo, ma quando cercò istintivamente di alzarsi una tremenda fitta le fece quasi scoppiare lo sterno, per non parlare della spalla destra che sembrò quasi volersi staccare.

«Calma, calma» le disse il Direttore aiutandola a rimettersi distesa. «Forse non te ne rendi conto, ma hai quattro costole fratturate, una spalla incrinata, il polso destro spezzato, e se fossi nata trecento anni fa a quest’ora non avresti più né milza né pancreas.

Tutto questo senza contare l’esaurimento magico che ha richiesto una procedura di emergenza per non farti perdere le tue capacità di maga.

In altre parole, nonostante tutto, sei ridotta piuttosto male.

Ma consolati. Si tratta di cose pienamente superabili. Qualche mese di riposo, e sarai di nuovo in piena forma.»

Alexia, appena fu in grado di farlo, chiese notizie della missione e dei suoi risvolti, e già dall’espressione che Owen assunse alla sua domanda la giovane donna si rese conto che molte cose non dovevano essere andate per il verso giusto.

«Timur è morto» disse mestamente il Direttore al termine del suo racconto. «Dalle prime informazioni sembra si sia suicidato. Abbiamo smantellato il laboratorio principale, alcuni di quelli minori, e tutte le attività secondarie disseminate per la città.

Di certo è un brutto colpo per il mercato della Lilith qui a Kyrador, ma sono pronto a scommettere che quelli delle altre città ne hanno risentito solo in parte.

Timur dopotutto non aveva contatti né affiliati a Eldkin o a Midgral, e stando ai miei colleghi pare che lì la droga stia circolando tuttora in gran quantità.»

E purtroppo, le brutte notizie non erano finite.

«Il corpo dell’EDA è stato analizzato da cima a fondo.

C’era abbastanza droga in quel braccialetto infernale per generare una decina di EDA, figuriamoci se iniettata in una sola persona. Che siamo di fronte ad una Lilith diversa da quella fino ad ora conosciuta è fuori di dubbio, il problema è che non ne abbiamo trovato traccia. Questa nuova droga viene assorbita dall’organismo molto in fretta, ed è infinitamente più letale.»

«Signore» mormorò Alexia attraverso la maschera per l’ossigeno. «Sappiamo bene che Timur non può aver creato una cosa del genere da solo.»

«Ne sono consapevole» rispose Owens nascondendo per un attimo il volto tra le mani. «Sfortunatamente, Capitano, è una questione che non ci riguarda più.»

«Che significa?»

«Il caso da ieri è ufficialmente di competenza dell’unità Indagini Speciali. La Polizia Militare continuerà a gestire l’indagine relativa al traffico di droga, ma tutto il resto passa nelle mani del Consiglio di Sicurezza.»

Affranta, Alexia girò la testa dall’altra parte, osservando mestamente la città che andava tingendosi del rosso del tramonto.

«Mi dispiace» riuscì solo a balbettare Owens, che subito dopo però cercò di risollevare sia il proprio morale che quello della giovane sottoposta. «Comunque, per ora, non ci pensiamo tu. Tu pensa solo a rimetterti in sesto.

E a questo proposito, credo che fuori ci sia qualcuno che vuole vederti.»

Detto questo Owens uscì lasciando la porta aperta, e da questa dopo qualche secondo entrò, l’espressione quasi sconvolta ed il fiato accorciato sia da una breve corsa che da un’ansia crescente, una persona che Alexia negli ultimi tempi aveva visto molto poco, ma di cui aveva sempre rimpianto quello sguardo così amorevole ed affettuoso, celato dietro ad una sottile parete di freddo autocontrollo.

«Ciao, mamma.»

 

«L’avevo detto fin dall’inizio che non avremmo dovuto fidarci di quel tipo!» sbottò Tristano tirando pugni sul tavolo. «Per poco non ci ha fatti scoprire!»

«Imprevisti a parte,» commentò Percival. «Direi che la prova è stata piuttosto buona. Secondo i nostri informatori nella polizia, le analisi autoptiche condotte sull’EDA generato dalla nuova Lilith non sono riuscite a rilevare né la composizione né la natura effettiva di questa droga.»

«In altre parole,» intervenne Gareth. «Non ci sarà modo per la MAB di distinguere in futuro gli attacchi compiuti da noi dagli incidenti occasionali.

Direi che questa è decisamente una buona notizia.»

«Lo è altrettanto che Timur sia morto» disse Valerian. «Se fosse rimasto in vita, conoscendolo, anche nel caso in cui fosse riuscito a sfuggire al TMD sarebbe stato capace di vendersi in cambio di qualche privilegio.

Per fortuna lo abbiamo trovato noi prima dei cani della MAB.»

Il giovane erede dei Delaroche rivolse quindi uno sguardo carico di ringraziamento verso Owain, che sedeva al suo solito divanetto con fare apparentemente distaccato; da qualche giorno aveva iniziato ad intagliare un vecchio pezzo di legno ritrovato casualmente in soffitta, e dopo molto lavoro cominciava ad intravedersi un volto di donna emergere dalla superficie annerita e graffiata dagli anni.

«Noi tutti abbiamo un grande debito nei tuoi confronti. Senza il tuo aiuto, la situazione avrebbe potuto assumere contorni drammatici.

Hai tutta la nostra gratitudine.»

«Doveva essere fatto, prima o poi. Quelli come Timur non possono essere lasciati vivi a lungo.»

«Ammetto che in qualche occasione ho dubitato della tua fedeltà. Ma ora, non succederà più.

Hai la mia parola.»

«Mi fa piacere sentirlo.»

I loro sguardi si incrociarono, in un muto scambio di idee e sentimenti, quindi Valerian tornò a concentrarsi sulla riunione.

«L’unico problema, è che il meccanismo di incenerimento del bracciale non ha funzionato.» disse Lancillotto

«Probabilmente si è trattato di un guasto inaspettato» minimizzò Gareth. «Stiamo parlando pur sempre di un prototipo.»

«Ci hanno assicurato che i prossimi modelli saranno più efficaci» disse Valerian. «Da questo momento, inizia la seconda fase del nostro progetto. Per minimizzare il dispendio di risorse, concentreremo i nostri sforzi su Kyrador. I proventi della mia famiglia e quelli derivati dai nostri introiti sullo spaccio della Lilith nelle altre regioni ci forniranno la disponibilità economica per portare avanti la nostra campagna.

Gli ordini sono di mantenere alta la tensione il più possibile, ma senza esagerare. Prima di passare alla fase tre, dobbiamo dare il tempo ai ricercatori di mettere a punto Ragnarock. Ma più caldi saranno gli animi al momento di sferrare il nostro attacco, maggiori saranno le possibilità che esso sia coronato da successo.»

Detto questo, l’erede dei Delaroche ed i suoi compagni presero ognuno uno dei dodici calici d’argento disposti in circolo al centro del tavolo, piccoli capolavori d’artigianato amalteco intagliati e lavorati a formare eleganti altorilievi; la cosa curiosa era che, a parte le decorazioni floreali e la forma della coppa rievocante i petali spalancati di u giglio, ogni calice aveva raffigurato il mezzobusto di un cavaliere in armatura, ognuno diverso da tutti gli altri.

Il primo capo di Avalon, Auguste Delaroche, aveva fatto creare quei calici per i suoi più fidati consiglieri ed amici, ed era stato nel momento in cui Valerian li aveva casualmente trovati, sotterrati nel vecchio orto della villa, che dentro di lui era nata la convinzione di dover proseguire nel sentiero tracciato da suo padre per costruire un mondo nuovo.

Anche Owain raccolse il proprio calice, che fu lo stesso Valerian a porgergli di fronte alla sua apparente esitazione, e come tutti i recipienti furono pieni fino all’orlo di ottimo vino ognuno dei presenti si incise leggermente l’indice destro, lasciando cadere una goccia del proprio sangue nella bevanda, tingendola lievemente di un rosso un po’ più acceso.

«Ora e sempre.» proclamò Valerian alzando il Calice del Re

La parola d’ordine dei loro predecessori; ora Avalon, almeno per loro, era tornata in vita.

«Ora e sempre.» risposero in coro i suoi compagni

 

Carmy, per quanto ci provasse, non riusciva a smettere di pensare a Noce, e le notizie giunte dall’ospedale circa le condizioni di salute del Capitano le avevano ulteriormente affossato il morale.

Era talmente distratta e persa nei suoi pensieri da non essere ancora riuscita, a distanza di quattro giorni, a finire di stendere il suo rapporto finale sulla missione, e dal momento che il termine ultimo per consegnarlo era ormai prossimo a scadere si era vista costretta e restare oltre il termine del turno.

Uno dopo l’altro tutti se n’erano andati, e ormai nell’ufficio restava solo lei, avvolta da un buio quasi assoluto a malapena rischiato dalla luce della lampada da scrivania e da quella della finestra virtuale del computer.

Ma anche così, non le riusciva di lavorare; continuava a rileggere le poche righe che aveva scritto, spesso digitando senza volerlo la stessa frase più volte o cancellando intere sezioni dopo essersi resa conto, ad una prima lettura, di quanto fossero ortograficamente e grammaticalmente inaccettabile per una persona adulta e vaccinata come lei.

L’espressione spaventata e sconvolta di Noce era ancora davanti a lei. La vedeva ovunque, nei manifesti pubblicitari come sulle riviste, navigando in rete o semplicemente chiudendo gli occhi, inoltre aveva dormito molto poco, tanto che persino una ragazza paziente come Julienne alla fine aveva sbottato.

Della Carmy O’Neill che quattro mesi prima aveva messo piede per la prima volta in quell’ufficio sembrava non esserci più traccia, schiacciata dal peso di una realtà che non avrebbe mai voluto vedere.

Che ne era stato di quel sogno chiamato Kyrador, si domandava? Possibile che fosse marcito fino a tal punto?

All’improvviso, uno scalpiccio spedito e pesante risuonò nel silenzio tutto attorno, e Cane si palesò all’interno del box con aria contrariata e risoluta.

«Cane, non eri andato a casa?» domandò Carmy tornando in sé

«Vieni con me.»

«Aspetta, cosa…» ma prima che la ragazza potesse aprire bocca un’altra volta l’agente l’aveva già presa per un braccio, portandola quasi a forza al più vicino ascensore.

Mentre salivano verso l’alto Cane seguitò a mantenere uno sguardo freddo ed un atteggiamento ostile, tanto che Carmy non ebbe più il coraggio di domandare nulla, restando a sua volta ferma ed in silenzio a leggere i numeri sul display che aumentavano sempre di più.

Le porte si riaprirono al sessantesimo piano, l’ultimo, su di un piccolo corridoio al termine del quale i due incontrarono una stretta scala a chiocciola.

«Avanti, sali.»

Carmy obbedì, troppo confusa e spaventata per chiedere informazioni, e con Cane che la tallonava un gradino più indietro percorse verso l’alto tutta la scala fino a raggiungere una piccola porta chiusa a chiave, con un cartello di divieto vecchio e sbiadito lasciato a pendere da una catenella piena di ruggine.

Fattosi avanti, e senza apparente esitazione, Cane fece scattare la serratura, e come spalancò l’uscio verso l’esterno una ventata d’aria fredda colpì la faccia di Carmy, sulla quale si accese come d’incanto un’espressione carica di meraviglia.

Kyrador, la Città dei Nove Distretti, risplendeva sotto i suoi piedi.

Milioni di luci di palazzi, lampioni, schermi e quant’altro formavano uno scintillante mosaico in continua mutazione, che diventando sempre più luminoso man mano che ci si avvicinava al centro si protendeva ad ovest fin sul bordo del male, disperdendosi invece fin oltre l’orizzonte in tutte le altre direzioni.

Da lassù, dalla torre panoramica della sede della polizia militare, si poteva vedere tutto, dai bagliori intermittenti delle navi che andavano e venivano dalle darsene a nord al traffico di luci in continuo movimento delle principali arterie stradali, sia a livello del suolo che sopraelevate.

Sulla collina più alta, il palazzo presidenziale, e poco distante la colonna bianchissima della Marble Tower che scintillava come una stella. Un po’ discostate dal centro, le fronde degli alberi di Luminous Park spezzavano un momento la linea dei palazzi, dando però un tocco di gentile raffinatezza che accresceva il colpo d’occhio invece che penalizzarlo.

Rainbow Bridge, malgrado ciò che era diventata Harris Island, conservava intatto tutto il suo splendore, rassomigliando con i suoi imponenti tralicci e i cavi a spirale alle canne possenti di un gigantesco organo. E alle sue spalle, avvolta nel buio dell’oceano, appena visibile sul bordo dell’orizzonte, scintillava una piccola luce, simile ad un faro.

Dovette passare parecchio tempo prima che Carmy riuscisse a riprendersi, tanto quello spettacolo, che mai aveva immaginato potesse apparire dal tetto del posto in cui lavorava, l’aveva lasciata senza parole, la bocca spalancata e gli occhi che scintillavano come quelli di una bambina.

«Questa è Kyrador.» disse Cane distendendo il volto e calmando la voce.

Un rumore giunse alle loro spalle, e Carmy, voltatasi, vide Lucas sbucare a sua volta sulla terrazza con tre seggiole pieghevoli in una mano e una rete di birre fresche di congelatore nell’altra, queste ultime sollevate in alto come un trofeo.

Così, quella serata si concluse come la ragazza non si sarebbe mai immaginata, seduta a pochi passi dal bordo con una lattina ghiacciata tra le mani e lo spettacolo impagabile della città illuminata sotto i piedi.

Eppure, dapprincipio, neanche questo, inclusa la vicinanza di quei colleghi che tanto dovevano averla cuore, parve bastare in un primo tempo per scuoterla dal suo tormento.

«Tutti ci siamo passati prima o dopo» disse d’un tratto Cane posando la sua birra e ritraendo i piedi comodamente poggiati sul parapetto. «Io. Il Capitano. Forse anche il Direttore. Persino il nerd qui presente.»

«Grazie tante.» protestò l’interessato

«Quello che voglio dire, Carmy, è che tutti in un primo momento siamo cresciuti con la convinzione che il nostro mondo fosse scintillante, pacifico, forse addirittura perfetto.

È una cosa a cui tutti si sforzano di credere, anche qui a Kyrador. Anzi, forse addirittura più qui che in qualunque altra parte del globo.»

Un piccolo cristallo di ghiaccio scivolò lentamente lungo la superficie levigata della lattina, seguito da Cane con sguardo come pensieroso.

«Questa città, in fin dei conti, è un po’ come un cristallo. Può assumere diverse forme, e apparire in vari modi, a seconda del punto di vista da cui lo si osserva e da come la luce lo colpisce.

La maggior parte degli abitanti si sforza di guardare solo quello che più li appaga, e distoglie lo sguardo quando ciò che vedono non gli piace più.

Ma chi fa un lavoro come il nostro è obbligato a guardare ogni singola sfaccettatura, bella o brutta che sia. Ed è allora, quando il miraggio di perfezione svanisce, che la vera Kyrador, il vero Celestis, emergono per quello che sono.»

Carmy sobbalzò, stringendo senza volerlo un po’ più forte la sua lattina.

«In fin dei conti però, non è così male» commentò Lucas. «Più una cosa è diversa, più è bella. C’è più gusto a scoprirla. E poi, bene e male sono concetti imprescindibili, oltre che relativi. In quanto agenti di polizia, ma soprattutto membri della MAB, il nostro compito è far sì che l’equilibrio su cui poggia la nostra società non venga danneggiato.»

«E questo equilibrio,» concluse Cane. «Poggia inevitabilmente sul rapporto tra il lato luminoso e quello oscuro, a Kyrador come in tutto Celestis.»

«Quindi,» mormorò Carmy a capo chino. «Sarà sempre così?»

Cane rispose con un’alzata di spalle.

«L’utopia semplicemente non può esistere. Sarebbe la negazione della natura umana. La gente lì fuori vuole credere che Celestis sia una realtà superiore, ma in verità probabilmente non è tanto diverso dal mondo che i nostri antenati lasciarono centinaia di anni fa.»

Sospirando l’agente si portò la lattina alla bocca, lasciandosi cullare dal piacere della birra fredda che scendeva nella gola.

«D’altra parte però, se la sai osservare, questa città è anche bellissima. In fin dei conti, a ben pensarci, forse è davvero quanto di più vicino all’utopia potresti trovare in questo mondo. Dopotutto, i nostri avi l’hanno costruita perché fosse il simbolo ultimo della civiltà che volevano costruire, e che volevano con tutte le loro forze rendere perfetta.

Quindi, forse, un briciolo di perfezione Kyrador ce l’ha, nascosto tra la nebbia che quotidianamente la nasconde e la soffoca.»

Carmy guardava ora in alto ora in basso, mentre il cuore le batteva forte.

«Non è stata la prima volta, e non sarà l’ultima» concluse Cane riassumendo un tono un po’ più serio. «Ma se saprai convincerti che c’è una Kyrador migliore rispetto a quella che talvolta ti troverai costretta a guardare negl’occhi, allora troverai la forza per andare avanti. Altrimenti, te lo garantisco, questa città ti stritolerà nei suoi tentacoli fino a soffocarti.

Accetta le sue regole, sottomettiti al suo corso, e saprà darti abbastanza gioie da compensare in parte i dolori che ti metterà di fronte.

È così che si va avanti. È così che si sopravvive a questo Regno di Cristallo.»

Da un momento all’altro, fu come se un velo nero si fosse immediatamente dissolto dinnanzi agli occhi e nell’animo di Carmy, alleggerendo il suo cuore e lasciando dietro di sé solo un fastidioso, ma in qualche modo inevitabile, senso di consapevolezza.

Cane aveva ragione; come tutti, si era sforzata di credere che il suo fosse un mondo fantastico, e Kyrador il miraggio di perfezione tanto osannato e decantato da poeti, cantanti e politici dalla dialettica suadente.

Forse, in cuor suo, voleva sforzarsi di crederci ancora, ma non poteva né doveva chiudere gli occhi dinnanzi ai suoi lati più oscuri e controversi.

Si alzò dal seggiolino, lasciandosi ammaliare una volta di più dal turbinio di suoni, luci e odori che giungevano da sotto i suoi piedi; forse Kyrador era davvero una Città delle Nebbie, un luogo in cui tutto era il contrario di tutto, in cui le passioni e i turbinii dell’essere umano assumevano le forme di scintillanti palazzi, ampi viali, vaste strade e grandi parchi, e dove ogni cosa esisteva in funzione del suo opposto. Ma, allo stesso tempo, come diceva Cane, era anche un Regno di Cristallo, fragile e magnifico allo stesso tempo, capace di diffondere una luce divina e allo stesso tempo riflettere al suo interno i lati più ambigui ed oscuri della società.

Trovare l’equilibrio.

Era questo il segreto.

Ma nel suo caso l’importante non era solo trovarlo; era preservarlo.

Lei era un agente di polizia. Un membro della MAB. Quella città, quel mondo, erano tutto ciò che era chiamata a tutelare.

Tutto per non lasciar spegnere quella luce, quel frammento di perfezione che giaceva da qualche parte nel cuore della più grande e splendente città di Celestis.

«Avete ragione» disse con uno strano, liberatorio sorriso. «Questa è Kyrador.»

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

E così, eccoci arrivati alla fine di questa prima parte!

Molti enigmi sono stati sciolti, altrettanti attendono ancora una soluzione, e in quel piccolo mondo di nome Celestis si vanno delineando scenari sempre più ambigui ed inquietanti.

E ora cosa accadrà?

Quali sono i piani di Avalon? Sono davvero loro il vero nemico, o c’è qualcuno che agisce alle loro spalle?

Cos’altro attende Kyrador e il resto del mondo?

Lo scoprirete nella Seconda Parte, “La Tomba dell’Ambizione”, che inizierò a pubblicare al mio rientro dalle vacanze.

Grazie a tutti quelli che hanno letto e recensito questa storia.

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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