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Autore: _Breath    11/08/2014    0 recensioni
Judith Roberts non sa più cos'è l'amore; ha amato una sola volta nella sua vita e lo ha fatto completamente. Poi Thomas se ne è andato, e con lui anche tutti i buoni propositi di tornare ad essere felice.
Jude adesso ha un nuovo compagno, una nuova vita, eppure sa che la sua vita non tornerà più ad essere quella di un tempo.
Matthew è il suo nuovo ragazzo e si è irrimediabilmente innamorato di lei, del suo sorriso cortese e dei suoi occhi velati di una tristezza palpabile e misteriosa. Eppure è consapevole che il cuore della ragazza non potrà mai essere suo, perché lei glielo ha confessato dopo una lunga notte di passione.
"Io non ti amo, Matty, e mai ti potrò amare. Io sono di Thomas, come lui era mio."
Ian è il fratello minore di Matt, la pecora nera della famiglia Keating. Non crede nell'amore, perchè per lui amore e sesso sono solo sinonimi da usare in occasioni differenti, in modo opportuno. Odia il fratello, e Matt odia lui.
Eppure le loro tre vite, così distanti e diverse, sono destinate a intrecciarsi. A fondersi affinché si migliorino.
Perché amare non è impossibile. Forse, solo un po' difficile.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 2.





Judith aprì gli occhi per la prima volta quella mattina e la prima cosa che vide fu una testa scura, fulva e crespa a poche spanne dal suo viso. Aveva caldo e una mano era posata mollemente sul seno, pensandole sul petto.
Nonostante si frequentasse con Matthew da ormai quasi un anno, non riuscì a sorridere davanti quel gesto intimo e delicato, ma diversamente trattenne a stento un'espressione disgustata e alquanto infastidita. Poi si alzò a sedere, stando attenta a non svegliarlo, più per avere il tempo di accumulare l'energia necessaria per affrontare quella giornata che reale interesse. Si guardò intorno, cercando di metabolizzare il tutto.
Si trovava a casa del suo ragazzo, seduta ancora suo letto largo e accogliente, che era stato spettatore attivo molte volte della loro passione. La mano di Matty adesso sfiorava a stento un suo fianco caldo, facendola rabbrividire per il contrasto netto fra le due pelli:lui era caldo, bollente come il fuoco, mentre lei era gelida, fredda fuori e dentro. Inoltre la televisione era ancora sintonizzata, a basso volume, quasi inesistente, su un canale poco conosciuto che però la sera prima stava trasmettendo un film abbastanza interessante. Si erano addormentati entrambi a metà trasmissione, per poi svegliarsi a notte fonda eccitati e vogliosi.
E avevano fatto sesso.
E si erano addormentati, ancora successivamente, chi contento e innamorato, chi serena e soddisfatta.
Infine, lo notò solo ora, il cagnolino di Matty, un bellissimo cucciolo di Labrador, la guardava con i suoi occhi intensi e dolci, color del caramello fuso. Jude lo guardò a lungo, poi gli sorrise; il cane, forse contento, iniziò a ruotare su se stesso.
Con riluttanza, con ancora il desiderio di restare a poltrire su quel letto morbido ed accogliente, Jude si alzò definitivamente, facendo leva sui suoi polpacci sottili e delicati. I piedi caldi di sonno sfiorarono le mattonelle gelide, facendola rabbividire.
Matty al suo fianco iniziò a svegliarsi: aprì lentamente un occhio, poi si voltò su un fianco e respirò piano, in modo quasi impercettibile. Judith lo sentì sbadigliare, poi lo vide sorridere e infine Matthew si voltò, incatenando i suoi occhi ancora lucidi a quelli della ragazza. Sorrideva ancora e Jude, guardandolo, pensò che il suo compagno avesse veramente un bel sorriso. "Buongiorno", gli disse increspando le labbra anche lei in un sorriso, meno luminoso di quello di lui ma ugualmente dolce.
Matty allungò una mano per sfiorarle la gamba. "Buongiorno a te, amore mio."
Nonostante Jude non ricambiasse il sentimento lampante del ragazzo, si sentì compiaciuta e si avvicinò a sfiorargli le labbra con le sue.
Era sempre così: lui le diceva che la amava e lei faceva spallucce, lo baciava e se ne andava dalla stanza che, fino a qualche secondo prima, stavano allegramente condividendo. Come se fossero veramente innamorati entrambi, come se non ci fosse quel muro invisibile ma indistruttibile che, ormai, aveva preso il nome di Thomas Edward Lanter.
Jude sapeva che Matty ne soffriva, ma non poteva fare nulla per cambiare i suoi sentimenti.
Glielo aveva detto esplicitamente, lei, che se avesse potuto lo avrebbe amato senza riserve, che lei lo voleva realmente amare, ma non poteva. Non sapeva come fare.
Forse con il tempo... chissà.
Quella mattina, però, qualcosa andò diversamente perché Jude non abbandonò la stanza, ma diversamente si limitò ad allontanarsi dal ragazzo avvicinandosi alla televisione. Poi la spense.
"Abbiamo dormito tanto. E' tardi."
Matthew si alzò a sedere e percorse con lo sguardo il corpo nudo della sua fidanzata. Non era famelico, solo innamorato.
"Non ci sono problemi: è domenica. Non abbiamo nessun programma per oggi, eccetto quello di stare insieme e baciarci tutto il giorno."
Jude sorrise voltandosi a guardarlo; il suo sorriso era malizioso. "Proposta allettante, signor Keating, ma mi duole ricordarti che tu oggi hai da fare."
"Oh, davvero? Non ho impegni nella mia vita, al di fuori di quello di amarti con tutto me stesso."
Judith schioccò la lingua sul palato, infastidita. "Sarà anche vero, ma devi andare a pranzo dalla tua famiglia oggi. Lo hai promesso a tua madre, ricordi? Sono oltre due mesi che non la vedi e lei freme dalla voglia di baciare ancora il suo figlio preferito."
Matt fece roteare gli occhi per la stanza, sfiorando con lo sguardo ogni parete e tutti i sopramobili; poi lo riportò su di lei e arricciò il naso.
"Non voglio andare a pranzo dalla mamma!" si lamentò come un bambino. "Non voglio vedere quel rompicoglioni di Ian, mio fratello. Mi dà i suoi nervi anche solo sentire il suo dopobarba addosso ad uno sconosciuto per la strada; vorrei solo prenderlo a calci per ore ed ore... non lo sopporto!"
Jude sorrise intenerita da quel broncio infantile addosso ad un trentenne; lentamente si avvicinò al ragazzo e gli carezzò il volto. "Oh, andiamo, non può essere così terribile. Non siete più bambini, non potete continuarvi a fare la guerra in eterno!"
Matt la guardò scettico ma divertito. "Ah, tu credi? Stiamo parlando di Ian Keating, amor mio, un ventiquattenne indeciso e scalpestrato che continua, nonostante la sua età, a comportarsi come il diciotenne villano che è sempre stato. Non capisco perché papà non lo cacci di casa, dopo tutto quello che gli fa passare."
"Matty, io credo tu stia esagerando..."
Lui le sorrise dolcemente, ma ancora lievemente infastidito. "Tu non lo conosci, Jude, non puoi capire. Io e Ian ci siamo da sempre odiati! Lui è sempre stato geloso di me, in qualche modo, mentre io l'ho sempre trovato un maledetto rompicoglioni, fin da quando è venuto al mondo. Da bambini eravamo soliti sputare nei nostri bicchieri quando eravamo malati, nella speranza remota che uno dei due prendesse un raffreddore talmente forte da restare fuori gioco per almeno un mese o due. Una volte c'è anche riusciuto, quel bastardo, ma successivamente mi sono vendicato. Eccome se mi sono vendicato."
Jude si sedette al suo fianco, un sorriso curioso fra le labbra. "E che gli hai fatto?"
Matty sembrava orgoglioso di se stesso quando le rispose. "Ho reso pubblica la sua dislessia a scuola, durante la festa di fine anno. Sapevo quanto lui soffrisse per quello e volli umiliarlo come lui aveva fatto con me, quel bastardo."
Judith lo guardò sconvolta, sorpresa da tutta quella cattiveria che non credeva il suo Matty potesse avere. I suoi occhi erano spalancati, come se vedesse il mondo per la prima volta in tutta la sua vita.
"Questo è stato un colpo molto basso da parte tua, Matt! Hai umiliato il tuo fratellino davanti a moltissima gente, rendendo pubblico il suo più intimo segreto. E ne sei andato orgoglioso, per giunta. E ne vai ancora più orgoglioso oggi!"
Il ragazzo allungò un braccio per circondare le spalle della sua ragazza, un'espressione serena sul volto; la avvicinò al suo petto, abbracciandola completamente. "Fidati, amor mio, non è niente rispetto a quello che fece lui a me. Allora avevo diciassette anni e mi stavo frequentando con una delle più belle ragazze del nostro liceo. Ero popolare, lei era ancora più popolare di me: era il capo cheerleader! Ne andavo oltremodo orgoglioso e quando finalmente lei accettò di venire a letto con me- non che fosse una ragazza molto difficile, anzi!- Ian ebbe la brillante idea di mischiarmi la sua fastidiosa febbre. Stetti male per interi giorni e decisi di annullare il nostro appuntamento, ma quel bastardo di mio fratello la invitò ugualmente a casa nostra, quando i miei genitori non erano presenti. Lei venne e appena mi vide mi baciò calorosamente, perché mi voleva tantissimo e non voleva perdere tempo; Ian, d'altro canto, godette tantissimo quando, nel ben mezzo di un bacio appassionato con la ragazza dei miei sogni, io rimisi ogni liquido che avevo in corpo ai suoi piedi. E non solo lì, ma anche nei suoi capelli e tra i suoi vestiti. Avevo la febbre a trentanove! Quella lurida feccia era riuscito nel suo intento."
Jude rabbrividì disgustata, increspando le labbra in una smorfia. "E' disgustoso!"
"Lo so e lei mi odiò tantissimo. Da quel giorno lui mi chiamò "baby vomito" e tutti a scuola conoscevano quel episodio. Anche i professori e i bidelli avevano paura che io potessi rimettere da un momento all'altro, costringendoli a pulire ogni singola mattonella della scuola. Era mio dovere vendicarmi e rovinare, dunque, la fama di mio fratello."
Judith si staccò dalla spalla del ragazzo, portando nuovamente i piedi per terra. Lo guardò ancora, gli occhi ricolmi di attenzione e tristezza. "Ma come è iniziata questa disputa tra te e tuo fratello? Come mai vi odiate tanto?"
Matty sospirò pensieroso. "Sinceramente non lo so, non ho ricordi al riguardo. So solo che fin da quando eravamo bambini non ci siamo mai sopportati; alcune volte evitavamo di dire che fossimo fratelli, perché ognuno si vergognava dell'altro. E ancora oggi, delle volte, facciamo finta di non riconoscerci."
"Mi dispiace tanto,Matty..."
Lui le sorrise dolcemente, due fossette delicate sulle guance; non aveva ancora inforcato i suoi occhiali da vista, ma Jude seppe che lui la vedeva. E la amava. E avrebbe, probabilmente, anche voluto sposarla.
"Tranquilla, amor mio, è ormai diventata una routine per noi e probabilmente non riusciremmo neppure a vivere senza. L'odio, apparte il sangue comune, è l'unica cosa che tiene uniti noi due. Questo però non cambia il fatto che io detesti andarlo a trovare, perché non perde mai occasione per infastidirmi con la sua sola presenza. Odio anche il suo respiro, pensa un po'!"
"Purtroppo è tuo fratello, Matty, e quindi sarà per sempre legato a te. Hai promesso a tua madre di andarla a trovare e quindi devi mantenere la parola data. Che vuoi che sia, dopotutto? Sono solo un paio d'ore!"
Il ragazzo si massaggiò la fronte, gli occhi, le tempie, tenendo saldamente gli occhi chiusi; contemporaneamente sospirò pesantemente, muovendo da sotto il lenzuolo le gambe a ritmo. Sembrava quasi stesse seguendo la melodia di qualche musica, seppur la stanza fosse silenziosa e rotta solo dai loro sospiri: quello di Jude era lento e regolare, quello di Matt più affannato e nervoso, a tratti anche spezzato.
Quando le gambe di Matty si fermarono, la sua fronte si rilassò e ogni suo muscolo di distese sulle sue braccia, Jude seppe che aveva finalmente ritrovato la calma. E probabilmente aveva anche accettato la cosa, come solo un uomo maturo sa e può fare; improvviamente fu molto orgogliosa di lui.
"Sono sicura che sarai grande e riuscirai a resistere alla tentazione di stringere il collo di tuo fratello tanto forte da farlo starnazzare!" cercò di ironizzare, sfiorandogli la spalla con le dita. Lui la guardò, i suoi occhi verdi ridenti e allegri, spensierati. Poi le strinse la mani fra le sue, le baciò il palmo e poi il naso, la fronte e, infine, anche le labbra.
Le sorrise ancora, riconoscente.
"Certo, amor mio, ne sono sicuro anche io questa volta, ma non sono molto bravo a supervisionarmi. Ho bisogno del tuo aiuto... Verrai con me?"






Ian sedeva comodamente sul divano del suo salotto, proprio come ogni Domenica mattina dopo la colazione.
O meglio, dopo che sua madre lo aveva calorosamente buttato giù dal letto entrando, euforica e intraprendente, proprio come un tornado, nella sua bellissima camera buia. Che improvvisamente, come in un film della Disney dove la fatina di turno faceva le sue mirabolanti magie, trovava la luce.
Ian odiava la luce di prima mattina. La odiava terribilmente. E quella mattina, lo decise con tutto il cuore, odiava anche la sua maman.
"Allora Ian, ti vuoi alzare sì o no?"
La risposta tacita ma negativa del ragazzo provenì ovattata da sotto il cuscino che si era teneramente premuto sulla faccia. Eppure, cazzo, era udibile. Perché sua madre faceva finta di non sentirlo?
"Ce l'ho con te, Ian! Ti vuoi decidere a rispondermi? Per la miseria, non mi far arrabbiare già di prima mattina!"
Ian si tolse il cuscino bianco dal volto, tossì come se fosse un malato terminale e tenne gli occhi chiusi. Chiusi, perché la luce del giorno rischiava di rovinargli le retine.
"Hai detto bene, madre: 'prima mattina' e aggiungerei anche 'Domenica Mattina!' Che problemi hai, di grazia?"
Carmen Keating si avvicinò al suo figlio minore scoprendogli interamente il corpo coperto unicamente da un sottilissimo lenzuolo, bianco come la federa del cuscino. E lo trovò completamente nudo, eccezion fatta per quei ridicoli e consumati boxer neri che, ancora se lo chiedeva, probabilmente, erano stati il primo abbigliamento intimo del figlio alla tenera età di dodici anni. Meno male che c'era lei, pensò, che li lavava ogni maledetto giorno.
"Sono le undici di mattina, Ian. Abbiamo ospiti a pranzo oggi, quindi alzati immediatamente. Devi mettere in ordine questa stanza, e io devo rifarti il letto. Devo cambiarti le lenzuola, che dico! QUESTE PUZZANO!"
Il ragazzo si voltò dall'altro lato, come se dandole la schiena la voce di Carmen potesse, in minimo, ovattarsi. Ma così non fu.
"Non rompere mà! Non me ne passa per l'anticamera del cervello che Matt ci viene a fare visita. Resterò chiuso in questa stanza fin quando non sentirò la sua macchina svoltare la strada per tornarsene nel suo ridicolo appartamento, stasera. Non uscirò neppure per pisciare!" Carmen sbuffò pensantemente, poi con il medio della mano sinistra si sistemò sul naso gli occhiali dalla montatura viola che le scivolavano pericolosamente lungo il naso. Infine sbuffò ancora portandosi le mani sui fianchi, nella tipica posizione di madre stressata/prossima al delirio.
E Ian lo sapeva bene, ma in quel momento le dava le spalle quindi la ignorò bellamente.
Mai errore fu peggiore, per lui.
Non seppe neppure come, ma si ritrovò catapultato fuori dalla sua stessa stanza, seduto sul divano, con le gambe incrociate sotto il sedere e un'espressione basita sul volto.
E, per giunta, senza tazzina di caffè fra le mani.
Cosa gli poteva capitare di peggio, si chiese prendendosi la testra fra le mani?
Oh, sì, certo... non c'è limite al peggio: suo fratello stava per venire a casa!
La notte scorsa era uscito con i suoi amici ed era andato in discoteca, divertendosi, ballando e, ovviamente, rimorchiando alla grande. Era rincasato alle sei del mattino, per la miseria! SEI DEL MATTINO?
Che ore potevano essere adesso, per il cielo? Le undici e mezzo? Mezzoggiorno meno un quarto? E lui, cosa era di lui?
Un ragazzo di ventiquattro anni con un aspetto terribile, le occhiaie che gli arrivavano fin sotto i piedi, un vecchio e sgaulcito boxer ancora a coprirgli i genitali e una terribile voglia di un dannato caffè.
Che per giunta sua madre, quasi per fargli dispetto, sembrava non volergli portare!
Se proprio stavano così le cose, si disse con un ghigno divertito, sarebbe tornato esattamente lo stesso bambino dispettoso che era al tempo della sua adolescenza. Avrebbe reso quella giornata un inferno, per sua madre, per suo fratello e principalmente per rivendicare quelle ore di sonno che gli erano state private.
E perché no: per quella tazzina di caffé che gli era stata così egoisticamente negata. Mettendosi più comodo sul divano,le gambe totalmente stese sul cuscino preferito di suo padre, Ian decise che avrebbe aspettato suo fratello esattamente in quella posizione.
Così, con un espressione indecente sul volto e la gambe e il torace nudo, i piedi congiunti e le braccia dietro la testa. Avrebbe dimostrato a sua madre che di Matty non gliene fregava assolutamente un emerito cazzo.
E che, anche solo con un piccolo boxer a coprirgli le parti intime, sarebbe stato ugualmente più bello di lui.







Judith guardò per l'ultima volta il suo riflesso dentro lo specchietto della macchina, stando attenta a verificare se ci fossero ancora tracce delle lacrime che avevano solcato le sue guance prima, nel bagno di casa.
Fortunatamente Matt non se ne era accorto, altrimenti avrebbe attribuito a quel pianto un improbabile gravidanza. Che poi, perché Matthew sperava tanto ardentemente di diventare padre nonostante lei prendesse la pillola? Certe volte, si disse con un mezzo e malinconico sorriso sulle labbra, quel ragazzo le sembrava assolutamente privo di senno.
Jude aveva pianto in silenzio con le gambe piegate contro il petto, seduta sul water e con la testa sulle ginocchia, ricordando quando quattro anni prima anche Thomas le aveva chiesto di andare a pranzo a casa sua. Era sempre una Domenica mattina.Era sempre un 18 Maggio, ma di molti anni prima.
Jude ricordava ancora alla perfezione le braccia della mamma di Thomas che le avvolgevano la vita, le sue labbra tirate in un severo sorriso di circostanza e il suo sguardo riluttante. Aveva delle mani così piccole e delicate la signora Lanter da farle chiedere come avesse fatto a preparare il pranzo per una famiglia tanto numerosa come quella di Thomas per tutta una vita.
E poi c'era la sorella di Thomas, Isabella, una ragazza talmente magra da sembrare scheletrica. Nonostante avesse un fisico che molte ragazze le avrebbero invidiato, Bella continuava a vedersi brutta perché il potersi permettere il lusso di indossare tutte le gonne che voleva, di tutte le lunghezze esse volessero essere, le era costata la cosa più femminile del mondo: un seno materno.
George, invece, il fratello maggiore di Thomas e Bella, era un ragazzo possente di venticinque anni, ben piazzato, spalle larghe, sorriso luminoso ma rovinato dal fumo; portava costantemente sulle spalle un bambino grassoccio, frutto della sua precedente relazione che, nonostante gli desse gioia, lui continuava a definire uno sbaglio. Jude avrebbe dato oro per avere anche lei uno sbaglio del genere, da parte di Thomas.
E il padre di Thomas, Joe, uomo di mezza età con la bocca sempre chiusa in un ghigno sadico, triste, melodrammatico. Judith non sapeva che suono avesse la sua voce, credeva fosse sordomuto così come suo padre, il nonno di Thomas, Franz, signore con il Parkinson e una grande depressione a pesargli la schiena. Judith era del parare che l'unico desiderio di Franz, alla solida età di ottantacinque anni, fosse quello di riunirsi alla moglie morta tanti anni prima.
Vivevano tutti sotto lo stesso tetto, in una casa piccola e modesta, ristretta, con un salotto, una cucina e quattro stanze. Thomas glielo diceva sempre che dormire con Bella era infernale, perché la sentiva la notte piangere con due dita ficcate in gola.
"Non voglio ingrassare" le rispondeva correndo al bagno e Tommy scuoteva la testa, perché ormai i suoi genitori gli avevano insegnato a ignorare i problemi della vita. E la vita stessa, che sostanzialmente era sempre un problema.
Judith ricordava di essersi sentita vagamente a disagio, quella giornata, ma la sensazione della mano di Tommy fra la sua era riuscita a darle il sorriso per tutta la durata del pranzo. Perché lei lo amava, si disse, e lui amava lei. E lei voleva, lo desiderava con tutto il suo cuore, diventare presto parte di quella grande famiglia... non tanto per lei, ma per lui. Proprio perché lo amava, con tutto il suo cuore.
Eppure Thomas era morto, terribilmente. Si era spento, lei con lui, i suoi genitori con loro. E Judith, con malessere, aveva giurato a se stessa che non avrebbe più far parte di nessun'altra famiglia che non fosse stata la sua. Che non avrebbe più amato nessun uomo, che non fosse stato lui.
Quindi, piangendo, si era chiesta, e se lo chiedeva ancora adesso chiusa nella macchina comoda di Matty, che cosa stava andando a fare a casa dei genitori del suo ragazzo? A che fine conoscerli, si chiese, se non aveva intenzione di diventare come loro?
Lo faccio per Matty, si disse.
Lo faccio per renderlo contento, perché lui me lo ha chiesto. Perché so che apprezzerebbe avermi con lui, al suo fianco.
Così come lei avrebbe apprezzato avere Thomas accanto a lei, a stringerle la mano, teneramente, come quel 18 Maggio di quattro anni prima, ma per tutta la vita.






Quando il campanello di casa Keating suonò, Jude si guardò le scarpe. Matty, insistivamente, le prese la mano.
"La mia famiglia ti piacerà. Tu piacerai alla mia famiglia: ne sono sicuro."
La ragazza si sforzò di sorridere, incoraggiante, per dargli un segnale, per fargli capire che lei era lì per lui.Sarebbe stato molto più semplice dirgli che lo amava, ma non voleva mentire.
Non sapeva neppure farlo.
Aspettò con trepidanza che finalmente qualcuno li ricevesse perché prima fossero entrati in quella casa, prima se ne sarebbero anche andati.
Via il dente, via il dolore.
Sentì qualcuno urlare da dietro la porta, una voce femminile, stressata, imbronciata. Sembrava stesse richiamando qualcuno, stesse rimproverando un bambino.
Jude non ricordava che Matty le avesse detto di avere un cuginetto a casa o che so, qualche fratellino più piccolo. Erano solo lui ed Ian, il fratello pestifero.
Il fratello che Matty odiava e che, molto probabilmente, era lo stesso ragazzo che aveva aperto loro la porta.
In mutande. A piedi nudi e torso scoperto. La barba incolta, i capelli in disordine. Il suo aspetto era quello di una persona che si era appena svegliata, che era stata disturbata dalla sua quiete notturna (nonostante fosse ormai passata l'una!), ma i suoi occhi non erano quelli di un uomo che stava ancora dormendo. Erano svegli, arrabbiati e infastiditi mentre si posavano sul corpo del fratello avvolto, diversamente da lui, da un jeans nuovo e una polo azzurra che gli fasciava il busto, meno atletico del proprio ma molto più predisposto a ricevere degli ospiti. Quello che, probabilmente, in questo momento, avrebbe dovuto fare lui.
Ian Keating aveva uno sguardo totalmente annoiato, prima di posarlo su di lei. Poi, improvvisamente, parve risvegliarsi dal suo tepore e solo per un istante, un piccolissimo istante, sembrò vergognarsi di essere in mutande. Arrossì, nell'arco di quell'istante, poi riacquistò la sua totale sicurezza.
Strafottenza.
"Buongiorno Matthew, qual buon vento!" aveva un braccio posato allo stipite della porta, non per mostrare quanto il suo braccio potesse realmente flettersi, ma per ostruire il passaggio a Matt.
Odio palpabile nei suoi occhi.
"Levati, Ian. Facci entrare" rispose il maggiore, una mano ancora a stringere il polso di Jude, l'altra ad aggiustare gli occhiali con la montatura in metallo che scendevano pericolosamente lungo il setto nasale. Una lunga discesa.
"Quanta gentilezza, caro fratellone. La nostra mamma sarebbe molto scontenta di vedere che il suo figlio prediletto non conosce le basi del bon ton. Sei deludente, come sempre d'altronde."
La mascella di Matty si contrasse pericolosamente e solo per un istante Judith potette capire perché odiava tanto il fratello; poi però si riscosse e comprese anche cosa odiasse Ian in Matthew: l'arroganza, la superiorità, quella che veniva sancita ogni minuto da ogni sua parola. Da ogni suo sguardo.
"Levati dai coglioni, razza di fallito. Ho detto che ci devi far passare, siamo intesi? Non voglio prendere ordini, tanto meno ramanzine, da uno socialmente più in basso di me. E non venirmi tu a parlare di educazione, sa? Sei così maleducato che faresti impallidire e arrossire anche un carcerato con pena l'ergastolo. D'altronde cosa ci si può aspettare da uno che riceve i suoi ospiti in boxer e calzini?"
Ian sorrise, per nulla scalfito da quell'affronto verbale; diversamente sembrava divertito,stimolato. Non spostò il suo braccio da davanti la porta, per nulla al mondo.
"Avresti ragione, fratellone, se solo tu potessi essere definito un ospite. Sei solo una persona piena di se che ama venire a distrubare gli altri, con la puzza sotto il naso e un'adorabile signorina sotto il braccio" concluse guardando con occhi languidi la stessa Jude che, seppur lusingata, non riuscì ad arrossire.
Ian aveva due terribili occhi azzurri, penetranti, in grado da farti perdere la cognizione del tempo, da farti smarrire la via della saggezza. Eppure non erano gli occhi di Thomas che, con le sue iridi color caramello, riuscivano a farla sentire a casa. Al sicuro. Protetta.
Sorrise cordialmente a Ian poi decise che, se non fosse dipeso da lei, la situazione davanti quella porta di casa non si sarebbe mai evoluta. E d'altronde... come può andare via il dolore, se uno non tira via il dente?
Educatamente fece un passo in avanti, guardandolo in volto, non scendendo con lo sguardo al di sotto del mento, poi si presentò.
"Sono Judith Roberts, un'amica di Matt."
Non seppe neppure lei perché non si definì la sua ragazza, o la sua compagna, o magari la sua fidanzata, ma qualcosa dentro di lei glielo vietò.
Era come se gli occhi di Ian avessero risvegliato antichi confronti con Thomas, come se quel 18 Maggio fosse destinato ad appartenere solamente a Thommy.
Come se lei, nonostante tutto, restasse solo la sua donna.
Ian sbarrò gli occhi sorpreso, poi le sorrise calorosamente. Un sorriso che aveva qualcosa che andava oltre la semplice cortesia, come se provasse interesse e fosse sicuro che la cosa fosse ricambiata. Possibile che avesse interpretato la sua educazione come atto civettuolo?
Possibile che si credesse ancora un gran figo, nonostante avesse solo un piccolo boxer alle gambe?
"Io sono Ian Keating, ma presuppongo che questo tu lo sappia già. Mi scuso se io e mio fratello abbiamo dato spettacolo, ma credo tu sappia anche del nostro infimo rapporto. Ti inviterei ad entrare e ti chiederei, piuttosto garbatamente, di lasciare il tuo animale da compagnia legato vicino il cancello."
Judith non comprese bene quello che il ragazzo le stava dicendo, ma quando lo fece dovette trattenere un sorriso. Matt dovette trattenere una bestemmia.
"Piccolo bastardo di un cane. Tu sei una bestia, non io. E ora mi sono veramente rotto i coglioni: fammi entrare!" e con un forte strattone diede una spallata al fratello minore forzando l'ingresso.
Ian si spostò senza opporre resistenza, la mano ancora stretta in quella di Jude, che venne strattonata dallo stesso Matty per portarla dentro con lui. Ian avrebbe voluto deriderlo ancora un po', ma aveva lo sguardo totalmente perso nei capelli rosso fuoco di Jude e sulle lentigini del naso e delle palpebre, i suoi occhi verdi e intensi. Un verde diverso, non come quello bottiglia di Matty. Avrebbe quasi voluto poter essere Matthew, in quel momento, per poter avere tra le dita la mano di
Judith per quello che era stato più di un solo piccolo istante.
Avrebbe tanto voluto essere Matty, in quel momento, per essere meno coglione e forse un po' più galantuono; per ragionare meno con quello che aveva in mezzo le gambe e per impressionare tipe come Jude.
Jude, dai capelli fluenti, il sorriso smagliante, gli occhi tristi, le tracce di lacrime che Matty non aveva saputo notare.
Jude, con la voglia di continuare a piangere, con la voglia di tornare a casa, la sua, di non voler seguire il suo ragazzo in quella triste avventura.
Jude, che ora si guardava sperduta, che lo aveva interotto mentre litigava con Matty, come se avessero ancora dodici anni.
Jude, che ora lo guardava ancora, senza un sorriso, senza un rimprovero, senza serenità. Seria.
In quel momento, solo in quello, Ian sarebbe voluto essere un po' più come Matty... per avere indosso un paio di pantaloni.
  
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