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Autore: BellinianSwan    16/08/2014    2 recensioni
"Posò poi lo sguardo su di un ritratto che lo attrasse magneticamente con cieca irrazionalità. Vide due occhi neri fieri, apparentemente impregnati di uno scopo, di un mordente per cui vivere, allargò lo sguardo all'intera figura e si sentì ancora più solo al mondo, lei, chiunque fosse sembrava esperta dell'arte del vivere, quell'arte che era sempre stata refrattaria ad adattarsi alle sue sgradevoli sembianze. Eppure, uno sguardo più attento mise in luce gli angoli della sua bocca, carnosa e ben disegnata, leggermente piegati verso il basso, in un vano sforzo di resistere. [...] Sentì quella figura nel ritratto vicina, dannatamente vicina eppure distante anni luce, a causa di quella vaga luce che le ardeva negli occhi. Lei nonostante tutto aveva trovato un mordente, o forse indossava una maschera oramai divenuta un tutt'uno con il suo volto fiero."
- Gertrude Degl'Innocenzi è stata ispirata al personaggio protagonista del manga "La Rosa di Versailles", Lady Oscar -
Genere: Azione, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
Capitoli:
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Le donne sono fatte per essere amate, non capite.
O. Wilde


Si stropicció gli occhi frastornato, le ossa gli scricchiolavano terribilmente, uno strano torpore lo assaliva, come se le sue povere ossa non avessero tratto giovamento da quella lunga notte.
Si cambiò in fretta gli abiti, dato che era vestito di tutto punto dal giorno prima e scese di sotto con passo incerto, consapevole di dover consumare la colazione circondato da estranei.
Fu una notte lunga ed insonne per Gertrude e di sicuro anche per il Visconte. Non aveva fame. Si fece portare in camera solo una brioche e poi si rivestì. Una nuotata forse l'avrebbe rilassata. Seduto rigidamente su di una polverosa sedia imbottita, con il busto perfettamente eretto, Alcide affondava rabbiosamente i denti nel pane tostato, dilaniando il sottile strato di burro che lo sovrastava. Avrebbe voluto altro per la sua vita, un altro copione, altri personaggi. Aveva sentito sua figlia uscire sbattendo l'enorme portone d'ingresso, una dilaniante inquietudine gli mordeva l'anima nonostante i suoi continui tentativi di assopire la sua coscienza, autoconvincendosi che era sua figlia ad essere una mela marcia. Intravide il suo ospite scendere goffiamente le scale e sollevato diresse lo sguardo verso di lui, con gli occhi luccicanti di ammirazione. Forse per un quarto d'ora i pensieri l'avrebbero lasciato in pace.

- Buongiorno, Eccellenza.

Esclamò il Visconte in un'estenuante parvenza di normalità, che Giacomo immediatamente smascherò, conosceva bene l'arte di fingere.

- Buongiorno, Vostra Grazia.

Rispose Giacomo con la sua voce fioca. Non aveva affatto voglia di nutrire il suo corpo deforme, ad ogni modo, per non disgustare il Visconte decise di portarsi qualcosa alla bocca.

- Avete dormito bene, Conte?

Giacomo si schiarì leggermente la voce, quale domanda migliore per iniziare a sodisfare la sua curiosità?

- Abbastanza bene, Vostra grazia, anche se stanotte mi è sembrato, pensate un po' di udire un pianto sommesso attraverso la porta..."

Vide il Visconte impallidire leggermente e indugiare un poco per poi riacquistare il tipico atteggiamento sicuro e imperturbabile.

- D-dite davvero? Beh, non proveniva dalla nostra dimora, Conte, ve lo posso garantire...

Stava palesemente mentendo, ne era certo.

- Probabilmente è stata una mia allucinazione causata dalla debolezza... - Aggiunse Giacomo, determinato a volerne sapere di più. - Sarò ben lieto di leggervi alcuni dei miei componimenti, Visconte, tuttavia noto che avete una splendida tenuta, forse potrei trarre ispirazione dall'ambiente naturale circostante...

Era sempre stato dotato di eccellente diplomazia.

- Oh, esimio, il vostro aprezzamento mi lusinga, sarò ben lieto di mostrarvi la mia tenuta, che si estende fino alle colline, sempre che la mia presenza non sia d'intralcio alla vostra ispirazione, s'intende!

Giacomo dilatò lievemente gli angoli della bocca, non era un sorriso, no, era semplice compiacimento di fronte alle sue abilità dialettiche.

- Non mi siete affatto d'intralcio... sarò ben felice di passeggiare con voi, nel pomeriggio... Stamane potrei passeggiare un po' rimanendo nelle vicinanze, così da non interferire con i vostri impegni mattutini.

Il Visconte lo guardò con profonda ammirazione.

- La vostra discrezione è ammirevole, ad ogni modo sappiate che li avrei rimandati volentieri.

Giacomo masticò lentamente una piccola fetta di pane tostato, dopo un minuto di totale silenzio rispose :

- Anche la vostra disponibilità lo è, ma credetemi non è necessario.

Congedò il Visconte e uscì da un'entrata secondaria, incuriosito da alcuni rumori secchi, che sembravano provenire da un casolare a cento metri dal palazzo.
La fanciulla, nell'armeria, sfogava la sua rabbia contro uno dei manichini di legno presenti nella sala. Quel manichino aveva le "braccia" rotanti, collegate ad un meccanismo a molla che dopo un determinato numero di volte che venisse colpito lo scudo o la spada, si azionasse, facendo roteare la parte superiore, in modo da simulare un contrattacco.
Giacomo, con molta cautela aprì leggermente la porta d'ingresso sperando che il rumore all'interno superasse il debole scricchiolio della porta. Deglutì a fatica, estraneo a quella furia o meglio ad una sua esternazione. Sentì gli occhi bruciargli enormemente, feriti da un sottile fascio di luce che colpiva la porticina, tuttavia con enormi sforzi riuscì a mettere a fuoco quel corpo esile eppure agilissimo e a rendersi conto che si trattava di una giovane donna. Si sentì profondamente turbato ma contemporaneamente avvertì la curiosità solleticarlo sempre di più, irresistibilmente. Richiuse la porta con molta cautela, deciso a comprendere cosa avesse sottratto la dolcezza, i boccoli e l'abito lungo a quella giovane. Capì che c'entrava il visconte, e voleva saperne di più, come se non riguardasse soltanto lei... anche la sua vera natura aveva dovuto cedere agli eventi funesti che la sorte gli aveva preparato negandogli anche la speranza. No, qualunque cosa fosse capitata a quella giovane donna, ora riguardava anche lui. Sentì la porta aprirsi e si nascose impacciatamente dietro ad un cespuglio... la vide uscire, sudata fradicia
Una volta uscita dall'armeria, Gertrude pensò che fare un bagno nel ruscello fuori città non sarebbe stato una cattiva idea. Inizialmente aveva pensato di portare il suo cavallo con sé, ma non era così distante, quindi avrebbe potuto andare a piedi. Si allontanò verso est, tenendo la giacca sul braccio e una volta raggiunto il bosco, si tolse gli stivali per poter camminare a piedi nudi sull'erba bagnata di rugiada. Inspirò l'odore della Natura e un sorriso le fu spontaneo. Sciolse i lunghi capelli biondi dal nastro che li teneva legati a coda e si avvicinò al ruscello limpido, camminando tra le macchie di luce che filtravano dalle fronde degli alberi e si spogliò. Lasciò tutto sulla riva, rimanendo con solo la camicia indosso, che le arrivava fin sopra le ginocchia.
Il Conte non seppe spiegarsi il motivo esatto per cui, vedendola uscire dall'armeria non era riuscito a fare a meno si seguirla, sentiva solo che la vicenda di quella fanciulla oramai riguardava anche lui. La vide liberarsi dei vestiti e istintivamente deviò lo sguardo, si sentì avvampare. Si avvicinò alla riva del ruscello, osservando di sottecchi i movimenti aggraziati della fanciulla, non sembrava solamente rinfrescarsi quanto cercare disperatamente di lavarsi via un sengno indelebile, istintivamente si sporse verso quell'acqua nella quale anche lui, inconsciamente desiderava immergersi totalmente, Sentì il suo corpo inclinarsi terribilmente fino a che cadde goffamente nel ruscello con un tonfo secco.
Lei stava rinfrescandosi sotto il fluire delle fresche acque del ruscello, quando sentì qualcosa cadere in acqua, dall'altro lato del ruscello, subito cercò di avvicinarsi, quando vide un uomo riemergere energicamente prendendo una grossa boccata d'aria. Ne approfittò del fatto che fosse ancora non completamente cosciente per prenderlo dal busto di peso, sollevandolo e poi riportarlo sulla riva, facendolo stendere. Ma era... era il Conte? Che ci faceva lì? Si asciugò alla bene e meglio e si rimise le braghe, lasciando la camicia fuori, che era ancora inzuppa d'acqua. Ne prese un lembo dell'orlo e lo strizzò tra le mani, per poi legarlo attorno alla vita, il tutto senza lasciarsi sfuggire neanche un secondo il Conte di vista.
Egli ansimó piano, tossendo l'acqua che aveva ingoiato, sobbalzó quasi spaventato dalla visione sfocata e tremolante di quella figura che immediatamente le parve terribilmente familiare. Sentì una leggera fragranza di lavanda, la stessa aveva inondato le sue narici sulla carrozza in quegli istanti densi di morte. Non poteva essere stato assalito con tanta veemenza da una fanciulla dai lunghi capelli biondi, sebbene in armeria avesse dimostrato abilità solitamente sconosciute ad una donna.

- Perdonatemi, signorina - mormorò a fatica tossicchiando altra acqua - temo di avervi già incontrato, ma non rammento la circostanza...

Gertrude si legò i capelli e si chinò su di lui e gli sfiorò le labbra sottili con un dito, schiudendo le proprie, così rosse e carnose.

- Voi non mi avete mai incontrato...

Il contatto con la sua pelle liscia raffreddata dal contatto con l'acqua gli provocò un lieve sussulto, un sudore gelido gli imperló la fronte pallida, le sue guance divennero rosso acceso anche se era troppo debole per rendersi pienamente conto del gesto compiuto dalla fanciulla, sentì il cuore risvegliarsi dal solito torpore che già era stato brutalmente scosso il giorno prima in carrozza. Si toccò la benda sul collo, era fradicio e la ferita aveva ripreso a sanguinargli un poco. Fissó lo sguardo negli occhi profondi di quella fanciulla che con tanta determinazione si prodigava a piegare le sbarre di quella gabbia che il fato il suo sesso e la sua condizione avevano impietosamente preparato per lei. Vide come un tentennamento in quella disumana determinazione, come una lacrima sfuggita alle sue lunghe ciglia, ma forse era solo una goccia d'acqua del ruscello...

- Signorina, insisto, io vi ho già visto.

Non riuscì a trattenere una lacrima che le uscì fuggitiva e solcò di tutta fretta la guancia bagnata, quasi avesse paura d'esser scoperta. Gertrude non seppe che altro fare se non prostrarsi davanti a quell'uomo così piccolo e pure così grande, persino più grande di lei, da farla sentire una formica. Una piccola insignificante formica. Si piegò sul suo petto, piangendo e stringendo tra i pugni i lembi sul petto della sua giacca.

- Vostra Eccellenza, sono stata io... perdonatemi, vi prego... perdonatemi, io non sapevo... non volevo... E' stato un equivoco... un terribile equivoco...

Ripeteva singhiozzando tenendo il capo chino su di lui.

Giacomo spalancó gli occhi esterefatto anche se in cuor suo sapeva fin dall'inizio che era stata lei. Non provò rabbia, no. Provò una sfrenata stima nei suoi confronti nonostante avesse attentato alla sua stessa vita. Avvicinò una mano tremante al volto della giovane, sfiorandolo appena.

- Non... temete, io non ne farò parola con nessuno! - Mormorò Giacomo con il cuore in gola. - Io... io vi ammiro, infinitamente.

Esclamò posando il palmo della mano sulla ferita che gli doleva incredibilmente.
Lei sollevò lo sguardo quando sentì la sua mano posarsi sulla propria guancia. Gli sorrise appena a quelle parole, ma quel sorriso si spense quasi subito perché lo vide sfiorarsi la ferita.

- Mi dispiace, Eccellenza, per la ferita... e l'acqua di sicuro non aiuterà a farla rimarginare.

Si alzò e lo aiutò a fare lo stesso.

- Venite, staremo per un po' all'armeria, fa sempre caldo lì, soprattutto in questo periodo. Se ci vede mio padre... chissà cosa penserà!

Esclamò infine sollevando gli occhi al cielo, ma terminando con un sorriso divertito al pensiero di quel vecchio che andava su tutte le furie, assottigliando ancor di più quella bocca fine come il filo d'una lama. Il che non faceva molta differenza con la sua lingua. Altrettanto affilata.

- Non fatevene un cruccio, Viscontessina, le ferite mortali che mi straziano sono invisibili e al contrario di questa non si rimargineranno, si sono aperte come voragini inghiottendo come belve fameliche il mio tempo migliore, lasciandomene miseri brandelli che assumono i contorni sfocati di un passato che ogni giorno m'appartiene di meno, alcune volte dubito della mia stessa vita...

Con grande sforzo tentò di rimettersi in piedi, un brivido gli scese lungo la spina dorsale, la lieve brezza non si conciliava bene con i suoi abiti fradici. Gertrude scoltò le parole di quel poeta. Improvvisamente sentì d'avere anche il cervello d'una formica, ma poi si riprese perché lo vide tremare. Aveva sentito della sua salute cagionevole e non avrebbe voluto che si ammalasse per colpa sua. Gli poggiò la sua giacca sulle spalle e lo prese a braccetto.

- E' meglio se ci sbrighiamo..

Su indicazione della fanciulla si accomodó pensieroso sul rudimentale sofà che gli aveva indicato, la vide frugare in un piccolo armadio e porgergli degli abiti asciutti, rigorosamente maschili. Non voleva essere indiscreto ma la curiosità lo solleticava torturandolo crudelmente

- Avete buon gusto nel vestire, lo penso realmente.

Disse infine sperando di avvicinarsi al suo segreto.

Gertrude sorrise a quel complimento.

- Non ho mai amato le gonne. Perdonate se non è comodo, so che siete abituato a ben altro, ma almeno... qui potrete riprendervi e asciugarvi. Vado a prendere delle bende asciutte, voi cambiatevi pure.

Il Conte arrossì leggermente, e quando si fu accertato di essere solo iniziò a togliersi cautamente i vestiti. Nessuno l'aveva mai visto nudo, a parte sua madre quando era un neonato, nessun essere umano avrebbe potuto reggere a tanto ribrezzo, ne era certo, lui stesso si premurò di strizzare violentemente gli occhi, come al solito per sottrarre loro quella visione ripugnante. Sentì un rumore secco, come una porta che sbatteva e l'assillante idea che la fanciulla fosse uscita solo allora lo pugnalò violentemente al petto. Lei lo vide cominciare a spogliarsi, ma non guardò per discrezione, vedeva solo la sua sagoma chiara dalla coda dell'occhio mentre si metteva una giacca asciutta, per poi uscire. Dopo qualche minuto tornò da lui, con delle bende e dello spirito. Il poeta era già rivestito, aveva lasciato la camicia aperta e la cravatta sciolta attorno al collo, in attesa del cambio delle bende. Si sedette accanto a lui, rivolgendogli un dolce sorriso e con gesti delicati gli tolse le bende bagnate. Una volta asciugata la parte con un panno, disinfettò la ferita tamponando sul taglio con altrettanta delicatezza.

Il poeta si stupì della dolcezza che la fanciulla custodiva gelosamente, sepolta da una fredda coltre d'acciaio, più tagliente delle sue stesse armi e si convinse che anche lei per sopravvivere ad un mondo crudele e aguzzino aveva dovuto appiccicarsi addosso una maschera. Si stupì di quella dolcezza che gli veniva rivolta, era fermamente convinto di non meritarla. Voleva ringraziarla ma l'improvvisa felicità gli impediva di parlare, nessuno prima d'ora si era preso cura di lui, si limitò a sorridere sperando che quell'istante non finisse mai. Lo vide sorriderle, anche se inizialmente si lasciò sfuggire dei sibili e allora la ragazza, un po' intimorita tentò di fare più piano e lui la guardava sempre con più dolcezza. Quando terminò gli rifasciò il collo e quasi istintivamente gli richiuse la camicia e gli fece il nodo alla cravatta, lisciando poi con le mani il colletto della giacca, stirandolo. Giacomo la osservò attentamente, per sottrarre al vortice dell'oblio quegli istanti in cui la natura e la vita sembravano mostrargli quella clemenza che mai da quando il sole aveva ferito i suoi occhi per la prima volta aveva conosciuto.

- Questo pomeriggio leggerò a vostro padre qualche mio componimento, mi sembra il minimo per ringraziarlo dell'inaspettato ma graditissimo invito. Sapete... - le confessò abbassando la voce - Mi lusinga molto che un uomo di valore come vostro padre apprezzi i miei componimenti ma... ve lo dico con tutta sincerità... non trovo nulla di grande nella mia poesia che non sia lo sconforto di fronte all'arido vero della nostra esistenza. Forse vostro padre ha piena consapevolezza del dramma del vivere...

- Mio padre è un uomo duro e senza cuore. Fa così solo per farsi credere sensibile alla cultura... ma si sa che la poesia non è per tutti. - confessò per poi fare spallucce e rialzarsi. - Voi siete libero di fare quel che volete, ovviamente, non sarò io ad impedire che rispettiate i vostri impegni.

Giacomo non rimase affatto sorpreso dalla risposta.

- Anche... - sospirò dolorosamente - anche mia madre è sempre stata... - quelle parole gli uscivano dal cuore ma sembravano straziarlo - Non importa.

Concluse tenendo le braccia conserte e e il capo reclinato.

- Avete detto che la poesia è per pochi... voi credete di farne parte?

Azzardó senza sollevare lo sguardo

- Io... non saprei, ma di sicuro sono più sensibile di mio padre. - rispose lei poggiando le mani sui fianchi - Ma comunque... secondo me è meglio che riposiate e che stiate più alla larga possibile da lui. Non fa per voi. Non comprenderebbe.

Giacomo rimase attonito di fronte a quel suggerimento perentorio ma sentito, ricolmo di lacrime strozzate e di dolori affogati, sminuzzati dietro alla maschera.

- Quasi nessuno comprende... noi esseri umani siamo dotati di linguaggio e pertanto flagellati dall'incomunicabilità insita nelle parole.

Si alzò a fatica.

- Non ho ancora avuto il piacere di sentire il vostro nome...

Le chiese mentre la vedeva voltarsi verso l'uscita, poi si girò appena verso di lui con un sorriso dolce e divertito.

- Gertrude.

E si dileguò lasciandolo indietro mentre si allontanavano dall'armeria. 

   
 
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