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Autore: Feanoriel    21/08/2014    7 recensioni
la prima fan fiction che pubblico, spero sia gradita.
nessuno dei personaggi, delle ambientazioni, dei luoghi o delle situazioni è stato inventato da me, viene tutto dalla geniale penna di J.R.R. Tolkien. la mia fan fiction prende spunto da alcuni avvenimenti del Silmarillion, con particolare attenzione a questa frase "Maglor infatti si impietosì di Elros ed Elrond, e si affezionò loro, e anche in quelli nacque amore per lui, per quanto incredibile possa sembrare, ma il cuore di Maglor era esulcerato e stanco dal peso del terribile giuramento".
le informazioni usate per questa fan fiction vengono perlopiù dal Silmarillion, ma alcune provengono invece dalla HoME (History of Middle Earth), Volume XII, The Peoples of Middle Earth, con particolare attenzione al capitolo "The Shibboleth of Feanor".
[Gen fic per di più, ma con qualche accenno di Maglor/moglie e di Maedhros/Fingon]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Elrond, Elros, Maedhros, Maglor
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 2

NELLA RABBIA E NEL DOLORE

I will always remember their cries
Like a shadow which covers the light
I will always remember the time!
(Blind Guardian- The Curse of Feanor)

Da quando la battaglia era iniziata, i gabbiani sopra di loro altro non avevano fatto che lanciare acute strida, terrorizzati dai roghi che divampavano dalle case su cui solitamente si appollaiavano, dal clangore delle lame e dal freddo scintillio delle armature, svolazzando disordinatamente qua e là senza trovare un posatoio, mentre invece gli avvoltoi che sempre seguivano l’esercito dei Feanoriani, sapendo che li avrebbero riforniti di  lauti banchetti, erano già intenti nel loro orrido pasto. I mangia carogne non facevano alcuna differenza tra Elfi, Uomini e Nani: si avventavano indifferentemente sui cadaveri dei Figli di Ilùvatar, fossero essi i Primogeniti, i Secondogeniti o gli Adottati, divorando impietosamente le loro carni. E stormi sempre più numerosi di quelle orride bestie calavano sulle Bocche del Sirion, oscurando il cielo con le loro ali di tenebra.
 Da quanto tempo stavano combattendo? Si chiese a un certo punto Maglor, le fiamme degli incendi che si riflettevano lungo la lama della sua spada. Potevano essere passate ore, come giorni o pochi minuti. Ma  non importava, nulla importava: in battaglia esisteva solo il canto delle lame, il clangore metallico di scudi e cotte di maglia, lo schiantarsi delle ossa e i rantoli di morte di coloro che finivano sotto la sua lama, in un’infinita danza di morte e sangue. Ma lui non era stanco, affatto: avrebbe potuto continuare per ore e per ore, senza mai cedere, col battito impazzito del cuore che gli martellava nelle orecchie, rapito in quell’estasi di morte e rovina.

Maglor scostò un momento l’elmo, scostandosi dalla fronte i capelli corvini rimastigli appiccicati dal sudore. Era quasi sorpreso dalla facilità con cui i Feanoriani avevano preso le bocche del Sirion. Ma d’altra parte, la nuova dimora di coloro che un tempo erano le genti di Gondolin e del Doriath era  ben lontana dallo splendore di tali regni. Altro non era che una sparuta cittadella, inerpicata per metà sulle scogliere dell’Arvernien, con mura di legno e pietra frettolosamente tirate su dai carpentieri di Gondolin e case costruite col materiale raccattato sulle spiagge, un ben misero accampamento confrontato allo splendore delle dimore dei Noldor in tempi più lieti. Avevano rizzato anche delle rozze torrette di legno, per tenere d’occhio il territorio circostante nel tentativo di premunirsi dagli assalti degli Orchi di Morgoth, ma soprattutto per tenere d’occhio l’orizzonte, nella speranza di scorgere un segno che Earendil avesse trionfato, che la salvezza tanto agognata fosse vicina, che i loro dolori fossero finalmente finiti.

Ma nulla, né le loro scarse difese, né la volontà dei Valar, nulla di tutto questo  li aveva salvati dalla collera della Casa di Feanor.

Erano ridiscesi lungo il corso del Sirion a marce forzate, facendo attenzione a scovare e a uccidere ogni esploratore che Elwing avesse mandato in avanscoperta nel territorio circostante, in modo che coloro che vivevano alle bocche del Sirion nulla sapessero dell’avanzata del loro esercito. Così, silenziosi come lupi nella notte, erano arrivati alla loro meta senza che negli Elfi dell’Arvernien fosse nato il minimo sospetto delle intenzioni, o anche solo della presenza, dei Feanoriani. Maedhros, senza perdere altro tempo, aveva mandato Amrod e Amras, equipaggiati alla leggera, ad inerpicarsi sulle mura e penetrare nella cittadella con una compagnia di arcieri, sterminando le guardie prima che potessero dare l’allarme. Da lì, era stato facile aprire le porte ai loro fratelli, equipaggiati in armatura pesante e che comandavano soldati armati allo stesso modo. Prima ancora che la maggior parte degli Elfi del Sirion potessero capire cosa stava succedendo loro, il presidio era stato già conquistato per metà, le loro case date alle fiamme, molti dei loro guerrieri uccisi, e i Feanoriani, benché fossero in inferiorità numerica, vicini a conseguire la vittoria.

-Per Feanor e i Silmaril!!- gridò  Maglor, levando la spada nell’ennesimo assalto, piombando su un drappello di Elfi che portavano le insegne di Earendil, tra i pochi che non si erano ancora arresi nel tentativo di difendere la casa del loro signore. Ma erano pochi, stanchi, provati dalle sofferenze e dagli orrori della guerra, completamente privi della spietata furia che bruciava nel cuore della genìa di Feanor.

I suoi fratelli, in quel frangente, non combattevano di fianco a lui. Amrod e Amras avevano  preso i propri arcieri ed erano andati all’assalto del versante ovest, quello più lontano e che dava direttamente sul mare, dove ancora i sodali di Earendil si difendevano strenuamente, contendendo il campo pollice per pollice. Maedhros, invece, aveva raccolto attorno a sé solo la sua guardia personale, dopo di che si era diretto alla volta della dimora di Earendil, che sorgeva sul crinale più alto della scogliera, schiaffeggiata dalle onde delle maree. Quel giorno il mare, come se Ulmo avesse intuito il turbamento che albergava nei cuori degli Eldar, era agitato e turbolento come non mai, alte onde che si infrangevano contro scogli e che spazzavano le spiagge, trascinando ogni cosa nel loro cammino. Sovrastando il clamore delle onde e lo stridio dei gabbiani, Maedhros, ritto davanti alle sue truppe, poco prima di andare all’attacco, aveva lanciato il suo avvertimento:

-Uccideteli tutti, sterminate tutti coloro osano opporre resistenza! Vengano però risparmiati donne e bambini: li prenderemo come ostaggi.

Ma nondimeno, una spada può sempre capitare dove non dovrebbe, pensò Maglor, mentre i suoi occhi finivano sul cadavere di una donna elfica riversa per terra, alla quale un violento squarcio aveva aperto in due la gola, il sangue che si riversava fuori dalla ferita e sgorgava per terra. Si affrettò a distogliere lo sguardo: per qualche momento quella visione gli aveva fatto tornare in mente Nimloth, morta accanto al marito, e si affrettò a scacciarne il pensiero dalla mente: in battaglia una futile distrazione poteva causare la morte.

-Per la gloria della Casa di Feanor!!- gridò nuovamente, levando alta la spada. Incitati i suoi all’assalto, stava per lanciarsi ancora una volta nella foga della battaglia, quando uno dei suoi capitani gli si parò davanti.

-Che ti prende?- sibilò Maglor, tentando di scostarlo, irritato da quell’improvviso inconveniente.

-No, sire Maglor- disse quello per tutta risposta.- Troppo a lungo vi abbiamo seguiti lungo questa via di orrore, troppo a lungo abbiamo dato retta ai vostri crudeli ordini e alla follia di vostro padre! Siamo stanchi di versare il sangue dei nostri fratelli. Mai alzerò la spada contro un altro Elfo. E mai più obbedirò a un solo ordine che venga dalla Casa di Feanor.  Voi non siete più il mio signore.- finito di dire ciò, sputò ai piedi del suo comandante.

Per un attimo, rimase basito, ma poi quel gesto risvegliò in lui una cieca ira e, levata la spada, sgozzò l’altro con un unico fendente, mandandolo a crollare per terra mentre il sangue schizzava in alti spruzzi cremisi fuori dalla sua ferita.

-Stolto- sibilò, mentre quello ancora annaspava tra gli  ultimi sprazzi di vita. – solo ora cambi idea? Solo ora hai intenzione di voltar gabbana? Risparmiati futili ripensamenti. È troppo tardi ormai per rinunciare. Una volta presa la tua decisione, avresti dovuto mantenerla fino in fondo. E credi forse di compiacere i Valar, col tuo tradimento? Che Mandos ti perdonerà volentieri, per questo?- rise, mentre la vita scivolava via dal corpo dell’altro.

Con la sopratunica e la spada ancora sporche di sangue, Maglor si voltò verso il resto dei suoi soldati.

-Ebbene?- gridò.- Qualcun altro è ansioso di tradire la Casa di Feanor? Qualcun altro vuole rischiare la mia collera ? Se tra di voi c’è un voltagabbana, che si faccia avanti!

Dopo quello che era accaduto, si aspettava che nessuno dei suoi soldati osasse anche solo pensare di ribellarsi, ma le sue convinzioni furono ben presto smentite. Come un sol uomo, essi sguainarono le spade e si avventarono su di lui. Maglor per un attimo ne rimase sconcertato, mai e poi mai gli era passato per la mente che potesse accadere qualcosa del genere. Nondimeno, fu questione di un istante, dopo ché fu pronto a fronteggiare i colpi. Il tradimento dei suoi uomini altro non aveva fatto che alimentare l’ira dentro di lui, e ben presto quelli ebbero motivo di pentirsi del loro gesto, poiché non c’era colpo del secondogenito di Feanor che non andasse a segno, non un suo fendente che non riuscisse a uccidere, tagliare, mutilare, affettare o ferire i suoi avversari. E ben presto i cadaveri di quelli che erano stati fino a poco prima i suoi commilitoni giacquero ai suoi piedi, il loro sangue che gli imbrattava la cappa e la sopratunica che indossava sopra l’armatura.
 Afferratone uno che ancora indugiava nella vita, gli sibilò :- Mentre scivoli tra le ombre di Mandos, in attesa di sostenere lo sguardo del Giudice delle Anime, porta a mio padre questo messaggio: io, Maglor della Casa di Feanor, ben presto stringerò in questa mano uno dei Silmaril!

E detto questo, prima che l’altro avesse un qualsiasi modo per replicare, lo sgozzò con un unico colpo di spada, mandando il suo spirito nelle Aule di Mandos.

Staccatosi da quello, si accorse improvvisamente di essere rimasto solo. Del suo drappello, i pochi che non lo avevano assalito, avevano disertato ed erano scappati via.

Traditori, fedifraghi, pensò Maglor. Ognuno badi per sé, la Casa di Feanor dovrà contare unicamente su sé stessa. E io non mi fiderò mai più di qualcuno che non sia un mio congiunto.

Un’onda improvvisa di preoccupazione lo assalì. I suoi fratelli sapevano dell’inaspettata vigliaccheria che aveva preso i loro soldati? Nel qual caso, dovevano essere avvisati, e subito. Senza più curarsi dei cadaveri che giacevano ai suoi piedi, anzi calpestandone qualcuno nella foga, si diresse alla ricerca dei suoi fratelli, gli elfi dell’Arvernien che fuggivano davanti a lui, terrorizzati dalla sua spada insanguinata e dal folle bagliore dei suoi occhi.

D’un tratto, tra la luce sanguigna dei roghi e il pallido chiarore della luna, scorse un arciere bardato con la Stella di Feanor, e riconobbe la chioma color ruggine di uno dei suoi fratelli più giovani.

-Amrod!!- gridò, slanciandosi nella sua direzione, correndogli incontro.

Amrod, che stava per incoccare l’arco, lo raggiunse.- Maglor!- gridò a sua volta, e gli si accostò.- Fratello mio, che ti è successo? Sei coperto di sangue …

-Non è mio- Maglor strinse le labbra.- i miei uomini hanno voltato gabbana, e l’hanno pagata cara. Temo che possano fare lo stesso anche con voi. Amras dov’è?

Amrod gli indicò la zona ovest della città, dove si trovavano ancora poche sacche di resistenza.- Ha condotto di là una delle nostre squadre. Comunque non temere, i traditori pagheranno cara la loro stoltezza.- Incoccò nuovamente l’arco, guardandosi attorno alla ricerca di bersagli.

-Fratelli!!- Maglor vide Amras inerpicato su una barricata, che faceva loro dei cenni. Maglor gli gridò di raggiungerli, esortandolo a sbrigarsi. Ma proprio quando Amras stava per scendere, con l’agilità che lo contraddistingueva, dalla sua posizione elevata, che un soldato, bardato delle insegne di Feanor, levato un pugnale, glielo affondò nelle scapole, sibilando:- Va’ a Mandos, maledetto, e che una volta per tutte la stirpe di Feanor la smetta di ammorbare questa terra!

Poi tutto accadde molto in fretta, come in un incubo.

Maglor, esterrefatto, quasi incapace di credere ai suoi occhi, vide il sesto figlio di suo padre cadere giù dalla barricata, ridotto a un corpo inerte, le vesti pieni di sangue.

-No!!!- l’urlo di Amrod fu lungo e disperato, e, veloce come il lampo, una delle sue frecce raggiunse al cuore l’assassino del suo gemello, ponendo fine alla sua vita. Poi, gettate le armi e ogni cautela, corse di fianco ad Amras, il cui corpo era ancora caldo, ma completamente privo della vita che lo aveva animato fino a poco prima. Maglor rimase in silenzio ad ascoltare i suoi singhiozzi, impietrito, troppo sbigottito da ciò che era accaduto per poter credere che fosse successo veramente, e tale rimase, fino a che non vide spuntare, come un nero fiore maligno sul candore della neve, una freccia dal collo del fratello.

Amrod rimase fermo un attimo, poi vacillò, cadendo addosso al suo gemello, colui con cui aveva condiviso il grembo di loro madre. Qualcosa in Maglor improvvisamente si risvegliò, e voltandosi, vide l’arciere che aveva colpito il suo fratello più piccolo, uno degli Elfi fedeli ad Earendil. Più rapido di qualsiasi altra cosa, più del vento stesso, gli si avventò addosso, e lo sgozzò con un unico fendente, senza nemmeno pensare a ciò che stava facendo. Poi corse incontro ad Amrod, che ancora respirava, anche se per poco.

-Maglor- ansimò quello, la gola piena di sangue, ogni respiro un rantolo.

Lui gli accarezzò i capelli rossi, scostandoglieli delicatamente dalla fronte sudata. Sapeva, nel profondo del suo cuore, che per lui non c’era più nulla da fare, e che era solo questione di minuti, anche se ancora non osava nemmeno ammetterlo a sé stesso. Prese a parlargli dolcemente, come aveva fatto tanto tempo prima, in Aman, quando Amrod era solo un bimbo.- Ssshh, calma. Non preoccuparti, ci sono qua io.

Gli occhi di Amrod erano spalancati, fissi sul cielo sopra di loro, immobile e indifferente.- Pensi Mandos mi perdonerà, per le mie colpe? –sussurrò, con l’ultimo filo di voce.

-Lo farà. Deve farlo.

-No- la voce di Amrod era colma di una tristezza che non ricordava di aver mai sentito prima di quel momento.- No, non esiste né perdono, né salvezza … non per noi.. – dette queste parole, spirò, e il suo spirito scivolò via dal corpo,lontano, verso le Aule d’Attesa.

Maglor lentamente mosse la mano verso il suo viso, e gli chiuse gli occhi. Vide le proprie lacrime cadere sul volto inerte del fratello, ma gli parevano lontane, distanti, irreali come appartenenti a un sogno.

Forse questo è solo un sogno, pensò. Forse io sono nella mia tenda, e Amrod e Amras sono vivi, e questo altro non è che un maledetto incubo, una fola notturna che svanirà alla luce dell’alba.

Ma nulla accadeva, e Amrod rimaneva inerte fra le sue braccia, il suo corpo che cominciava lentamente a raffreddarsi, privato del calore della vita. Maglor, d’un tratto, non poté più sopportare tutto ciò, e, solo e disperato, lanciò al cielo un grido di dolore e cordoglio, che si perse nel frastuono delle onde e nel crepitio degli incendi. Pianse a lungo, incapace di dare voce al dolore che aveva dentro, forse il più atroce tra tutti quelli mai passati prima. Guardò alle stelle, fredde e inaccessibili, che scintillavano sopra di loro, e guardò all’orizzonte, oltre il mare, là dove le Potenze sedevano in gloria sui loro troni, ma nulla accadeva, tutto rimaneva com’era, e l’Occidente rimaneva vuoto e lontano, indifferente esattamente come lo era stato nell’ora della morte di Feanor.

-Perché, Elentàri, perché- gridò alle stelle- Perché loro? Vi eravate già presi mio padre, e Curufinwe, Tyelkormo e Carnistir con lui. Perché anche Ambarussa e Ambarto? Perché loro? Non sarete mai sazi della vostra vendetta?

Non seppe mai per quanto tempo rimase a piangere sui corpi dei gemelli. Accadde solo che, d’un tratto, gli balenò alla mente il pensiero di Maedhros, che non sapeva dove fosse finito, se fosse vivo o morto. E se fosse morto, come avrebbe potuto sopportarlo? Come, dopo ciò che aveva appena passato? Gli Spodestati, la Cerca, tutto avrebbe perso di senso se Maedhros fosse morto. Era lui che era il motore di tutto, il cuore pulsante, quello che dava senso alla loro impresa. Maglor non sarebbe stato in grado di fare granché, senza di lui, e lo sapeva bene. Quando Maedhros era stato catturato da Morgoth, e tenuto come ostaggio in Angband, i suoi fratelli avevano concluso ben poco, privati della sua guida.
 Forte di questo pensiero, Maglor aveva lasciato Amrod e Amras lì dov’erano, e, sguainata la spada, si era diretto a cercare il fratello maggiore, chiamando continuamente il suo nome, sperando di scorgere da qualche parte il cimiero nero e viola del suo elmo, oppure il fulgore della sua inconfondibile chioma ramata. Gli elfi dai capelli rossi erano rari, rarissimi, anzi pareva appartenessero unicamente alla stirpe di Nerdanel loro madre, che li aveva trasmessi solo a tre dei suoi figli, il primo e gli ultimi. Questo rischiava di rendere Maedhros un bersaglio facilmente riconoscibile per gli arcieri, pensava Maglor, affrettando il passo, risalendo verso il sentiero che portava alla dimora di Earendil, inerpicata sulla scogliera. Determinato a raggiungere il suo obiettivo, inarrestabile, uccideva impietosamente chiunque fosse tanto folle da pararsi davanti a lui, senza curarsi se fosse un Feanoriano, un esule di Gondolin, un superstite del Doriath, o perfino uno dei pochi Uomini che avevano cercato rifugio alle foci del Sirion, per sfuggire alla guerra e alla desolazione che albergavano ora nel Beleriand. Coloro che in seguito riuscirono a scampare al massacro, dissero che in quel frangente Maglor pareva non tanto uno dei Figli di Ilùvatar, quanto piuttosto uno dei demoni che avevano fiancheggiato Morgoth durante la prima delle Guerre di Arda, implacabile, spietato, gli occhi resi ardenti dalla follia e dalla collera. E fu così che, lasciandosi dietro di sé una scia di cadaveri, sulla quale i mangia carogne furono lesti ad avventarsi, il secondo dei figli di Feanor arrivò davanti alla Casa di Earendil. L’alta costruzione di legno e pietra era stata data per metà alle fiamme, la porta era stata svelta dai cardini, e la soglia era ingombra di cadaveri, tutti indossanti sopra tuniche con lo stemma bianco e dorato di Earendil, probabilmente le guardie che il Marinaio aveva messo a difesa di sua moglie e dei suoi figli. Maglor si fermò di fronte a essa, la spada insanguinata ancora in pugno. Dall’interno della casa, si sentivano pianti, grida, e il crepitare delle fiamme.

-Maedhros!!- chiamò ancora una volta. Stavolta, però, ebbe una risposta. Dall’ombra e dal fumo che coprivano la casa di Earendil sbucò Maedhros, i capelli che scintillavano come le fiamme eruttate dai Thangorodrim contro il nero della notte durante la Battaglia della Fiamma Improvvisa.

-Sei arrivato, fratello- lo apostrofò Maedhros. Aveva la spada sguainata e insanguinata, ma chissà come doveva aver perduto lo scudo, e tra le braccia reggeva qualcosa che dapprima Maglor scambiò per due fagotti di abiti.- Appena in tempo per aiutarmi con questi. Non riesco a reggerli entrambi con una mano sola.

Gli lanciò uno dei suoi due fardelli. Maglor lo prese appena in tempo con la mano libera, accorgendosi solo in quel momento che non era una cosa inanimata, ma un bambino di circa sei anni, urlante e scalciante. Il piccolo tentò di liberarsi dalla sua stretta, ma ben poco potevano fare i suoi teneri piedini contro la sua corazza d’acciaio. Maglor lo scrollò per tenerlo fermo, e se lo mise sotto braccio, senza osare mai guardarlo in faccia, neppure per una volta. Si portava dentro di sé già fin troppo dolore, non voleva anche quello del bimbo, che nonostante i suoi pochi anni doveva aver già visto, quel giorno, atrocità che sarebbero bastate per un’intera vita.

-Maedhros, cosa mai …… ? chi sono questi?

-I figli di Earendil, chi altro? Piuttosto, muoviamoci: non abbiamo molto tempo. In fretta! I tuoi uomini dove sono?

-Hanno disertato, i vigliacchi- Maglor strinse i denti.- Lo stesso devono aver fatto i tuoi, a quanto vedo.

- Già.Non avrei mai pensato che … -Maedhros corrugò le labbra.- Poveri stolti. Hanno avuto modo di pentirsi del loro voltar gabbana.
 -Quindi ora siamo solo io e te, nient’altro che noi due, così è  tutto ciò che rimane della possente  Casa di Feanor.

-Solo io e te?- Maedhros era sconcertato.- Amrod e Amras …

-Morti- Maglor esalò a fatica quella parola, come se, ci fosse stata anche solo una misera possibilità che Amrod e Amras tornassero da Mandos, quell’unico suono lo avesse impedito per sempre.

-Morti- ripeté Maedhros, e Maglor vide un’ombra di dolore attraversare il bellissimo viso del fratello, che però esalò un respiro profondo e in qualche modo riuscì a nascondere la propria sofferenza, e la tetraggine del cordoglio svanì dal suo viso veloce com’era arrivata. Maglor aveva sempre invidiato al fratello maggiore il fatto che riuscisse a dominare così bene le proprie emozioni, a ricacciarle dentro di sé per affrontarle in un secondo momento, ad evitare di farsi trascinare da esse. Lui non c’era mai riuscito.

Ma se erano morti, che almeno non lo fossero invano. Che la loro atroce fine avesse un senso, che avesse permesso loro di compiere la loro Cerca, di recuperare ciò che era di loro diritto. A Maglor tornò improvvisamente in mente ciò che li aveva portati fin lì, la motivazione che li avevano portati a compiere quel gesto, a proseguire lungo il loro cammino di sofferenza che spingeva sempre di più le loro anime nel baratro.

-Dov’è …- cominciò Maglor, ma il fratello lo interruppe.- Muoviamoci, non abbiamo più tempo!

-DOV’ E’ IL SILMARIL?!- tuonò Maglor, e la sua voce, la più bella e soave che Elfo Noldorin avesse mai avuto, sovrastò per un attimo il fragore delle onde, il crepitare degli incendi e lo stridore degli uccelli, soverchiando il tutto.

Maedhros si bloccò e prese un profondo respiro, l’ennesimo.- Scomparso assieme a Elwing. Ti spiegherò più tardi, fratello mio. Ma ora andiamo, te ne prego. Non c’è più nulla che ci trattiene qui, ormai, e ogni minuto è prezioso.

Maglor non era certo di cosa provasse, nel sentire quelle parole. Le emozioni che aveva provato finora erano troppe, troppo intense per essere sopportate, e lo avevano svuotato completamente, lasciandolo febbrile e smarrito, come se quello che stava vivendo non fosse nient’altro che un folle incubo.- Perché? Cosa c’è ora?

-Guarda là- Maedhros aveva rinfoderato la spada, e indicò con la mano un punto lontano all’orizzonte. Maglor seguì la direzione indicata e, con la sua vista elfica, scorse, ridotte poco più che a puntolini, delle navi che si avvicinavano, sulle quali sventolava il vessillo azzurro e argento della Casa di Fingolfin, e lo stemma degli Elfi delle Falas, i marinai di Cirdan.

-Il figlio di Fingon – mormorò Maglor, guardando verso il fratello.- Ma come sa ..? Chi può averlo avvertito?

-Non lo so, ma muoviamoci! Dobbiamo andarcene da qui, e in fretta!

Maglor non se lo fece ripetere due volte. Seguì il fratello giù per il sentiero, correndo il più velocemente possibile. I bambini non diedero loro troppi fastidi: erano troppo piccoli, troppo deboli, troppo spaventati per potersi ribellare loro o dare problemi, e ben presto smisero di singhiozzare, e tacquero a lungo, in un vuoto silenzio che forse era perfino peggio di qualsiasi lacrima
. Nessuno diede loro problemi, nonostante Maedhros avesse la spada infilata nella guaina, avendo l’unica mano che gli rimaneva occupata nel reggere il piccolo. Non incontrarono quasi nessuno, erano tutti troppo occupati a cercare rifugio sulle spiagge o sulle isolette che sorgevano nel bel mezzo della foce del Sirion, e comunque nessuno sarebbe stato  abbastanza temerario da rischiare la loro ira.

Ben presto si ritrovarono di fronte al punto in cui Maglor aveva lasciato Amrod e Amras. Nel vederli, qualcosa si mosse dentro il suo cuore, e di colpo si bloccò. Non voleva andarsene senza aver dato ai più piccoli dei suoi fratelli un ultimo saluto, senza nemmeno poterli vedere un’ultima volta. Maedhros se ne accorse e si voltò verso di lui:- Che fai?- sibilò.- Sei impazzito? Non capisci che abbiamo i minuti contati?

-Non possiamo lasciarli qui- mormorò Maglor.- Vorrei dare loro una degna sepoltura, non voglio che le loro spoglie vengano sconciate dagli avvoltoi.

I mangia carogne non avevano avuto alcuna esitazione ad avventarsi sui gemelli, e stavano già consumando il loro orrido pasto. Maglor vide un corvo affondare il becco per cavare un occhio ad Amras, salvo cominciare a roderlo. Raccolse un calcinaccio che trovò per terra e lo scagliò contro la bestia immonda, ma non era che uno dell’immane stormo che si era raccolto attorno a loro.

-Non l’ha avuta nostro padre, non l’avranno loro- sussurrò Maedhros.- Bruceranno tra le fiamme, quali degni  figli della Casa di Feanor.

Detto questo, con l’unica mano che gli rimaneva, prese un legno ardente dagli ultimi resti di una casa a cui i Feanoriani avevano appiccato il fuoco, e lo lanciò sulle carcasse dei suoi fratelli minori, provocando la fuga dell’orrido stormo, che volò via con le ali bruciacchiate. Erano equipaggiati in modo leggero, con armature di cuoio e borchie di metallo, adatte agli arcieri e ai cacciatori, che offrirono ben poca resistenza alle fiamme, che divorarono velocemente tutto ciò che incontrarono, panni, carne e ossa. Ben presto, di Amrod e Amras non rimase altro che un simulacro ardente, un involucro di fiamme che spargeva attorno a sé l’odore della carne bruciata.

Maglor rimase a osservare le fiamme, impietrito, i polmoni pieni del fumo soffocante della pira, e forse non si sarebbe mai mosso da lì, se le parole di Maedhros non lo avessero improvvisamente riscosso dal suo smarrimento.

-Ora noi due siamo gli ultimi della stirpe di Feanàro- mormorò.- Solo noi ora portiamo avanti il fardello del Giuramento, e il dovere di compiere la nostra Cerca.- prese un profondo respiro, l’ennesimo di quel giorno.- Ora andiamo. Loro sono morti, ma noi no, e tentiamo di restare vivi il più possibile.

Prima di attaccare il campo, Maedhros si era soffermato a studiarne il territorio e la posizione, per vedere come potesse essere condotto l’assalto. Dato che il presidio costruito dai seguaci di Earendil sorgeva per lo più su scogliere e calette sabbiose, e tra le case vi era troppo poco spazio, aveva sconsigliato l’utilizzo della cavalleria, e così, i rari cavalli sopravvissuti alle innumerevoli battaglie erano stati confinati alle retrovie, sotto sorveglianza, in modo da poterli riutilizzare in seguito.

Nel tremendo macello che era stato l’assalto all’Arvernien, era probabile che nemmeno loro fossero stati risparmiati, e sarebbe stato troppo chiedere ai Valar che potessero recuperarli tutti, e con essi tutte le vettovaglie e le altre cose necessarie. Ma, nondimeno, furono fortunati. Una volta usciti fuori dalla porta principale, scardinata, distrutta e ridotta a poco più che una rovina fumante, non dovettero avanzare molto prima di trovare un paio di cavalcature, che in qualche modo erano riuscite a scampare al massacro, e ancora bardati, benché completamente privi di cavaliere.
 Maedhros non ebbe indugi. Afferrate le redini di uno, gettò senza tanti complimenti il bambino che reggeva sul retro della sella, dopo che montò in groppa, facendo cenno al fratello di seguirlo. Maglor fu svelto nell’imitarlo, e posto il piccolo dietro di sé, badando a non incrociarne gli occhi, poiché sapeva che non sarebbe riuscito a tollerarne lo sguardo, si affiancò a lui.

-Dove andiamo?- gli chiese.

-Lontano da qui- fu la risposta di Maedhros.- Per ora potrà bastare.

Detto questo, spronò il cavallo al galoppo, e Maglor lo imitò, e assieme cavalcarono, cavalcarono a lungo, fino a che l’incendio dell’Arvernien non fu che un esile filo rosso dietro di loro, che ben presto si confuse nella luce sanguigna dell’alba.

 

 

   
 
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