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Autore: LondonRiver16    15/08/2014    2 recensioni
Adam si voltò verso di lui per poterlo guardare in faccia.
- Da cosa stai scappando, TJ? Noi due ci siamo sempre detti tutto, perché questa volta parlarmi ti risulta così difficile?
Per una manciata di secondi Tommy non fece altro che perdersi negli occhi del suo ragazzo, che quel giorno e con quel sole splendente erano di un irresistibile color acquamarina, quindi li abbandonò per sistemarsi una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio, fissare l’oceano che avevano di fronte e confessare tutto in un mormorio che per un soffio non si perse nel vento.
- Perché stavolta riguarda te.
(Seguito di "I'm gonna make this place your home")
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Adam Lambert, Nuovo personaggio, Tommy Joe Ratliff
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Home'
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Grazie alle ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo, a chi ha commentato parte dei capitoli andati e a chi segue, preferisce e ricorda. Il vostro supporto è fantastico e mi sprona a continuare a scrivere, perciò grazie infinite. Ovviamente se volete lasciare un commento siete più che benvenute :)

Ora vi lascio alla lettura.

La canzone del capitolo è Cast No Shadow (Oasis)

 




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L’intera famiglia trascorse tutto ciò che rimaneva della notte e gran parte della mattinata a vegliare su Adam, lasciando la stanza a turno e comunque solamente quando il bisogno di usare i servizi, bere un sorso d’acqua, mangiare un boccone o prendere una boccata d’aria diventavano insopportabili. Tommy non riuscì a chiudere occhio per parecchie ore di seguito, le iridi spente ma concentrate sulla figura di Adam quasi a sfidarne l’immobilità, eppure si allontanò dalla sedia accanto al letto del ventiduenne una o due volte al massimo. L’unica volta in cui l’arrivo di qualcuno lo sorprese assopito, con le braccia incrociate e la testa che penzolava in avanti, fu quando alle dieci di mattina un agente della polizia bussò alla porta per interrogare i presenti con domande riguardanti i sospettati dell’aggressione ai danni di Adam. Le forze dell’ordine avevano appena cominciato a indagare, ma a quanto pareva l’agente Thompson dava grande risalto alle opinioni di chi era sentimentalmente vicino alla vittima, per questo ascoltò con grande pazienza tutti quanti, sia le dichiarazioni neutre di Alison, Julie e Rick, sia l’accusa diretta che Tommy mosse verso Shane Lawson senza lasciarsi scoraggiare dagli scrupoli dei genitori adottivi. Era stato lui o sicuramente qualcuno che si era messo d’accordo con lui a ridurre il suo ragazzo in quello stato, ne era più che certo. Dopo tutte le volte in cui aveva dovuto ingoiare le minacce di Shane assieme all’alcol che era stato forzato a bere, Tommy avrebbe potuto puntare tutto ciò che aveva sulla sua colpevolezza tenendosi la Bibbia stretta al petto e dormire tranquillo la notte.

Il poliziotto se n’era andato da una mezz’ora quando la consulente psicologica con cui il dottor Larson gli aveva tanto raccomandato di parlare spezzò il silenzio che aveva invaso la camera e si schierò a favore di quella che nelle ultime ore era diventata anche l’opinione martellante di Julie: dovevano tornare a casa e alle loro vite di sempre. A dire della dottoressa che parlò con loro con aria paziente e la voce rasoterra, era assolutamente necessario alla loro salute mentale, e nonostante Tommy fosse fermamente convinto del contrario non ebbe altra scelta che accettare la decisione approvata dagli O’Reilly, vale a dire organizzare dei turni grazie ai quali ognuno di loro avrebbe potuto portare avanti le proprie attività quotidiane e Adam non avrebbe mai corso il rischio di rimanere solo, né di giorno né di notte. Quando fu chiaro che gli adulti avevano smesso di ascoltare le sue richieste di poter rimanere lì ogni singolo minuto non trascorso a scuola, il diciassettenne perse la pazienza, si alzò dalla sedia con uno stridio che nessuno si diede la pena di rimproverare e raggiunse il corridoio a grandi falcate, sbattendo la porta e senza voltarsi, finché non trovò una rientranza in cui rifugiarsi a fare ciò a cui nessuno aveva ancora pensato.

Le lacrime erano tornate a solcargli il viso e le dita della mano che recuperò il cellulare dalla tasca ebbero uno spasmo al momento di comporre il numero da chiamare.

- Kevin? Tommy. Scusa l’ora, ma… – rantolò una volta che una voce ebbe accettato la chiamata. – Dovresti… dovresti venire al Saint Clare Hospital. Sì, noi… Ad è stato aggredito. Ed è… è in coma, Kev.

 

Dopo che chiunque ebbe dato il proprio contributo per convincerlo ad abbandonare il posto a lato del letto di Adam, Tommy tornò a casa con i genitori e promise a se stesso che nulla e nessuno lo avrebbe trattenuto dal fare tutto ciò che era in suo potere per aiutare il suo ragazzo. Non avrebbe sicuramente potuto fare più di stargli semplicemente vicino, ne era cosciente, ma ciò non toglieva che non si sarebbe comunque lasciato allontanare dalla sua priorità.

Così, esattamente dal mattino seguente, tutto cambiò. Cominciò a trascorrere a scuola solo le ore indispensabili a non far calare i propri voti sotto la sufficienza e a non essere bocciato a causa delle troppe assenze. Dopo essere stati messi a parte della situazione, effettivamente, gli insegnanti si dimostrarono molto disponibili nei suoi confronti, ma Rick si mantenne irremovibile su almeno un punto: era il suo ultimo anno di liceo e aveva già portato avanti tutte le pratiche per la richiesta della borsa di studio in diversi college, non poteva permettersi di essere bocciato a causa di poche ore in più passate a vegliare su chi comunque non sarebbe mai stato lasciato senza assistenza. Ma appena uscito da scuola l’unico suo pensiero era correre da Adam, e presto cominciò ad accorgersi che la sensazione di vuoto che provava nel petto quando stava lontano dalla sua stanza d’ospedale si faceva più pressante ad ogni ora che passava. Pochi giorni e si sarebbe reso conto del fatto che non era lo stare fisicamente vicino ad Adam a mancargli, ma la presenza stessa, vera, vitale del ragazzo che amava accanto a sé, della sua voce, delle sue battute, del modo che aveva di coccolarlo, stuzzicarlo, prendersi cura di lui.

Malgrado tutte le insistenze di Julie affinché rallentasse i propri ritmi e si prendesse del tempo per respirare e adattarsi a quel cambio di vita, passava a casa meno di mezz’ora al giorno, giusto il tempo di mollare la cartella, farsi una doccia e cambiarsi prima di precipitarsi a prendere la corriera che lo avrebbe condotto in città. Portava con sé i libri sui quali avrebbe dovuto studiare, ma era raro che trovasse la concentrazione necessaria ad aprirne uno e a spingersi oltre la prima pagina quando non era sui mezzi pubblici. Dimenticò di avere un letto dagli O’Reilly e si trasferì invece su quella sedia di plastica dura, odiosa, ma che gli permetteva di non staccare un attimo gli occhi dal viso del ventiduenne, di allungare una mano e sfiorarlo ogni volta che voleva, come sul punto di baciarlo. Quante volte lo avrebbe fatto se solo non ci fosse stato quello stupido respiratore artificiale a separarlo dalle sue labbra.

 

Era il sesto giorno di coma di Adam. O meglio, la sesta notte. Erano ormai passate le dieci di sera e Alison stava rispettando il suo turno, seduta al tavolino in fondo alla stanza con una rivista d’enigmistica, ma come al solito non era sola: seduto al capezzale di Adam, Tommy passava le ore sfogliando un libro sui nomi che si trascinava dietro da giorni, condividendo le scoperte che più lo affascinavano col ragazzo addormentato, statico su quel letto semovente che tutti cominciavano a detestare. Gli avevano detto che parlare ad Adam faceva bene a entrambi, che mantenere vivo un certo livello di comunicazione era una buona terapia. Gli avevano detto che sentire una voce familiare avrebbe potuto non solo tenerlo aggrappato alla vita, ma aiutarlo a riemergere dal limbo impenetrabile in cui era caduto, e Tommy era anche disposto a fingersi sereno per farlo sentire di nuovo a casa.

- Oh, ho trovato il nome di Kevin – attaccò a un certo punto, fermandosi su una pagina. - Senti qua: significa “gentile e amorevole”. Direi che gli calza, no?

Alison alzò la testa, gli rivolse lo sguardo e gli sorrise, stanca ma fiera della sua forza di volontà. A sua volta Tommy si sforzò di sorriderle, stringendo più forte la mano di Adam prima di tornare al libro, solo un blocco di pagine indietro.

- Adam corrisponde a “della terra rossa”. Magari si riferisce ai tuoi capelli.

Immaginando la sua risata e ricordandosi che non poteva più sentirla, non riuscì a fingere e si lasciò scappare una smorfia, sentendo la tristezza minacciare di straripare dalla stretta gabbia in cui la rinchiudeva quando si dedicava completamente ad Adam e allo scopo di svegliarlo da quel suo sonno innaturale, di farlo tornare a vedere la luce. Quindi si rimise a sfogliare, instancabile, ma bastarono pochi salti di pagine perché si bloccasse, gli occhi fissi sulla carta e sulle sue macchie d’inchiostro. Se avesse potuto vedere quegli occhi nel momento in cui si alzarono a cercare invano il rassicurante color del cielo dei suoi, Adam vi avrebbe riconosciuto lo splendore delle lacrime e senza dubbio si sarebbe precipitato a stringerlo nel calore di un abbraccio, per consolarlo finché non fosse stato sicuro che ogni traccia di amarezza aveva lasciato Tommy.

Il ragazzo tacque, perché Alison era lì con lui nella stanza, ma le dita della mano destra continuarono a strusciare contro la pagina che tanto lo aveva colpito, mentre quelle della mano sinistra iniziarono a muovere quelle di Adam a un ritmo regolare, sempre uguale, infinitamente rincuorante.

Non doveva essere trascorso nemmeno un minuto quando Alison si alzò dalla sedia mettendosi a posto la gonna del vestito leggero.

- Vado un attimo in bagno – disse. - Hai bisogno di qualcosa alle macchinette?

Tommy scosse la testa e lasciò che la ragazza si avviasse in direzione della porta, ma prima che scomparisse dietro l’angolo della parete ci ripensò: - Allie?

- Sì?

Tommy esitò. - Se arrivasse Julie per il cambio del turno, le chiederesti se può lasciarmi qualche minuto da solo con Ad? So che è obbligatorio ci sia anche un adulto durante le visite, ma…

- Nessun problema – lo rassicurò lei con un sorriso comprensivo. - Sicuro di non voler nulla, neanche una bibita?

Il ragazzo riuscì quasi a far sembrare la propria smorfia un sorriso quando tornò a negare con il capo. - Non riuscirei a inghiottire niente, ma grazie lo stesso.

Alison lo lasciò solo con Adam dopo avergli rivolto un cenno della testa, ma il giovane aspettò di udire lo schiocco della porta che si chiudeva alle spalle della ragazza per tornare alle palpebre chiuse di Adam.

- Sai cosa vuol dire Thomas, invece? – continuò allora, inumidendosi le labbra con un nervosismo che non avrebbe mai saputo spiegare prima di bisbigliare: - Fratello devoto.

Dare fiato a quell’osservazione che appariva decisa dal fato e banale allo stesso tempo per qualche motivo fu come ricevere un colpo nello stomaco e Tommy dovette fermarsi per riprendere aria, abbassare lo sguardo, recuperare il coraggio di parlare ad Adam sebbene non riuscisse a pensare che fosse molto diverso dal rivolgersi a un morto. Ma era pur sempre uno dei pochi momenti d’intimità che gli venivano concessi con lui e tale pensiero spinse il diciassettenne a rialzare il capo con la ferma intenzione di non sprecarlo.

- Dicono che tu possa sentirmi. Allie ne è davvero convinta. Be’, se mi senti ho… ho una cosa importante da dirti. Una cosa che non ti ho mai detto, una cosa… una cosa che so ti è sempre pesato non sentirmi dire, eppure non ti sei mai lamentato perché non volevi farmi pressione, lo so. L’ho sempre saputo, in effetti, e sappi che mi vergogno molto di aver trovato solo adesso il coraggio di dirtelo a chiare lettere.

Gli venne da pensare a quante volte Adam gli aveva rivolto le stesse parole che ora lui si apprestava a pronunciare, con quanta sincerità e trasporto gliele aveva dedicate. Erano anche tutte le volte in cui lui aveva risposto in una forma diversa o adducendo un sorriso, svicolando puntualmente di fronte a uno dei più grossi ostacoli emotivi si fosse mai trovato a fronteggiare. Gli occhi gli si riempirono di lacrime al pensiero di ciò che avrebbe dato perché fosse Adam a potergli rispondere quella volta, anche se sofferente in quel maledetto letto d’ospedale, durante il suo sesto giorno di coma. Il pianto cominciò a sgorgare dalle sue ciglia senza vergogna, ma in silenzio, quando il ragazzo serrò con forza le palpebre, trincerandosi fuori dal mondo con una cecità indotta che ormai gli era familiare prima di alzarsi per premere le labbra contro la tempia tiepida di Adam, quella non coperta dalla fasciatura.

- Ti amo con tutto me stesso, Adam Mitchel Lambert – gli confessò all’orecchio mentre gli affondava le dita tra i capelli in carezze intense, al limite. - Ti supplico, non lasciarmi.

 

Julie stava passeggiando lungo il corridoio del terzo piano con in mano un bicchiere di carta colmo di caffè fumante quando una sensazione inspiegabile le disse di affacciarsi alla stanza di Adam per sbirciare ciò che stava succedendo. Si assentò dallo spazio neutro costituito dalla corsia per quasi un minuto prima di tornare alla soglia e sporgersi in direzione di Rick e dell’amica, che conversavano a mezza voce seduti sulle sedie di plastica dedicate all’attesa. Se Alison era lì perché si era occupata del turno della sera, il marito l’aveva accompagnata in città per il turno della notte, per recuperare il figlio adottivo e convincerlo di quanto avesse bisogno di una dormita di otto ore nel suo letto, per la prima volta in un’intera settimana.

- Rick, Allie, venite a vedere – li chiamò la donna a bassa voce, e quando ebbe la loro attenzione si premette l’indice sulle labbra. - Senza far rumore.

Rientrò nella camera lentamente e attese che gli altri due la raggiungessero a passi misurati affinché vedessero ciò che aveva colpito e affondato la sua emotività, già duramente messa alla prova in quelle giornate d’incertezza: Tommy aveva avvicinato la propria sedia al letto di Adam il più possibile per poter circondare col braccio sinistro la vita del ventiduenne e posargli la testa sul ventre; poi si era addormentato, e aveva l’aria di chi non si sarebbe fatto svegliare nemmeno da una nave ammiraglia in vena di sparare cannonate. D’altronde non lo si poteva biasimare, era una settimana che non riusciva ad abbandonarsi a più di tre ore di sonno per notte.

- Oh – esalò Alison non appena si trovò di fronte il quadretto. - Come sono belli.

- Guarda quant'è tenero, povero tesoro – sospirò Julie, aggrappandosi al braccio del marito. - Sopportare questa situazione è dieci volte più difficile per lui che per noi.

Senza spostare lo sguardo dall’abbraccio nel quale sia Tommy che Adam dormivano placidamente, Rick prese un respiro profondo.

- É una prova dura, ma deve continuare ad avere fiducia nella forza di Adam. Tutti noi dobbiamo farlo.

- Ad è una roccia – affermò Alison, e solo in quel momento Julie si rese conto che aveva di nuovo il viso bagnato di lacrime. - Ne ha passate di tutti i colori e ne è sempre uscito alla grande, ce la farà anche stavolta, io lo so.

- Ma certo, cara. Andrà tutto bene, vedrai – corse a rincuorarla Julie, affrettandosi a ricondurla in corridoio prima di tornare a pungolare la stasi di Rick, che non si era mosso di un millimetro col semplice scopo di stamparsi in testa l’immagine della calma che intravedeva sul viso di Tommy, quella quiete senza pensieri che da troppo tempo non vedeva distendere i tratti del figlio. - Pensi che dovremmo svegliarlo? – chiese Julie, scrupolosa, appena appena udibile. - Avevamo organizzato il turno di stanotte così che potesse tornare a casa con te, riposare e recuperare un po’ degli arretrati con lo studio domani, no?

Gli occhi di Rick contemplarono la pace dipinta sul viso di Tommy ancora per qualche secondo prima che la sua mente si decidesse a elaborare una risposta.

- No, lasciamolo stare. Parlerò con Kevin e gli dirò di spedircelo a casa con una corriera quando si sveglia, visto che penso non ci sarà verso di tirarlo via da lì prima dell’inizio del suo turno, domani mattina – dichiarò, per poi prendere sottobraccio la moglie e tornare in corridoio. - Forse non come un re, ma almeno riuscirà a dormire un poco. Dio solo sa quanto ne ha bisogno.

 

Quando Adam, dieci anni e mezzo, spinse la porta appena accostata della cameretta e si affacciò sulla soglia, al piccolo Tommy, a cui mancavano appena un paio di mesi per compiere sei anni, sembrarono passati secoli dall'ultima volta che lo aveva visto. Non poteva capire che erano appena le nove di sera, che erano trascorse poche decine di minuti da quando lo stesso Adam gli aveva portato di nascosto qualcosa da mangiare dopo che la cena gli era stata negata e ancora meno tempo da quando Adam, tornando al piano di sotto col piatto vuoto, era stato visto e bloccato dal padre adottivo. Al più piccolo sembrava di aver aspettato per sempre che il bambino dai capelli rossi tornasse a fargli compagnia.

Adam, da parte sua, diede una rapida occhiata all'interno della stanzetta spoglia che condivideva con l'altro e solo dopo, credendo che dormisse, avanzò a tentoni, zoppicando un poco nell'oscurità fino al proprio letto, quello vuoto sulla destra.

Strinse i denti per il bruciore quando fu il momento di infilarsi fra le coperte, ma infine riuscì a mettersi prono senza che alcun rumore, o quasi, lo tradisse.

- Mf... ah.

Non arrivò a contare dieci secondi prima che la voce del fratellino adottivo, flebile nella notte, interrompesse i suoi sforzi di respirare normalmente.

- Adam? Dormi?

- No - rantolò il bambino, stremato. - Che vuoi?

- Ti ha fatto male?

Era praticamente uno squittio, avrebbe quasi potuto confondersi col cigolio di una porta che scorre su cardini mal oliati. Adam si aggrappò alle lenzuola e le stritolò per soffocare il bisogno di urlare e tramutarlo in un soffio che gli fece tremare un poco le labbra: - Sì.

Udì un tramestio di coperte anche dall'altra parte della camera. Il lettino di Tommy era appena un giaciglio, un ammasso di coltri ammonticchiate fra le quali il bimbo era stato messo a dormire in attesa che Cooper si decidesse a trascinarsi fino ai grandi magazzini per comprare un materasso vero, sempre che avesse l'intenzione di farlo.

- Tanto? - insistette Tommy, e il più grande si morse il labbro inferiore.

- Abbastanza.

Un attimo di silenzio, giusto il tempo sufficiente a elaborare dubbi, timori, rispetto.

- Adam?

- Hm?

- Posso venire lì con te?

Adam sapeva che per Tommy la questione non si riduceva alla possibilità di dormire comodi in quello che, effettivamente, era l’unico oggetto nella stanza catalogabile come letto. Era in quella casa da appena dieci giorni ed era già la terza volta che il maggiore  arrivava a sera in quelle condizioni, facendogli sperimentare indirettamente la violenza di Cooper. Adam sapeva che quella situazione lo intimoriva e innervosiva, perché lo scricciolo non c'era abituato, anche se fino a quel momento il più grande era riuscito a evitare che Cooper gli mettesse le mani addosso, e sapeva che aveva bisogno di qualcuno, una figura di riferimento a cui aggrapparsi.

Fu per questa ragione che, sebbene si sentisse un disastro tremolante, se ne fregò e scostò le coperte in un esplicito invito a raggiungerlo.

Udendo quel ragnetto scattare verso di lui, sollevato ed entusiasta allo stesso tempo, Adam si affrettò a passarsi i palmi delle mani su occhi e guance per cancellare ogni traccia delle lacrime versate prima che Tommy lo raggiungesse, prendesse posto accanto a lui nel letto e si lasciasse sistemare addosso lenzuola e coperta. Il rossore delle gote non fu un problema col manto delle tenebre a coprirlo.

Il piccolino si sistemò su un fianco, le spalle rivolte al più grande di sua spontanea volontà, e Adam si ritrovò a ringraziare il cielo per quel dono inaspettato.

- Ti farà ancora male domani? - domandò Tommy dopo una manciata di secondi, ma la risposta di Adam tardò, perché gli servì qualche attimo per capire che il bimbo non si stava riferendo a Cooper, ma ai lividi che si era appena procurato.

- Non lo so. Credo di sì - sussurrò allora. - Ha usato la ciabatta.

E non ha smesso per dieci minuti interi, avrebbe voluto aggiungere, ma per qualche motivo si trattenne. Tommy era già abbastanza spaventato e lui decisamente troppo provato per sforzarsi oltre lo stretto necessario.

Fortunatamente quella vocina familiare tornò a reclamare attenzione prima che i pensieri a riguardo diventassero soffocanti.

- Perché volevo chiederti se domani giochi con me ai pirati.

Allontanando la mente dall'intensità delle fitte che lo mettevano alla prova a intervalli regolari, il ragazzino dai capelli rossi annuì. - É una buona idea.

- Adam?

- Che c'è ancora?

- É stata colpa mia, vero? - Quando il corpicino di Tommy fu scosso da un fremito, Adam ne sentì l'eco sul proprio, dato che il braccino dell'altro era a contatto col suo. - Doveva picchiare me.

Quella considerazione fece irrigidire Adam e questa volta dovette essere Tommy a sentirlo, perché rimase fermo, in attesa.

- No - decretò, quasi severo, alzando una mano a stringergli il braccio a mo' di protezione. - Nessuno ti deve toccare, capito? Tu sei piccolo. Se Cooper vuole picchiare qualcuno, allora devo essere io. Sempre. Io sono il fratello maggiore.

A quel discorso serio e compreso Tommy oppose un sorriso traboccante gioia ed entusiasmo e fece in modo di mostrarlo ad Adam voltando il visino verso il suo.

- Siamo fratelli? Per davvero?

- Certo, cosa credevi? - ribatté il più grande, costringendosi a ricambiare quel sorriso inerme prima di spingere la testa di Tommy di nuovo sul cuscino. - Adesso dormi, però. Domani scappiamo ai giardinetti e organizziamo il miglior assalto pirata di tutta la storia dei bucanieri.

- Hm-hm - concordò il più piccolo, tornando a dargli le spalle e chiudendo finalmente gli occhi. - Domani però non farti picchiare.

A quel punto Adam dovette deglutire cemento per non far trasparire la paura provocata da quella frase. L'aveva giurato, era il fratello maggiore di quello scricciolo. L'aveva giurato e perciò non si sarebbe tirato indietro, lo avrebbe difeso a qualunque costo.

- No - bisbigliò appena, sistemandosi a sua volta per la notte. - Domani non mi tocca, tranquillo.

- Ti voglio bene, fratellone – disse allora Tommy con la genuinità che solo a quell’età benedice tutti indistintamente.

- Anch'io, Tommy. Anch’io – ricambiò il più grande. Gli sistemò meglio le coperte e le schiacciò bene ai bordi di quel corpo minuscolo, fragile, così che non fosse vittima di nemmeno uno spiffero. - E magari un giorno ce ne andremo da qui.

 

Nessuno se ne accorse quella notte, la prima notte in cui Tommy si unì ad Adam e al suo sonno invulnerabile. Ma dopo quella notte, dopo che le braccia del ragazzo furono rimaste per ore a cingere il suo corpo, una guancia ebbe indugiato sul suo ventre, il suo fiato leggero gli ebbe scaldato la pelle sotto l’anonima tunica dell’ospedale e le memorie di tempi andati ebbero solleticato il suo mondo sotto forma di sogno, qualcosa nel suo stato cambiò senza alcuna ragione riscontrabile dai tabulati medici.

Senza che nessuno avesse gli occhi aperti per rendersene conto, Adam socchiuse le labbra, le ciglia si mossero in un singolo battito, le dita furono vittime di uno spasmo, anche se immediatamente sedato. E sebbene il ragazzo continuasse a godere di un respiro regolare, di un sonno impassibile, il suo battito cardiaco accelerò fino a imitare in tutto e per tutto il palpito del giovane cuore che per l’intera notte non aveva fatto altro che respirargli addosso, pregando per lui nelle tenebre, attraversando il suo universo onirico, sospirando per il suo ritorno.



   
 
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