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Autore: Clairy93    12/08/2014    9 recensioni
[Seguito di “Mi avevano portato via anche la luna”]
Trieste. 1950.
La guerra è terminata ma quella di Vera Bernardis è una battaglia ben più difficile da superare. E’ sopravvissuta all’abominio dei campi di concentramento, è divenuta un’acclamata scrittrice e ora ha una famiglia a cui badare.
Ma in certi momenti quel numero inciso sulla sua carne sembra pulsare ancora e i demoni del suo passato tornano a darle il tormento.
Situazioni inaspettate sconvolgeranno il fragile mondo di Vera ponendo in discussione ogni cosa, anche se stessa.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Olocausto, Dopoguerra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mi avevano portato via anche la luna'
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Uno strano trambusto mi sveglia nel cuore della notte.
Mi libero dalle coperte, mettendomi a sedere con un tale scatto da farmi girare la testa.
Tommy.
Il mio primo pensiero è subito rivolto a lui.
Ma prestando attenzione, capisco che i lamenti non sono i suoi. Provengono da fuori.
Deve essere un ubriaco, penso. O magari un gruppo di giovani un po’ su di giri che sta rincasando.
Così, confortata da queste mie supposizioni, mi rimetto a letto.
Tuttavia il nodo alla gola riaffiora appena odo battere violentemente contro la porta d’ingresso.
“Vera!”
Sento gridare, ma mi convinco di aver sentito male e mi rannicchio sotto le coperte.
“Vera!”
Strabuzzo gli occhi e sono pervasa da un fastidioso tremore.
E’ Filippo.  
Il mio istinto mi suggerisce di non alzarmi dal letto, di non muovermi per nessuna ragione.
Poi però un dubbio s’insinua in me: da quando l’ho cacciato, non si è mai fatto vedere. Ad eccezione di due giorni fa, quando l’ho ripreso l’attimo prima che si avventasse su Massimo, evitando che il mio vialetto diventasse un ring per un improvvisato scontro di pugilato.
Perciò se Filippo è venuto, forse ha davvero bisogno di aiuto.
Per quanto provi a ignorare l’insistente battere alla mia porta, il pensiero che possa essergli capitato qualcosa di grave non mi permette di riprendere sonno.  
E decido di andare a controllare.
Mi alzo, infilo le pantofole ai piedi e mi stringo la cintura della vestaglia attorno alla vita.
“Vera apri questa cazzo di porta!”
Sento un brivido freddo lungo la schiena.
Quella non assomiglia alla voce di Filippo. Sembra davvero fuori di sé.
E questo m’infonde un senso di pericolo.
Sto per voltarmi e tornare al sicuro nel mio letto, ma mi convinco perlomeno a capire cosa ha indotto Filippo a recarsi alla mia porta, in piena notte, rischiando tra l’altro di svegliare l’intero vicinato.
Esco dalla mia stanza e mi affaccio all’uscio della cameretta di Tommy. Riposa sereno e indisturbato, accoccolato al suo orsetto preferito.
Accosto la sua porta e mi dirigo in punta di piedi verso le scale.
Nonostante la mia vista si sia abituata all’oscurità, le mie mani sono ben salde al corrimano.
Ad ogni gradino, sento le ginocchia tremare e sebbene mi stia impegnando a non fare rumore, mi pare che la scala non abbia mai cigolato tanto.
Nel frattempo mi accorgo di non sentire più il frastuono all’ingresso.
Forse si è rassegnato, penso sollevata.
Poso le mani tremanti alla porta e accosto l’orecchio sinistro, nel caso sentissi qualcosa.
Sobbalzo appena i colpi riprendono, più violenti e perseveranti.
“Vera! Lo so che sei lì dietro!”
Mi porto istintivamente le mani alla bocca, ricacciando con fatica un urlo in gola.
Sto tremando, non riesco a controllarmi.
“Fammi entrare ti prego, voglio parlare. Solo parlare…” biascica Filippo, mentre i pugni alla porta si fanno sempre più deboli.
“Ti amo Vera. Ti amo tanto…Io non vivo senza di te. Io morirò senza di te Vera…”
Lo sento singhiozzare e gemere sottovoce.
In quello stato, quanto potrà essere pericoloso?
Così, giro pianissimo il pomello e nell’istante in cui scatta la serratura, la porta si spalanca all’improvviso e Filippo quasi non capitombola a terra.
Lo afferrò subito per le spalle e cerco di tirarlo su, ma non ha nemmeno la forza per reggersi in piedi.
E’ ubriaco fradicio.
“Filippo ma cosa hai fatto?!” bisbiglio spazientita, mentre riesco con immensi sforzi a trascinarlo dentro casa.
Non posso che provare compassione per la misera condizione in cui si è ridotto.
“Sei bellissima Vera…” borbotta Filippo.
Ma s’interrompe. Contempla frastornato lo spazio attorno a sé, arricciando il naso. Qualcosa ha attirato la sua attenzione, tanto che sul suo volto spunta un sorriso inebetito.
“Hai usato un profumo diverso…Non è vero?”
Lo ignoro volutamente, compresa la serie di frasi incomprensibili che bofonchia in seguito.
“Stai fermo qui Filippo.” gli raccomando non appena riesco ad adagiarlo sul divano “Vado a prenderti un bicchiere d’acqua.”
Corro in cucina e apro l’acqua del rubinetto.
Tuttavia sono colta da un momento di puro sconforto.
Mi sostengo al lavello, massaggiandomi la fronte.  
Mi maledico mentalmente per averlo fatto entrare.
Non avrei dovuto cedere alle sue suppliche. Non importa se a malapena si regge in piedi, già il fatto che si sia ridotto in quello stato vergognoso doveva essere un campanello d’allarme.
Ma l’ho ignorato, mentre era ovvio che il suggerimento fosse proprio quello di non lasciarmi ancora coinvolgere dalla sua imprudenza ed evidente mancanza di giudizio.
Devo mandarlo via. Subito.
Annuisco decisa, prendo rapida un bicchiere dalla credenza e lo riempio d’acqua.
Ma quando ritorno in salotto, il divano è vuoto.
Mi guardo attorno, stranita. E appena realizzo fino in fondo la pericolosità della situazione in cui mi sono immischiata, è troppo tardi.
Sento dei rumori dietro di me, mi volto di scatto e faccio per allontanarmi ma Filippo mi afferra per le braccia.
E incrocio sconvolta il suo sguardo.
Il bicchiere sfugge dalla mia presa e cade a terra, frantumandosi in mille pezzi.
Lui preme una mano sulla mia bocca.
“Se urli, ti ammazzo.”
Avverto il suo alito caldo, misto ad alcool, sul collo.
“Filippo, ti prego lasciami...”
Ma lui m’ignora, gettandomi invece con foga sul divano.
Io provo a rialzarmi ma lui mi blocca i polsi in una morsa vigorosa.
Lo imploro di non avvicinarsi ma non mi ascolta. E’ completamente fuori di sé.
E’ sopra di me, mi afferra per i capelli e mi tira indietro la testa, avventandosi sulle mie labbra.
Gemo una protesta tra i singhiozzi, mentre le lacrime inondano il mio viso.
“Frigni in questo modo anche quando sei con Massimo, vero?
Sibila lui al mio orecchio, mentre il peso del suo corpo mi leva il respiro.
“Tu non mi ami Vera! Non mi hai mai amato. Sei solo una schifosa bugiarda!”
“No, no non è vero!” lo supplico, premendo le mani sul suo petto e tentando di allontanarlo “Io ti amo Filippo! Ti amo, te lo giuro!”
Lui finalmente alza lo sguardo e mi osserva disorientato, come sorpreso nell’udire le mie parole.
Cerco di abbozzare un sorriso e Filippo ricambia, mentre avverto la sua stretta farsi meno intensa, tanto da permettermi di divincolarmi.
Ma non appena provo ad alzarmi, Filippo m’imprigiona di nuovo e mi rigetta con rabbia sul divano.
Lo sento abbassarsi con impazienza la cerniera dei pantaloni.
“Ti servivo solo come ripiego, mentre aspettavi il ritorno di quel cretino di Massimo!”
Poi mi sferra un pugno sul viso.
Non riesco nemmeno a elaborare la gravità del gesto compiuto da Filippo, che lo sconcerto è rimpiazzato da una fitta lancinante all’occhio destro.
La vista si annebbia e il dolore alla testa diventa insopportabile.
Sono stremata. Ma continuo a scalciare e a dimenarmi, pur amaramente consapevole dell'incapacità di bloccare Filippo.
Anche ora, ferita e umiliata dall’uomo che amavo, nutro ancora fiducia che riprenda il controllo di sé.
Ma le mie speranze purtroppo svaniscono quando Filippo prova a strapparmi con foga la vestaglia.
In quel momento capisco che quella figura violenta e minacciosa sopra di me, non è Filippo.
Non può essere il mio Filippo.  

“Mamma…”

E all’improvviso tutto pare fermarsi.
Mi volto di scatto e nella più soffocante oscurità, intravedo Tommaso.
E’ sulle scale, impaurito. Stringe il suo orsacchiotto al petto e osserva confuso i suoi genitori, di nuovo insieme ma non nel contesto che immaginava.
Filippo allontana la sua bocca dal mio corpo e lo sento irrigidirsi.
Giro subito il capo dall’altra parte, perché Tommaso non si accorga dello scempio sul mio viso.
“Tesoro va tutto bene. Torna a dormire.” gli ordino con il tono più pacato possibile, nonostante il nodo alla gola non mi faciliti.
“No…” replica lui in un flebile sussurro.
“Tommaso vai immediatamente in camera tua!”
L’insolita aggressività nella mia voce lo spaventa. Lo sento correre su per le scale e sbattere la porta della sua stanza.
E finalmente Filippo allenta la presa su i miei polsi indolenziti.
Si alza un poco barcollante, richiude la cerniera dei pantaloni ed esce da casa mia.
Mi sembra di riprendere a respirare.
Ma non riesco a muovere nemmeno un muscolo.
Mi fa male tutto, la testa mi scoppia e i polmoni bruciano.
Poi sono scossa da un tremore spasmodico.
Ho paura nel provare ad alzarmi, credo di poter svenire da un momento all’altro. Ma chissà perché questa eventualità non mi pare tanto malvagia, perlomeno cadrei nell’incoscienza per qualche ora.
Vorrei andare da Tommy. Potrei chiamarlo, vorrei stringerlo forte.
E invece rimango immobile sul divano.
E penso, penso e penso ancora.
La mia mente non mi dà tregua.
Scoppio in un pianto nervoso.
E ho paura di non riuscire a fermarmi.
   
 
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