Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Segui la storia  |       
Autore: moonwhisper    13/09/2008    18 recensioni
Accade a tutti di voler staccare la spina, giusto? La conoscerete bene quella sensazione di acqua alla gola, di soffocamento, di saturazione massima. Quando non riuscite più a sopportare nulla di ciò che vi sta intorno. Ma stiamo parlando di voi. Voi comuni mortali. Non di Bill Kaulitz. O si? Bill è stanco, Bill si sente esattamente come vi sentite voi. E allora, cosa fa? Scappa. Lasciando un esasperato Tom a tenere a bada manager che soffrono di nevrosi, bodyguard con manie di grandezza, amici tardi e madri in crisi ipertensiva, e ignorando bellamente ciò che lo aspetta al punto d'arrivo: New York. E vi chiederete... cosa lo aspetta? Vediamo... risse, pestaggi, fughe, lavoro, adolescenti inquietanti, piatti da lavare, e, forse, l'amore.
Genere: Romantico, Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Heidi rimase immobile per un lungo momento. Non sapeva cosa fare. Dubitava che seguendo Alex ci avrebbe capito di più riguardo alla sua scelta, e ancor più dubitava che seguirla sarebbe servito a farle cambiare idea. Le era sembrata così determinata… così tranquilla… Rabbrividì inconsapevolmente quando si rese conto che sarebbe stata lei a dover dire a Bill cos’era successo. Chi altri? C’era solo lei li con Alex.

Riprese a sgomitare tra la folla, l’espressione corrucciata. Che immenso, gigantesco casino. Perché doveva essere proprio lei a comunicare a quel cerbiatto allampanato la fuga della sua amata? Le capitavano sempre ruoli di quel genere. Non era un caso che nelle recite scolastiche lei interpretasse sempre il cacciatore della fiaba di Biancaneve, o la nonna mangiata dal lupo. Tutti presagi. Scosse la testa come usava fare di solito quando qualcosa la infastidiva e raggiunse i quattro bellimbusti. Dei quattro in realtà ne vide solo uno a portata di mano, l’ultimo che desiderava incontrare.

Bill sfarfallò le ciglia su di lei, salutandola con un sorriso da fata madrina, e poi guardò oltre le sue spalle, frugando tra la folla alla ricerca di qualcuno. Peccato che quel qualcuno probabilmente ora sarà troppo lontano, pensò Heidi, cercando di sorridere. Per un istante pregò che Bill non le facesse quella domanda, ma il quesito le arrivò ugualmente tra capo e collo.

- Dov’è Alex? – chiese, sbattendo le ciglia degli occhioni nocciola. Heidi non tentò più di sorridere, lasciò che le sue espressioni facciali venissero guidate dallo stato d’animo.

- Bill… - disse, appoggiandogli una mano sul braccio, cercando di farsi sentire sopra il brusio incessante della folla e sul battere ritmico della musica – Alex non c’è. Se n’è andata –

Bill aggrottò la fronte, stranito.

- Cos’è successo, si è sentita male? – chiese.

Dannazione, dannazione, dannazione! Maledetto cerbiatto inutilmente grazioso!

Heidi scosse la testa, non trovò il coraggio per dire altro. Finalmente Bill parve capire. Lo sentì irrigidirsi sotto la sua mano e raddrizzarsi di scatto. Riprese a frugare tra la folla, lo sguardo febbrile.

- Da quanto? Da quanto Heidi? – le chiese, le pupille dilatate, le mani sulle sue spalle. Aveva perso molto della sua grazia sottile.

- Cinque, dieci minuti forse… - rispose la ragazza confusa. Bill la lasciò andare e si immerse nella folla, creando un vuoto attorno a lui. Tutti si spostavano quando lo vedevano passare.

- Ma Bill… - sussurrò Heidi. Troppo tardi, troppo lontano. Avrebbe dovuto scoprire da solo che Alex non era fuori ad aspettarlo. La ragazza sospirò rabbiosamente.

Si portò le dita alle tempie e tentò di tranquillizzarsi prima di proseguire la ricerca dell’altro gemello. Respirò profondamente un paio di volte e poi riprese a guardarsi intorno, cercando un cappellino familiare.

Passò in rassegna volti sconosciuti, uomini eleganti, giornaliste travestite da pin-up, una bionda avvinghiata ad un tipo…

Una bionda avvinghiata ad un tipo?

Ritornò indietro con gli occhi e studiò l’immagine con un po’ più di concentrazione.

Riconobbe la ragazza bionda e alta che in fila non aveva fatto altro che guardarla schifata ad ogni occasione che le si era presentata. Dritta come un fuso sui suoi sandali dorati e splendenti, in tinta con il vestitino inguinale che era un tripudio di riflessi abbacinanti, era intenta a coprire ogni centimetro libero del corpo che aveva davanti, allungando le braccia come tentacoli. Teneva il viso premuto contro quello del tizio in questione, che Heidi non riusciva a vedere in viso. Poi all’improvviso la ragazza si staccò ed Heidi vide… qualcosa che non doveva vedere. Qualcosa che non avrebbe voluto vedere.

Tom quella sera non portava il cappellino, aveva solo una bandana annodata sotto la coda, che in altri momenti l’avrebbe fatta ridere, e anche tanto. Ma chissà perché l’unica cosa che le veniva da fare in quell’istante era scoppiare a piangere. Sarebbe stata una cosa patetica e molto poco nelle sue corde, ma pensandoci in modo irrazionale ed infantile, le sembrava la soluzione migliore. Ma non lo fece. No, non lo fece.

Tom posò gli occhi su di lei. Aveva sperato non si accorgesse della sua presenza fin quando non avesse riacquistato le capacità motorie e si fosse allontanata di corsa da quel posto orribile, ma non accadde. Improbabile che accadesse in effetti, visto che si trovava a pochi centimetri da lui e dalla sua stangona bionda, e che li stava guardando con espressione ebete da cinque minuti.

Il viso di Tom si contrasse in una smorfia strana… ma non ebbe il tempo di identificarla.

- B-bei… bei sandali… - balbettò, senza nemmeno sapere perché. Poi l’unico pensiero che le invase la mente fu di andarsene. Uscire da li al più presto e senza ulteriori incidenti.

Si voltò e si immerse nuovamente nella folla, facendosi largo a stento.

- Heidi! – sentì chiamare dietro di lei. E la voce la conosceva bene. O se la conosceva bene.

Sgusciò sotto il braccio di un cameriere ed urtò una donna. I tacchi la facevano barcollare. Spinse e sgomitò fin quando non sentì l’aria fredda sul viso.

Alla sua destra le persone si accalcavano le une sulle altre, in fila, per poter raggiungere l’interno del locale. Taxi si fermavano e poi sgommavano via, in un miscuglio di suoni, odori, voci, luci. Avvertì una lacrima scenderle lungo la guancia destra, inesorabile, imperterrita.

Stupida, stupida, stupida!

Si guardò intorno cercando un taxi libero.

- Ehi! Ehi! – urlò al primo che le sfrecciò davanti, ma l’autista non si fermò. Forse lei non era abbastanza VIP per poter pagare una corsa in modo decente.

- Razza di stronzo! – sbraitò attirandosi addosso gli sguardi schifati della gente in fila – Beh? Cosa avete da guardare?! – aggiunse rivolgendosi nella loro direzione. Li odiava tutti, dal primo all’ultimo. Odiava quel vestito e quelle scarpe da deficiente che si era messa. Se le sfilò con violenza dai piedi e le lanciò sul marciapiede con furia. Un tacco si spezzò. Erano costate metà del suo stipendio, quelle scarpe. Quel pensiero la calmò, trasformando la sua crisi isterica in fitte di dolore al petto. Le faceva male dappertutto, come se qualcuno l’avesse presa a calci. Un’altra lacrima seguì la prima, e poi ne scesero giù altre, silenziose, salate. Con lo sguardo basso vedeva i suoi piccoli piedi, bianchi come il latte, gelati sulle mattonelle grigie e sporche del marciapiede.

Che ingenua che era stata. Immatura, sciocca. Si era fidata davvero… e non lo conosceva nemmeno così bene. Ma le piaceva, o se le piaceva. Testimoni di quello stupido istinto erano la gola che bruciava e i singhiozzi che cercava di reprimere, trattenendo il respiro con ostinazione.

Che ingenua.

 

Tom trovò finalmente il tempo di guardarsi intorno. Era riuscito a togliersi dalle scatole un paio di giornalisti fastidiosi senza troppe cerimonie. Un lato piacevole della vita da star era che poteva mandare a fare in culo chi voleva senza preoccuparsi che si offendesse o meno. Del resto conosceva appena il cinque per cento della gente che li circondava quella sera.

Non c’erano evidenti tracce di Heidi nei paraggi, ma con tutta quella gente sarebbe stata un’impresa riuscire ad individuarla. Adocchiò un punto sopraelevato: una pedana sospesa su un fianco della pista da ballo.

- Georg, io salgo un attimo su – disse dando una gomitata all’amico. Quello annuì e continuò a parlare con una brunetta che aveva raccattato pochi minuti prima.

Proprio mentre stava per avviarsi qualcuno lo afferrò per un braccio. Si voltò sperando di aver finalmente trovato Heidi, ma le sue speranze sfumarono molto velocemente.

- Ciaoo! – esclamò la ragazza di fronte a lui. Era alta, molto alta, con le due gambe chilometriche in bella vista e un vestitino simbolico che brillava come un albero di natale. Sbatté le lunghe ciglia degli occhi azzurri per un paio di volte, guardandolo come se fosse un pollo arrosto, e non diede segno di voler staccare la mano dal suo braccio. Stava evidentemente aspettando qualcosa…

Tom studiò meglio i lineamenti del viso… e poi l’illuminazione. O almeno, sperava che lo fosse.

- Monia… ? – disse, incerto.

Lei sorrise. Aveva indovinato. Ma non era sicuro che fosse una cosa buona.

- Ti ricordi di me! – trillò, avvicinandosi in modo imbarazzante.

Tom ricordava. Non era successo troppo tempo prima. Due, forse tre mesi al massimo. Ricordava un vestito molto simile a quello che indossava, varie effusioni nel privè di un locale e poi una serata finita come tante altre. E nient’altro.

In meno di un secondo si ritrovò con le braccia della semi-sconosciuta al collo.

- Sono così contenta di rivederti! Ci speravo proprio sai? Che ne dici, dopo facciamo un salto in albergo? – disse ad un centimetro dal suo naso. Tom sgranò gli occhi e fece per aprire bocca, ma la ragazza parve interpretare quel gesto come un invito a baciarlo, e fu proprio quello che fece. Lo incastrò in una stretta da lottatore e lo baciò senza dargli possibilità di scampo.

Quando riuscì a spingerla via sentiva di poter morire soffocato da un momento all’altro.

- Ma che caz… - esalò.

Poi vide qualcosa che non avrebbe voluto vedere.

Heidi era di fronte a lui, i grandi occhi nocciola spalancati e la bocca semiaperta. La trovò bella e… scioccata. Comprensibilmente scioccata. L’aveva visto mentre era avvinghiato ad una ragazza, era logico che avrebbe reagito. Sentì il panico attorcigliargli le budella.

Oddio no. No, no, no…

- B-bei… bei sandali… - la sentì balbettare, e non capì cosa c’entrassero dei sandali in quella circostanza.

Poi Heidi si voltò e si immerse nella folla. Tom ebbe un istante di esitazione e poi si lanciò dietro di lei, divincolandosi dalle spire della bionda.

La perse quasi subito. Provò a chiamarla ma lei non si voltò. Continuò la sua ricerca puntando verso l’uscita, unico luogo verso il quale sapeva che Heidi si sarebbe diretta. Una paura folle gli gelò il sangue. La sola idea che Heidi potesse andarsene senza che lui le avesse spiegato tutto, gli incuteva terrore.

Raggiunse l’uscita senza troppe difficoltà, ma una volta che fu sull’uscio davanti a lui si parò Tobi.

- Dove stai andando? – chiese, con voce inespressiva.

- Esco un attimo – rispose lui, come se stesse facendo la cosa più naturale del mondo.

- David ha detto di non farvi uscire per nessun motivo – replicò l’uomo, incrociando le braccia.

- Tobi, non è davvero il momento – disse Tom. Sudava freddo e gli sembrava assurdo.

- Non posso farti uscire, Tom – ribadì il bodyguard.

- Tobi per favore. Te lo chiedo per favore. Lo sai che non lo faccio mai. Ti prego, devo uscire adesso – disse, lanciando occhiate dietro le spalle dell’uomo.

La vide. Ferma sul bordo del marciapiede. La vide togliersi le scarpe e lanciarle per terra, vide la gente guardarla come se fosse pazza. Ma lei era pazza. E anche lui. Tom sorrise.

- Guarda c’è Nena! – esclamò d’un tratto. Tobi si distrasse e liberò l’uscita. Tom sgusciò sotto il suo braccio appena un secondo prima che il gigante lo afferrasse per la felpa.

Si sollevarono gridolini e brusio dalla fila, quando raggiunse il marciapiede. Tutti gli occhi di coloro che erano presenti in quel momento erano posati su di lui. Cercò di dimenticarsene, di eliminare tutti e tutto. C’era solo Heidi. Immobile, tremante, con i piedi scalzi.

- Heidi – mormorò.

 

Heidi si voltò.

Qualcosa di ghiacciato le bloccò il respiro.

Tom era davanti a lei, stralunato, la felpa di traverso su una spalla.

- Non te ne andare, ti prego. Fatti spiegare – disse, alzando le mani in segno di resa.

Una fitta intensa la lacerò internamente. Non riuscì a parlare, ma riuscì a sollevare una mano e ad abbatterla sulla guancia destra di Tom. Qualcuno urlò, molti trattennero il respiro, da qualche parte alla sua sinistra. Ma non ci fece caso.

Tom non reagì, raddrizzò il viso e fece finta che non fosse successo nulla.

- Non volevo baciarla! Mi è praticamente saltata addosso, ti giuro! Te lo giuro su mio fratello, su mia madre, su quello che vuoi! – prese a dire, sputando una parola dietro l’altra, in una perfetta imitazione del suo gemello.

Heidi finalmente riuscì a riacquistare il dono della parola. Ed anche quello della rabbia, purtroppo.

Lo spinse indietro. Altri urletti, alcuni flash invadenti.

- Sei un bugiardo! – ringhiò – Ho sbagliato tutto – disse poi, parlando più con se stessa che con lui. Sentiva le lacrime asciugarsi sulle guance, e il freddo penetrarle nelle ossa.

- Non sono un bugiardo. Puoi dire quello che vuoi di me. Sono uno stronzo, un bastardo, una persona superficiale, uno stupido, un ignorante, un insensibile, ma non un bugiardo. Ascoltami Heidi – le posò le mani sulle spalle e lei cercò di divincolarsi. Ma lui la strinse finché non si fermò, finché non le fece male – Ascoltami – le ordinò, serio, quasi arrabbiato.

Heidi sollevò gli occhi ed incrociò i suoi.

Cosa c’era stato tra loro? Niente. Un bel niente. Solo qualche bacio, tanti insulti, e tenerezza di troppo l’ultima volta che si erano visti. Non significava niente per Tom Kaulitz una come lei. Lei non ci era andata a letto dopotutto… quella bionda sicuramente si. All’improvviso si sentì avvampare, e si diede della stupida una volta in più. Ma continuò a sostenere lo sguardo.

- Devo dirti una cosa importante… - mormorò Tom.

Heidi fu sicura di vedere con la coda dell’occhio un insieme di teste sporgersi verso l’esterno per ascoltare. Era caduto un silenzio innaturale sulla fila. Si sentivano solo le auto passare, il vento chiudersi dietro di loro.

Tom passò una mano dalla sua spalla sinistra alla nuca. Le accarezzò i capelli ed Heidi lo odiò con tutta se stessa. Lo odiò talmente tanto che smise di odiarlo due secondi dopo.

- Ti amo -

Fu certa che il cuore si fosse fermato.

Fu certa di essere diventata bordò.

Fu certa di aver sentito male.

Fu certa del contrario quando tutta la fila trattenne il respiro all’unisono.

Poi Tom la trasse a sé e la baciò, in un tripudio di flash.

 

Vedeva le persone osservarlo. Sguardi famelici, sguardi perplessi, sguardi invidiosi, sguardi morbosamente curiosi. Ovunque c’erano occhi che non guardavano altro che lui. Il vuoto attorno al suo corpo gli dava fastidio, per un folle istante ebbe il desiderio di dover lottare anche lui contro una moltitudine di individui per raggiungere la sua meta. Continuò a camminare in fretta, ripetendosi che era meglio così, che avrebbe fatto prima, che avrebbe raggiunto in tempo Alex. Perché sapeva che lei non era semplicemente uscita per una boccata d’aria. Sapeva che c’era molto di più.

Raggiunse l’entrata, e decise di prendere l’uscita di destra, dato che a sinistra Tobi controllava il flusso di gente con l’espressione da mastino.

Le mani erano fredde, gli sudavano. Tutte quelle luci gli facevano dolere le tempie. Ma era la paura che spezzava una ad una le sue speranze. Una ad una, crudelmente, con metodicità.

Appena mise piede all’esterno un coro di grida isteriche lo raggiunse, i flash lo accecarono. Aveva sbagliato uscita, da li entravano i giornalisti.

Qualcuno gli afferrò un braccio, strattonandolo indietro.

Gli giunsero voci alle orecchie, ma per lui era tutto estremamente lontano. Si divincolò e continuò a camminare nello spiazzo, gli occhi che percorrevano ogni centimetro di tappeto rosso, ogni transenna, ogni taxi, ogni metro di cemento.

Un’altra mano lo afferrò, tirandogli la manica del giubbotto di pelle. Qualcuno gli infilò un microfono sotto la bocca. Di nuovo cercò di sfuggire dalla presa, ma non ci riuscì. Trascinò con se la mano sconosciuta, accompagnata da un corpo altrettanto sconosciuto, e raggiunse il bordo del marciapiede. Destra. Sinistra. Non c’era nessuno. Non c’era nessuno.

Non c’era più.

Si immobilizzò. Le mani ne approfittarono. Comparvero altri microfoni, altri registratori. Tutti urlavano domande, tutti volevano un pezzo di lui. Lo strattonavano da una parte all’altra per ottenere la sua attenzione. I flash tornarono ad accecarlo, la notte si perse in un mare di baluginii argentati.

E la sua mente era lontana.

 

 

Era ancora in preda al panico quando nella stanza entrò qualcun’altro. Bill puntò lo sguardo su di lei. O meglio, su di loro.

Sulla porta sostavano tre persone. La prima che notò fu la ragazza. Era alta, magra, con fluenti capelli rossi. Un rosso scuro, purpureo. Aveva un bel viso. Pallido. Tratti regolari. Bocca morbida, dall’incarnato rosa acceso. Ma gli occhi, gli occhi erano forse la cosa più bella. Erano grandi, di un verde luminoso. Tanto luminoso che sembravano rischiarare la stanza. Non ricordava di aver mai visto occhi del genere. Ne rimase aggrappato fin quando il buonsenso o la dignità, non sapeva esattamente quale delle due, gli impose di distogliere lo sguardo.

 

 

- Vediamo… se ti dicessi che… ci sono delle persone, delle persone che… non devono assolutamente sapere che sono qui… - cominciò, torturandosi le mani.

Stava dicendo la verità!

- Delle persone da cui sei scappato? – chiese Alex. Altra domanda diretta.

- Si… si può dire anche così – rispose Bill. La ragazza inclinò la testa di lato, una ciocca di capelli rossi le scivolò dal collo e le percorse il braccio, fino ad adagiarsi sul gomito.

 

Non aveva mai preso in braccio un bambino. Come si faceva?

Impacciato, lo afferrò appena sotto le braccine e lo sollevò cautamente. Era leggero… e morbido. I capelli ricci gli sfiorarono il naso, solleticandoglielo. Aveva un buon odore… un misto tra latte e shampoo per bambini. Non fece una piega quando lo prese in braccio, e si lasciò appollaiare sulla sedia come nulla fosse. Continuò pero a seguire ogni suo movimento, fin quando non si risedette al suo posto.

Bill lanciò uno sguardo in tralice a Joanne, che gli sorrise incoraggiante, poi guardò di nuovo il bambino. Zachary sollevò un piccolo indice verso di lui e dopo un attimo di suspense, scoppiò a ridere.

 

 

- Non ci riesco – disse Bill abbandonando le mani lungo i fianchi con aria disperata. Alex si rassegnò e gli passò le mani attorno al collo, legandogli il grembiule dietro la nuca. Bill sentì la pelle del coppino arricciarsi mentre guardava il lobo di Alex vicinissimo alla sua bocca. La sua maglietta profumava di panni puliti, un odore che aveva sempre adorato.

 

 

Qualcosa si mosse sotto le sue dita. Il ragazzo abbassò lo sguardo sulla testolina castana di Kevin. Non lo guardava, ma continuava a tenergli stretta la mano. Pensò che non gli era mai capitato di tenere per mano un bambino. Aveva tenuto per mano ragazze belle o solo carine, mezze nude o trasandate, adoranti… ma mai un bambino. Ed era stato un immenso peccato, pensò. Perché era bello sentire di poter proteggere qualcuno, solo tenendolo per mano. Serrò ancora un po’ le dita attorno a quelle del nano malefico, stando attento a non fargli male.

Era quella, la pace?

 

 

Vide Samuel abbracciare Alex, inginocchiandosi a terra come loro, e lo stesso fece Kevin, cingendo la vita della ragazza. Zachary rimase in piedi, ed allungò una manina paffuta sul capo di Alex, accarezzandole i capelli ed emettendo strani gorgoglii sconnessi.

Rimasero li per un po’, interpretando una goffa imitazione di famiglia.

Bill rifletté in pochi minuti che non aveva mai visto niente di più vero in vita sua. Tutto era autentico, reale, scevro da ogni tipo di patinatura. E non era bello, non era felice, non era positivo, ma la preziosità di quel momento stava proprio li. Tutti si comportavano in modo naturale e spontaneo. Abbracci teneri, pianti disperati e sinceri, conforto disinteressato. E gli parve di ritornare alla vita, quella normale, quella che aveva abbandonato appena dopo i quattordici anni. La vita che gli era venuta a mancare, senza che lui se ne accorgesse.

 

 

- Ma così non ti concedi nulla. Sei talmente immersa nella tua realtà da non poter nemmeno… fingere, sognare – si lasciò sfuggire, scosso di nuovo dal desiderio di aiutarla, di sganciarla da quelle sofferenze che non meritava.

Alex di nuovo fissò le iridi verdi, che nell’oscurità continuavano a brillare per conto proprio, nei suoi occhi. Si avvicinò a lui ed allungò una mano, portandogli una ciocca di capelli corvini dietro l’orecchio. Poi si soffermò a guardarlo, regalandogli un sorriso. Un sorriso compassionevole e tristemente complice allo stesso tempo. Gli passò un dito sulla guancia, accarezzandolo dolcemente.

- E tu puoi sognare? –

 

 

Ritornò a vedere il mondo senza di lei.

Ed era il solito mondo. Il mondo conosciuto, dove non c’era più nulla da sognare.

Focalizzò il viso della giornalista davanti a lui.

Raddrizzò la schiena, scosse leggermente la testa.

Sorrise, nel solito modo.

“Punta e sorridi, Bill. Punta e sorridi” gli ripeteva sempre il fotografo del primo photoshoot che aveva fatto. E lui aveva imparato.

- Si, io e mio fratello ci stiamo divertendo molto – rispose alla prima domanda che riuscì ad identificare – è una festa magnifica -

Qualcuno gli chiese delle indiscrezioni sull’album.

- Non possiamo rivelarvi nulla al momento, posso solo dirvi che sarà dedicato a delle persone molto speciali… - abbassò lo sguardo, e vacillò sotto il peso delle sua immagine, per un fugace istante – una persona molto speciale – mormorò, ma nessuno sentì quell’ultima parte della frase.

E nessuno vide una lacrima trasparente e pulita sgorgare dall’occhio di Bill Kaulitz, sporcarsi sulla guancia coperta di trucco, tracciare una linea precisa sul suo mento e cadere sul colletto del giubbotto.

Bill Kaulitz sorrideva. Bill Kaulitz era una star. Bill Kaulitz aveva avverato il suo sogno.

Era ragionevolmente impossibile pensare che fosse un ragazzo triste.

 

 

EPILOGO

 

 

Tre mesi dopo

 

 

 

La mattina sapeva di caffè e latte.

Aprì gli occhi e sopra di lei fece capolino il familiare soffitto bianco.

Dove prima c’era una crepa adesso era disegnato un lungo stelo verde. Il disegno culminava in un grosso fiore dai petali arancioni. Charlie l’aveva aiutata a dipingerlo pochi giorni dopo che era tornata a New York, impietosita dalle sue preghiere.

Si alzò, i capelli spettinati che le scendevano lungo le spalle, i piedi nudi che calpestavano il grande tappeto della stanza.

Già dal corridoio cominciò a sentire il cicaleccio della prima colazione. Era piacevole ascoltar parlare coloro che le volevano bene di cose stupide, leggere. Delle loro vite, di quello che non avevano voglia di fare, del numero di cereali da dividere.

Quando entrò in cucina ad accoglierla per primo fu Zachary. Le rivolse un sorrisino sdentato.

Joanne era alle prese con Kevin. Tentava di fargli ingoiare un cucchiaio di sciroppo senza che se lo spalmasse di nuovo sul maglione. Il bambino aveva preso l’influenza a scuola ed era ancora più incontrollabile del solito.

- Buongiorno – disse Samuel vedendola. Charlie era seduta accanto a lui ed usava tre smalti di colore diverso per dipingersi le unghie, uno dei pupazzi ricuciti di Zachary sulle ginocchia.

Prese posto di fronte alla porta, come al solito.

La sua tazza preferita era già pronta, piccole volute di fumo si sollevavano dal latte caldo.

- Oggi devo lasciarti con Kevin. Porto io gli altri bambini a scuola – disse Joanne, ripulendo la bocca di Kevin. Il bambino aveva la faccia contratta in una smorfia ridicola che la fece sorridere.

- Ok, vedrò di fare quello che posso con questo demonio tra i piedi – rispose Alex facendo una linguaccia a Kevin.

- Quando la smetterete di includermi nella categoria “bambini”, ve ne sarò così grata che smetterò di produrre bamboline woodoo, lo giuro! – disse con voce zuccherosa Charlie, dipingendo meticolosamente il mignolo della mano destra.

Alex rise e lasciò che il resto della famiglia proseguisse la conversazione senza di lei. Ascoltare era piacevole quanto partecipare.

Lasciò cadere una piccola ciambellina nel latte. La guardò galleggiare, giocando a farla sobbalzare con il cucchiaio.

All’improvviso sentì il bisogno di alzare gli occhi.

Nella sedia di fronte alla sua era seduto Samuel.

Non troppo tempo prima al suo posto c’era stato qualcun altro.

 

Alex osservò ancora per un minuto la porta ormai chiusa, mordicchiandosi il labbro pensierosa.

Che tipo strano… beh, non tantissimo in effetti. Convivere con Michael le aveva insegnato cos’era l’autentica “stranezza”. Vedere l’amico che si era steso su un cornicione all’ottavo piano di un palazzo, quello era stato strano. Oppure essersi fatta convincere a lanciarsi in una corsa giù dalla discesa della 5th Avenue in un carrello della spesa, quello era stato strano. Bill era forse… misterioso. Non esattamente strano. Anche se qualcosa di strano, nello smalto nero un po’ rovinato che portava sulle mani come fosse una cosa naturale, e nelle meches bionde che aveva, forse c’era. Scosse la testa e ritornò alla sua scrivania. Dopotutto la stranezza era una cosa molto soggettiva.

 

Era di nuovo di fronte a lei, con il dito di Kevin a mollo nella tazza del latte, una smorfia disgustata sul viso. Le parve di vederlo sollevare la testa e sorriderle dolcemente, come gli aveva insegnato a fare. Adorava quel sorriso, era uno dei ricordi più belli in assoluto che conservava dentro di sé, con cura.

Le capitava spesso di pensare a lui. Ci pensava in relazione a piccoli gesti quotidiani. Il modo in cui prendeva la forchetta in mano a pranzo, il modo in cui si annodava il grembiule al pub, quella strana abitudine di inarcare un sopracciglio quando qualcosa gli sembrava inconcepibile. Ricordare la rendeva malinconica, e a volte la spaventava rendersi conto di poter riportare davanti ai suoi occhi ogni più insignificante particolare, ogni attimo passato insieme.

- Alex, ne vuoi? -

Alex sobbalzò e guardò Samuel, che le porgeva un pacco di biscotti al cioccolato. Aveva ricominciato a parlare normalmente da un mese, e sembrava non avesse intenzione di smettere. Lui e Charlie erano diventati inseparabili.

- Si, grazie – disse.

Si guardò intorno, convinta che mancasse qualcosa. Sarebbe sempre mancato qualcosa, ma forse il tempo l’avrebbe guarita.

Nel frattempo, lei avrebbe ricordato.

 

 

If I could fly I'd come to see you wherever you are
I would lie down beside you while you're sleeping
and with simplicity ... I'd spend a little time
just a little time with you

With simplicity, I'd listen to your breath
listen to your heart beat
I would be so near, we could push away the fear
I'd come to see all of your tears
I'd come to see all of your smiles
with butterfly eyes ...

And you would know who I am
and I would know who you are

 

 

 

 

Se potessi volare verrei a trovarti ovunque sei
Mi sdraierei accanto a te mentre dormi
E con semplicità… passerei un po' di tempo con te


Con semplicità… ascolterei i tuoi sogni
Ascolterei il battito del tuo cuore
Sarei così vicina
Che potremo spingere via la paura
Verrei a vedere tutte le tue lacrime
Verrei a vedere tutti i tuoi sorrisi
Con occhi di farfalla


E tu sapresti chi sono
E io saprei chi sei.

 

 

THE END

 

 

 

 

RINGRAZIAMENTI

 

Siamo arrivati alla fine. Mi sembra una cosa stranissima…

Come al solito, la mia speranza è che questo capitolo vi sia piaciuto. Spero non troviate orrori di grammatica (sarebbe a dir poco imbarazzante, visto che è l’ultimo capitolo XD), ma se per caso mi fossi dimenticata qualche castroneria, vi prego di perdonarmi (ero emotivamente scossa XD).

Ho un’ultima richiesta da farvi, prima di lasciar posto ai ringraziamenti ad personam.

Vorrei che coloro che hanno letto questa storia, e che mai hanno recensito, mi facessero sapere cosa ne pensano, ora che è conclusa. Mi piacerebbe davvero avere un’opinione sulla totalità della fan fiction, in modo da imparare cose nuove, trarre le mie conclusioni e migliorarmi nella prossima che scriverò, visto che è già in cantiere.

Sul serio, almeno ora che è finita, fatemi sapere cosa ne pensate q_q. Anche due parole vanno bene ^^.

Finita la parte patetica, passo a quella allegra.

Grazie alle cinquantotto persone che hanno inserito questa FF nei loro preferiti. Un bacio grande a:

 

avuzza
BabyzQueeny
betta94_th
bluebutterfly
CAMiL92
Chamelion_
Ciuly
dark_irina
Dying Atheist
ElianaTitti
Eowyn 21 10
erikucciola
EtErNaL_DrEaMEr
Fee17
fragolina92
Frehieit489
Freiheit
FuckedUpGirl
GodFather
go_ila_go
Ihateyou
joey_ms_86
kashino
Kheth_el
Kimiko Kaulitz
Lales
lebdiesekunde
lilistar
lipsia8
Lithia del Sud
Lola__x
lovelylory
L_Fy
Mademoiselle Coquelicot
madine87
Miss SunShine
nihal_chan
noirfabi
Paaola
pervancablue
picchia
satanina
simmyListing
sole a mezzanotte
susisango
Temperance_Booth
tokiohotellina95
tokitoki
valux91
Vitto_LF
Vladimia
_Ellie_
_emosoul_
_IllusioN_
_midnight_
_Princess_
_PuCiA_
_xXtokiettaXx_

 

Un abbraccio stretto a tutte quelle bellissime ragazze che mi hanno seguita passo passo nella pubblicazione dei capitoli, prendendo un po’ del loro prezioso tempo ed utilizzandolo per lasciarmi una recensione. Vi ringrazio di cuore. :***

 

Un ringraziamento speciale alla mia beta reader, che altri non è se non: bluebutterfly. Ti voglio bene *_*.

Un pensiero a Margherita, che per prima ha sentito questa storia, quando non era altro che parole senza ne capo ne coda.

Un bacio a mia sorella, a cui è ispirato il personaggio di Charlie. Lei E’ Charlie. Ti voglio bene budazza (XD lo so che ti arrabbierai quando leggerai questa cosa, ma tanto non ti conosce nessuno XD ti amo :*).

 

Ringrazio i Muse, i Marlene Kuntz, i Radiohead, gli Strokes, Elisa, i Verdena, i Baustelle, i Massive Attack, gli Oasis, i Placebo, Erik Satie, Ludovico Einaudi e gli Arctic Monkeys per avermi fornito un notevole aiuto in quanto ad ispirazione. A tal proposito, la canzone riportata in termine di capitolo è: Simplicity, di Elisa. Potete ascoltarla qui se desiderate: http://www.youtube.com/watch?v=OFz2Rnkxm9Q.

 

Bene, credo di aver ringraziato tutti.

Se questo finale vi avrà deluso, mi dispiace, ma non sono riuscita a terminare la storia in modo diverso. Per me esisteva solo questo termine. Pur avendo tentato di cambiare idea, alla fine ho scelto di seguire l’istinto.

 

Un bacio a quei quattro debosciati teutonici che prendo in prestito per dare sfogo alla mia frustrazione folle ^^.

 

Alla prossima!

 

Claudia.

 

  
Leggi le 18 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: moonwhisper