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Autore: _xwatson    14/08/2014    1 recensioni
“Secondo me sarebbe bello – anche se abbastanza improbabile – vivere una vita, anche se forse in futuro, più regolarmente. Non essere eccessivamente impulsivi, egoisti, ma nemmeno sdolcinati, timidi, o qualsiasi altra cosa. Insomma, trovare la via di mezzo fra il troppo e il troppo poco. Quando decisi di utilizzare gli steroidi per migliorare le mie prestazioni volevo esagerare, volevo trovare un modo per accorciarmi la strada verso la vittoria, e non andava bene. Ora sto cercando di riprendere in mano la mia vita, di dominare le emozione e controllare le mie esigenze. Non voglio tornare ad essere quello che ero, capisci?”
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Hunter Clarington, Sebastian Smythe
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Caritas

Sebastian e Hunter avevano avuto già numerose liti da quando si erano conosciuti, all’incirca un anno prima, ma quella in particolare era iniziata senza un motivo ben preciso: erano entrambi in preda allo stress e all’ansia e, si sa, quando non si è totalmente in sé  e si litiga con qualcuno si tirano fuori dal proprio cervello gli insulti peggiori, un’infinita marea di frasi che non sono nemmeno formulate pienamente nella nostra mente, dette con il solo scopo di ferire le persone che abbiamo davanti.
E fu così che avvenne il litigio fra Sebastian ed Hunter, quel pomeriggio; nessuno dei due riusciva a ricordare da dove era iniziato e sapevano entrambi che non avrebbe portato a niente di buono, ma fermarsi e ragionare sarebbe stato come dichiarare vittoria all’altro, e nessuno dei due ne aveva intenzione.
 
“La vuoi smettere con queste tue cazzo di battutine che metti in ogni frase quando parli a qualsiasi tipo di essere umano vivente e di sesso maschile nell’universo? Dio, all’inizio puoi anche sembrare intrigante quanto vuoi, ma di fatto ti comporti solo come la puttana quale sei, Smythe!”
 
“Puoi darmi della puttana finché vuoi, ma chi ti scoperai ogni sera, quando avrai troppa paura di andare in un locale gay e farti qualcuno per timore che la gente ti riconosca, eh? Chi ti scoperai?”  urlò di rimando Sebastian.
 
“Sei solo un dannato stronzo che ha avuto anche il coraggio di tornare alla Dalton dopo averci messo tutti nella merda fino al collo l’anno scorso, e senza nemmeno passare le Provinciali! Sei qui per pietà della scuola, Clarington, per un puro gesto di carità, perché nessun altro ti avrebbe mai preso dopo quello che hai combinato, tanto meno le scuole militari che ti vanti tanto di aver frequentato perché questa volta hai passato il limite una volta per tutte e non potrai mai più tornare indietro”
 
Hunter sbiancò, i pugni stretti e le unghie infilate nella carne per la rabbia, mordendosi il labbro inferiore fino a sentire in bocca il sapore ferroso del sangue.
 
“Carità, eh? Sai cosa ti dico, Smythe? Pensala come vuoi, la tua opinione non cambierà la mia vita. Anzi, fai una cosa: va’ a farti fottere, Sebastian” e detto questo uscì dalla loro camera sbattendo la porta talmente forte che per un secondo temette persino di averla rotta.
Sebastian rimase allora lì da solo nella stanza, con il respiro appena ansimante e una strana e fastidiosa stretta allo stomaco, come se anche il suo corpo avesse la sensazione di aver fatto qualcosa di sbagliato.
 
Due giorni Hunter, appena dopo la cena, entrò di colpo nella camera facendo sobbalzare Sebastian, seduto a gambe incrociate sul letto con un libro in grembo e degli occhiali da vista appoggiati elegantemente sulla radice del naso, ma nonostante questo non lo degnò del minimo sguardo.
La situazione stava diventando invivibile, in quella camera: Hunter e Sebastian cercavano di evitarsi il più spesso possibile e avevano stipulato una specie di muto accordo fra di loro su chi si dovesse svegliare prima o su chi occupasse la camera nel pomeriggio.
Le rare volte in cui si incontravano non davano segno di notare la presenza l’uno dell’altro, anche se in realtà tutto il loro corpo era teso e pronto a cogliere il minimo spostamento e la minima variazione dell’altro.
Le uniche eccezioni a tutto questo erano gli incontri dei Warblers, durante i quali i due si parlavano con una sorta di gelida cortesia in genere riservata a quelle persone che non ci stanno particolarmente simpatiche ma con le quali non abbiamo intenzione di litigare apertamente.
 
In realtà, però, Hunter aveva provato a parlare con lui per chiarire, interrompendo Sebastian nel bel mezzo di una lunga sessione di studio – ovvero i rari momenti in cui il ragazzo si metteva d’impegno, si infilava in una tuta comoda e calda, possibilmente con una cioccolata in mano e la sua coperta scozzese sulle gambe, e iniziava a studiare tutte quelle cose che aveva tralasciato durante l’anno, quegli argomenti che non aveva capito e quelli con i quali era indietro.
Nel bel mezzo di uno di questi momenti critici, Hunter lo aveva interrotto e aveva detto una cosa simile a “Smythe, è ora di smetterla di fare il bambino, dobbiamo parlare” e aveva provato a trascinarlo in piedi tirandolo per la manica.
 
Dire che Sebastian avesse preso male l’atteggiamento di Hunter era poco: non era lui a dover scegliere quando e come parlare, non era lui a poterlo definire un bambino, ma soprattutto qualche serata passata con Sebastian non gli dava l’autorità di decidere per lui.
Sebastian Smythe era una persona che se la cavava da sola, sempre, comunque e a qualsiasi costo, e quindi aveva strattonato forte il suo braccio per sfuggire alla presa del suo compagno di stanza e poi lo aveva guardato con una freddezza e un’indifferenza tale che persino Hunter era arretrato involontariamente di fronte al suo sguardo.
 
“Da quando sei così desideroso di chiarire con la puttanella?” gli chiese.
 
“Sebastian-” iniziò Hunter, ma lui lo interruppe subito.
 
“E da quand’è che mi chiami per nome? Pensavo che quelli come me fossero solo dei corpi senza nome da usare e poi buttar via a proprio piacimento”
 
Hunter sbuffò sonoramente “Lo vedi perché la gente non riesce a parlare con te? Non ho mai detto niente di simile, e tu lo sai, ti piace solo fare il prezioso perché ritieni che la tua compagnia sia indispensabile per tutti”
 
Sembrò voler aggiungere qualcos’altro, ma si trattene improvvisamente ed esclamò “Dio, fai quello che vuoi, Smythe, tanto lo fai lo stesso. Scusa se provo a venirti incontro, eh”
 
Una volta finito di parlare Hunter guardò Sebastian in attesa di una risposta ma quest’ultimo aveva lo sguardo ostinatamente rivolto verso il muro di fronte a sé, come in un muto diniego.
Sebastian attese che il suo compagno di stanza si arrendesse e poi, finalmente solo, iniziò a riflettere intensamente su tutta l’intera faccenda.
Dal bacio di quella sera, quando entrambi erano stanchi, affaticati e si erano ritrovati a notte inoltrata a fare profondi e illuminanti discorsi sulla temperanza le cose erano andate decisamente meglio.
Non pensava di potersi trovare bene fino a quel punto con Hunter – in realtà non aveva mai pensato di trovarsi bene fino a quel punto con qualcuno.
Hunter lo ascoltava; che facesse stupidi commenti o gli desse spiegazioni più approfondite sui suoi pensieri o sulla sua vita, Hunter lo ascoltava: riusciva sempre a vedere nei suoi occhi quel barlume di curiosità che trapelava quando Sebastian prendeva la parola.
E anche Sebastian prestava attenzione ad Hunter. Okay, forse non sempre, ma nelle ultime settimane si era ritrovato sempre di più ad osservarlo, ammirare i piccoli gesti che faceva senza accorgersene, studiare le sue reazioni, cercare di capirlo.
Hunter aveva qualcosa di affascinante che lo attirava profondamente: forse si trattava solo del fatto che avesse commesso degli errori in passato e capisse più di chiunque altro cosa significava essere sulla strada sbagliata, forse perché una delle sue doti naturali era ammaliare le persone che gli stavano intorno, forse perché era semplicemente Hunter e basta.
 
In qualsiasi caso, Sebastian aveva sempre pensato che entrambi fossero troppo orgogliosi per riuscire a chiarire da soli; nessuno dei due era il tipo che faceva la prima mossa, rischiando di esporsi fino al punto di far capire all’altro che voleva che le cose tornassero come prima.
A suo parere l’unico modo per risolvere il loro problema era trovarsi a metà via, riconoscere che anche l’altro stava facendo la sua parte, buttar via l’imbarazzo di dover fare delle serie scuse e perdonarsi a vicenda.
Hunter aveva già fatto la sua parte, seppur inconsapevole degli schemi mentali di Sebastian. Ora veniva il punto veramente difficile: era il suo turno.
 
Il piano di Sebastian non era un granché, ma considerando che aveva chiesto scusa assai poche volte nella sua vita riteneva di poter essere ampiamente giustificato.
In realtà più che a un piano, Sebastian aveva dovuto pensare al miglior momento in cui parlare con Hunter.
Subito dopo la lite della sera precedente lo avrebbe letteralmente preso a pugni, quindi quell’ipotesi era stata subito scartata; di prima mattina era decisamente intrattabile perché a suo modesto parere il caffè che gli servivano sapeva più di acqua sporca che di vero e proprio caffè, e durante le lezioni solitamente era attento per cercare di mantenere una media alta.
Alla fine Sebastian aveva optato per parlare ad Hunter dopo cena, quando solitamente il ragazzo si rifugiava sul balcone della camera adiacente alla loro, che non ospitava nessuno dall’inizio dell’anno, ma soprattutto che avrebbe permesso a Sebastian di parlare con lui senza interruzioni.
 
Il suo piano, a opinione di Sebastian, stava andando decisamente bene. Aveva osservato da lontano Hunter nelle ultime ore, ed era stato felice di constatare che era di umore stabile: non ottimo- raramente era di ottimo umore -ma comunque non era arrabbiato per nulla in particolare e difficilmente gli avrebbe fatto una scenata isterica sul momento.
Potevano considerarsi le condizioni ideali per un’amabile chiacchierata al chiaro di luna su quanto entrambi fossero fondamentalmente due idioti.
 
Appena Sebastian vide Hunter imboccare il corridoio verso i dormitori si alzò di scatto dalla poltroncina su cui era comodamente stravaccato, salutò Nick, Jeff e Trent che erano insieme a lui nella saletta, e seguì la strada compiuta prima dal suo compagno di stanza.
Si fermò di fronte alla camera a cui era diretto, e notò con dispiacere che Hunter si era chiuso la porta dietro di sé. Appoggiò cautamente la mano sulla maniglia e fece scattare debolmente la serratura, prima di aprire la porta lo spazio necessario per intrufolarvisi dentro e chiuderla dietro di sé.
La porta-finestra che dava sul balcone era aperta, e da lì riusciva a scorgere la figura di Hunter illuminata dalla luce argentea della luna, seduto per terra con le ginocchia raccolte al petto.
Lo immaginava con un’espressione neutra, forse con un angolo della bocca piegato verso l’altro nella parvenza di un sorriso, e gli occhi chiari ma allo stesso tempo pieni di ombre che scrutavano verso l’orizzonte in preda a chissà quali pensieri.
Gli si avvicinò piano, da dietro, gli posò una mano sulla spalla sinistra e ridacchiò piano quando lo vide sobbalzare leggermente e lanciargli un’occhiataccia.
Si fece spazio vicino al suo corpo, si sedette e rimase lì fermo per qualche secondo ad ammirare il manto nero della notte insieme ad Hunter, immergendosi in quel mondo fatto di tenebre e scorci di luce chiamati comunemente stelle.

Hunter ruppe il silenzio e disse “Non mi sembrava che fossi molto disposto a parlarmi l’ultima volta che ci ho provato, Smythe”

Lui scosse la testa “Ognuno ha i suoi momenti no” rispose brevemente.

Seguì un altro momento di silenzio, e Sebastian decise di prendere in mano il coraggio una volta per tutte e arrivare al punto senza troppi giri di parole.

“Clarington, sono venuto per dirti che, beh, mi dispiace. Non avrei dovuto dirti quelle cose, soprattutto perché non le pensavo davvero; so bene quanti sforzi tu abbia fatto dall’anno scorso per arrivare al punto in cui sei ora, e penso tu abbia raggiunto traguardi incredibili là dove la gran parte delle persone si sarebbe semplicemente abbandonata a sé stessa e avrebbe rinunciato prima ancora di provare, e ti ammiro per questo”
 
Hunter non disse niente e continuò a guardare  il cielo per alcuni secondi, ridacchiando poco dopo  fra sé, e Sebastian fu lieto di constatare che era il suono di una risata leggera e innocua.
 
“E’ veramente interessante sentire il suono delle scuse di Sebastian Smythe” disse con ancora un sorrisetto sulle labbra, girandosi verso Sebastian che si ritrovò suo malgrado a passare da un finto broncio a una lieve risata.

“Non farmene pentire” scherzò subito dopo, e Hunter rise ancora insieme a lui.

“Ti devo anche io delle scuse, comunque. Sei un ragazzo intelligente e anche molto interessante, devo dire – e non iniziare a montarti la testa ora, per favore! – e anche se hai gusti… Singolari, ecco, non penso veramente che tu sia una puttana. Insomma, non approvo il tuo stile di vita, ma non per questo ho una cattiva opinione di te”

A quelle parole Sebastian ebbe l’impressione che gli fosse stato appena tolto un peso sullo stomaco che non aveva nemmeno saputo di avere; il giudizio che Hunter aveva di lui evidentemente non gli era così indifferente come voleva lasciar credere a sé stesso.
 
“E… Sebastian?” chiese ancora Hunter con tono incerto “Avevi detto qualcosa a proposito della carità, sul fatto che la scuola mi avesse accettato anche quest’anno per il fatto che avesse pietà di me..”
 
Il ragazzo scosse la testa d’istinto “No, senti, non penso veramente quelle cose nemmeno io. La scuola ti ha accettato perché sei lo studente più brillante del nostro anno e uno dei migliori che la Dalton abbia mai avuto, Hunter”
 
“Non mi riferivo a quello” rispose lui, e per un momento sembrò perfino imbarazzato “Intendevo, quando fai… Quando facciamo quello facciamo, acconsenti solo perché hai pietà, carità, compassione di me o qualsiasi altro modo in cui vogliamo mettere lo stesso concetto?”
 
Sebastian scoppiò a ridere fragorosamente, certo che se non avesse sentito proprio con le sue orecchie avrebbe stentato a credere che Hunter potesse dire una cosa del genere. Insomma, era Hunter.
Era, per dirlo in parole povere, il ragazzo con il fisico statuario e ben definito che tutti avrebbero voluto avere, il ragazzo con quel faccino da angelo che poi ammiccava a te e ti faceva l’occhiolino quando nessuno lo vedeva, e puntualmente te lo trovavi spalmato addosso qualche minuto dopo, mentre vi baciavate contro il muro.
 
“Innanzitutto, non so da che mondo arrivi, ma quello che facciamo si chiama scopare. E secondo, Dio, assolutamente no. Non andrei mai a letto con qualcuno solo perché provo pietà per lui” disse con una smorfia orripilata “Se faccio sesso con te è perché cazzo, non so se recentemente ti sei guardato allo specchio, ma sei vicino all’idealizzazione della perfezione”
 
Questa volta gli zigomi di Hunter si tinsero decisamente di un rosa più acceso, ma prima che Sebastian potesse cogliere altri dettagli si ritrovò le labbra dell’altro posate sulle sue in un bacio frenetico e travolgente, e non poté fare altro che ricambiare  – non che gli dispiacesse, affatto.
E, mentre Hunter, lo trascinava in fretta e furia nella loro stanza, Sebastian decise che avrebbero avuto tanti altri momenti per discutere e chiarire le cose rimaste in sospeso fra loro, ma decisamente il tempo per parlare non era quello.

 
   
 
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