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Autore: clepp    21/08/2014    9 recensioni
Quel ragazzo era così... fisico. Preferiva esprimere a gesti ciò che voleva dire con le parole e quello era un aspetto di lui che a Gwen faceva impazzire. Lei era abituata a parlare, a confrontarsi con le persone, a litigare, urlare, sussurrare e discutere. Lui era il suo esatto opposto, così calmo e pacifico, così gentile, silenzioso delle volte e riservato, ma mai scontroso o schivo: era il perfetto equilibrio tra l’essere troppo e l'essere troppo poco.
SOSPESA
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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04
Misunderstanding




Quando Gwen mise piede nell’appartamento fu sorpresa di udire le voci sommesse di Gretel e di Bruce provenire dalla cucina. Era venerdì pomeriggio e come ogni primo venerdì pomeriggio del mese il padre di Josef si era presentato a casa loro per prendere il bambino e portarlo via per un weekend padre e figlio.
Era da parecchio tempo che lui e Gretel non litigavano, o perlomeno che non lo facevano così spudoratamente davanti a Josef che in quel momento era seduto sul divano con le gambe rannicchiate contro il petto e lo sguardo fisso sullo schermo scuro della televisione. Gwen si tolse il cappotto e la sciarpa, appoggiandoli al portabiti vicino alla porta, e s’incamminò con calma verso il bambino.
«Ehi,» lo richiamò con un sorriso gentile e rassicurante. Si chinò di fronte a lui e poggiò una mano sulle sue ginocchia. «Cosa ne dici di andare a fare una passeggiata? Scommetto che hai voglia di un muffin al cioccolato.» gli fece un occhiolino sperando di tirarlo su di morale perché vederlo così non le piaceva affatto. Le grida di Gretel però erano troppo forti per far si che lui le ignorasse. Si chiese cosa fosse successo di così grave dato che Gretel non perdeva quasi mai la calma in quel modo, ma preferì concentrarsi su Josef.
«Sei tu quella che ne ha voglia.» replicò lui guardandola da dietro i suoi occhiali da vista rotondi che indossava soltanto quando più gli andava.
Gwen alzò le spalle e gli porse una mano: «Ma io so che tu sei così gentile da accompagnarmi. Vero?»
Josef fece una pausa di qualche secondo. Sembrava vagamente indeciso sul da farsi, probabilmente non voleva lasciare Gretel da sola con il padre  ma allo stesso tempo voleva allontanarsi il più possibile da quelle grida.
«D’accordo.» acconsentì alla fine, annuendo.
«Perfetto!» esclamò Gwen gaia, «vai a metterti le scarpe allora.»
Josef scese dal divano faticosamente, come se i muscoli gli si fossero intorpiditi e sparì dietro la porta di camera sua. Gwen era furiosa: la sua espressione falsamente allegra si trasformò in una smorfia seccata. Senza tante storie spalancò la porta della cucina e per un momento gli schiamazzi dei due litiganti cessarono di colpo. Gretel si voltò verso di lei e spostò subito lo sguardo su qualcos’altro, sentendosi profondamente a disagio. Bruce invece le lanciò un’occhiataccia che avrebbe voluto incenerirla, ma che in realtà la fece soltanto arrabbiare ancora di più.
«Porto Josef a fare una passeggiata. Fate in modo che questa cosa sia finita quando saremo tornati.» la sua voce era dura, impregnata di significati sottointesi. Non aggiunse altro, semplicemente si richiuse la porta alle spalle e aspettò che Josef finisse di prepararsi.
Quando lui arrivò zampettando dal corridoio delle camere, Gwen gli allungò una mano per far si che lui ci affondasse la propria e assieme si avviarono verso l’uscita. Non appena la porta venne richiusa, la voce di Bruce avvolse nuovamente l’appartamento, ma Gwen si stava già lamentando della sua estenuante mattinata in banca e dell’incompetenza di certi impiegati. Se c’era una cosa che proprio odiava, era vedere Josef costretto a sopportare le scene che aveva dovuto sopportare lei.
-
Louis sussultò sulla sedia quando all’improvviso sulla sua scrivania cadde un pacchetto di sigarette che finì sul disegno di una fenice che stava perfezionando da quella mattina. Raddrizzò la schiena e alzò lo sguardo sulla figura che gli si era stagliata di fronte: Zayn lo stava osservando con le braccia incrociate e un sorriso ironico stampato in faccia.
 «Non dico che non apprezzi tutto l’impegno che ci metti nel tuo lavoro, Louis.» incominciò quello. «Ma davvero, penso che tu stia diventando un maniaco del controllo o qualcosa del genere.» appoggiò i palmi delle mani sulla scrivania e di conseguenza sui fogli scarabocchiati su cui Louis aveva disegnato per tutta la mattina. In quel momento, avrebbe voluto riempirlo di cazzotti ma si fermò al pensiero degli eventuali schizzi di sangue di Zayn sui suoi disegni.
«Alza le mani Zayn, li stai rovinando!» gli afferrò i polsi e li allontanò con un gesto brusco, risistemando i fogli alla bell’e meglio. Zayn nascose un ghigno divertito e fece il giro della scrivania per ammirare meglio i lavori dell’amico. Quando lavorava così tanto, doveva ammetterlo, il risultato era eccellente, non quanto il suo ovviamente, ma era davvero buono. A Zayn risultava più facile fare un buon lavoro perché aveva una dote naturale per il disegno e impiegava la metà della metà del tempo che invece impiegava Louis.
«Sono davvero buoni,» si complimentò dandogli qualche pacca sulla spalla. «Bravo amico.»
Louis accantonò l’irritazione per l’atteggiamento menefreghista dell’amico e si aprì in un sorriso soddisfatto, ammirando con orgoglio i propri disegni.
«Grazie.»
Zayn alzò gli occhi al cielo: anche lui era molto attaccato ai propri lavori, ma non lo dava mai a vedere nel modo in cui faceva Louis.
«Adesso prenditi una pausa, e vieni a fumare una sigaretta con il tuo collega.» afferrò il pacchetto di sigarette che gli aveva precedentemente lanciato sotto la faccia per attirare la sua attenzione e si diresse verso l’uscita dopo aver preso la giacca dalla sua sedia.
Mentre la sua mano apriva la porta, la voce di Louis lo richiamò indietro. Nel momento stesso in cui girava la testa per sentire cosa avesse da dirgli il suo corpo si scontrò contro qualcuno e automaticamente portò le braccia in avanti per evitare che chiunque gli fosse andato addosso non cadesse a terra. Lo riconobbe soltanto quando lui alzò la testa verso di lui e abbozzò un debole sorriso di scuse: gli fu impossibile trattenere un’espressione stupita per quell’inaspettata apparizione.
«Scusami, non volevo venirti addosso.» si scusò il bambino dai capelli biondi e gli occhi azzurri gli si illuminarono di una luce gaia. Quando l’iniziale sorpresa sparì dal suo volto, Zayn non riuscì a trattenere un sorriso.
«No, figurati.» rispose, e si guardarono per qualche secondo. Zayn non sapeva bene come gestire quella situazione, insomma, un conto era parlarci per telefono e un altro era averci a che fare direttamente.
«Che cosa... che cosa ci fai qui?» cercò di risultare il più educato possibile. Intanto dietro di lui comparve Louis, incuriosito e confuso dall’intera scena.
Josef si schiarì la voce e infilò i pollici nei lacci dello zaino, dondolandosi sui piedi in profondo imbarazzo.
«Io... io volevo... io volevo farti vedere il fumetto che ho comprato l’altro giorno.» spiegò in tensione, come se avesse paura di venire cacciato da un momento all’altro. Zayn non l’avrebbe mai fatto, solo che non sapeva davvero come comportarsi o cosa dire o cosa fare con un bambino di nove anni. Aggrottò la fronte all’improvviso: qualcuno sapeva che era lì? Qualcosa gli disse che aveva fatto tutto di nascosto, altrimenti se qualcuno davvero l’avesse saputo, l’avrebbe di certo accompagnato.
«Wo, grande!» esclamò cercando di prendere in mano il controllo della situazione. Poteva sentire il nervosismo crescere dentro di lui, ma cercò in qualche modo di non darlo a vedere.
«Entra, forza. Qui fuori si congela.»
Josef sembrò rilassarsi molto quando entrò dentro lo studio. Louis aveva un cipiglio confuso stampato in faccia, ma fece del suo meglio per mantenere una facciata socievole. Zayn gli si avvicinò mentre Josef si guardava intorno, meravigliato da tutti quei disegni appesi alle pareti.
«Nessuno sa che è qui,» sussurrò in modo che il bambino non lo sentisse. «Tienilo occupato mentre chiamo per avvisare che è qui.»
Louis sembrò preoccupato e prima che l’amico potesse fare un solo passo, gli afferrò il polso per trattenerlo.
«Ehi, fermo! Faccio schifo con i bambini! Soprattutto se sanno già parlare e camminare.» farfugliò impacciato, lanciando occhiate allusive a Josef, ancora occupato a guardarsi intorno per accorgersi dei due ragazzi intenti a parlare di lui. Zayn roteò gli occhi.
«Non devi fare molto, sembra già abbastanza occupato. Parla di qualcosa, tipo fumetti o tatuaggi. O dagli una sigaretta, che ne so.» sbuffò e si levò il suo braccio di dosso per raggiungere la stanzetta sul retro e chiamare Gwen senza che il ragazzo sentisse.
«Una sigaretta? Dici che si può fare?» gli urlò dietro Louis e Zayn poteva sentire il panico nella sua intonazione: per un momento ebbe la sensazione che non stesse scherzando.
-
A Gwen pareva di aver dormito poco più di dieci minuti, quando il telefono di casa cominciò a squillare con insistenza. Risvegliandosi con lentezza dallo stato di dormiveglia che era sempre il più brutto da affrontare, sperò con tutta se stessa che Josef uscisse da camera sua e andasse a rispondere al suo posto. Il telefono continuava a suonare senza che nessuno facesse qualcosa. Alla fine, sbuffando seccata, Gwen aprì gli occhi arrossati per la stanchezza e di malavoglia si tirò su dal divano. Nell’esatto momento in cui il suo piede scalzo si spostava in avanti per raggiungere il tavolino sul quale ringhiava insistente il telefono di casa, questo smise di squillare. Imprecò sonoramente e si coprì la bocca subito dopo, sperando che Josef non l’avesse sentita.
Era sabato pomeriggio, e nessuno aveva mai chiamato di sabato pomeriggio perché tutti sapevano che il sabato pomeriggio era una specie di momento sacro per Gwen. Passava gran parte del suo tempo a dormire, per l’appunto, con l’intento di racimolare le energie che aveva perso durante la settimana. Gretel aveva il turno alla tavola calda e Josef rimaneva chiuso in camera sua a guardare qualche cartone senza disturbarla. Quel giorno Gwen avrebbe voluto restare sveglia e passare un po’ di tempo con il piccolino, che ancora non si era ripreso dalla sfuriata dei genitori avvenuta il giorno prima, ma non ce l’aveva fatta, soprattutto non dopo la settimana che aveva affrontato.
Aspettò tre secondi che il telefono ricominciasse a squillare, ma quando non lo fece, si sedette di nuovo sul divano. Appoggiata la testa su uno dei cuscini, la fastidiosa suoneria del suo cellulare intasò il salotto, facendola imprecare di nuovo e questa volta non si coprì la bocca. Allungò la mano e a tentoni afferrò il cellulare appoggiato sul tappeto per terra. Ad occhi chiusi e con la voce più rauca del solito, rispose.
«Gwen?» come diavolo…?
«Come diavolo hai avuto il mio numero?» scattò immediatamente lei, tirandosi su a sedere e svegliandosi tutt’un tratto. Percepì un sospiro sommesso dall’altra parte del telefono e si chiese cosa fosse successo. Per un brevissimo, insignificante istante, Gwen sentì l’impulso di andare a controllare in camera di Josef. Non sapeva perché, e non ebbe nemmeno il tempo di spiegarselo.
«Me l’ha dato Josef.» rispose, e l’intonazione della voce era cauta, attenta. Attenta a cosa? A Gwen cominciò a battere forte il cuore.
«Cosa?» sbottò e non voleva che la sua voce risultasse così preoccupata. «Cosa? Perché? È successo qualcosa?» lo bombardò di domande senza neanche dargli il tempo di rispondere a una di esse. Quando si rese conto che stava esagerando, si bloccò di colpo, prendendo fiato e dando la possibilità a Zayn di parlare.
«Va tutto bene,» replicò lui gentilmente: il suo tono di voce nascondeva qualcosa ma Gwen si accorse della nota rassicurante nelle sue parole. «Non è successo nulla di grave.» continuò e lei aveva la costante impressione che stesse cercando di dosare con estrema attenzione le parole da usare.
«Ma qualcosa è successo. Parla, Zayn.» era già in piedi, diretta verso il corridoio che portava alle camere. Alla fine del corridoio, proprio tra la sua stanza da letto e quella di Gretel c’era la porta della camera di Josef. Ed era spalancata.
«Josef è qui.» rispose lui schietto, dopo aver appurato che i giri di parole non sarebbero serviti a niente. Gwen irruppe nella camera di Josef: era vuota. Lo zaino che solitamente era legato allo schienale della sedia era scomparso e l’Ipad che Gretel gli aveva regalato al compleanno era stato lasciato sul letto disfatto. Sbloccò lo schermo e automaticamente si aprì una pagina di Safari sulla quale c’erano disegnate delle linee di vari colori. Era la linea dell’autobus.
Gwen si sentì mancare.
«Dammi il tuo indirizzo,» ordinò. «Subito.»
Gli diede soltanto il tempo di dirle le indicazione per raggiungere lo studio, prima di chiudere la telefonata e dirigersi verso il salotto. Si vestì velocemente, indossando scarpe, giacca e sciarpa.
Uscì di casa: naturalmente pioveva e naturalmente lei non aveva pensato di prendere un ombrello. Quando arrivò alla macchina, aveva i capelli umidi di pioggia e la giacca puntellata di puntini più scuri.
Guidò fino allo studio, cercando di calmarsi e di fare mente locale. L’ultima cosa che poteva permettersi era di sbagliare strada e perdere altro tempo. Si sentiva male, non tanto per il fatto che Josef fosse riuscito ad andarsene senza che lei se ne accorgesse minimamente – anche se la cosa le stava logorando l’anima – ma quanto per il fatto che avesse deciso di prendere l’autobus da solo per andare a trovare un perfetto sconosciuto. Non credeva che quel piccolo accordo potesse arrivare a tanto. Gwen non voleva essere oppressiva con Josef, lo era già Gretel, e non voleva nemmeno supporre che quel ragazzo avesse cattive intenzione, ma si trattava comunque di uno sconosciuto che né lui, né lei conoscevano affatto.
Se a Josef non bastavano più le semplici telefonate settimanali, la cosa doveva finire.
Dopo venti minuti di vagabondaggio, scorse l’insegna del negozio di tatuaggi che ricordava vagamente iniziare con una Z e accostò. Scese dalla macchina come una furia e durante il breve tragitto fino alla porta del negozio, la pioggia riversò tutta la sua forza su di lei. Spalancò la porta.
La scena che si trovò davanti la rassicurò leggermente: chissà, forse si era immaginata gli scenari più orribili, come bambini sodomizzati sui lettini o catene appese al soffitto.
Vide un ragazzo chino su uno dei lettini, intento a tatuare una donna: nessuno dei due la degnò di uno sguardo. Josef era seduto su una sedia in pelle dietro la scrivania da disegno e stava osservando un quaderno che Zayn teneva tra le mani. Lui era in piedi di fianco a lui e, fino alla brusca entrata di Gwen nel negozio, stava sorridendo. Adesso aveva alzato lo sguardo su di lei, ed era serio. Terribilmente serio.
Anche Josef la stava guardando, ma la sua espressione era triste e colpevole. Gwen si tirò indietro un ciuffo di capelli bagnato e prese un profondo respiro, chiudendo per un momento gli occhi.
«Gwen,» sentì la voce preoccupata di Josef chiamarla. «Mi dispiace, Gwen. Non volevo farti preoccupare, volevo soltanto fare vedere a Zayn il nuovo fumetto che mamma mi ha comprato. Sarei tornato prima che tu ti svegliassi o che la mamma tornasse. Non volevo farvi preoccupare.»
Gwen riaprì lentamente gli occhi: lesse il dispiacere aleggiare sul viso del piccolo Josef e si chiese se si sentisse più dispiaciuto per averla fatta preoccupare o per essere stato scoperto. Sospirò di nuovo. Non sapeva cosa dire, era ancora troppo agitata. Era stata svegliata di colpo dalla notizia della “sparizione” di Josef e realizzare di essersi lasciata scappare il figlio della propria migliore amica non era una cosa che lei era in grado di digerire così facilmente.
Zayn la stava fissando con uno sguardo calmo e le braccia incrociate al petto.
«Io non... ok Josef solo...» balbettò. Sentiva le mani tremare per tutta la tensione che aveva cercato di reprimere durante il tragitto da casa allo studio. Aveva bisogno di sedersi altrimenti sarebbe svenuta di fronte a tutti.
«Josef,» sentì la voce di Zayn interrompere quella del bambino che stava cercando ancora di scusarsi. «Perché non continui a guardare i disegni del quaderno? Io intanto parlo con la zia.»
Il bambino annuì tristemente e abbassò lo sguardo sui disegni, senza più rialzarlo. Gwen vide Zayn fare il giro della scrivania e andarle incontro.
Da quando era entrata nel negozio non aveva mosso un muscolo, e se lui non le avesse preso una mano per accompagnarla lei avrebbe continuato a rimanere ferma immobile. Gwen sentì che la stretta della sua mano era debole ma quella di Zayn era decisa e forte, quasi avesse paura che crollasse a terra da un momento all’altro. La portò in una stanza che doveva fungere  da studio personale dei due ragazzi che lavoravano lì e la fece sedere sulla poltrona.
«Tieni.» le porse un piccolo asciugamano bianco pulito. «Asciugati i capelli, altrimenti ti verrà qualcosa.» le sorrise gentilmente mentre lei accettava l’asciugamano usandolo per tamponare i capelli umidi.
«Josef sta bene.» riprese lui dopo qualche minuto di intenso silenzio, in piedi di fronte a lei. «Non devi preoccuparti. Va tutto bene.»
La sua agitazione doveva essere evidente. Si sentì leggermente in imbarazzo, ma comunque non le importava. Aveva rischiato di perdere cent’anni di vita e l’ultima cosa che le interessava era di aver fatto una brutta figura.
«E’ pericoloso.» scattò in risposta. «E’ pericoloso, cazzo. La strada da casa nostra a qui è lunga, e in quei venti minuti sarebbe potuto succedere di tutto. Cristo santo, non posso credere di non essermene accorta.» si portò una mano sulla fronte e si obbligò a calmarsi. Vide Zayn chinarsi di fronte a lei.
«Ma non è successo nulla. Josef sta bene, è qui e sta bene. Non devi sentirti in colpa, sarebbe potuto succedere a chiunque.» Gwen cominciò a scuotere la testa.
«No, no, non a me! Non posso permettermi errori con Josef, Gretel non me lo perdonerebbe mai. Io non me lo perdonerei mai.» percepì di nuovo l’ansia avvolgerle i nervi già consumati dalla settimana passata e dalla paura di poco prima. «Josef è un ragazzino intelligente ma... è così piccolo e ingenuo che... Dio, ti prego fammi smettere di tremare in questo modo.»
Le mani le stavano tremando così violentemente che dovette unirle insieme e fare pressione per cercare di farle smettere. Inaspettatamente, le grandi e calde mani di Zayn si allungarono verso le sue. Gliele avvolse delicatamente, stringendo per interrompere il tremore: il calore della sua pelle le riscaldò le dita fredde e bagnate di pioggia.
«Grazie.»
«Prego.» abbozzò un sorriso.
Gwen prese due profondi respiri prima di continuare a parlare.
«E’ sbagliato, Zayn.» disse. «Gli amici più cari che Josef ha siamo io, sua madre e, per modo di dire, suo padre. Ed è deprimente per un ragazzino di nove anni, lo so, ma è così. Penso che oggi abbia fatto ciò che ha fatto perché ha visto in te qualcuno di diverso da noi con cui poter parlare. Ed è sbagliato. So che se non interrompo immediatamente questa cosa tra voi due lui continuerà a fare di tutto pur di passare un misero pomeriggio con te. Lo so, perché è disperato. Non posso permettere un’altra cosa come quella di oggi, non posso.»
Si sentiva terribilmente in colpa nei confronti di Josef per impedirgli di condividere i propri interessi con l’unica persona che sembrava essere vagamente interessata a lui,  ma si sentiva più in colpa nei confronti di Gretel, perché non poteva tenerla all’oscuro di tutto e non poteva rischiare che Josef facesse di nuovo una cosa del genere.
L’avrebbe detestata, ma era giusto così.
Sentiva lo sguardo penetrante ma non fastidioso di Zayn addosso e per un momento desiderò che la guardasse così sempre.
«Forza, alzati.» la esortò lui, sorprendendola. Si avviò verso uno scaffale dietro la scrivania e afferrò qualcosa che Gwen non riuscì a vedere. Quando ritornò indietro vide che tra le mani aveva una felpa nera, stropicciata. Le fece segno di togliersi la giacca e le fece passare le maniche della felpa nelle braccia.
Gwen era ammaliata da quella sua gentilezza: era colpita non tanto dal gesto in sé, come quello di riscaldarle le mani o darle un asciugamano perché si asciugasse, quanto per la naturalezza con cui li compiva, quasi li facesse e basta senza nemmeno rendersene conto. Non aveva davvero mai incontrato un ragazzo così buono e paradossalmente così deciso e sicuro di se da risultare delle volte arrogante.
Si ritrovò a ringraziarlo di nuovo.
«Prego.»
Per la prima volta nella sua vita non sapeva cosa dire o come comportarsi. Amava Josef con tutto il cuore e privarlo dell’unica persona all’infuori della sua famiglia in grado di aiutarlo ad uscire dal guscio la uccideva dentro. Ma cosa poteva fare? Era tutta colpa sua, sua e di Zayn che l’aveva convinta a mandare avanti quella messinscena.
Rabbrividì: un pensiero insano, accusatorio e di pessimo gusto cominciò a formarsi dentro di lei e una volta che tutti i pezzi si collegarono autonomamente, non riuscì più a scacciare quella sensazione. Non aveva davvero mai incontrato un ragazzo così buono perché non esistevano ragazzi così buoni, esistevano soltanto ragazzi che facevano i buoni solo perché avevano secondi fini.
«Spiegami una cosa,» esordì Gwen, adesso non stava più tremando e la sua voce era ferma, glaciale. «Spiegami perché un ragazzo di ventitre anni dovrebbe aiutare volontariamente un bambino di nove anni che non conosce nemmeno. Spiegamelo e attento alle parole che usi.» lo minacciò, assottigliando gli occhi.
Zayn sussultò lievemente, spalancando impercettibilmente gli occhi e arretrando di qualche centimetro dalla ragazza che le stava davanti. Che cosa stava insinuando?
«Che cosa vuoi dire?» chiese, cauto, ma incapace di trattenere il tono di voce.
«Voglio dire che nessuno sulla faccia della terra, nessuno, decide di aiutare un perfetto sconosciuto senza secondi fini. Soprattutto se questo sconosciuto ha nove anni.» scattò lei. Non aveva più freddo e nemmeno era più agitata. Le guance erano rosse, riscaldate dalla rabbia che aveva improvvisamente rimpiazzato la tensione per tutta quella brutta situazione. Si alzò in piedi di scatto e più il silenzio si prolungava, più i suoi sospetti si facevano concreti. Come aveva fatto ad essere così stupida? Come aveva potuto pensare che quel ragazzo potesse aiutare Josef senza ottenere niente in cambio? E qualcosa in cambio stava effettivamente per averlo, visto che Gwen aveva accettato di uscire con lui. Quanto era stata stupida.
«Credevo di essere stato chiaro riguardo questo.» la voce di Zayn era dura e il suo sguardo terribilmente serio: non accettava di essere definito un approfittatore, soprattutto quando l’idea di prendersi gioco di lei o del bambino non gli aveva nemmeno sfiorato la mente. Non era quel tipo di ragazzo, neanche lontanamente. «Ho deciso di mandare avanti questa cosa con Josef perché ho avuto pena per lui e perché non mi costa nulla farlo. Non mi dispiace sapere di rendere felice un bambino di nove anni con così poco.»
Gwen strinse le dita e i polpastrelli impallidirono sotto la sua stretta. Inizialmente si era preoccupata per Josef perché credeva che quel ragazzo avesse cattive intenzioni con lui. Non credeva che invece si sarebbe dovuta preoccupare per se stessa: era chiaro che Zayn avesse accettato di aiutare Josef solo per avvicinarsi di più a lei. Il suo invito ad uscire era la chiara prova dei suoi secondi fini. Non poteva credere di non esserci arrivata prima.
«Sta zitto, non provare nemmeno a trovare una scusa. Sapevo che non avrei dovuto fidarmi di te dal primo momento in cui ho capito cosa stava succedendo con Josef. Adesso lui è di là e Dio solo sa quanto soffrirà per...»
«Ma che diavolo stai dicendo? Non sto trovando nessuna scusa! E per coprire cosa poi? Cosa stai insinuando?» sbottò lui e si trattenne a malapena dal fare un passo in avanti per fronteggiarla. Era senza parole e ancora leggermente disorientato da quell’improvviso cambio di atmosfera.
«Ti sei avvicinato a Josef solo per poterti approfittare di una ragazza, solo per poter arrivare a me. I ragazzi di vent’anni non si mettono ad aiutare bambini bisognosi volontariamente!» Gwen non capiva perché era così infuriata, ma senza pensarci alzò le mani e lo spintonò indietro. Non ottenne granchè comunque, lui si sbilanciò soltanto con le spalle prima di riuscire ad afferrarle i polsi. Le lanciò un’occhiataccia e lasciò la presa.
Era così arrabbiata, non per lei, ma perché quello stronzo aveva illuso Josef e l’aveva preso in giro.
«Non osare.» scattò Zayn guardandola con severità. «Non osare giudicarmi in questo modo, non provarci! Non sono quel tipo di persona, assolutamente no. Non mi approfitterei mai di un bambino e men che meno di una donna. Mai.» sottolineò l’ultima parola con enfasi, quasi volesse farle entrare a forza quel concetto in testa. Aveva giudicato quella ragazza nel peggiore dei modi, mettendola quasi su un piedistallo perché incarnava perfettamente il suo prototipo di ragazza ideale, sia fisicamente che caratterialmente. Forse si stava comportando così soltanto perché era preoccupata per Josef. Beh, non aveva comunque il diritto di farlo.
«Come posso saperlo? Non ti conosco, a malapena so come ti chiami, non puoi pretendere che io mi fidi di te come se ci conoscessimo da una vita.» ringhiò lei incrociando le braccia al petto, stringendosi nella felpa di Zayn. Lui la fissò intensamente e se non fosse stato così irritato l’avrebbe mangiata con gli occhi perché era bella, e con la sua felpa addosso lo era ancora di più.
«Ma davvero credi che io abbia parlato con Josef solo per arrivare a te? Non puoi essere seria.»
Gwen sospirò pesantemente: «Non metterla giù come se fossi una egocentrica del cazzo.» sbottò alzando le mani in aria. «E’ l’impressione che mi hai dato, non puoi biasimarmi.»
Anche Zayn sospirò: «Questo non… questo non c’entra niente. Ho invitato te ad uscire solo perché ti trovo bella, terribilmente bella e affascinante e carismatica. Se mi avessi detto di no avrei continuato tranquillamente a ricevere le telefonate di Josef.» si passò una mano tra i capelli, in un gesto frustrato. «Non puoi davvero pensare che io sia capace di una cosa del genere.» la guardò in un modo che la fece sentire per la prima volta nella sua vita in un profondo imbarazzo. Doveva ammetterlo, aveva reagito in maniera troppo avventata e voleva scusarsi per quelle accuse relativamente infondate, ma non era di certo quel tipo di persona. Inoltre, le sue ultime parole le avevano per un attimo riscaldato il cuore.
Distolse lo sguardo dal suo e lo puntò su un punto indefinito dietro le sue spalle. Sospirò, portandosi entrambe le mani sui fianchi.
«D’accordo,» disse. «D’accordo. Chiudiamola qui, comunque, con me e con Josef.» era la sua decisione definitiva. Non che con lei fosse successo chissà che cosa, avevano soltanto deciso di iniziare una conoscenza, eppure quelle parole furono comunque difficili da pronunciare. Il vero problema era Josef: come avrebbe fatto a sopportare di venire allontanato da un'altra persona a cui stava cominciando ad affezionarsi?
Zayn assottigliò le palpebre prima di rispondere con un breve e secco “ok”.
Gwen non permise a se stessa di sprecare altro tempo in quella stanza, perciò gli lanciò un’ultima occhiata fugace e uscì dalla porta, rientrando nello studio. Josef sedeva accanto all’altro tatuatore e ascoltava attentamente la sua spiegazione riguardo lo spessore degli aghi che stava usando. Quando si accorse della sua presenza, saltò in piedi e senza dire una parola la seguì fuori dallo studio.
Gwen era così confusa e completamente sfinita. Aveva saltato il suo pisolino pomeridiano, rischiato di perdere il figlio della sua migliore amica, fatto una doccia di pioggia e litigato con un semisconosciuto.
Fu soltanto quando ritornò a casa e si sedette stancamente sul divano che si accorse di avere addosso un odore che non era il suo. Sembrava un misto di fumo e profumo da uomo. Abbassò lo sguardo e si rese conto di indossare una felpa nera anziché la sua giacca.
«Cazzo.» imprecò e subito dopo si coprì la bocca.







Buonasera a tutti!
Come state? Chi di voi è psicologicamente pronto a ritornare a scuola? Beh, io non lo sono, proprio per niente, soprattutto perchè quest'anno sono in quinta superiore e quinta superiore è sinonimi di MATURITA'. 
Ma cambiamo argomento, concentriamoci sulla storia! Allora, ho deciso di postare oggi perchè non vedevo l'ora di farvi leggere questo capitolo. In realtà non so perchè, dato che rileggendolo mi sono accorta - come al solito - di non esserne affatto convinta. 
Btw, ammetto che le vostre recensioni e il numero di seguiti-preferiti-ricordati mi riempiono il cuore di gioia, davvero! Quando ho postato questa storia sapevo già che non avrei ricevuto poi così tanta attenzione, perchè a differenze delle mie altre ff, questa è molto tranquilla e, se si può dire, quasi anonima. Perciò sapere che comunque ha un suo seguito mi rende felicissima!
Tornando al capitolo, chi si aspettava già un litigio tra i nostri due amati protagonisti? E chi si aspettava che Josef "scappasse" di casa? Secondo voi perchè l'ha fatto? 
Ovviamente ci sono due motivazioni: la prima è che, appunto, voleva davvero conoscere meglio Zayn e passarci del tempo insieme, e la seconda è che voleva per un attimo allontanarsi da casa dopo il litigio dei genitori. Nella prima parte entra in scena Bruce, il padre di Josef, che non avrà poi così tanta importanza nella storia (sempre se non mi vengano fuori altre idee).
Poi c'è la scena di Josef che arriva allo studio: vi è piaciuta? Io spero di si, perchè adoro descrivere i momenti tra il bambino e Zayn anche se per adesso sono per così dire liimitati. E Louis? Dalle vostre recensioni nell'ultimo capitolo ho capito che vi piace molto ahaha ne sono felice!
L'ultima scena invece come l'avete trovata? Troppo esagerata? Spero di no. Il fatto è che la mia Gwen è una ragazza davvero molto forte e, allo stesso tempo, anche molto ansiosa - come potrete vedere nei prossimi capitoli - e soprattutto quando si tratta di Josef, perde con molta facilità la sua pazienza. Personalmente adoro Zayn. Il modo in cui riesce a gestire le situazioni con calma, cercando di fare ragione Gwen, ma allo stesso tempo tenendole anche testa. Inoltre, in questo capitolo esce fuori un suo aspetto molto importante che lascia Gwen profondamente sorpresa: la sua gentilezza.
Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto! Nel prossimo conosceremo un po' di più la famiglia di Gwen :) Vi lascio con una foto del piccolo Josef, che io mi immagino così :)
Un bacio,
clepp



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