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Autore: Lurilala    19/08/2014    2 recensioni
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Per cambiare bisogna soffrire.
Per cambiare bisogna rendersi conto di soffrire.
Però, a volte non basta nemmeno quello.
A volte si ha semplicemente toccato il fondo e non si può risalire.
Però quando gli occhi affondano nello specchio di un mare in frantumi, tutto il dolore viene a galla.
E si piange.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nick sul forum/Efp: Lullopola
Titolo: Riflessi Cremisi
Schema scelto: Schema "Specchio"
Coppia: Het
Lunghezza: 3 pagine/1454 parole
Raiting: Giallo
Eventuali note: //
Breve introduzione: Per cambiare bisogna soffrire.
Per cambiare bisogna rendersi conto di soffrire.
Però, a volte non basta nemmeno quello.
A volte si ha semplicemente toccato il fondo e non si può risalire.
Però quando gli occhi affondano nello specchio di un mare in frantumi, tutto il dolore viene a galla.
E si piange.




Riflessi Cremisi



Il cielo era plumbeo. Un tetto di cenere sopra la sua testa. Un tetto di cenere sopra il mare calmo.
Tiziano affondò le mani nella sabbia, piegando la testa all'indietro e sospirando.
La spiaggia era deserta; il sole era già calato da un pezzo e la maggior parte dei turisti era raccolta in qualche sudicio pub con musica a tutto volume. Storse il naso, disgustato al solo pensiero.
Ma in quel ritaglio di mondo deserto, animato solo dallo sciaborio lento delle onde e dalle lontane note di qualche canzone proveniente da un locale poco distante, non c'era niente, non c'era nessuno.
Esisteva solo lui lì. Solo lui e il dolce luccichio delle stelle sopra la sua testa.
Tiziano strinse la sabbia fra le dita e i granelli freddi scivolarono via dalla sua stretta con immensa facilità.
Era così che era andata? Era con la stessa semplicità della sabbia che la situazione gli era sfuggita di mano?
Quand'era, di preciso, che i suoi principi si erano frantumati? Perchè non se n'era accorto in tempo?
Eppure, gli era sembrato di avere la situazione sotto controllo.
Doveva avere la situazione sotto controllo. Ma allora perchè era accaduto?
Tiziano non aveva paura di uccidere. Non provava rimorso ad aver ucciso degli uomini.
Dopotutto, non erano altro che maiali vestiti, feccia del mondo che doveva eliminare.
Tiziano uccideva su commissione. Era sempre disposto ad aiutare chi, come lui, si era accorto di quanto l'umanità fosse sporca. Di quanto certi individui dovessero essere eliminati. I soldi poco importavano a lui. Li accettava e li usava per girare il mondo cambiando ogni volta posizione, in modo da non essere intercettato dalla polizia.
Non chiedeva mai il perché dei suoi incarichi. Non aveva importanza.
Lui era famoso nel suo campo; il suo nome però, non lo sapeva nessuno. Tutti lo conoscevano con lo pseudonimo di Black e Tiziano non aveva intenzione di rivelare la sua vera identità a qualcuno.
Non si poteva fidare di nessuno, mai.

Il suo primo incarico fu un certo John Davidson.
Era un grasso imprenditore sudato, con la testa rasata e gli occhi piccoli e neri.
Vedendolo, non aveva provato niente.
L'uomo era in ufficio e Tiziano l'aveva aspettato appostato fuori dalla porta.
Appena John aveva messo piede fuori, lui l'aveva preso e trascinanto nel sottoscala, in modo che nessuno potesse vederli, la mano premuta con forza sulla bocca.
Emanava un odore ripugnante; Tiziano gli aveva applicato un taglio da un orecchio all'altro, facendo scricchiolare le ossa e lo aveva buttato a terra. Gli aveva tirato un calcio sotto al mento e la testa era schizzata via dalla sua posizione, in un esplosione di sangue.
L'indifferenza persisteva però nell'animo di Tiziano. Non gli importava niente.

Gli incarichi dopo di questo si susseguirono simili, colorati dall'indifferenza e dal sangue.
Poi gli fu affidata la morte di una donna dai capelli scuri e lisci e gli occhi nocciola, vivaci e sinceri. Si ricordava anche il suo nome, Naomi Puppinks.
Era bella, Naomi. Profumava di cioccolato. Aveva un sorriso inebriante. Era divertente, simpatica, brillante. Tiziano non riusciva a comprendere perché dovesse essere uccisa. Ma non negò quell'incarico.
Era agosto e Naomi stava tornando dalla discoteca, sorridente nei suoi diciannove anni. Era bellissima, quella sera più di ogni altra volta.
Tiziano si era finto uno della compagnia e le aveva offerto un passaggio. Naomi aveva sorriso e accettato con una voce tanto morbida che il ragazzo non aveva potuto non sorriderle di rimando.
La giovane, fiduciosa, si era quasi addormentata sul sedile della macchina. Tiziano aveva spento l'auto e lei aveva aperto quegli occhi infantili, convita di essere arrivata a casa. Ma davanti a lei c'erano solo gli alberi scuri di un bosco.
Si era subito allarmata e aveva spalancato la portiera, provando a scappare. Tiziano le aveva afferrato il polso con presa forte, trascinandola dentro. Lei aveva urlato e lui le aveva conficcato un pugnale nel petto.
I suoi occhi castani si erano spalancati dal dolore e un urlo strozzato gli era uscito dalle labbra, che si erano innondate di sangue.
Quella vista gli fece male più di quanto avrebbe mai potuto ammettere. La bella Naomi, sporca di sangue. Si era sentito un mostro. Era come se la pugnalata al petto l'avesse ricevuta lui.
Le rimasto vicino, sussurrandole all'orecchio dolci parole, come a volersi scusare, come a volersi far perdonare. Lei era morta dissanguanta, stringendogli la mano.
Le lacrime avevano inumidito gli occhi di Tiziano. L'aveva guardata e aveva sentito densa la voglia di baciarla. Era rimasto a fissare quelle labbra rosse dal sangue per tanto tempo, poi si era alzato ed era andato via a piedi.
Aveva pianto.

Affondò le mani fra le vispe ciocche di capelli bruni.
No, i ricordi no. Andava bene qualunque tortura, ma ricordare gli faceva troppo male.
Rimase immobile, gli occhi celesti strizzati, nel vano tentativo di reprimere l'onda di immagini che gli sovrastava la mente.
"Dovrei andare a dormire" pensò, ma non lo fece. Perché la tristezza di certe notti non si può cancellare semplicemente chiudendo gli occhi.
Nelle notti dei ricordi l'avversione al letto era incancellabile; eppure per uno del suo mestiere passare notti insonne era una cosa stupida, avrebbe dovuto essere riposato per il giorno dopo e invece no, non poteva.
La notte lo teneva stretto fra i suoi artigli arrugginiti. Era stanco, stanco di ricordare. Gli occhi bruciavano e un filo di dolore bollente gli stringeva la gola, facendola bruciare. E' che non andava bene, è che non ce la faceva più, è che aveva infranto ogni limite.
Aveva superato la morte di Naomi. Quello che provava per lei non era amore. Amore è bruciare vivo di passione. La sua era una scottatura; bruciava comunque, ma non tanto, non troppo, solo se la andava a sfiorare. Tiziano preferiva lasciare intoccata quella scottatura e non gli dava fastidio. Però certe volte qualcosa o qualcuno la toccava e riprendeva a bruciare come non mai. Ma passava. Bastava aspettare e il dolore diventava sopportabile, ignorabile.
Dopo aver ucciso Naomi aveva traballato un po', ma aveva continuato la sua carriera.
Adesso però non ci riusciva. Adesso era a terra, troppo sconvolto per potersi rialzare.
Anche lui aveva una moralità. Niente donne incinte e bambini.
Eppure, perchè l'aveva fatto?
Forse perchè non lo sapeva. Forse perchè quando gli avevano detto di sterminare la famiglia di quel Nicholas Haugen non avevano precisato che avesse anche un figlio.
Tiziano non lo sapeva. Non avrebbe potuto saperlo.
Ma allora perchè quella notte, davanti all'angelico viso di quel bambino addormentato, non si era fermato?
Perchè non l'aveva lasciato lì, intoccato? Niente donne incinte e bambini. Niente bambini. I bambini non si uccidono.
I bambini non sono ancora la feccia del mondo. I bambini sono perle che non si sono ancora tinte di nero. Diventeranno adulti e ripugnanti. Ma ora sono solo innocenti bimbi che non hanno alcuna colpa.
Quel bambino si chiama Lucian.
Tiziano strinse i denti e gli occhi gli si riempirono di lacrime.
Sentiva le mani sporche di sangue. Le guardò e ovviamente non c'era traccia di quel liquido ferroso. Però lui lo sentiva. Era come se le sue dita fossero immerse nel sangue denso e caldo.
Rabbrividì e singhiozzò, mentre le lacrime iniziarono a scivolare sfregiandogli le guance. Non poteva averlo fatto per davvero. Non poteva aver ucciso quel bambino.
Si alzò in piedi e corse fino al bagnasciuga. Immerse la mani nell'acqua salata e iniziò a sfregarle, come a voler togliere tutte le morti che aveva causato.
Cadde e si graffiò le ginocchia sui sassi. Rimase fermo, continuando a piangere silenziosamente.
Quando aveva iniziato ad uccidere su commissione, mai una persona si sarebbe permessa di dargli l'incarico di far fuori un bambino.
Ne aveva uccisi di uomini, nei suoi quarantacinque anni. Però mai aveva sentito tanto dolore. Un bambino. Lo aveva ucciso.
Tutto stava cambiando, ormai. Ormai la gente non si faceva più scrupolo a uccidere persino un bambino.
Tiziano alzò lo sguardo. -Mi dispiace, Lucian...- mormorò a fior di labbra e fu un sussurro tanto flebile che non fu nemmeno sicuro di averlo pronunciato.
Abbassò gli occhi e cercò di cogliere il proprio riflesso nel mare.
La sua immagine era spezzata; l'acqua sembrava uno specchio che continuava a frantumarsi, ancora, ancora, ancora, per ogni onda che si infrangeva.
Uno specchio che si rifiutava di riflettere la sua immagine. L'immagine di uno sporco assassino che ha ucciso un bambino.
Non era più in tempo per tornare indietro, per ricominciare tutto da capo.
Il suo riflesso nello specchio era macchiato di sangue e sarebbe rimasto così.
Però forse avrebbe potuto guardarsi con occhi diversi. Non sapeva in che modo, ma avrebbe fatto di tutto per farsi perdonare da Lucian.
"Già. Il mondo non cambia solo a parole."
  
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