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Autore: Hibei    12/08/2014    7 recensioni
cit/ «Non voglio comprare nessun biscotto, grazie».
«Che bell'accoglienza. Fai sempre così o oggi è il mio giorno fortunato?».
«Eh...?».
«Ti sembro un fottutissimo boy-scout per caso?».
Naruto lo squadrò da capo a piedi con un cipiglio irritato. Il fatto che Yuki non fosse in casa faceva da parafulmine a quel pezzo di ferro ambulante; se suo figlio avesse udito anche solo una sillaba di fottutissimo avrebbe annichilito quell'individuo e la sua bella faccia da schiaffi lì, sul pianerottolo, risparmiando alla donna delle pulizie quei cinque piani con ascensore fuori servizio solo per raccogliere i resti di quel... quel...!
«Chi cazzo sei allora?»
...Dopotutto Yuki in casa non c'era.
Il giovane moro gli scoccò un'occhiataccia, come se il suo non sapere chi fosse l'avesse offeso mortalmente. Fu poi come se provasse un'immensa fatica — e Naruto s'immaginò in sottofondo le trombe dell'Apocalisse — che lo sentì annunciare: «Il baby sitter».
[NaruSasu!]
Naruto ha 26 anni, padre di Yuki di 6. Per accudire il figlio, ha trascurato il lavoro e adesso non può più permetterselo. Cerca dunque un baby sitter e, su consiglio di Sakura, assume Sasuke.
Hope you enjoy it!
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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Aggiornamento straordinario d'Hibei dopo l'angosciante attesa di sei mesiA parte il fatto ch'io stia ridendo come una mentecatta per quest'icon di Sasuke che ho usato per il capitolo — ma siamo in pieno Sasuke centric, perciò ci può anche stare — , chiedo nuovamente perdono a tutti coloro che seguono questa e l'altra long fic per l'enorme ritardo con cui aggiorno/non ho ancora aggiornato. Per chi ha letto la mia ultima OS questo non sarà altro che una ribadita di solfa, ma dato che ovviamente non tutti è detto siano capitati anche lì, rispiegò brevemente: il mio pc è andato, morto proprio, e con esso anche tutti, e dico tutti, i lavori che avevo salvato/in corso. Tra cui i capitoli delle long, sì, e altre OS che, per fortuna, se non altro, erano solo abbozzate. Anche se molte cose le ho perse del tutto, poiché neanche le rammento, e me ne dispiaccio. Nella OS che postai qualche giorno fa, dissi anche di non avere intenzione di aggiornare, ormai, fino a che non avessi avuto tutti i capitoli definitivamente pronti e disponibili per essere pubblicati. Non vi dirò più, ovviamente, a che livello di “avanzamento” io sia, perché la tecnologia è bastarda e non so quanto questo possa portarmi sfiga, a 'sto punto. Solo, ho preferito almeno pubblicare la seconda ed ultima parte di questo capitolo, giusto per completarlo. Ripeto e rispecifico, nel caso non si fosse capito: questo non è il capitolo originale. Ho dovuto riscriverlo basandomi su qualche frase ricordata e il vago svolgersi delle cose dal punto in cui ho staccato nel capitolo precedente a quello in cui comincia questo. Difatti avevo spoilerato qualcosa nelle NdA precedenti e che pertanto troverete incongruente con questa versione. Non me la sento di andarle a modificare, però, confidando nel fatto che chi mi segue legga anche queste note. Alla fine, io vi ho avvisati, quindi gradirei nessuno si fingesse il Capitan Ovvio che non è. ^^
Detto questo, il ruolo di Sai doveva essere più fondamentale ma non sono riuscita a renderlo come nell'altra versione. E siccome adoravo quel Sai, ho preferito lasciarlo così, come un semplice accenno per dar fastidio a Sasuke.
Anche Suigetsu è trattato diversamente, perché sfotteva Sasuke come Dio comanda, consapevole appieno della sua scelta, invece qui non scoprirà nulla se non a fatto compiuto, perché Sasuke ha le sue manie di grandezza e non si postrerebbe neanche dinanzi al Papa, che so, per far un esempio.
Perfino Sakura è diversa, sì. Ma, a parte le lacune della memoria, ritentare di scrivere qualcosa che mi piaceva perché uscito di primo impatto mi avrebbe dato fastidio, perché sarebbe venuto fuori totalmente forzato, una storpiata copia di qualcosa che poteva essere più carino e comico di così. Invece l'ho reso demenziale e basta, con le varie parti scritte in neretto per far capire quanto tempo passi da una situazione all'altra.
Mi duole ammettere l'OOC dei personaggi, perché è una cosa che odio ma diversamente non potevo renderli, altrimenti avrei dimezzato notevolmente la lunghezza del capitolo e avrei detto meno cose di quante ne avrei volute dire. Ad esempio, già di per sé ho fatto dei tagli: dovevo parlare del rapporto fra Sakura e Sasuke? Qui ci sono solo accenni. Si spiegheranno nel prossimo, credo, dipende se anche lì non farò dei tagli e dividerò in capitoli da due. 
Poi, mh... il dialogo finale fra Naruto e Sasuke penso sia abbastanza OOC per ovvie ragioni. Solo: Sasuke è gaio ma quelle che vedrete sono solo provocazioni, la fanfiction non si basa sul suo piano di conquista e (s)fottimento del dobe, tutt'altro, s'incentra su un rapporto di fiducia che ancora è solo al pianterreno, come dice Sakura (leggendo capirete perché). Del bisogno reciproco che si svilupperà col tempo, ecco. E ci saranno anche intrighi e altri pairing oltre l'ormai ovvio NaruHina, anche se Hinata è bella che andata. Hinata di cui non si parla perché sì, son cose personali, fatti loro, e Naruto non vuole che se ne parli per motivi che capirete poi.
Spero non vi risulti troppo confusionario o corto, purtroppo non sono riuscita a far più di così e non ho neanche tenuto così fede al titoletto del capitolo.
Lo sto presentando come uno schifo d'incarnata incoerenza e disgustosa confusione, lo so. Come sempre v'invito a espormi i vostri dubbi, nel caso ce ne fossero! È tutto ambientato nel tredicesimo giorno (ricordate che la discussione con Fugaku era avvenuta due settimane prima dell'incontro SasuNaru (abbrevio e svengo), no?), con Sasuke che decide finalmente di andarsene di casa per, temporaneamente, accontentarsi dell'Hozuki, po'raccio. Mentre il quattordicesimo ha più o meno inizio da quando s'avvia la telefonata con Sakura, ovvero alle tre meno qualcosa di mattina, e termina ritornando al colloquio (non ancora concluso, perché non volevo terminarlo qui, boh.) Sasuke/Naruto.
Sì, non riesco a non scriverli come forma di pairing. Follia.
Prima di salutarvi, volevo comunque ringraziarvi di cuore per i messaggi, le recensioni e le varie categorie ancora in aumento delle mie storie. L'ho fatto anche l'ultima volta, questo discorso del ringraziare, ma davvero, lo meritate. Grazie, davvero. 
Un bacio, buona lettura! 

 





~ Capitolo 02. ~

Il disagio di chi vuole maturare circondandosi d'infanti. #2




Il giorno dopo il processo arriva la sentenza.

Le volte in cui Sasuke Uchiha decise di maledirsi,
in quei tredici giorni.

Una, due, tre... mila?

I tentativi di suicidio in cui Sasuke Uchiha fallì miseramente.

Quattro, cinque, sei... cento?

E, per concludere, il numero d'incalcolabile imbarazzo di volte in cui, sempre suddetto Sasuke Uchiha, si ritrovò nella spiacevole condizione di non saper scegliere chi far fuori per primo dalla sua lista nera. 

Sette, otto, nove... non avrebbe senso l'esistenza di un numero per definire l'infinito.

Un numero periodico. Uno di quelli lunghi, che per quanto provi tale è e tale rimane, che si ripete si ripete si ripete1, e che sin dal primo anno di liceo gli arrivava puntuale sulle pagine dei suoi esercizi di fisica o matematica che fosse, ogni giorno, tutti i giorni. Svizzero.

Ecco, sì, quello ci stava, quel numero d'indefinita precisione andava bene. 

Già a cominciare dalla mattina, calzava a pennello.

Lo stesso arnesuncolo che avrebbe sfruttato per trapassare il cranio del suo compagno di corso di biologia, Sai, tanto fissato con la pittura e, ultimamente, notò Sasuke, particolarmente avvezzo ai corsi extra di scultura — se il suo narcisismo non avesse sforato le vette estreme, l'Uchiha stesso avrebbe capito che l'onnipresente artista favoriva per le pose di nudo maschile, soprattutto da quando il loro insegnante permetteva di tastare con le proprie mani la consistenza del soggetto da riprodurre. “Per immedesimarsi nell'opera”, citava sempre l'uomo.

Partecipazioni dalla praticità ambigua a parte, Sasuke stava ancora maledicendosi internamente per essersi arrischiato ad aprire bocca e concedersi il lusso di parlare con un altro essere umano, all'infuori dei membri della sua famiglia, su questioni personali.

Il moro dall'audace capigliatura lagravitàlalascioaNewton, difatti, ancora troppo provato dalla discussione avuta col proprio padre neanche due settimane prima, aveva sentito, per la prima volta, il bisogno di confidarsi con qualcuno.

L'errore di aver provato ad indossare la sua tuta umana delle occasioni?

Farlo indipendentemente da chi fosse stato il suo interlocutore.

Per l'appunto, Sai. Quel Sai che odiava a morte sin dal primo anno d'asilo e per tutti gli anni a venire fino a quel giorno. Quando Sasuke, alle medie, gli aveva chiesto perché lo stesse palesemente seguendo da che ne avesse memoria, l'altro corvino si era giustificato con un Sei simpatico.

Sasuke.

Simpatico.

Evidentemente un po' lo era, perché quella battuta dall'incomprensibile senso fu talmente assurda che riuscì a smuovere non solo la chiassosa ilarità degli altri compagni di allora, ma anche quella di Sasuke stesso, che rise tanto di quell'idiozia, premurandosi di additarlo come se avesse avuto un post-it attaccato alla fronte a sua insaputa, che restò senza voce per due mesi — causa azione sconosciuta, il “ridere”, alle sue corde vocali disabituate.

Sai. Oooh, Sai. 

Quello stesso. 

Schifosissimo.

Sai. 

La sua copia dai capelli un po' più corti e il sorriso finto stampato in volto, come se le labbra non conoscessero altra smorfia se non la fallita emulazione di una mezza luna allegra. 

L'Uchiha fece scrocchiare le ossa delle dita d'ambe le mani, intrecciandole, poi quelle del collo, respirando pesantemente, trucidando il ragazzo ghignante con lo sguardo.

Mancava che espirasse fumo e calcasse il pavimento per sembrare un toro in campana. 

«Quindi» osò riaccendere l'approccio Sai. «tuo padre non crede che tu possa andare a vivere da solo».

Ignoralo.

«Perché non ne saresti in grado».

Ce l'hai fatta egregiamente fino ad ora.

«Perché non sei abbastanza maturo».

È solo un insetto odioso spiaccicato sul parabrezza della tua vita2.

«E perché non sei Itachi».

Magari è arrivato il momento di lavarlo, quel parabrezza.

«Insomma, lo sanno tutti che i ragazzi non particolarmente dotati non sono ancora cresciuti a sufficienza sia nello spirito che nel corpo».

Giusto. Perché la maturità Dio la consegnava in dotazione alle dimensioni del pene. 

Che poi lui non aveva di certo di questi problemi!

Ma perché, dopo diciotto anni di allenamento, aveva mandato al diavolo il suo voto al silenzio? 

Era tutta colpa di Itachi. 

Se non se ne fosse andato così presto, Sasuke non ci avrebbe nemmeno pensato, a lasciare casa sua.

Il nome del fratello surclassò decine di altri, in vetta alla sua classifica oscura. 

Nii-san, giuro che ti ucciderò anche per questo.

«Sì?».

«Non ho detto nulla».

Sai lo fissò per qualche istante, ancora, e Sasuke sperava che capisse la velata minaccia e il chiaro senso alternativo che voleva attribuire a quella frase.

Seguirono parecchi minuti di silenzio, l'insegnante che blaterava su formule a caso — avrebbe aperto il libro a cas- no. — e il compagno muto di tutto punto, tanto che l'Uchiha pensò avesse seriamente afferrato il concetto.

«Tuo padre ha ragione».

Ma no, Sai era uno stupido covatore di bisogni masochisti da accontentare. 

Dello spasmo scaricato sulla sua mano, generato dal suo nervosismo, fu inevitabilmente vittima la matita nuova, ancora perfettamente lucida e appuntita, miracolosamente priva di segni di mangiucchiatura e sulla punta dotata di gomma, che spezzò di netto con una leggera flessione del medio.

Ma al lutto dell'attrezzo perso e al fastidio delle schegge sparse un po' ovunque, Sasuke ci avrebbe pensato dopo. 

Sai aveva la precedenza.

Sai che aveva espresso un plateale, disperato bisogno di morire.

Chi era lui, per fingersi cieco alla richiesta d'aiuto di un povero infermo?

Lui era un Uchiha, che diamine.

Lo sanno tutti che gli Uchiha non si tirano mai indietro quando si tratta di omicidi — preferibilmente di massa3

Così com'è equamente risaputo quanta fosse la sfiga presente nei loro geni. 

«Uchiha, ho bisogno d'interrogarti sugli ultimi tre capitoli. Spero ti sia ripreso e messo al pari col programma». 

Certo. Perché solo lui poteva essere tanto ligio al dovere da presentarsi ogni fottuto giorno alle lezioni, assistendo alle ripetizioni monotone dei compagni che ormai sapeva a memoria, per poi ammalarsi e assentarsi nell'unica settimana in cui il professore decideva che erano troppo indietro col programma e doveva sbrigarsi a  spiegare quarantasette pagine in una sola giornata.

Ovvio altro era poi che fosse lui, classico studente modello, la prima vittima sacrificale del nuovo giro d'interrogazione.

Perché non vai a farti fott-

«Bene. La lezione è finita. Oh, tranne per te, Inuzuka. Dobbiamo fare un discorsetto sul tuo portare quel... coso in classe durante la mia ora».

«Akamaru non è un coso, è il mio fedele amico e non posso lasciarlo solo in casa, che mi si rattrista».

Di rasente la depressione, lì dentro, c'era solo il pugno mollemente abbandonato di Sasuke, che aveva perso l'occasione di sfogare un po' d'ira repressa su quel menteccato di Sai — salvato dalla campanella — , trotterellante verso l'uscita, rivolgendogli  un “Buona fortuna” mimato. 

Era nervoso. 

Perfetto.

Doveva andare da Suigetsu.

L'Hozuki era un po' una specie di migliore amico, quello che conosci per caso alle medie, eccezionalmente scavezzacollo, disordinato nell'aspetto e nella vita, sboccato, eternamente impigrito da qualsiasi cosa lo circondasse che non avesse su scritto “energia” a caratteri cubitali. Lo stesso ragazzo con cui Sasuke aveva compreso, in un modo tutto, che delle ragazze non gliene importava nulla, a partir dal giorno in cui gli aveva chiesto in seconda, con molta classe, chi si sarebbe fatto tra le loro compagne

Sasuke, piccolo fagotto d'innocenza rappresa a pareti di colla, ai tempi non capì nell'immediato. 

Fu allora che giunse la dimostrazione pratica

Quello che si definirebbe il capro espiatorio di allora fu proprio Suigetsu, improvvisatosi mentore di un suo coetaneo — Sasuke, appunto —  ancora fermamente convinto che, quando gli altri suoi compagni gli chiedevano se gli piacesse la banana, alludessero al frutto.

La dimostrazione consisteva nell'approcciare, in primo luogo, con una ragazza. Secondo poi, flirtare con lei, sedurla. E, in terzo, passare all'attacco; la palpatina

La falla principale nel piano d'azione dell'Hozuki stava nella scelta della preda: Karin Uzumaki. Sicché si sapeva quanto la ragazza professasse il suo amore a senso unico per Sasuke, e noto era il suo voto alla castità come la Pulcheria dell'antica Costantinopoli, depredabile unicamente da Sasuke stesso, quindi con che logica andare a fare un picnic su un campo minato? 

Nessuna, ovvio. 

Dal tentato tocco proibito al seno già ai tempi promettente della rossa Uzumaki, ne conseguì un'immediata sberla prima che le falangi dell'albino entrassero nel raggio di rischio della giovane. 

Poi Sasuke lo aveva sfottuto e Suigetsu aveva preferito buttarla sul ridere — internamente frustrato perché, diavolo, era tutta colpa di Sasuke!

Quando sfidò il moretto a fare lo stesso, tale frustrazione aumentò a dismisura, poiché Sasuke non solo aveva palpeggiato Karin con una facilità sorprendente — gliel'aveva messa lei lì, la mano, dannazione! — , ma gli aveva sbattuto il proprio successo sotto gli occhi, con quell'aria da insopportabile saccente alla è così che si fa.

Accantonando in seguito la propria stizza, aveva chiesto a Sasuke come fosse andata, ottenendo in risposta una leggera scrollata di spalle e uno sguardo indifferente al mondo; «Non ho sentito niente».

L'Hozuki aveva boccheggiato, incredulo, ma l'occhiataccia che Sasuke gli rivolse fu abbastanza esortativa dal placare ogni sua indignazione per la frase appena ammessa.

Ma Suigetsu non si era mica arreso lì, no. Lui doveva sapere, aveva solo deciso di rimandare il più tempo possibile l'inchiesta per esporre al meglio la sua versione dei fatti. Così, un bel giorno, all'inizio del primo anno di liceo, facendola sembrare casuale, gli pose la fatidica domanda rivelatrice: «Sasuke, non è che sei gay?».

Al che il compagno aveva sollevato il prima chino capo sui libri con lentezza esasperante, le palpebre leggermente socchiuse, le sopracciglia contratte. 

Lo stava fulminando e ci si stava anche mettendo d'impegno.

Contrariamente alle aspettative dell'albino, o forse no?, piuttosto che ucciderlo, Sasuke si limitò a liquidare la questione con una a sua volta domanda — = velata minaccia.

«E se anche fosse?».

E se anche fosse nulla. Suigetsu aveva sollevato le mani in segno di resa, sventolato un foglietto bianco del suo block notes e implorato d'aver salva la vita, giurando di non rivelare mai ad anima viva la sua inclinazione sessuale.

Non che a Sasuke importasse di mantenere la segretezza, anzi; i suoi riferimenti alle banane erano diventati ormai tanto ambigui quanto espliciti che non intuirlo sarebbe stato possibile solo ad un autistico o cieco-sordo.

Perché anche con le prestazioni visive l'Uchiha non scherzava.




Medesimo giorno, ovvero quello in cui Sasuke aveva bighellonato per tutta la città fino ad arrivare sotto casa del dinamico Suigetsu che potevano essere le 10:45 di sera in: — Le angherie dello squalo, parte indefinita di una vita costellata di soprusi da parte di Sasuke.


L'Uchiha che adesso si ritrovava lì, impalato davanti il portone di casa del suo istruttore per la dannazione — come amava chiamarlo suo padre da che aveva scoperto fosse stato Suigetsu a lasciare una canna e un pacco di sigarette nella camera del figlio, qualche anno addietro — , visibilmente irritato dal dover interagire con un citofono.

«Suigetsu, per Dio, sono qui sotto, aprimi. Fa freddo, cazzo».

«Sasuke? Che fai qui a quest'ora? Se proprio ti mancavo potevamo vederci nel pomeriggio, lo sai che ho sempre tempo per te» domandò fintamente sdolcinata la voce distorta dall'apparecchio elettronico. 

Il citato digrignò pericolosamente i denti.

Non ucciderlo. Ricordati che è la tua attuale e momentanea unica fonte di sopravvivenza.

E quello fu il momento in cui Uchiha Sasuke capì quanto in basso potesse cadere un uomo e avvizzirsi il suo cuore umiliato. 

Fosse per me, pensò, mi caverei gli occhi e li cederei ad Itachi pur di non vederti mai più.

«Non mi sarai svenuto per l'emozione, vero Sasuke-kun? No perché fra poco passano a ritirare i sacchi dell'immondizia e scuro come sarai vestito sicuramente, non c'è da stupirsi che i netturbini ti scambino per un sacco della spazzatura abbandonato a se stesso».

«Vuoi provare ad indovinare a cosa somiglierai tu, dopo che avrò avuto la tua testa fra le mani?» sibilò piano e a denti stretti, sia per evitare che questi battessero in un chiaro avvertimento alla prossimità dell'ipotermia, sia perché non era esattamente il caso minacciare un condomine in una zona ancora piuttosto sveglia della città, con tutte quelle ragazzine che chiocciavano di chissà cosa e pronte a scambiarlo per un maniaco omicida, magari anche necrofilo.

No, quello era suo fratello. 

«Sei rimasto alzato a guardare filmacci un'altra volta, vero? Lo sento dal tuo modo di esprimerti che sei diventato più assetato di sangue di prima, come posso aprirti con queste premesse?».

Sasuke dovette mordersi le labbra — e cercare di non strapparsele via, tanto era l'impeto violento con cui la sua mascella si chiudeva e ahia, si era anche morso la lingua! — per non berciargli contro e rischiare di svegliare l'intero palazzo con le sue urla. 

Meno testimoni aveva, prima se la filava.

Forse Suigetsu aveva ragione. 
Guardava troppi filmacci, per la sua età.
Lo illudevano troppo su idilliache immagini del suo ex migliore amico — tale poiché prossimo al decesso — in ambientazioni apocalittiche, possibilmente con l'albino sparso un po' ovunque. 

«Senti,» cercò di non ringhiare. «sono — cosa, scappato di casa? No, suonava infantile, che poi fosse la verità non era un dettaglio intrascurabile, bastava omettere — venuto qui per chiederti se... potevi ospitarmi per la notte».

Okay, fatto. 

Bomba sganciata.

«Oh. Certo che puoi restare, ma...».

«Ma?».

«...non tenterai di stuprarmi nel sonno, vero?».

Al diavolo i fottuti propositi di mostrarsi maturi; le parole che seguirono quel quesito dalla dubbia rimostranza logica non furono esattamente incoraggianti a premere il pulsante del citofono e concedere all'Uchiha di salire e invadergli la casa, ma vero era anche che, se gli avesse negato un qualsiasi favore, Sasuke lo avrebbe bruciato vivo senza farsi troppo scrupoli.

Così, quando vide l'amico d'infanzia scrutare l'ambiente a lui circostante e preoccupandosi di renderlo partecipe del suo modesto parere — «Questo posto fa schifo, te l'ha mai detto nessuno?» — , non riuscì propriamente a pentirsi di avergli offerto asilo. 

Solo che, come dire, gli spettava un po' capire il perché di quella visita improvvisa, dato che Fugaku lo odiava come fosse un appestato e neanche impersonasse la morte che l'Uchiha-senior ci teneva a mettere le giuste distanze tra lui e suo figlio.

Che l'avesse quindi consenzientemente impacchettato e spedito lì nell'Hozuki's house era praticamente impossibile. 

La perciò innata curiosità del giovane dai denti di squalo fu sufficiente per spingerlo ad addentrarsi nell'antro della bestia — vale a dire la camera (la sua) di cui Sasuke si era auto-proclamato alloggiatore, dispotismo testimoniato dal fatto che il moro avesse lanciato il non proprio leggero borsone che si era portato appresso sul letto e gli avesse scoccato un'occhiata di fuoco disarmante e cristallina: Qui ci sto io. — e dar voce alle sue perplessità. «Perché sei a casa mia?».

«Per dormire» fu la loquace ed esplicativa risposta che ottenne. 

«Fin qui ci ero arrivato» fece un po' esasperato l'usurpato padrone di casa. «ma... perché?».

«Suigetsu».

«Sì?».

«Ti ho già parlato della mia Black List?».

Oh, che gliene aveva parlato. Non vi erano fonti attendibili che dimostrassero la presenza fisica di suddetta lista in veste di quadernetto o misero foglio che fosse, ma nella mente palesemente (dis)turbata di Sasuke era qualcosa di così pericolosamente tangibile che chiunque vi fosse finito in vetta alle classifiche poteva considerarsi stufato per avvoltoi.

Bastò immaginarsi ridotto in quella poltiglia per mano del ragazzo che gli stava difronte, dandogli le spalle e sistemando le proprie cose in uno dei cassetti del suo armadio — gettando in un angolo del pavimento le sue — per deglutire un improvviso accumulo di saliva e iniziare a sudar freddo. 

«Me l'avrai accennata» e sperò di liquidare la cosa lì, sventolando la mano come a scacciar via una mosca fastidiosa.

Sasuke, che a minacciar per bene ci teneva particolarmente, non fu dello stesso avviso; infatti «Ti conviene non interessarti troppo alla causa, se non vuoi raggiungere la Top Ten» avvertì.

«Stiamo ancora parlando del tuo Death Note da paranoico sociopatico o di una classifica musicale?».

E siccome la mancata reazione dell'altro non lo impanicò come avrebbe dovuto, si permise di aggiungere: «Valla a sentire tua madre che mi si dispera al telefono perché non sa dove sei».

Quando vide lo svolgersi della sua morte negli occhi malvagiamente stretti in fessure nere del suo interlocutore, capì di non trovarsi più in zona neutrale, bensì d'essersi insediato in pieno campo nemico totalmente disarmato.

Fu dunque inevitabile, tanta era la tensione, l'urlo che cacciò quando Sasuke sbatté le palpebre. 

Come se potesse uccidermi, eheh... non può, vero?

«Okay, non chiamerò Mikoto».

Meglio non correre rischi.

«Non chiamerai a casa».

E (meglio) ricordarsi quanto manchi poco che Sasuke si faccia donna con le sue crisi da bastarda viziata, ergo accontentarlo in qualsiasi caso per qualunque richiesta.

«Va bene, va bene! Non m'intrometterò!».

«Bene».

...però non trovo sia giusto che mi piombi qui in casa, senza preannunci o spiegazioni. Sarebbe come pretendere di avere una ragazza nella stessa stanza senza permettermi di dare una sbirciatina alle sue lingerie
Sono fatto di carne, io! 


«Volevo solo capire perché fossi scappato di casa...».

«Suigetsu».

...Vado a ordinarmi una pizza, vah.




Quattro raccapriccianti ed insonni ore dopo.




Dopo aver lasciato Suigetsu a digiuno — perché la pizza la voleva anche lui, ma quell'idiota conscio della sua tomatodipendenza non lo aveva mica avvertito di starne per ordinare una, quindi colpa del suo egoismo se era andato a letto senza cena — , aver svolto i compiti che il pomeriggio sprecato in passi di troppo non gli aveva permesso di svolgere ed essersi fatto una doccia come si deve, tutt'ora Sasuke non era in grado di spiegarsi perché gli venne la malsana idea di chiamare l'unica ragazza — dopo Karin — con cui avesse la forza d'interagire.

Sono venuto a stare da Suigetsu dopo aver subito un maltrattamento psicologico da quel ninfomane di Sai, nulla di strano se alle tre meno un quarto di mattina mi venga voglia di chiamare-

«Sakura, per l'amor del cielo, sta zitta».

«No che non sto zitta, Uchiha Sasuke!» urlò dall'altro lato della cornetta la dottoressa, alzando in maniera disumana le proprie ottave di voce al punto che il moro dovette premersi l'indice sul timpano per non perdere del tutto l'udito.

La cosa peggiore, comunque, non erano tanto le grida della ragazza, quanto più la prevedibile ramanzina che ne avrebbe seguito. 

«Possibile che tu non ti renda conto dell'irresponsabilità delle tue azioni?!» ecco, appunto. «Tutto questo solo per non darla vinta a tuo padre, per non mostrare una presunta inferiorità nei confronti di Itachi!» e ancora, «Hai idea di cosa ho passato per rassicurare Mikoto e dirle che eri a dormire da un amico?! — e non fare quella faccia, perché so che la stai facendo: il mio ascendente su Suigetsu è più influente del tuo».

Dall'altra parte dell'appartamento, l'Hozuki, placidamente addormento, starnutì.

«Lo sapevo che non avrei dovuto rispondere alle chiamate di Sakura» biascicò assonnato, avvolgendosi nel piumoncino e nascondendovi la testa sotto. 

Probabilmente per disorientare la poco arguta vista di un possibile Sasuke armato di accetta-sgozza-Hozuki.

Nel frattempo c'era chi continuava a scannarsi telefonicamente.

A spese di Suigetsu, chiaro.

«Senti, Haruno» calcò Sasuke sul cognome, consapevole di quanto la ragazza trovasse sgradevole che lui la chiamasse in quel modo. «Non ti ho chiamata solo per avere il pretesto di comprarmi un apparecchio acustico, ho-».

Ecco, altra bomba sganciata. Come procedere adesso? 

- bisogno del tuo aiuto? 
- " che mi trovi un lavoro?
- " che mi presenti qualcuno perché ho un disperato bisogno di fot-

«'Hai' cosa?».

Se non altro adesso era meno inviperita. 

Più curiosa che altro, a dirla tutta. Certo era però che ammettere di averla cercata alle ormai tre e dieci di un nuovo giorno solo per bisogno di qualsiasi sorta, era peggio che essere costretti a mandar giù consapevolmente una letale dose di veleno, più caustico che guardare Ghost insieme a sua madre, più doloroso che ricevere una tallonata nelle-

«...sgno lvr e te».

«...eh?».

Sasuke si sbatté una mano sulla fronte.

Vaffanculo tu e la tua perspicacia che salta fuori quando non è richiesta.

«Ho detto che- ho bisogno di...».

«Di?» lo esortò quella, con voce sempre più tragicamente coinvolta e canzonatoria; si era eccitata al solo sentire la parola «Di cos'hai bisogno, Sasuke-kun?».

Dannata donna, subdola più di quella marmotta del nii-san. Ora capiva tutto, il perché l'avesse seguito anche all'università e lo stato di disperazione più nera in cui era piombata quando suo fratello aveva cambiato facoltà e lei si era riscoperta innamorata per le pratiche mediche; c'era la sintonia diabolica di chi sa vendicarsi con perfidia anche per le cose più stupide.

«Forza, Sasuke-kun, non ho tutta la sera. Al contrario tuo, fra meno di tre ore devo andare a lavorare e sarò di turno tutto il giorno, per cui-».

Tombola!, la parolina magica!

Ti ringrazio, isterica, mi hai semplificato le cose.

«Anch'io voglio lavorare».

«Lodevole quanto scontato, come se tuo padre ti facesse fare il mantenuto-».

«Non è lui che non mi voglia mantenere, sono io che non voglio lo faccia».

Silenzio. 

Sasuke picchiettò un paio di volte sulla cornetta, come se così facendo potesse smuovere Sakura.

«Aspetta» mormorò quella dopo un po'. «Tu hai intenzione di lavorare adesso? Senza neanche esserti diplomato?».

L'Uchiha non gradì il modo quasi sconcertato in cui glielo chiese, né il palese stupore di quelle parole, perché al di fuori dell'improvvisata ad un simile orario, non capiva cosa ci fosse di così strano.

«E allora?».

«Ti rendi conto della cazzata che hai appena detto?» adesso sembrava nuovamente carica di nervosismo, e giurò di aver sentito come il rumore di un risucchio, provenire dall'altra parte; stava bevendo caffè, la citrulla? 

«Sasuke, forse non ti sei ancora reso conto di avere solamente diciotto anni, e che per quanto possa essere una fantasia passeggera, non troverai mai un impiego come si deve, senza prima esserti laureato. O vuoi finire a distribuire volantini agli ingressi delle stazioni? Come se Fugaku te lo permettesse, certo».

Una vena di pura irritazione cominciò a pulsare minacciosa sulla tempia del moro, innervositosi per le parole della ragazza; come se non fosse consapevole che non avrebbe potuto ottenere chissà che professione senza ancora nessun titolo di studio fra le mani. Non era quello che voleva, in quel momento. Gli bastava il minimo per dimostrarsi autosufficiente al padre.

A se stesso.

Per questo rispose, senza nessuna esitazione nella voce: «Se fosse il caso, sì».

All'ennesimo silenzio prolungato, Sasuke fu tentato di attaccarle il telefono in faccia, così, senza neanche degnarla di un ciao di cortesia, quando poi la voce della giovane dai capelli rosa tornò a farsi sentire, stavolta quasi dubbiosa ma divertita.

«Davvero?» ed ebbe la conferma che, da come uscirono fuori quelle parole, distorte quasi la sua bocca fosse deformata in un ghigno mefistofelico, sì: Sakura era divertita. Da cosa, precisamente, non lo sapeva.
 
Ribatté comunque, senza starci troppo a pensare.

«Sì».

«Bene!» esclamò allora la giovane dai capelli rosa, dando l'idea di essere soddisfatta. «Sei libero domani?».

L'Uchiha-junior sbatté le palpebre un paio di volte, frastornato.

Era impazzita tutto ad un tratto? Dov'era la Sakura che, fino a due secondi prima, sembrava avere tutte le intenzioni di spaccargli la faccia?

«Perché?» domandò cauto. Con le donne non si sapeva mai. Poi la sentì sorridere — sì, esatto, un mph che sapeva del tipico sbuffo di chi ha stampato in viso uno di quei sorrisetti compiaciuti e che volontariamente prenderesti a schiaffi — e vagamente s'allarmò.

«Hai detto che ti serve un lavoro, vero?».

Non stavano per uccidersi per quella questione?

Sasuke annuì, come se l'altra potesse vederlo. E, stranamente, continuò a parlare come se effettivamente l'avesse visto.

«Capiti a proposito, mio libero e volenteroso-».

«Taglia corto, Haruno, comincio ad avere sonno».

La sentì sbuffare infastidita e fu il suo turno di ghignare. 

«Un mio amico deve lavorare e non può occuparsi del figlio, ha bisogno di qualcuno che stia a casa con lui quando non c'è».

Un sopracciglio corvino s'alzò indignato, il bel volto candido deformato da un'espressione di disgusto, orrore.

«Un bambino» quasi sputò quella parola in una risata macabra e sarcastica. «Tu vorresti che io mi occupassi di un bambino quando suo padre non c'è».

«Va a lavorare, mica a puttane».

«Fine come al solito. Haruka è ancora sotto stress per colpa tua?».

«Quell'ingrata che non sa neanche preparami un caffè? Che si vada a- non cambiare argomento!» s'infervorò, e Sasuke era sicuro si fosse messa a gesticolare. 

«Senti,» iniziò esasperata. «hai detto che ti serve un lavoro, no? Che vuoi dimostrarti maturo agli occhi di tuo padre, o sbaglio?».

L'Uchiha annuì nuovamente, non capendo dove volesse andare a parare e cosa c'entrasse l'occuparsi di un bambino per dimostrarsi maturo. Sicuramente lo sarebbe stato rispetto all'infante creatura, ma chissà perché sentiva già le grasse risate di suo padre e la propria voce che ammetteva di non essere in grado di cavarsela da sé.

«Parla chiaro, Sakura».

«Come credi di poter dimostrare ed ottenere queste cose se ti comporti tu come un bambino viziato che vuole sempre la pappa in bocca? Non puoi pretendere di partire dallo scalino più alto, Sasuke-kun, devi cominciare dal pianterreno. E poi, forse, ti verrà concesso il lusso dell'ascensore».

«Che razza di metafore fai?».

«Servono per farti capire questo: anche per il futuro, ricorda che siamo in crisi e che nessun impiego va sminuito. Tu che poi sei ancora nel tuo uovo neanche schiuso, non puoi porti ambizioni ridicole. Okay, stiamo parlando di fare da baby sitter ad un bambino di sei anni, e allora? Smetti di guardare solo filmacci del terrore, la sera, e goditi qualche commedia americana in cui tutto è perfettamente tranquillo e i ragazzini si guadagnano l'indipendenza finanziaria distribuendo giornali o vendendo limonata nel quartiere».

Poteva aver ragione. 

Sul fatto dei film.

E... magari anche sul non dover essere troppo ambizioso riguardo la sua futura mansione. Dopotutto era lui che se l'era cercata ed era sempre stato lui a chiederle aiuto, anche se non nel modo gentile che si era strategicamente preparato. Ma, ehi, aveva funzionato comunque o no? Che poi glielo doveva, se aveva potuto avvicinarsi a suo fratello era stato merito suo!

«Parlami di questo tizio e di suo figlio» sospirò sconfitto, amareggiandosi ancor di più non appena la sentì trillare vittoriosa dall'altro lato dell'apparecchio.

«Si chiama Naruto».

«Chi, il bambino?».

«No, il padre! Uzumaki, Naruto Uzumaki. Ha ventisei anni, i capelli biondi, gli occhi azzurri, e poi ha un fisico che-».

«Mi stai organizzando un appuntamento o un colloquio di lavoro?».

«-dicevo, ha ventisei anni e suo figlio si chiama Yuki, che ne ha sei».

Il moro si stupì un po' a quell'informazione. Era diventato padre così giovane? 

Un'altra domanda gli venne spontanea porsi e porle, a quel punto.

«E la madre?».

Ancora silenzio. Stavolta, però, avvertì distintamente una lieve nota di esitazione, nella voce della ragazza medico. 

«Avrai modo di conoscere Naruto per conto tuo, non temere! Ti assicuro ch'è un ragazzo dolcissimo, a volte può sembrare un po' scorbutico, ma del resto avrà a che fare con te e quindi nulla di strano se peggiorerà, non ti pare?».

Lo infastidì il modo neanche velato di cambiare discorso, poiché era ovvio e chiaro quanto stesse cercando di eludere la sua domanda. Non che gli importasse della vita di quello sconosciuto, Uzumaki. Semplicemente non tollerava che lo si ignorasse in maniera tanto palese.

Sakura, intanto, continuava con lo spiegargli più o meno la situazione.

«Tu non dovrai far altro che occuparti di Yuki quando Naruto è a lavoro. Non preoccuparti per lo studio, il bambino va a scuola come te, la mattina, e torna a casa alle tre. Non so se Naruto ti chiederà di andare a prenderlo o meno, questo lo vedrete voi poi. Potrai anche studiare a casa sua tranquillamente, l'importante è che lo faccia senza perdere di vista Yuki. Anche se a dispetto del padre è molto più timido, soprattutto se in compagnia di un estraneo, quindi è probabile che all'inizio non si fidi subito di te, ha anche una testa che si riscalda in fretta: stagli attento, Sasuke».

«Ti ricordo che non mi ha ancora neanche visto, come fai a sapere che mi assumerà?».

Riecco la sensazione di sentirla sorridere.

«Dimentichi che hai la raccomandazione della grande Haruno-sensei, shannaro!».

«Non dirmi che usi ancora quella parola, ti prego».

«Cosa, shannaro? Sentissi cosa dice Naruto!».

«Perché?» domandò quasi allarmato. Già che quell'abitudine di Sakura la mal digeriva, se anche quel tipo avesse avuto qualche strana parola d'esordio sarebbe impazzito prima del tempo.

«Allora, posso dirgli che lo vedrai domani stesso?».

«Tanta fretta è dovuta a?» non fece nemmeno finta di nascondere il tono compunto con cui le pose la domanda, irritato di essere stato ignorato per la seconda volta nel giro di cinque minuti.

«A quello stronzo del suo capo che gli ha imposto di tornare a lavorare ad un orario pieno, altrimenti gli avrebbe tolto il posto. Ti rendi conto? Come può un ragazzo padre occuparsi di casa e figlio senza un lavoro ben retribuito? Oltretutto Naruto non ha il sostegno economico di nessuno se non di se stesso, neanche la famiglia di sua moglie lo-».

Cosa? Perché adesso si era fermata? Aveva detto moglie? Quindi quel dobe — che già tale gli sembrava, per qualche inspiegabile motivazione — era sposato? Allora perché Sakura non aveva risposto alla sua domanda di dove fosse la madre del bambino?

Questa storia mi farà uscire distrutto, me lo sento.

«Allora, accetti?».

Sussultò leggermente, assorto com'era in quel dubbio che aveva cominciato a picchiettargli fastidioso come stimolo alla sua curiosità.

Non era un pettegolo, lui, dannazione.

E se proprio avesse dovuto scoprire qualcosa, l'avrebbe fatto per conto proprio, senza le chiacchiere di Sakura. Tra l'altro, era un'occasione d'oro, sia per lui che per il dobe, no? Quindi perché rifiutare?

«Sì» rispose semplicemente, sentendola battere le mani — fissata di auricolari — e tornare a parlargli come se nulla fosse, come se non avesse fatto più pause durante quella chiamata notturna che in tutta la sua vita.

«A dir la verità» parlò nuovamente, quasi imbarazzata. «gli avevo già fatto questa proposta. Di te che eri libero come baby sitter, voglio dire».

«Cosa?» fu il ringhio poco rassicurante di Sasuke in risposta. Ma cosa passava per la testa di quella psicopatica, tinte per capelli?!

«Non ti arrabbiare, è che avevo sentito da mia madre che la tua si era lamentata di una scommessa fra te e tuo padre e te che cercavi lavoro e lui che non ti credeva, così ho pensato di anticiparti!».

«Mi stai dicendo che sapevi già tutto? E ti sei arrabbiata comunque?».

«Non è splendido? Hai oggi per pre...pa... oh-oh».

«'Oh-oh' cosa, Sakura?».

Si corresse. 

Non sarebbe impazzito alla fine della faccenda. 

Stava già impazzendo adesso senza nemmeno esservi entrato.

«Ecco... ho, come dire, confuso?, le date, e...».

«E?».

«...e il tuo appuntamento con Naruto è oggi, alle due, non domani».

Ah. Chiaro.

Doveva presentarsi a casa di uno sconosciuto in veste di altrettanto sconosciuto visitatore, sollevare la mano, stringere la sua nella propria, sorridere cordiale, presentarsi pacato, Uchiha Sasuke, il baby sitter, e infinocch- addolcirlo per farsi assumere. Se poi c'era il nome di Sakura dalla sua come garante, era fatta.

Peccato solo che per essere lui vicino ad un termine che sfiorasse il gentile aveva bisogno di almeno un giorno di preparativi psicologici e prove allo specchio, di lui che si presentava, sorrideva, infinocchiava — perché tanto quello avrebbe fatto, inutile ri-censurarlo — Naruto Uzumaki e il suo bambino deficiente sicuramente tanto quanto il padre. 

Tutto ciò mandato all'aria perché la sua amica non aveva la concezione del tempo e che il suo domani fosse il già oggi, e si stavano facendo le quattro e lui si sentiva stanco e spossato, aveva bisogno di dormire e Dio sapeva solo quali salti mortali avrebbe dovuto fare per essere chissà dove alle due precise, più irascibile e sboccato che mai.

Non avrebbe mai funzionato.



Dieci ore drammaticamente più tardi, l'attuale presente del colloquio. 




Sasuke si ridestò da quella che aveva tutta l'aria di essere una trance bella profonda solo quando pollice e medio destri della mano di Naruto gli schioccarono davanti gli occhi color pece, ritrovandoseli più vicini a quelli azzurri del più grande di quanto non ricordasse, smuovendo le palpebre in uno sfarfallio molto poco Uchiha, tipico di chi invece è appena caduto dalle nubi ed è stato scoperto.

«Cosa c'è?» gli domandò burbero, scostando con stizza l'altro da sé. 

Naruto sbuffò platealmente, corrucciandosi. «Dovrei chiederlo io a te. Mi hai praticamente fulminato dopo che ti ho chiesto perché avessi deciso di fare il baby sitter e per cinque minuti buoni sei stato assorto in chissà quale pensiero».

«Oh» si lasciò sfuggire il moro, secco. «Perché ti interessa saperlo?» domandò poi, rancoroso, come se si aspettasse che l'altro si fosse messo in combutta con l'Haruno per sfotterlo di quella sua situazione di fugiasco. 

«Beh, innanzitutto perché non mi sembri il tipo» rispose invece l'Uzumaki, senza tatto. «Cioè, non perché tu non sia affidabile o altro, Sakura-chan mi ha garantito l'opposto» chiarì. «Solo, non mi dai l'idea di uno che abbia la pazienza di badare ad un bambino».

Non aveva come replicare, in effetti. Lui stesso era perfettamente consapevole di non essere affatto il tipo che si appresta a far da tata, proprio perché di pazienza non ne aveva neanche con gli adulti, che di solito sono più razionali dei bambini, più controllati. E il figlio di quel potterhead da quattro soldi aveva solo sei anni, in che razza di peste stava per incorrere? 

«E poi sei molto bello» esordì d'un tratto il biondo, così dal nulla che Sasuke sobbalzò e sgranò gli occhi, l'idea del bambino dimenticata, sorpreso e stupito da quel che l'altro aveva detto. Forse anche un po' internamente lusingato. «Giovane come sei, non credo avresti avuto problemi a trovare lavoro come, che so, modello? Anche commesso, se proprio dobbiamo essere più con i piedi per terra. Hai idea di quante ragazze attireresti perfino in un negozio di articoli sportivi?».

Un sorrisetto compiaciuto si disegnò sulle labbra dell'Uchiha una volta abbandonato lo stupore, cosa che provocò una reazione di smarrimento nel volto di Naruto.

«Stai dicendo che mi trovi bello, dobe?».

Gli ci vollero un paio di secondi, al dobe, per assimilare il senso di quella domanda e quasi arrossì — se di rabbia per l'insulto o di vergogna per l'allusione, non è dato saperlo — quando, finalmente, ci arrivò.

«Ho detto che sei bello, chibi-teme, non che tu lo sia per me».

«E quale sarebbe la differenza, usuratonkachi?».

«La differenza» ribatté con un tic di evidente nervosismo all'occhio per il nuovo insulto. «sta nel fatto che tu sei obiettivamente bello, come potrebbe esserlo una rosa, un quadro. Sei bello e non lo si può negare, ma soggettivamente sei bello in una maniera che non mi gradisce» concluse, ghignando all'espressione leggermente perplessa del più piccolo. 

Così, ci tenne a chiarire più chiaramente, trattenendosi a stento dal mettersi a ridere. «Non sei il mio tipo, teme».

Tuttavia, non ottenne esattamente la reazione che si aspettava. Tipo che quello sbarbatello sarebbe scoppiato a piangere, punto sul vivo in quello che doveva essere il suo punto forte, la bellezza s'intende; invece quello se ne rimaneva ancora lì, comodo sulla sua sedia, a sorseggiare il tè stemperato e ad incrociare il suo sguardo solo una volta terminato di bere. 

Quel ghigno da angelo sadico asceso dal Covo del Demonio ancora perfettamente visibile come un affresco appena ultimato e nuovo di zecca.

E quel mormorio che non prometteva nulla di buono, che Naruto si convinse di non aver sentito ma più comunemente frainteso, perché il tono usato dal moro era così diabolico e machiavelico che aveva il terrore di cosa sarebbe valsa la sua consapevolezza di quelle due irritanti, offensive e presuntuose paroline da spaccone.

«Vedremo, dobe».










1: Citazione in forma assai ridotta di Transformers 2... Credo. Cioè, credo che sia il 2, non lo vedo da anni, non ricordo. ç_ç
2: Citazione blabla presa da Garfield (il film a personaggi veri) e storpiata a mia memoria, perché m'era venuta in mente così.
3: Rientra nel black humor di Konoha e temo che Itachi se la leghi al dito, anche perché sto spiegando l'ovvio.
  
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