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Autore: Audrey_e_Marilyn    13/08/2014    2 recensioni
Gli uomini sognano, ma i sogni non hanno alcun valore quaggiù e ciò che prima era un luminoso raggio di speranza, adesso è una lunga notte d'agonia. Questo è il principio della fine, è stato concesso tempo a sufficienza, ma nei meandri della terra ancora giace in attesa l'eredità degli angeli, un'eredità macchiata di sangue e bruciata dal fuoco.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Atto Secondo:  A carnevale, ogni scherzo vale


 
Venezia, la città dell’eleganza e dello sfarzo, che vanta di un carnevale entusiasmante e pieno di raffinatezza. Si sistemavano gli ultimi preparativi per la grande serata e Clelia li osservava lavorare compiaciuta, non era mai stata a lì durante il periodo carnevalesco e desiderava vederlo almeno una volta.

Arrivò alla base di Venezia, la basilica di San Marco, entrò nella chiesa e la guardò come lo aveva fatto la prima volta. Era stata in quella base già più volte e per varie missioni, Clelia non sapeva perché, ma Venezia era una calamita per i mostri e almeno una missione, sul loro tabellone, era in quella città. Andò verso il tabernacolo nel quale risiedeva una piccola chiave dorata e tempestata di smeraldi, la girò tre volte e, con un frastuono, al centro della chiesa, si aprì il pavimento in una voragine. Scese delle piccole scalette in legno e percorse il corridoio fino ad arrivare alla sala grande della Base Verde. Era la terza base costruita dai predecessori, ma fu la prima a crollare. I Cavalieri cercavano di farla risorgere dalle ceneri e riportarla al suo antico splendore, ma il Gran Maestro aveva davanti a se un cammino ancora molto lungo e complesso. Proprio a proposito del Gran Maestro, la trovò che allenava i pochi e molto inesperti iniziati. Erano piccoli, molto, e probabilmente erano orfani. Ricordava bene il tempo in cui era stata iniziata, aveva solo sei anni, ma era sempre stata portata… suo zio diceva che invece di giocare con le bambole, preferiva giocare con la sua spada di legno. Sorrise a quel ricordo, ma riguardando quei bambini rammentò la fatica che aveva fatto per formarsi, i sacrifici che aveva dovuto compiere per essere la più brava. A breve avrebbe compiuto diciotto anni e le sembrò troppo quando vide quei bambini allenarsi, sperava che presto anche loro potessero girare il mondo e svolgere missioni, dopotutto era la cosa bella dell’essere Cavalieri.
 «Cassandra!» la salutò Clelia con un cenno della mano.
«Clelia!» la giovane Maestra corse ad abbracciarla. Era esattamente come la ricordava, la pelle olivastra e i capelli scuri, gli occhi castani e il sorriso sempre allegro che culminava in due simpatiche fossette. «Dio mio quanto tempo è passato!» Cassandra aveva giusto ventitré anni e anche se era giovane, era molto in gamba. «Come… come sta Shane? Cerca ancora di batterti?»
 «Sta alla grande… Cass, che domande fai? È ovvio che continua, lo sai che non cambierà mai» cercò di buttarla sul ridere, ma a lei mancava molto il suo vecchio partner e per non soffrire aveva deciso di non parlargli più.
«È il solito testone» rise lei «… Allora che combini qua a Venezia?»
  «Devo uccidere un Gargoyle, tu ne sai qualcosa?»
«È sempre stato visto qua nei dintorni di Palazzo Ducale, ha mangiato un paio di vecchietti e qualche bambino, ma ovviamente la gente è convinta si tratti di un assassino misterioso, va a sapere che c’è nella testa della gente.»
  «Solo qui nei dintorni, ma non ti sembra strano?» le fece notare Clelia.
«Sì, infatti, molto strano… ma i miei alunni hanno un coprifuoco molto ferreo da rispettare e quindi non gli do peso, se loro sono al sicuro non ho da preoccuparmi. Sai, sembra quasi che quel brutto bastardo sappia dove siamo, che resti in attesa per vederci uscire allo scoperto e per poi ucciderci senza alcuna pietà.»
  «Credo tu abbia ragione Cass… quando c’è il carnevale?»
«Domani sera, hai tutto il tempo che vuoi per indagare. Ti do una camera…»
Cassandra accompagnò Clelia ai dormitori e le assegnò una suite meravigliosa: un’ampia stanza colorata di verde e oro con al centro un letto a baldacchino, una cabina armadio e un terrazzo con tende in raso; affianco a lei un bagno che aveva perfino una vasca con funzione idromassaggio e una toilette in legno d’acacia che aveva tre specchi incorporati.
 «Accidenti Cass! A me andava bene anche solo un letto non una suite a cinque stelle!»
«Vuoi davvero farmi credere che la vasca idromassaggio non ti interessa?»
  «… Okay va bene la vasca mi alletta molto, ma non starò mai qui a che mi servirebbe?»
«Non si sa mai, a volte però solo un bel bagno può schiarirti le idee. A presto Clelia» chiuse la porta della camera e la lasciò sola.

Si buttò sul letto, era morbido e poteva sprofondare in quel comodo materasso, la stanza profumava di rose ed era del tutto differente alle camere della sua base… beh certo, se lei avesse trovato un cartone di pizza sotto il suo letto di certo non si sarebbe stupita, visto l’ordine, ma erano così eleganti rispetto a quelle di Siena. Sistemò i suoi abiti nella grande cabina armadio e guardò l’abito per il carnevale: era un abito lungo dal corsetto elaborato, era in velluto rosso e aveva ornamenti in oro, come i pizzi e i merletti; le maniche erano lunghe e in raso, tagliate lungo l’avambraccio e la scollatura era davvero ampia ed elaborata… davvero troppo ampia per Clelia. Si guardò il seno e sperò che potesse riempire il vestito. Se quel che diceva Cassandra era vero, allora combattere con la gonna sarebbe stata una priorità, non poteva rischiare di fare cadere la base tre.

Il mattino seguente il bagliore di un freddo sole invernale illuminava Venezia e Clelia era pronta per scoprire altri indizi sul Gargoyle. Andò nei luoghi del delitto, ma di quattro solo in uno trovò qualcosa: una strana bava rossiccia. Quelle erano creature notturne, uccidevano solo per necessità e si nascondevano tra le gargolle delle chiese, ma in quel periodo anche i mostri più schivi stavano diventando sanguinari e spietati. Principalmente ogni mostro è figlio del male e anche se i Cavalieri provavano ad eliminarli, non potevano farlo del tutto perché il male non sarebbe mai morto. Guardò sotto i suoi piedi per qualche secondo e procedette silenziosamente con le sue indagini. La bava dei Gargoyle solitamente era di uno strano verde acido, diventava di uno strano rosso solo a contatto col sangue umano e una volta assaggiato non ne avrebbe più fatto a meno. Guardò in alto e pensò che il mostro si potesse essere nascosto in cima al campanile. Il carnevale sarebbe stato non solo un ottimo diversivo, ma anche l’occasione perfetta per lei e per il mostro di colpire. Sarebbe stata una reazione a catena che si sarebbe conclusa con la sua vittoria.

  Ritornò nei dormitori e cominciò a prepararsi, si spogliò e corse in doccia. Regnava il silenzio, fino a che Clelia non aprì il getto dell’acqua, d’un tratto mente si lavava i capelli si sentì come avvolta da una strana malinconia e le sembrò che il tempo avesse smesso di scorrere; sentì un fruscio e d’istinto si coprì il corpo, spuntarono davanti a lei la figura di uno schiavo, giovane e scaltro, con in mano l’elsa di una spada. Solo ed esclusivamente l’elsa. Staccò il pomo del resto e lo guardò affascinato, attirato come se ne fosse stato posseduto. Era un rubino rosso sangue e grosso quanto una mela matura, bello e maledetto. Sentì un boato e un esercito di uomini irruppe nel bagno, uomini nascosti da un turbante e con volti arcigni, tentarono di assalirlo, ma questo scappò veloce con solo il rubino in mano e salì sul primo veliero che era attraccato. La scena si dissolse in un fruscio muto e il getto della doccia la colpì sulla schiena caldo e frenetico.
  «Ma che cazzo..?»

Finì velocemente di lavarsi, si infilò nell’accappatoio e andò alla toilette per prepararsi, quando bussarono alla sua porta: «posso entrare?» domandò Cass sporgendosi nella sua camera.
  «Ovvio» sorrise Clelia facendole segno di entrare.
«Vuoi una mano?» domandò gentile la ragazza.
  «Sì grazie, mi faresti un piacere.»
Cassandra le asciugò delicatamente i capelli con l’asciugamano, poi diede una leggera passata con il phon, prese l’arriccia capelli nel cassetto e, ciocca per ciocca, creò dei bei boccoli. Li tirò su con un bellissimo ferma capelli, in argento, simile ad un becco e sorrise: «sei bellissima con questa acconciatura.»
  «Come mai non vieni anche tu al carnevale?»
«Vorrei, ma questa è la tua missione e poi gli iniziati sono troppo piccoli per lasciarli soli» rispose lei sistemandole ancora un po’i capelli.
 «Ma ora chi li sta controllando?»
«Buffy.»
  «Buffy?» Cassandra aprì la porta della camera e fischiò. Dopo qualche secondo un grosso rottweiler, le saltò addosso leccandole tutta la faccia «ho capito chi è Buffy.» Il cane si voltò rabbioso verso di lei, ringhiando, ma quando vide la croce che portava al collo abbaiò contenta e le leccò la guancia.
«Giù bella, Clelia ha da prepararsi ora» il cane le guardò un attimo e uscì correndo così com’era entrato. «È una bravissima guardia notturna» scherzò lei mentre Clelia si puliva i residui di bava dalla guancia con una salvietta. «Forza, ora ti trucco» gongolò lei contenta.
 «Ma devo andare al ballo con una maschera, anche se non mi trucco non muore nessuno» non ne capiva l’utilità, nessuno avrebbe dovuto vederla.
«Andiamo! È il carnevale! Sarebbe un reato non farlo» rise lei truccandola. Clelia dovette ammettere che aveva fatto un bellissimo lavoro, non aveva fatto neanche un po’ di casino con il mascara, cosa che lei faceva di norma e il trucco non era pesante. «Tieni» la sua amica prese dalla sua tracolla una maschera rossa che prendeva metà del volto. La trovò bellissima.
  «Non so come ringraziarti» sorrise prendendola in mano.
«Tranquilla, è stato un piacere…» fece per andare «sa… salutami Shane quando torni a Siena, digli che mi dispiace» chiuse la porta alle sue spalle e Clelia intuì che in quel modo le avrebbe ripagato il favore.

Infilò il vestito e mise la maschera, si sentì davvero una principessa e quanto contrariamente pensato in precedenza, il vestito le calzava a pennello anche sul seno. Scese per le strade e guardò intorno a sé la gente ballare con gioia, ignara che presto una catastrofe si sarebbe imbattuta su di loro macchiando le loro risate di sangue e paura. Qualcuno picchiettò timidamente sulla sua spalla, si voltò di scattò e vide un ragazzo, mascherato ovviamente, che sorrideva cordiale.
 «Mi concede questo ballo signorina?» domandò lui inchinandosi.
 Clelia fissò un secondo il campanile preoccupata, non poteva ballare! Non in un momento come quello, ma d’altro canto aveva sempre desiderato partecipare al carnevale di Venezia: «volentieri» rispose prendendo la sua mano.

I violini cominciarono a suonare allegri, il giovane la portò nella piazza e le mise una mano sul fianco. Rabbrividì, il tocco non era per nulla impacciato e il modo in cui la faceva girare era… bellissimo. Non aveva mai ballato così, anzi… non aveva mai ballato, punto. Però, in piena euforia, un’ombra si calò a capofitto sulla gente e uno spintone la separò dal suo cavaliere. Era il momento.  Seguì il Gargoyle con lo sguardo, non poteva colpirlo con tutta quella gente, corse velocemente nonostante il vestito e lo rincorse fino a quando non atterrò sul ponte dei sospiri. Si affacciò un poco da un edificio e guardò il bambino che teneva appeso per la gamba, quello si dimenava e piangeva piano, intimorito dagli occhi del mostro, rossi come il sangue che tanto bramava. Non poteva lasciare morire il bambino, prese un coltello da lancio, nascosto dentro al corsetto, mirò alla mano del mostro e lo lanciò con forza. Gli trafisse la mano costringendolo a mollare il bambino, questo cadde nel canale e uscì da esso, correndo poi velocemente verso la salvezza. Il mostro si voltò verso di lei furente, ruggì feroce e si avvicinò piano, estrasse la sua sciabola da sotto la gonna dell’abito e si tenne pronta. Il mostro si accasciò a terra con una spada nella schiena, gli infilzò la testa… giusto per assicurarsene.  Il mostro ritornò di pietra, così com’era prima di prender vita. Alzò lo sguardo e vide il giovane che aveva ballato con lei in precedenza.
 «Tu?!» esclamò tra il furente e lo sbalordito.
«Prego, è stato un piacere.»
  «Scusa, ma non ti hanno insegnato a non rubare le missioni altrui?»
Scoppiò a ridere: «questa era la mia missione dolcezza.»
 «No credo ci sia stato un equivoco, questa è la mia missione» si tolse la maschera e andò verso di lui.
«E io ti dico che non è così» ribatté lui ostinato togliendo la sua maschera. Era un ragazzo slanciato, atletico, dalla carnagione olivastra, gli occhi neri come la notte e i capelli castani.  La sua bocca era grande e carnosa, una bocca che si aprì in un sorriso scaltro, che mise in mostra i suoi denti bianchi come la luna. Le prese il mento e sorrise ancora, con quel suo sguardò furbo e tagliente: «infondo aveva ragione… non sei del tutto da buttar via dolcezza.»
Gli scostò malamente la mano: «come prego?»
 «Non sei del tutto da buttar via, cos’è che non ti è chiaro nella frase?»
«Ma chi diavolo sei tu per venire a dirmi una cosa del genere?!»
  «Lo scoprirai presto dolcezza…» disse rimanendo vago « fino ad ora sei stata brava, ma non sei alla mia altezza, dopotutto sei sempre la numero due.»
  «Senti un po’ grandioso pallone gonfiato, non mi faccio fare la predica da chi neppure conosco! Che diritto hai tu di rubarmi la missione e parlarmi in questa maniera?»
«Non farti venire un diavolo per capello carina, è lavoro e basta, non ti ho rubato alcuna missione! Se te ne fossi accorta abbiamo lavorato in coppia.»
  «Ma che stai dicendo?»
«Tu hai salvato il moccioso e hai distratto il mostro abbastanza da permettermi di ucciderlo» alzò le mani al cielo «metà ciascuno.»
 «E allora perché la parte divertente te la sei accaparrata tu?»
«Perché sono il più esperto, oltre che il più grande.»
  «Balle, sei solo un grandissimo presuntuoso!»

Sentirono tre botti, uno dopo l’altro che aprirono un tripudio di incantevoli fuochi artificiali e Clelia volse lo sguardo al cielo per osservarli, giusto un attimo, ma quando stava per chiedere al ragazzo da dove venisse, lui era svanito nell’aria.
Tornò nella sua camera, delusa e arrabbiata, con l’estremo bisogno di chiarire le idee. Si spogliò dell’abito e sciolse i capelli che caddero morbidi sulla sua schiena … non era del tutto da buttar via… quel tale le faceva salire una rabbia!

Sperava di non dover mai più avere a che fare con lui. Si immerse nella vasca, tentando di dare ordine ai suoi pensieri.
Soffiò sulla candida schiuma che si aprì mostrando un veliero che  navigava verso l’ignoto, tra intemperie e malcontento dell’equipaggio. Una tempesta travolse la nave facendola affondare, lo  schiavo scappò su una scialuppa e vagò per giorni con solo la luce flebile del rubino a nutrirlo; giorni e notti di viaggio, finché non naufragò sulle rive dello Yucatan, le vesti strappate e la lunga barba ispida rimarcava il suo volto stanco e provato. La tribù locale dapprima lo scrutò minacciosa e diffidente, ma quando videro il grande rubino si inchinarono ai piedi dell’uomo, lui li guardò con fare superiore e sentì il richiamo dell’avidità farsi in strada nel suo animo corrotto dal potere. Gli uomini lo condussero ad un complesso di templi in oro e lo trattarono come un re, egli viveva di feste, ori e donne… una notte, però, al chiarore della luna piena, sentì strani rumori… rumori che sembravano il lamento di una donna, ferita e addolorata, che si facevano sempre più distanti. Strinse tra le mani il suo rubino che si illuminò di una luce vermiglia e gli illumino il cammino, procedette spedito seguendo le urla sempre più forti e lo portarono ad una piccola grotta umida. Scivolò e cadde un una buca piena di ossa, scorse nel buio un paio di occhi rosso sangue e poi venne il silenzio. Il corpo dello schiavo venne ritrovato privo di vita che galleggiava inerme nel fiume, senza occhi, senza denti, senza unghie… e senza rubino.

L’acqua si increspò nella vasca facendo scomparire la scena fra le bolle dell’idromassaggio, lasciandola col fiato sospeso. Quelle visioni significavano qualcosa, erano un percorso, un percorso che le avrebbe cambiato la vita. Si cambiò velocemente, prese le sue cose e si diresse all’aeroporto, chiamò suo zio chiedendogli di recuperarle un biglietto last minute per Città del Messico.
  «Clelia che cazzo combini? Torna alla base!» esclamò suo zio dall’altra parte.
«Zio, ti prego, fidati di me!» lo scongiurò lei.
 «Tigre io mi fido di te, è solo che…»
«Solo che cosa? Zio fra poco raggiungerò la maggiore età e tu mi mandi una guardia del corpo! E poi dici che non hai paura?»
  «Che guardia del corpo?»
«Non fare il finto tonto! Lo sai! Il ragazzo di ieri lo hai mandato per controllarmi! Questo da te non me lo aspettavo, non credevo ti fidassi così poco di me.»
  «Non so che intendi…»
«Oh certo che lo intendi! Sai una cosa? Me lo trovo da sola un biglietto last minute per Città del Messico, grazie per l’aiuto che non vuoi darmi!» riattaccò frustrata e cacciò il cellulare nella borsa.

Non le importava se suo zio non riponeva fiducia in lei, non ne aveva bisogno, gli avrebbe dimostrato da sola che sapeva farsi valere. Sentiva nel profondo che quel che stava facendo era importante e che avrebbe contribuito a qualcosa di grande. Era pronta e sapeva che sarebbe stato pericoloso, ma non poteva né ignorare, né contrastare il destino. La sua strada era scritta e le sarebbe bastato seguire i suggerimenti delle visioni per trovare la verità. Forse il fato aveva deciso che sarebbe morta prima di trovare tutte le risposte, ma un Templare non prende ordini… da nessuno.
   
 
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