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Autore: FiammaBlu    11/08/2014    2 recensioni
Ho scritto questo romanzo molto tempo fa, si può dire sia stato il primo lavoro serio in cui mi sono cimentata. Ve lo propongo e spero vi divertirete anche voi a seguire i tre fratelli protagonisti della storia nelle loro avventure che li porteranno a crescere e a prendere in mano le redini della famiglia.
L'ambientazione è fantasy, inventata, ma segue le regole di D&D.
Sono 30 capitoli.
Il boia, che stava per tirare la leva della botola, si fermò guardandola. Sanie salì sulla piattaforma seguita da due soldati della Guardia Reale del Sultano. Indossava uno stupefacente abito bianco, quasi trasparente, che poco lasciava all'immaginazione. I capelli ricci e lunghi erano sciolti in una nuvola sulla schiena e indossava un paio di sandali bassi e ricamati.
Artiglio Rosso osservò ogni suo passo, la bramava e ammirava con lo sguardo e sorrideva della sua audacia. Sanie lo raggiunse, si asciugò le lacrime che scorrevano incessanti, lo fissò qualche istante, gli circondò il collo con le braccia sensuali e lo baciò profondamente.

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Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2. La Scelta


Al centro esatto del Regno, formato da venti enormi Ducati, nel mezzo della lunga catena montuosa che lo attraversa, sorge la Fortezza, il castello abitato da Re Fredrik a cui tutti i Duchi e Conti devono totale fedeltà e rispetto. E' lui che tiene le redini del Regno di Aliati ed è nella Fortezza che ogni anno si tiene una grande festa, un'occasione per fare un punto politico, economico e culturale. Nella Fortezza vi sono centinaia di stanze e sale che restano vuote per la maggior parte dell'anno fino al momento dei festeggiamenti in cui tutte le famiglie di Duchi e Conti si recano lì con i loro seguiti.

Il Ducato di Tockaha è diviso in dieci grandi Contee che devolvono denari e servizi alla famiglia Arstid, che lo governa saggiamente da ormai cinque secoli, la quale a sua volta li versa al Re.  

La Contea di Torap è amministrata dalla famiglia Hianick e vede il suo centro economico e culturale nella città omonima che è divisa in quattro Rioni: l'Orso, l'Aquila, il Leone e il Drago. A nord ovest e nord est di Torap due catene di alte colline coperte di boschi proteggono la città che è attraversata dal fiume Enfys, ampio e dalle acque basse e placide che si ricongiunge al grande fiume Harn che attraversa la città di Fir Ze nella Contea omonima dove ha sede il Castello degli Arstid. A sud di Torap la vallata si apre su pianure verdeggianti che il fiume ha reso produttive: oliveti dalle foglie d'argento ammantano come brillanti le zone alla base delle colline e frutteti dalle sfumature variopinte tingono la primavera di tenui colori pastello. Ma la vera risorsa di Torap è il tessuto. Qui si producono stoffe di mille qualità che vengono vendute in tutto il Regno, dalle sete alle lane più pregiate, dai lini ai cotoni più morbidi. Tutta la città ruota intorno a questa grande produzione, nota anche negli angoli più remoti del mondo.

Una grande biblioteca sorge nel centro della città, vicino al Palazzo Hianick, il luogo in cui vive il Conte con la sua famiglia quando non si trasferisce nella Villa estiva e dove si tengono tutte le riunioni volte a prendere decisioni e verificare e raccogliere i libri contabili e le tasse da versare annualmente al Duca.

A Torap, ogni anno, l'ottavo giorno di settembre e per tutta la settimana seguente, arrivano mercanti da tutto il Regno per vendere e comprare tessuti e questa colorata fiera attira cantori, scultori, pittori, acrobati, bardi, storici, musici, eruditi e saggi, allevatori, gioiellieri, e naturalmente ladri, cambiando completamente il volto della città dove anche i più umili possono sfoggiare il loro sapere girando per le vie della città affollata, parlando di magia, guerra e arti con i più dotti di tutto il Regno. Le famiglie si spostano in massa nei giorni di festa perché è il momento migliore per acquistare o vendere, divertirsi e ritrovare i vecchi amici.

Fabris Hianick governa saggiamente e con pugno di ferro le sue proprietà. I territori sotto il suo dominio comprendono il fiume Enfys, fertili pianure coltivate e allevamenti di cavalli. Ma indubbiamente tutto ruota intorno alla produzione dei tessuti. Lana, seta, cotone, entravano sotto forma di batuffoli nelle botteghe artigiane e ne uscivano coperte, teli, abiti, tappeti e qualsiasi cosa un telaio e l'abilità di un tessitore potessero creare.

Ogni Contea è controllata e protetta dai soldati del Re che fanno capo alle Guarnigioni, di solito situate presso la città più grande della Contea, che reclutano guerrieri che vengono addestrati a diventare Guardie Reali del Re o restano a far parte della forza militare che protegge le città. I guerrieri scelti vengono addestrati all'Accademia della Guarnigione al rigore, all'obbedienza e alla disciplina, oltre che alle arti della guerra. Nella città di Torap, la Guarnigione è situata nel Rione del Leone, un edificio in pietra, basso e robusto, che incute timore anche nei ragazzini più ribelli e disobbedienti.

Villa Hianick, dimora estiva del Conte, sorge su una collina che domina la vallata in cui è adagiata Torap. L'erba gialla e verde ondeggia dolcemente nel vento autunnale e in lontananza, verso nord, si possono vedere alte colline ammantate di boschi verde scuro. La posizione è strategica visto che domina su tutta la pianura e la forma ricorda più quella di un castello. All'interno della cinta muraria di pietre che la protegge si trovano gli edifici necessari alla tenuta degli edifici e del territorio circostante. Ad una prima occhiata potrebbe sembrare senza difese ma un esperto militare noterebbe immediatamente i parapetti, i merli, le feritoie per le frecce e le alte torri di osservazione della cinta. Per costruirla erano occorsi anni di intenso lavoro ma alla fine il risultato aveva valso gli sforzi. Splendidi marmi verdi e rosa coprono la facciata, dominata dal portone principale di legno e ferro a due ante e dall'ampia scalinata che lo precede. Sopra il portone è appeso lo stemma degli Hianick, un sole e una luna uniti da una spada, scolpito in un pezzo di nera roccia vulcanica che Fabris si fece specificatamente portare da una Contea del sud del Regno. Lo scultore fece un ottimo lavoro con la roccia vulcanica rendendola lucida e brillante e ora, appeso sul portone, spicca nettamente in contrasto con il marmo bianco della facciata. Oltre lo stemma si affacciano grandi finestre di vetro colorato che gettano nei corridoi interni una luce surreale di mille sfumature. Dall'esterno è possibile osservare la sua forma quadrata sui cui angoli si innalzano quattro maschi quadrati. Al centro della Villa sorge un giardino, quadrato anch'esso, a cielo aperto. Ma la caratteristica di Villa Hianick risiede nel favoloso Parco alle sue spalle ed è noto in tutta la Contea tale è la sua bellezza. Piante rare, animali e fontane formano quello che molti ritengono sia un giardino magico dove perfino fate e folletti desiderano dimorare. Fabris e Erika iniziarono col piantare alberi, cespugli e fiori nel retro del castello senza lontanamente immaginare che quei gesti si sarebbero intensificati fino a trasformare le aiuole di allora nel Parco lussureggiante e magnifico di adesso. Ora, con la nascita di Klod, il Parco sarebbe stato riaperto dopo anni alla gente e, dopo l'annuncio affisso per tutta la Contea, c'era già fermento. Tutti sarebbero stati invitati, dalle famiglie più nobili agli artigiani e commercianti ai lavoratori più umili. Sarti e conciatori stanno già impazzendo con gli ordini dei clienti e gioiellieri e fabbri si sono messi all'opera per creare monili di impareggiabile bellezza per le dame e spade eleganti e fini armature per gli uomini.

- Ditemi tutto - iniziò Fabris rivolto alle dodici persone davanti a lui nella grande sala da pranzo dell'ala ovest della Villa. Quell'estate, vista la vicinanza della nascita del loro terzo figlio, Fabris aveva preferito restare alla Villa anziché tornare a Torap. Celia e Kathe giocavano ai piedi del padre emettendo risa gaie e borbottii sommessi.

- Per quanto riguarda gli alloggiamenti dei parenti abbiamo già sistemato tutto. Ci sono trentacinque stanze pulite e lucide pronte a ospitare genitori, fratelli, zii e cugini - iniziò zia Amelia sedendosi comodamente su un alto scranno - Sono stati effettuati tutti i lavori di riparazione nei bagni, nelle stalle e tutti quei piccoli lavoretti che riguardano lampadari, tende, tappeti, cardini delle porte, candele e lucidatura degli oggetti. I camini sono stati ripuliti e riaccesi, le camere ventilate e profumate bruciando gli olii - fece un attimo di pausa puntando lo sguardo sul nipote che la osservava con una mano poggiata sul mento.

- Quindi per quanto riguarda il castello siamo a buon punto - affermò con voce profonda - Passiamo al resto - ingiunse spostando lo sguardo su gli altri presenti. Ognuno riportò i progressi dei lavori, partendo dalla ristrutturazione delle cinte murarie, alla pulizia dei quartieri e delle fogne, alla raccolta di cibo che avrebbe dovuto sfamare centinaia di persone per sette giorni, e, infine ai dettagli del Parco.

- Il giardino è sempre curato e quindi non ha bisogno di attenzioni particolari - iniziò Mahatma, capo dei giardinieri che si occupavano del Parco. Il colore ambrato della pelle, il taglio degli occhi leggermente obliqui e i nerissimi capelli raccolti in una treccia fino a mezza schiena indicavano chiaramente la sua provenienza dal continente sud orientale. Indossava sempre abiti del suo paese: splendidi drappi coloratissimi di seta e cotone, strane scarpe con le punte arricciate e spesso un turbante cingeva la sua testa.

- Ma ho fatto una piccola aggiunta - proseguì Mahatma - Nella parte dei salici ho sistemato alcune panche di legno per potersi sedere. E ho bordato i sentieri di lampioni in ferro battuto. Stasera potrete vedere il risultato - concluse e un sorriso astuto gli si dipinse sul volto che mostrava i segni dell’età.

- Oserei dire che ci siamo - sospirò Fabris soffermandosi su ognuno con lo sguardo - Fra tre giorni cominceranno ad arrivare gli ospiti, alloggiateli in base al loro grado di parentela, mi raccomando, non voglio una guerra proprio ora. E' aprile ma la notte è ancora fresco mantenete i camini sempre accesi -

- Bene signori, tornate al vostro lavoro - disse zia Amelia battendo energicamente le mani e rivolgendosi agli altri occupanti della sala. Si girò verso il nipote e vide la stanchezza attraversargli i lineamenti.

- Perché non vai un po' a riposarti? - suggerì la zia indicando la porta del corridoio che conduceva alle camere.

- Credo che sarà proprio quello che farò - acconsentì Fabris spingendo via lo scranno e stirandosi lentamente. Nel frattempo le bambine si erano alzate accorgendosi che non c'era più nessuno e fissarono lo sguardo sul padre.

- Andate fuori a giocare, nel giardino quadrato - suggerì Fabris e quando vide le espressioni delle figlie cambiare e aprirsi in un sorriso sincero il suo cuore sussultò. Con un vorticare di capelli biondi e di risa le due bambine imboccarono la porta a vetri della sala da pranzo che dava direttamente sul giardino. Fabris si allontanò dirigendosi verso le camere dove sua moglie e suo figlio stavano facendo il riposino pomeridiano. Nell'immaginarsi il quadretto evocato sorrise fra sé ma subito un altro pensiero invase i suoi sogni. Uno solo sarebbe stato l'ospite più importante e veniva ovviamente per la benedizione di Klod ma soprattutto per Celia: l'Alto Chierico del Monastero. Presto sua figlia avrebbe fatto i conti con la realtà che non era fatta né di giochi né di spensieratezza.


Villa Hianick era in subbuglio, gli ospiti erano arrivati e affollavano la corte all'interno delle mura. Alloggiati nel castello, oltre ai parenti di Fabris e Erika, vi erano i nobili di rango più alto, l'Alto Chierico con tre Apprendisti e il Direttore della Scuola di Magia di Fir Ze. Tutti gli altri invitati alloggiavano nei padiglioni costruiti fuori dalle mura o nelle tende colorate che punteggiavano la pianura. Il Parco era ancora chiuso ma quella sera avrebbe brillato in tutto il suo splendore.

La sera scese presto sulla casa estiva, chiassosa e piena di colori. Tutti fremevano per l'eccitazione: a momenti sarebbero cominciati i festeggiamenti con la presentazione di Klod Hianick. L'Alto Chierico avrebbe invocato la sua benedizione e poi vino a fiumi e cibo a volontà servito su tavoli posti nel grande cortile davanti alla facciata.

Squilli di tromba solcarono l'aria e ben presto la confusione si smorzò fino a un debole sussurro. Tutti gli occhi erano puntati verso il portone d'entrata dal quale sarebbe uscita la famiglia del Conte. I portali vennero aperti e Fabris e Erika con in braccio Klod varcarono la porta fra applausi e grida scroscianti. Celia e Kathe seguivano i genitori e, troppo eccitate per osservare l'etichetta, ridevano come matte. Fabris, splendido in nero e argento, portava una lunga spada al fianco, sull'elsa lo stemma di famiglia tempestato di gemme preziose. Erika indossava un magnifica tunica lunga fino ai piedi di seta dorata, i lunghi capelli castani acconciati all'insù e inframmezzati da perle e fiori. Celia e Kathe in azzurro, il colore dello stendardo degli Hianick, i biondi capelli raccolti sulla testa in morbide cascate dorate. La folla rimase in silenzio per tutto il rito della benedizione dell'Alto Chierico con cui Klod faceva ufficialmente il suo ingresso in società e veniva riconosciuto dai tre Ordini della Chiesa. Alla fine della cerimonia il sole stava già tramontando dietro le colline e i lampioni di Mahatma, usati anche fra i tavoli oltre che nel Parco, vennero accesi. Una luce calda e soffusa circondò la folla estasiata che si guardava intorno stupita e senza parole. Tutto il cortile sembrava invaso da lucciole giganti, visto che era questa la sensazione che davano le candele che brillavano negli strani contenitori di ferro e vetro che pendevano da aste incurvate sulla cima. Il profumo dolce e intenso dei fiori in pieno sboccio di primavera si mescolò a quello penetrante e aromatico dei cibi e dei vini speziati. Questo bastò alla gente per riprendersi dalla meraviglia e riportare lo sguardo sul Conte.

- Che i festeggiamenti inizino! - esclamò Fabris stringendo con un braccio moglie e figlio. Gli invitati applaudirono e urlarono la loro gioia e, dopo che gli ospiti importanti presero il loro posto e che anche la famiglia Hianick fu seduta, uno strascicare di sedie sul selciato indicò che tutti erano a tavola. Fabris ordinò che le pietanze venissero servite e concentrò tutta la sua attenzione sulla sua famiglia. Questa sera forse avrebbe perduto una figlia. Ma, dopotutto, Celia cominciava la sua vita.

La cena si protrasse fino a notte inoltrata, le pietanze si susseguirono, apparentemente infinite, sui tavoli apparecchiati sontuosamente. Carni e cacciagione accompagnati da vini e birre, sformati e patate, pane caldo e formaggi precedettero una cascata di dolci, dai mandorlati croccanti ai biscotti con le noci, agli zuccherini all'anice, alle torte di frutta, ai succulenti bocconcini di pasta dolce coperta di miele.

- Fra quanto andremo nel Parco? - chiese Kathe al padre guardandolo speranzosa, le guance sporche di marmellata.

- Fra poco, molto poco - promise Fabris emozionato come la figlia per questo evento, pulendo con un pollice la guancia.

- Caro, la gente sta aspettando, lo sai che il Parco è una specie di leggenda - fece notare Erika osservando nervosamente la folla. Quasi tutti gli sguardi andavano da Fabris al retro del castello dove sapevano si celasse il Parco.

- D'accordo - si convinse - Mel! - chiamò ad un tratto voltandosi verso la scalinata alle sue spalle. Un giovane di circa quattordici anni sedeva paziente sugli scalini. Si alzò in piedi e corse dal suo Signore.

- Avverti Mahatma che stiamo per arrivare -  disse strizzandogli l'occhio in segno d'intesa e il ragazzo schizzò via veloce come un fulmine. Fabris si alzò, la folla in attesa abbassò la voce certa dell'annuncio che stava per fare.

- Come sapete la ragione di questa festa è la nascita di mio figlio Klod - Fabris abbassò lo sguardo su sua moglie che portava in braccio il figlioletto addormentato, la folla esplose in un applauso.

- E' in suo onore che stasera ho deciso di aprire il Parco a tutti voi - se possibile, il boato crebbe d'intensità, saturando l'aria del cortile.

- Venite, dirigiamoci ai cancelli del Parco - e detto questo prese sua moglie sotto braccio e seguito dai nobili e dall'Alto Chierico si diresse verso l'ala destra del castello che portava direttamente davanti al cancello di ferro che cingeva tutto il parco. Una fila di soldati in armature lucenti formava un corridoio umano fino all'entrata del Parco dove Mahatma attendeva con pazienza. Piante enormi e rigogliose premevano contro la cancellata e le chiome gigantesche ricadevano fluenti oltre le punte di ferro della grata. Fabris giunse davanti al cancello chiuso, guardò Mahatma sorridendo.

- Aprilo - gli disse.

Lo straniero dette le spalle agli ospiti illustri stese le braccia davanti a sé, aprì i palmi delle mani con le dita verso l'alto e salmodiò una breve litania in una lingua dolce e musicale. Lentamente, sotto gli sguardi attoniti di quelli che potevano vedere, le enormi ante di ferro battuto si aprirono cigolando verso l'interno. La famiglia Hianick aveva assistito molte volte a quell'incantesimo e non rimase sconvolta come la maggior parte della gente. 'Allora è davvero un giardino magico', 'Ci saranno le fate delle favole mamma?', 'E gli unicorni? Ci saranno?', 'Si dice che nel laghetto abitino delle sirene...', 'Sì, sì è tutto vero, l'ho sentito dire anch'io!' questi e altri mille sussurri serpeggiavano fra la gente raccolta vicino all'entrata del Parco.

- Sarà meglio entrare - suggerì Erika gettando uno sguardo fugace alle sue spalle, verso i nobili ospiti e la folla radunata dietro. Fabris annuì e varcò il cancello.

Fabris e Erika avevano già visto il Parco modificato e con le luci accese ma quella sera aveva davvero qualcosa di magico. Il Viale delle Viole era uno ampio corridoio di ghiaia bianca fiancheggiato da decine di quelle lampade di ferro dietro alle quali si allargavano gli alberi. La luce soffusa creava un'atmosfera intima e dolce, il profumo delle viole che crescevano lungo il ciglio del sentiero permeava l'aria, ubriacandoti. Se per loro fu una meraviglia non fu difficile immaginarsi le reazioni degli altri. Erano un coro di meraviglia e sospiri di commozione misti al frusciare delle stoffe e dei metalli. Ben presto il sentiero si allargò in una grande radura dalla quale dipartivano molti altri sentieri, tutti illuminati. Al centro della radura, circondata da piante dalle foglie larghe e roseti in fiore, c'era una magnifica fontana nel mezzo della quale si ergeva una statua di impareggiabile bellezza. Era in marmo bianchissimo e raffigurava una donna con le braccia aperte in segno di benvenuto vestita con un unico drappo che le copriva le nudità. Ma il particolare più spettacolare era il paio di ali semi aperte che le spuntavano dalla schiena. Si aveva la sensazione che da un momento all'altro potesse prendere il volo. La folla si sparpagliò nella radura e agli occhi di tutti fu chiara la modella che aveva ispirato lo scultore: era sicuramente la moglie del Conte: Erika Lauweren.

Klod aprì gli occhi guardandosi intorno con meraviglia, osservando tutte le luci che danzavano sospese nella notte. Iniziò a sbracciarsi verso una di quelle cose portentose e lanciò un sonoro gridolino. Le persone intorno risero e si avvicinarono alla Contessa per vedere il bimbo.

- Vi prego signori, visitate liberamente il Parco. Tutti i sentieri sono illuminati e troverete ad aspettarvi bevande e dolci sparsi dovunque. Ammirate il lavoro di decine di uomini! - esclamò soddisfatto Fabris chiamando Mahatma che portava un vassoio pieno di dolci e coppe di vino speziato.

- Un uomo portentoso, questo tuo giardiniere - disse l'Alto Chierico prendendo una coppa dal vassoio.

- Sono rari i migliori - ammise Fabris. Mahatma servì anche gli altri ospiti nobili, si inchinò doverosamente e sparì fra la folla.

- Dunque Fabris, hai deciso qualcosa per le tue figlie? Sono grandi ormai - chiese il Chierico puntando gli occhi su Celia. Anche i suoi tre Messi non avevano mai smesso di osservarla. L'Alto Chierico era un uomo di oltre un metro e novanta, molto robusto e dai lunghi capelli grigio argento. Portava una barba corta e un unico anello all'anulare della mano destra con tre pietre incastonate, simbolo dei tre Ordini della Chiesa.

Celia notò quel gigante vestito con una lunga tunica nera e argento e si mise a fissarlo e quando gli occhi neri del Chierico si posarono su di lei sentì una certa familiarità sebbene non avesse mai visto quell'uomo prima d'allora. Tentò di abbassare lo sguardo ma non poteva. La bambina, anche se piccola, si rese subito conto che suo padre e l'uomo parlavano di lei e sua sorella. Sapeva che tutti lo chiamavano Alto Chierico e che aveva fatto la benedizione del fratello. Poi Kathe le tirò una manica del vestito e la tensione si infranse. Le due bambine si unirono a cugini e amici e si diressero verso la parte del Parco che più amavano: la Radura dei Giochi, dove Mahatma e Fabris avevano creato una serie di giochi in legno ben fissati per terra.

- Quando nacque mio figlio le Guaritrici mi dissero di Celia ma non ho ancora avuto il coraggio di parlarle, visto che vuole fare la guerriera, e per quanto riguarda Kathe, lei ha già deciso, andrà alla scuola di magia - ammise Fabris posando lo sguardo sulla moglie raggiante circondata da decine di dame che si complimentavano con lei.

- Forse stasera sarà la volta buona, quando terminerà questa settimana di festeggiamenti vorrei portarla via con me - rivelò l'anziano chierico ma quando vide l'espressione desolata di Fabris aggiunse - Sarebbe solo per qualche giorno -

- Sono onorato della scelta anche se non vi nascondo il mio timore per lei - rispose Fabris - Sarà meglio intrattenere gli ospiti, altrimenti mia moglie domani si farà sentire - constatò il Conte captando le occhiate in tralice che gli mandava Erika. L'Alto Chierico sorrise e, insieme ai tre Messi si apprestò a fare il giro del favoleggiato Parco. Ogni vialetto che si dipartiva dalla radura aveva all'inizio un cartello di legno con inciso a fuoco il nome del sentiero che riprendeva dai fiori che vi crescevano. Così c'era un Viale dei Gigli, uno delle Bocche di Leone, uno delle Margherite, uno dei Giaggioli, uno delle Gardenie, uno delle Ortensie, un altro ancora delle Azalee e così via. La qualità di fiori sbocciati sembrava infinita e le piante verdissime alle loro spalle indicavano una terra fertile e irrigata. Quel giardiniere straniero, un mago sicuramente anche se non potente, aveva trasformato un giardino in un angolo da sogno e se la gente credeva davvero che fate e folletti potessero abitarlo forse non era andata tanto lontano. Decine di fontane e giochi d'acqua brillavano alla luce delle candele chiuse nei lampioni e quella luce tenue mista alle intense emanazioni dei fiori inebriava i sensi. Ovunque si trovavano i paggi con vassoi sempre ricolmi e si vedevano coppie di innamorati abbracciati teneramente nei viali più piccoli, gli occhi persi in quelli dell'altro.

Svoltarono un angolo e si trovarono travolti da una marea di ragazzini sporchi e polverosi. Vedendo l'Alto Chierico tutti i bambini si raccolsero intorno a loro, vociando e gridando per attirare la sua attenzione. Improvvisamente dalle sue mani cominciarono a scivolare dolci e caramelle. I Messi, imbarazzati da tale manifestazione di gioia, osservarono il loro maestro usare la magia per far contenti dei bambini. Così operarono anche loro l'incantesimo di creazione e furono sommersi da baci, abbracci sorrisi e tirate di capelli. Nell'orda urlante c'erano anche Celia e Kathe che si sbracciavano per ottenere i dolci. L'Alto Chierico diresse i bambini verso i suoi Messi e fece un cenno a Celia. Si sedette su una panca di legno e indicò alla bambina titubante lo spazio vuoto accanto a lui. Celia lo guardò con diffidenza poi si sedette. Nella mano del Chierico comparve una caramella morbida e il volto di Celia si illuminò d'incanto. Afferrò la caramella e se la mise in bocca con avidità. L'Alto Chierico la osservò per qualche istante, sapeva già che era destinata all'Ordine, tutto stava nel farglielo capire.

- Allora, Celia, sei contenta del nuovo fratellino? - esordì dopo aver scartato altre possibili domande. La bambina annuì con vigore, la bocca ancora piena.

- In questi giorni i tuoi genitori saranno indaffarati, vorresti venire con me al Monastero per visitarlo? Dopo la settimana di festa naturalmente - aggiunse alzando le mani in segno di resa e sorridendo al meglio. Celia smise di masticare per un attimo spostando il boccone da un lato.

- Io voglio fare la guerriera - disse decisa intuendo, con l'innocenza di tutti i bambini, la trappola del chierico. L'anziano abbassò le spalle come colpito al cuore, Celia vide quel cambio di espressione e ne rimase stranamente turbata.

- Sono già stata con mio padre a vedere la Guarnigione in città dove studiano e si allenano tutti quelli che vogliono diventare guerrieri - rincarò Celia.

- La tua sarebbe solo una visita - provò ancora il Chierico - E vorrei dirti che la Chiesa è divisa in tre Ordini. Uno è costituito dai Guaritori, esperti nell'invocare l'aiuto degli dèi per operare gli incantesimi clericali più potenti. Poi ci sono gli Storici, che conservano le conoscenze di tutto il mondo con un lavoro di paziente studio, raccolta e copiatura. Infine... - le parole si persero nella brezza per Celia mentre una strana magia la avvolgeva facendole vedere nei particolari i vari compiti dei tre Ordini, come in un sogno. La voce dell'Alto Chierico echeggiava nella sua mente, descrivendo, spiegando e dimostrando la vita del Monastero. C'erano così tante cose che non sapeva…

Era quasi l'alba e per tutti era giunto il momento di rientrare dopo la notte di baldoria. Erika e Klod si erano già ritirati da tempo ma le giovani coppie amoreggiavano ancora nei viali appartati, gli uomini discutevano di politica e guerre e le dame della tendenza della moda per l'estate in arrivo. I bambini erano stati condotti dai tre Messi a da Mahatma nel padiglione allestito per loro e adesso dormivano beati, quattro Guardie Armate sorvegliavano la porta d'ingresso.

Fabris cercò l'Alto Chierico scomparso da molte ore. Vagò per i Viali finché non lo trovò su una panca di legno con in braccio sua figlia Celia che dormiva beatamente.

- Maestro, non dovreste essere ancora qui, perché non avete portato mia figlia con gli altri bambini? - domandò sottovoce Fabris cercando di non svegliare Celia. Gli occhi del chierico erano appesantiti e le spalle non più erette come qualche ora prima.

- Non preoccuparti Fabris - rispose l'anziano a tono basso - Mi ha fatto piacere parlare con lei. E' una bambina sveglia sai? E credo che verrà a farci almeno una visitina - aggiunse con uno strano sorriso stampato sul volto severo, gli occhi scuri balenavano d'intelligenza. Celia si girò, aprì gli occhi e sbadigliò sonoramente. I due uomini sorrisero e Fabris si sedette sulla panca accanto al Chierico.

- Allora Celia, hai dormito bene sul nostro Reverendo Chierico? - chiese suo padre scostandole i capelli dal volto assonnato. La bambina prese coscienza del mondo, si accorse di dove era, arrossì violentemente e scese di scatto poggiando i piedi a terra.

- Scusate - balbettò confusa Celia lo sguardo basso e le guance in fiamme.

- Non preoccuparti bambina, mi è capitato altre centinaia di volte - assicurò con uno strano tono l'anziano chierico, come se davvero fosse per lui normale far dormire i bambini fra le sue braccia.

- Ascolta Celia - iniziò Fabris rassegnandosi all'arduo compito che l'attendeva - Avevamo pensato che alla fine dei festeggiamenti tu avresti potuto... - non riuscì a finire la frase perché Celia l'interruppe bruscamente. Era la prima volta che accadeva. Non aveva mai osato fermare suo padre durante un discorso ma questa volta le era venuto spontaneo. Corse un attimo di panico poi Fabris si rese conto che Celia non era stata irriverente ma solo istintiva, così si appoggiò con la schiena alla panca.

- Ho già deciso, ripartirò con l'Alto Chierico finiti i festeggiamenti per una visita al Monastero - affermò con la voce assonnata. Con le mani iniziò a lisciarsi le pieghe del vestito. Fabris la guardò sorpreso.

- Vorrei andare a letto - si scusò la bambina con un lieve inchino. Si voltò e si diresse verso il Viale.

- Maestro, è lei l'artefice di questo cambiamento? - domandò infine Fabris dopo qualche minuto di silenzio.

- In parte - ammise il chierico incrociando le braccia sul petto e fissando il punto in cui era sparita Celia.

La bambina percorreva il Viale delle Orchidee, il profumo intenso le solleticava le narici, affrettò sempre più il passo fin quasi a correre. Arrivò al padiglione e le Guardie la fecero entrare nella tenda confortevole. Decine di altri ragazzini dormivano beati fra cuscini colorati, tappeti e coperte. Celia si gettò in un letto vuoto e si nascose sotto le coperte rievocando lentamente il sogno che aveva fatto a occhi aperti. E rivide i Guaritori e gli Storici ma soprattutto fu vivo in lei il ricordo del terzo Ordine, quello più potente e ambito, quello dei Chierici Cavalieri.


   
 
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