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Autore: ashtonsdimples    16/08/2014    1 recensioni
"Sentì il cuore pompare a ritmo della musica appartenente alla sua playlist preferita e, per quelle poche volte che succedeva, si sentì più vivo che morto."
Genere: Fluff, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Vic Fuentes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quattro.
 
    Quel giorno faceva caldo, troppo caldo per i suoi gusti, e dire che il meteo aveva previsto pioggia. Persino la sua canottiera gli sembrò troppo pesante, con il sudore che gli colava la fronte. Gli passò per la mente l’idea di raccogliersi i capelli ma, no, non lo fece. Avrebbe perso la sua virilità, o almeno era convinto di questo. Alexander era stretto alle sue spalle, mentre nel parco i cani si divertivano a roteare in mezzo all’erba, i bambini giocavano a nascondino e qualche ape ronzava attorno alle loro orecchie. Quel pomeriggio sarebbero dovuti andare a prendere, finalmente, Jaime e Tony all’aeropoorto. Non vedeva l’ora di abbracciare i suoi compagni di avventura, d’altronde era anche grazie a loro se la carriera andava a gonfie vele.
    Jaime aveva accompagnato Tony in Messico, dai suoi genitori e parenti. Anche lui ci sarebbe voluto andare, ma tra band ed impegni vari non riuscì a fare un bel niente se non rimanere a casa, a parlare con i manager, con gli assistenti dell’etichetta e a giocare ai videogiochi insieme a suo fratello. Per lo più da una settimana accudiva un bambino che sembrava avere il fisico di un ben formato quindicenne, da quanto si muoveva. Era un vero e proprio terremoto, con la passione della chitarra e del violino. Un giorno provò a strimpellargli qualcosa, ma finì con Alex che rompeva una corda della sua amata chitarra, così decise di metterla al proprio posto. Non si arrabbiò, d’altronde ci voleva pazienza: era solo un bambino-uragano.
    « Vic, mi compri un gelato? » chiese con la sua vocetta, mordendosi un dito. In quella settimana scoprì che strascicava la lingua solo con le persone conosciute da poco. In realtà sapeva parlare piuttosto bene. Gli aveva confidato che usava parlare in quel modo per cercare di sembrare un bambino dolce e carino. Lui gli spiegò che lo era ugualmente, e lui si mise a piangere. Alexander non ebbe mai avuto un buon rapporto con i e le precedenti babysitter. Tutti pensavano fosse troppo rumoroso, troppo volenteroso e troppo… Troppo. Era un troppo per ogni cosa, e a lui dispiaceva. E, sì, era davvero un bambino pieno di energie, ma era comunque un bambino. Non gli era sembrato così terribile.
    Lo fece scendere dalle sue spalle, prendendogli una mano e andando verso una gelateria poco distante. Entrarono, il posto era accogliente: era un bar fatto in legno, con una tettoia molto carina, con dei quadri sparsi un po’ ovunque, graffiti ed immagini di band punk-rock in vari punti. Le guardò una ad una, riconoscendole tutte. Sorrise.  « A che gusto lo vuoi? » s’inginocchiò, guardando il bambino negli occhi. Alexander tese le mani, e Vic capì che voleva salirgli sulle spalle. Lo fece salire tranquillamente, capendo le sue intenzioni. Si sentiva un ometto e certe cose poteva farle benissimo da solo, e perché non dargli quell’esperienza? Si trattava solamente di un po’ di gelato. Una signora sui cinquanta si avviò verso di loro, stando dall’altra parte del bancone. Indossava un disgustoso completo composto da una maglietta lilla e un grembiule giallo limone: dava parecchio nell’occhio, probabilmente troppo. Pensò che se avesse mai lavorato come gelataio o cassiere, o simili, non avrebbe mai indossato una schifezza del genere. Piuttosto si sarebbe licenziato.
    « Prego ragazzo, dimmi » lo salutò cordialmente, regalandogli un sorriso di servizio. Vic alzò la testa, guardando il bambino. « Un cono con menta e stracciatella, grazie! » rispose squillante, per poi abbassare il viso e nasconderlo dietro i capelli di Vic, che sorrise. Quel giorno si accorse di non avere il cappello, ed era strano, dato che non lo scordava mai a casa. Pensò non fosse poi così importante e si mise a sedere in uno dei tavolini, davanti ad Alex che, tutto felice, si godeva il suo gelato. Si prese due secondi per guardare fuori da quella finestra, pensando che il parco visto da lì sembrava davvero meraviglioso, con la fontana al centro e tutti gli alberi intorno, le panchine verdi ed i sorrisi dei bimbi che si rincorrevano. A volte spuntavano persino le farfalle. Si avvicinò alla finestra aperta, sentendo un’aria fresca spostargli i capelli. « Hai un ciuffo buffo, Vic » rise il bambino, guardando i capelli di Vic indietreggiare a causa del venticello. Lo fece divertire, spostandosi il ciuffo dalla parte opposta in cui l’aveva solitamente e facendo facce strane: la boccaccia, la lingua di fuori, muoveva le sopracciglia, il naso, storceva le labbra. Il bambino scoppiò a ridere, quasi sporcandosi tutta la faccia di stracciatella.
    Lo vide bloccarsi di colpo, il gelato fermo in una mano e lo sguardo vacuo, gli occhi completamente sgranati. « Vic! Vic, guarda! » urlò, alzandosi sullo sgabello che lo sosteneva. Victor pensò potesse cadere, così si alzò per sostenerlo. Si girò nella sua direzione che lui indicava, notando solo un’enorme radio. « Bè, è molto bella, no? » chiese, tenendolo ancora. Sentì il bambino sedersi, imbronciandosi. « No, no, no, no! » piagnucolò poi, storcendo il viso in un’espressione triste. « Sei sicuro di non aver visto nessuno? » chiese poi, osservandolo. Vi scosse la testa, tornando a sedersi al suo posto. Chi avrebbe dovuto vedere di così importante? D’un tratto Alexander si alzò, correndo, spostando una tenda ed infilandocisi dentro. Ovviamente gli andrò dietro, fermato poi dalla signora che lo avvisava del divieto di accesso ai clienti. Lui provò a spiegare la situazione, ma non ci fu verso, così si rassegnò ad aspettarlo, in preda al panico.
    « Dove sei? » chiese Alex, una volta entrato nella sala oltre la tenda azzurra. Una ragazza le si prestò davanti, con un sorriso curioso in volto. Aveva i capelli rossi come il fuoco, un sorriso acceso ed il piercing al naso, proprio come Vic. Il bimbo ripeté la domanda, andando avanti nella sala, alla ricerca del suo qualcuno. Camminò, con la ragazza dai capelli color fiamma alle spalle, guardando a destra e a manca, non trovando nessuno. Si chiese dove l’avessero nascosta. Vide una porta strana, era di un giallo fosforescente, piuttosto buffo. Si avvicinò, cercando di sentire qualcosa, ma con scarsi risultati. Poggiò l’orecchio, e sentiva un cigolio e poi un tonfo: l’aprire e chiudersi di un qualcosa. Chiese ancora dove fosse, aumentando il tono della voce, sino a quando la strana porta non si aprì.
    Ne uscì una ragazza dai capelli verde acceso, che lo guardò con fare strano. Spostò lo sguardo da lui alla sua collega, come a chiederle che diamine ci facesse un bambino davanti alle celle frigorifere. « Fantasma! » esclamò, sorridendole. La ragazza si mise a ridere, pensando fosse piuttosto strano, quel bambino. Gli si avvicinò, scompigliandogli allegramente i capelli. « Mi conosci? » gli chiese, poi, imbarazzata. « Sì, tu sei fantasma! » alzò ancora di più la voce, facendola ridere. Chiese alla ragazza dai capelli rosso fuoco, Emma, di accompagnarlo da chi l’aveva smarrito, mentre lei metteva i gelati rimanenti nel congelatore.
    « Tieni, credo si sia innamorato di Marie, una mia collega » rise Emma, consegnando il bambino a Vic che, ormai, era bello che sudato. Pensò avesse fatto chissà quale cosa là dentro, e nonostante le lamentele alla cassiera non c’era via di entrata oltre quella maledetta tenda. « Bucciarda, io ho solo visto Fantasma! » mise le braccia conserte, offeso. Vic la prese a ridere, ringraziando di cuore Emma e, preso il bambino in spalla e pagato il conto, lasciarono insieme la gelateria. « Ma chi è Fantasma, umh? » chiese poi, con il bambino ancora stretto tra le sue spalle ed un languorino allo stomaco: era ora di pranzo.
**
    Dato che quel pomeriggio i signori Johnson non sarebbero rimasti a casa poiché lavoravano e Rose non era presente, Vic portò con se Alexander alla stazione, in modo da fargli compagnia. Con loro ovviamente c’era anche Mike, che quel giorno aveva deciso di appropriarsi della macchina di papà Fuentes e guidare lui, nonostante il maggiore non fosse proprio d’accordo. Decise di acconsentire solo per stare di più con il bambino. Durante il viaggio parlarono delle loro canzoni, dei progetti da far presente a Jaime e Tony, alle serate in programma e alle canzoni da incidere. Nonostante fossero distanti gli altri due componenti della band avevano cercato di mettere del loro il più possibile, partecipando per telefono ad alcune incisioni, vedendo Mike alla batteria e Vic alla chitarra sbizzarrirsi come non mai. Erano davvero fieri del loro progetto, della loro nuova vita.
    Dopo aver ingranato la seconda, il più piccolo dei Fuentes prese a tamburellare sul volante, componendo ritmi a caso che risuonavano nell’aria. Ad un certo punto, Vic, infastidito, accese la radio, facendogli una sonora pernacchia. « Ti da così fastidio? » « Mi fai salire l’ansia, Michael » sbuffò il maggiore, incrociando le braccia al petto. « Dev’essere una cosa seria, Mike » s’intromise il bambino, prendendo in giro il suo babysitter e poi mettersi a ridere. Vic si mise le mani nel volto, rassegnato, mentre le risate del bambino e di quel deficiente di suo fratello si facevano sentire vicine alle sue orecchie. Era convinto che sarebbe stato un viaggio parecchio lungo.
    E in parte, aveva ragione. Non fu poi così faticoso, ma tra le urla di Alex, la musica alla radio assordante e il tamburellare di Mike, la sua testa stava beatamente andando a rotoli. Quasi non ebbe la forza di pensare ai suoi due migliori amici, in quel momento. Ed era lì per loro. Controllò l’orario e pensò di essere maledettamente in ritardo, e che quei due lo avrebbero castrato, come minimo. Gli arrivi accumulavano di gente, le porte si aprivano e si chiudevano in continuazione, le persone erano piene di cartelli, sudate e – purtroppo – un certo fetore si sentiva nell’aria. La voglia di andarsene era tanta, troppa, ma quando vide il testone nero di Jaime un sorriso gli strappò via le labbra. Si avvicinò, saltandogli addosso ed inglobandolo con le braccia. « Ti pare questa l’ora di venire, eh, stronzone? » lo accolse il bassista, stringendolo forte. Gli era mancato come l’aria.
    Quando i quattro si riunirono, uno attaccato all’altro dallo stesso identico abbraccio, con il bambino in mezzo che li guardava divertito dal basso, poggiarono la fronte l’una sull’altra. Guardarsi negli occhi era difficile, ma ci provarono ugualmente. « Siamo tornati, eh? » chiese Tony, mostrando uno dei sorrisi più carini che avesse mai potuto fare. « Ci puoi scommettere amore mio, e abbiamo intenzione di spaccare il culo anche al mondo intero, se necessario » rispose Vic, con una luce negli occhi mai vista prima di allora.
 

Spazio autrice:
sono parecchio soddisfatta, alla fine non ho fatto passare così tanto tempo dall'ultima volta che ho aggiornato.
Dunque, eccomi qui, con il quarto capitolo. Da qui si capiscono molte più cose dato che, sì, Alexander è 
quell'Alexander del supermercato, che disse a Marie di sembrare un fantasma. Ebbene, come già vi ho detto, Marie non scomparirà così facilmente dalla storia, anzi. Vic non ha dimenticato lei, come lei non ha dimenticato lui. Su questo ne vedremo bene nel prossimo capitolo.
Eppure non si sono incontrati. Eppure, non s'incontreranno così facilmente come si spera.
In questo capitolo inoltre vediamo la rimpatriata di tutto i cari Pierce the Veil, insieme. Lo spirito di squadra credo sia fondamentale e, bè, eccolo qui! Proprio appassionatamente.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, lasciate pure una recensione: accetto le critiche poiché servono per migliorare. Chiedo venia per eventuali errori ma non ho avuto il tempo di rileggerlo tutto.
Un bacio,

ashtonsdimples.
  
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