Introduzione
Eccomi qui. Un’altra storia dei ‘4 di picche’. Non mi
dispiace vederli di nuovo all’opera!
In questo secondo match, la faranno da padrone
soprattutto due dei personaggi che avete già conosciuto, ma si incontreranno
anche gli altri e ne compariranno anche di nuovi… che in realtà più che altro
rispuntano da un certo passato di cui non si è ancora detto… beh, vedrete!
Credo che riuscirò a rendere meglio un certo
equilibrio tra momenti più d’azione e tensione e momenti più “parole,
riflessioni, impressioni” stavolta, o almeno lo spero, visto che credo ormai
non ci sia più bisogno
di tante presentazioni dei personaggi. Dunque, i due principali
personaggi che compariranno a questo giro saranno ancora più a piede libero del
solito! ;)
Inoltre
penso che qui il carattere generale sarà un po’ più cupo e buio, in senso necromantico
diciamo, ma anche di ambientazione, visto che ci sarà più da fare di notte che
di giorno (no, non per colpa del Conte e del suo presunto vampirismo…).
Come sempre fino ad ora, commenti, critiche, opinioni e quant'altro sono bene accetti! Ma
aldilà di tutto mi piace semplicemente se chi legge si sollazza almeno quanto
io che scrivo con queste storie, e questo spero!
Qui sotto un paio di note tecniche (il minimo
indispensabile prima di proseguire) e la copertina che ho raffazzonato su per
questa storia. Direi che è tutto… io vado! Buona lettura!
(se
l’immagine non compare, potete trovarla qui: https://imageshack.com/i/knrLAM2lj
)
Note
tecniche importanti! (leggete almeno questa parte in neretto, grazie!)
-
Questa
storia è una continuazione di ‘4 di picche’ (che trovate qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=683066&i=1
). Quindi per capirla bene a livello di
personaggi e così via sarebbe necessario conoscere almeno le basi fondamentali
contenute nella prima storia… almeno credo, ma comunque, fate voi, se vi va
potete leggervi direttamente questa e quel che viene viene.
-
Attenzione:
se non gradite tematiche ‘queer’ (omosessualità, bisessualità, etc etc etc) non
proseguite e basta.
-
Questa
storia contiene elementi di paranormale e fantasy, ma trattati anche
ironicamente, quindi se cercate saghe serie e composte, questo è un altro tipo
di esperimento.
-
Ho
“preso in prestito” il titolo (volutamente easy) dalla canzone omonima dei ‘the
Sparks’, che considero diciamo quindi anche “la canzone d’apertura” di questa
storia (che, come da tradizione della prima storia dei ‘4 di picche’, avrà la
sua “colonna sonora” :p )
(se l’immagine non compare, potete trovarla qui: https://imageshack.com/i/idm905SFj )
VeganWanderingWolf
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Prologo
(WE’LL MEET AGAIN IN A DREAM)
Ancora
prima di aprire gli occhi, provò una sensazione davvero singolare. Molto più
che come se si stesse semplicemente svegliando, era come se stesse emergendo da
una lunga immersione sott’acqua, a riprendere fiato, ancora confuso per l’aver
appena rotto la superficie dell’acqua, e spaesato dal fatto di trovarsi
improvvisamente in superficie, almeno in parte.
Spalancò
gli occhi blu scuro e cercò di mettere a fuoco, ignorando la bruciante
sensazione di scarica elettrica che sembrò attraversargli di colpo tutto il
corpo, sparendo in un istante ma lasciando dietro di sé una certa prostrazione
fisica.
Si
trovò seduto per terra, la schiena e la testa appoggiata al muro, e la sua
prospettiva molto più bassa della sua effettiva altezza. Un pavimento piuttosto
sporco, a ben vedere. Più che la polvere e la mancanza di una recente pulizia,
la trascuratezza era data dal fatto che fosse stato calpestato da una
moltitudine di scarpe piuttosto fangose, e per via di tutti i piccoli oggetti
da spazzatura che lo disseminavano: bicchieri di plastica vuoti, fazzoletti
accartocciati, piccoli pezzi di carta gettati o perduti, incluso qualche
rimasuglio di cibo. Ma era il minimo indispensabile, considerando che era in
corso una festa.
Danny
si fece forza e si impose di riconquistare per prima cosa la posizione eretta:
sfruttò come appoggio il muro alle sue spalle e si tirò in piedi, mentre si
guardava attentamente intorno, analizzando l’ambiente e la situazione con tutti
i sensi a sua disposizione. Qualcosa però, lo infastidì ed estraniò da se
stesso; i suoi sensi sembravano fastidiosamente limitati, anche se lui pensò di
poterlo ricondurre al fatto che si sentiva discretamente stanco e disorientato
al momento.
Sì,
indubbiamente era in corso una festa, ovunque si trovasse.
A
prima vista si sarebbe potuto dire che fosse il pianterreno di una vecchia
casa, l’intonaco scrostato e macchiato qui e là lasciava intravedere una solida
muratura in mattoni, e la disposizione delle stanze era un po’ complicata. Una
volta doveva essere stata una casa nel vero senso del termine, abitata da
qualcuno che ci viveva. Ma al momento aveva tutta l’aria di essere una sorta di
centro sociale, eventualmente occupato. E lui si trovava in mezzo al pieno
svolgimento di un concerto.
C’erano
diverse decine di persone: alcune parlavano in gruppetti, o sedevano più o meno
stravaccati su divani vecchi e sdruciti che sembravano essere stati da poco
recuperati da qualche discarica, alcuni ballavano o accennavano movenze da
ballo, benché non ci fosse un vero e proprio spazio dedicato al ballare.
La
musica. Danny si chiese come mai non l’avesse notata prima. Ma era come se il
suo udito si fosse sincronizzato con qualche secondo di ritardo rispetto al suo
effettivo risveglio. Ma ora la sentiva chiaramente. Al di sopra dei rumori di
persone che si muovevano, parlavano, emettevano risate o scherzose
esclamazioni, vomitavano per il troppo alcool o russavano ormai addormentati
alla bell’e meglio in qualche angolo per terra o in un angolo dei divani
affollati, risuonavano delle note inconfondibili. I Joy Division suonavano e
cantavano ‘Disorder’ grazie a delle casse che spandevano la musica nell’aria. Quasi
tutta la strumentazione da concerto da cui fluiva la musica era stipata su un
piccolo palco di legno costruito con artigianeria molto improvvisata in un
angolo della stanza in cui si trovava, e dietro ad un bancone da bar non meno
improvvisato, ma carico di bottiglie e bicchieri, affollato di persone da una
parte, mentre dall’altra tre o quattro ragazzi e ragazze facevano la spola tra
le ordinazioni e le preparazioni delle bevande richieste e consumate più o meno
frettolosamente o distrattamente.
Danny
appurò che era notte. Non solo perché c’era piuttosto buio, e una stentorea
illuminazione elettrica era tutto ciò che forniva luce a quelle stanze, ma
anche per l’odore. Al di là dell’odore di tante persone stipate nelle stanze,
di sudore e di zucchero e alcool e di cibo e sigarette, sentiva un odore
estremamente famigliare. L’odore di una foresta di notte.
Non
poteva crederci. Una foresta? Senza pensarci, Danny si mosse cercando la più
vicina porta che desse sull’esterno. Si mosse rapidamente attraverso le persone,
che gli erano tutte sconosciute, gli occhi che cercavano quasi affannosamente
una soglia verso l’aria aperta. Ma una parte di lui teneva sott’occhio tutti i
visi che la sua coda dell’occhio era in grado di catturare rapidamente e
lasciar perdere altrettanto in fretta.
Era
una folla composta quasi esclusivamente da giovani o giovanissimi, ragazzi e
ragazze la cui età doveva oscillare complessivamente tra i sedici e i
trent’anni suppergiù. Dallo stile del vestiario e da un nonsoché del loro
comportamento, Danny era in grado di appurare anche senza difficoltà che si
trattavano di punk, rockers, qualche raro bikers forse, qualche hippy dall’aria
stagionata e fuori epoca, per non dire semplicemente fuori luogo, e qualcheduno
che sembrava essere capitato lì per caso.
Di
colpo Danny si bloccò, come colto da un improvviso dubbio. Lentamente abbassò
lo sguardo sul suo corpo, ed ebbe un forte sussulto. Non vedeva quei vestiti da
molto tempo, ma non ebbe difficoltà a riconoscerli come propri: un paio di
jeans tanto scuri da essere quasi neri, strappati o rammendati alla belle e
meglio in più punti e decisamente consumati, un paio di anfibi neri e rovinati
dall’intenso uso, una canottiera verde cupo e un giubbotto di jeans nero, il
tutto con diverse toppe di gruppi musicali rock, punk e hardcore, una catenina
con un lucchetto appesa al collo, e, verificò toccandosi con le dita, diversi
piercings alle orecchie, al sopracciglio, persino alle labbra e al naso. Okay,
era decisamente una ferramente ambulante. Ed era indubbiamente punk.
Ma
c’era un’altra cosa che doveva verificare al più presto. Cambiando idea sul
fatto che la sua priorità al momento fosse trovare una porta verso l’esterno,
iniziò ad aggirarsi cercando invece qualcos’altro: un vetro, uno specchio, una
bottiglia abbastanza grande, qualcosa che potesse riflettere la sua immagine e
rispondere all’urgente domanda sul fatto che, se si fosse visto, avrebbe dovuto
in qualche modo venire a patti col fatto che al momento aveva diciassette anni.
Aveva
attraversato almeno tre stanze ormai, e ancora non aveva trovato un accidenti
di specchio, quando decise che era più probabile riuscire a specchiarsi
semplicemente in una bottiglia. Fece precipitosamente dietro-front, i suoi
movimenti ormai praticamente frenetici e in preda al nervoso e urgente bisogno,
e urtò con sgraziata violenza qualcuno.
«Malediz…»
Danny riuscì in qualche modo a frenare un torrente di bestemmie, e allungò una
mano in un gesto appena decentemente gentile verso la persona contro la quale
aveva appena avuto una brutta collisione, col proposito di scusarsi con
sincerità e poi passare oltre. «Scusa amico, non…» ma la voce gli morì in gola
e la sua mano si bloccò a mezz’aria molto prima di raggiungere la spalla
dell’altra persona.
«Quanto
entusiasmo, vecchio ragazzo mio!» rise la voce, che gli rispose come se non
importasse affatto ciò che lui stava per dire.
Danny
guardò la ragazza massaggiarsi con leggerezza la spalla che lui doveva averle
brutalmente colpito, come se non provasse in effetti alcun dolore o fastidio. I
denti brillarono di una bianchezza stupefacente attraverso il rossetto rosso
cupo che le dipingeva le labbra aperte in un sogghigno. E al di sotto delle
lunghe ciglia appesantite dal trucco dalle tonalità cupe che metteva in risalto
la bellezza del suo viso, i due occhi marrone scuro gli lanciarono un intenso
sguardo di complicità fin troppo confidenziale.
Non
ebbe bisogno di osservarla più attentamente. Non aveva idea di chi fosse. Ma la
ragazza gli stava di fronte e lo guardava come se la pensasse in tutt’altro
modo. Così non poté fare a meno di studiarla una seconda volta. Era alta
all’incirca quanto lui, con un corpo snello e atletico e con curve femminili
che attiravano lo sguardo, vestiva molto semplicemente, con un paio di
pantaloni stretti di finta pelle nera, una maglietta nera piuttosto aderente
che le lasciava appena scoperta la pancia e il piercing all’ombelico, e una
giacchetta di pelle marrone. Indubbiamente era una ragazza bella, anche senza
considerare il viso dalla forma regolare, con i lineamenti netti e
l’espressione estremamente dominata da una forte volontà e personalità
incorniciata dai capelli lunghi e nerissimi, quasi del tutto lisci, tagliati
con una frangetta che sottolineava la bellezza del viso e per il resto lunghi fino
al seno. Doveva avere al massimo qualche anno in più di lui, ma la sua forte
presenza dava l’idea di una donna più matura, e la consapevolezza divertita con
cui lo stava a sua volta guardando gli dava la curiosa sensazione che avesse
una conoscenza più vecchia, molto più vecchia.
«Colpisci
duro, eh ragazzo?» gli rivolse di nuovo la parola, ancora scherzosa e
mortalmente seria ad un tempo.
Danny
si impose di tornare coi piedi per terra e abbandonare definitivamente le
strane divagazioni che una sensazione di improbabile urgenza a proposito di
qualcosa che non gli tornava in mente gli suscitavano. Tornò a guardarla in
faccia, rassicurando se stesso sul fatto che non doveva essere troppo difficile
liberarsi di lei con qualche parola di scusa, breve ed efficace, e poi
proseguire con le cose di cui si doveva assolutamente occupare al momento.
«Sì,
scusami, non stavo guardando dove andavo… cioè, sì in effetti, ma non ti ho
vista. Scusami ancora, spero di non averti fatto male. Comunque… ora io
dovrei…» e cercò di aggirarla per andarsene.
Con
sua sorpresa lei però allargò un po’ le gambe per piazzarsi più saldamente di
fronte a lui. Un lampo di irritazione e avvertimento gli sfuggì dallo sguardo
diretto a lei. Se ne accorse troppo tardi per fermarlo, e si stava già
sforzando di ricomporre l’espressione in qualcosa di più civilmente
inamovibile, quando vide la faccia di lei, e rimase completamente sbalordito.
La
ragazza si portò una lattina di birra che aveva in mano alle labbra, fissandolo
pensosamente, come se stesse seguendo qualche sua personale riflessione, o più
che altro ci stesse giocando. I tre bracciali sottili, argentei e larghi che
portava al polso del braccio che aveva sollevato per bere si mossero,
tintinnando sonoramente nell’urtarsi e mandando un leggero rumore acutamente
cristallino intorno. Il suo non era affatto uno sguardo stupito o in qualche
modo colpito dal lampo di momentanea e involontaria rabbia che lui le aveva
appena rivolto suo malgrado.
Danny
si fermò e la guardò come se non potesse credere a ciò che vedeva. Ma lei
sembrava impassibile. Non proprio come se non fosse cosciente del suo stupore,
ma come se nemmeno quello le apparisse affatto strano. Anzi, sembrava stesse
verificando qualcosa.
«Sei
sicuro di sentirti bene? Hai l’aria piuttosto spaesata, ragazzo.» gli domandò,
come se si trattasse di una domanda puramente retorica. E ancora c’era un
leggero sogghigno agli angoli delle sue labbra, come se la cosa non la potesse
lontanamente preoccupare quanto piuttosto divertire eccellentemente.
Danny
la studiò di nuovo, più attentamente, ma di nuovo non ne ricavò nulla. Non la
conosceva, ma di nuovo era completamente torturato da quella pressante
sensazione, come se non riuscisse a ricordarsi di qualcosa di molto importante.
Ma qualsiasi cosa fosse, forse poteva riguardare anche questa ragazza che lo
fissava come se fosse il suo personale animale domestico, e fosse abituata a
trattarlo come un gatto farebbe col topo, prima di dilaniarlo o ingoiarlo in un
solo boccone, così come avrebbe preferito, non appena avesse deciso che ne
aveva abbastanza di giocare.
«Noi…
ci conosciamo?» mormorò Danny, incerto e sospettoso.
La
ragazza sembrò diventare appena un po’ meno scherzosa. Focalizzò meglio lo
sguardo su di lui e mosse appena la testa all’indietro, come se cercasse di
allargare la sua prospettiva per prendere meglio in considerazione lui e ciò
che aveva appena detto. Aveva incrociato le braccia sotto al seno, e si teneva
la lattina di birra appoggiata all’angolo tra la spalla e l’avambraccio. Dopo pochi
istanti, tornò tuttavia a sogghignare giocosamente.
«Non
ancora, Danny. Non ancora. Ma sai…» continuò, lentamente, prendendo
tranquillamente tempo mentre beveva un altro sorso di birra e ignorava lo
sguardo con cui ora la stava considerando lui, trattenendosi dall’interromperla
per chiederle come sapesse il suo nome, la fronte corrucciata per la
preoccupazione e lo sforzo di capire cosa accidenti stesse succedendo.
«Sai…»
riprese lei, tornando a fissarlo, puntandogli lo sguardo dritto negli occhi
come se volesse inchiodarlo alla parete con tanto di spilli, come una falena
sul panno morbido e spietato di una teca da esposizione «…credo che questa sia
la sera giusta. Il momento giusto.»
La
ragazza allargò appena le braccia, a indicare tutto ciò che li circondava. «Non
ti sembra?» chiese conferma, ancora con tono retorico. Sembrava che non potesse
fare a meno di essere retorica in ogni domanda che gli rivolgeva, come se
quelle domande fossero semplicemente un qualche intercalare privo di preciso
scopo nell’essere pronunciato, o come se sapesse di avere perfettamente
ragione, aldilà di qualsiasi cosa lui potesse dirle o ne potesse pensare.
Danny
corrugò maggiormente la fronte, e, ignorando il suo gesto, mantenne lo sguardo
ben incollato su di lei, i muscoli leggermente tesi in allerta ora, come se
presentisse di poter essere attaccato da un momento all’altro. «Chi sei?...»
domandò, il tono duro e le labbra tirate e assottigliate in una smorfia di
profondo sospetto che lasciava appena più scoperti del necessario i denti
mentre parlava.
Lei
allargò appena gli occhi e mosse le sopracciglia sottilissime come se fossero
disegnate, non propriamente stupita, ma lo sarebbe stata, se non si fosse
impedita di esserlo con tanta autodisciplina. Ma più che colpita, sembrava preda
di un certo disappunto, come se ritenesse che lui avesse appena mostrato
insufficiente accoglienza verso una proposta irrifiutabile. Per un momento un
angolo della sua mandibola ebbe un guizzo sottopelle di tensione dei muscoli,
segno che aveva stretto più forte i denti. Ma l’istante successivo sembrava di
nuovo perfettamente padrona di se stessa.
«Oh,
Danny-boy…» gli mormorò di rimando, in tono tranquillo e confidenziale «No, non
è questo il modo… davvero, non è questo.»
E
poi alzò la mano libera e gli accarezzò leggermente la guancia, in modo gentile
ma ancora in qualche modo freddamente superiore, come se stesse giocando e
basta. Lui si chiese davvero perché non si fosse semplicemente sottratto al suo
gesto, ma poi realizzò che lei si era mossa troppo velocemente. Era molto più
veloce dei suoi riflessi, e ciò lo disarmò di nuovo, gettandolo in preda ad uno
stupore ancora più inquieto e sinistro. Un presentimento gli corse giù per la
schiena come una doccia fredda, e tremò leggermente e involontariamente, benché
il palmo della mano che lo toccava fosse caldo e il gesto volesse sembrare
rassicurante.
«Non
hai sentito?» domandò ancora lei, di nuovo retoricamente, come se sapesse di
avere perfettamente ragione. La mano ferma sulla sua guancia in modo possessivo
e distaccato ad un tempo, lo guardò negli occhi e per un momento nello sguardo
le brillò un’intenzione di sincero ausilio, come se stesse per concedergli un
fondamentale indizio, solo per mostrarsi almeno un poco misericordiosa. «Credo
proprio che questa sia indubbiamente la nostra canzone. La tua ultima canzone,
Danny-boy. Ricordi? L’ultima canzone che vorresti sentire se il mondo stesse
per finire. L’ultima canzone che vorresti sentire se stessi per morire.»
E
lui concentrò immediatamente i suoi sensi di nuovo sulla musica. Di nuovo, era
‘Disorder’ dei Joy Division. No, realizzò, non ‘di nuovo’. Non era mai
cambiata. In tutto quel tempo, da quando si era svegliato seduto su quel
pavimento fino ad ora, non era mai cambiata, aveva continuato a finire e a
ricominciare, ripetendosi senza tregua.
E
allora lui la riconobbe.
«Mara.»
Lei
sorrise appena, come se approvasse, e ritrasse la mano annuendo appena, con
paziente gentilezza. «E’ il mio nome.» confermò, lanciandogli un occhiolino di
ulteriore conferma.
«Cosa
ci fai qui?» le domandò, in tono estremamente freddo e corrucciato.
La
ragazza alzò un sopracciglio, ancora divertita dalle sue domande, come se
fossero sempre tutto sommato piuttosto stupide e ingenue. «Dovresti chiederlo a
te stesso. Ma in ogni caso, ora dovresti piuttosto guardare l’orologio. Oh,
voglio dire, metaforicamente, visto che non ne hai uno.» precisò, controllando
con una rapida occhiata i suoi polsi.
«E’
quasi l’ora.» gli disse, tornando a fissarlo in volto, soddisfatta e sicura di
sé, ma ancora distante e in qualche modo fredda, come se stesse svolgendo una
qualche commissione. Tuttavia, Danny poteva ancora riconoscere come da tutta la
sua persona emanasse un’energia calamitante, e come il semplice fatto che lo
guardasse direttamente negli occhi, ogni volta che lei lo faceva, lo legasse
più stretto di un malaugurato guinzaglio di ferro.
«L’ora
di cosa…?» si sforzò di domandarle, anche se non era affatto sicuro di volerlo
sapere, né lo era di non poterlo intuire se avesse finalmente colto con
precisione quel punto che al momento continuava a sfuggirgli, per quanto
disperatamente lo rincorresse.
«L’ora
di andare.» rispose semplicemente lei, come se fosse superfluo precisarlo.
«Andare
dove?» insistette lui. Pensava di dover tenere duro sul punto della logicità,
così avrebbe finalmente compreso, forse. Anche se l’istinto gli diceva
tutt’altro al momento: gli diceva di lasciar perdere, di abbandonarsi
completamente al flusso degli eventi, perché essi in fondo erano già
precisamente segnati e trascritti, lo erano stati molto tempo addietro, ed era
quantomeno inutile se non proprio stupido cercare di opporvicisi.
La
ragazza si stava girando per dargli le spalle, come se fosse perfettamente
sicura che lui la stesse seguendo, ma udendolo domandare questo si fermò e
tornò a voltarsi. Lo considerò per qualche lungo momento, soppesandolo ancora
una volta con precisa intenzione, e ancora con un sogghigno accennato
all’angolo delle labbra, come se la sua consapevolezza estremamente maggiore la
divertisse e soddisfacesse molto bene.
«Danny-boy,
oh, guardati. Un ragazzino. Appena scappato di casa. Non vuoi assolutamente
tornarci. Ma non sai proprio dove andare. E questo è tutto quello che hai
trovato per stasera. Un centro sociale di dubbio interesse effettivo…» e giocò
appena con le pupille per rivolgersi con significativo disprezzo superiore al
luogo che li circondava, schioccando brevemente la lingua con disappunto
«…Niente di meglio per dormire una notte con un tetto sopra alla testa. Non
certo una casa, niente che si possa chiamare in quel modo. Ma tu non la vuoi
nemmeno più una casa. Certo che no. Allora, devi per forza venire con me. Non
sai cosa c’è la fuori? No, non ne hai idea. Posso darti di molto meglio che una
casa. Posso darti la notte, tutte le notti. E i giorni, tutti i giorni. Posso
darti un nuovo sguardo, un mondo intero, e un nuovo modo di percorrerlo, un
nuovo modo di leggerlo, un intero nuovo mondo. No Danny, non rifiuterai. Non lo
hai fatto. Vieni con me, Danny-boy. E’ l’ora.»
E la
ragazza allungò una mano senza nemmeno guardare e prese una delle sue, mentre
già si voltava e iniziava a camminare con tranquilla sicurezza attraverso la
folla. E Danny non oppose alcuna resistenza: lasciò che lo prendesse per mano e
la seguì, semplicemente la seguì.
Ora
aveva capito. Fin da quando avanzò di un passo dietro di lei, finalmente aveva
capito. Certo, sapeva che sera era questa. Era quella notte, quella che aveva
tracciato per sempre una linea netta nella sua vita. Un punto di non ritorno,
che lui aveva già attraversato. Lo ricordava, perciò era già successo. E ora si
stava soltanto ripetendo, ineluttabile. L’unica cosa strana, era la differenza
della sua consapevolezza.
Allora
era stato diverso. Allora Mara non gli aveva parlato così enigmaticamente.
Quella notte, lei era semplicemente una ragazza molto bella, una figura che
emanava un’affascinante forza di carattere, e lui si era sentito lusingato e
incredulo che una simile persona, che sembrava aver l’imbarazzo della scelta su
chi poter far cadere ai suoi piedi lì intorno, scegliendo una persona qualsiasi
delle decine che affollavano quel centro sociale quella notte, avesse
privilegiato proprio lui. Lui non lo sapeva ancora, non sapeva che lei non
aveva quel potere solo grazie alla sua bellezza e al suo carattere. Non sapeva
niente di niente, allora, e lei aveva pienamente ragione quando diceva che non
ne aveva avuto idea allora, del mondo che stava per mostrargli.
Un
mondo in cui il modo in cui gli occhi di lei erano in grado di calamitare la
devozione di chiunque semplicemente con una serie di sguardi diretti e ben
assestati aveva una sua spiegazione naturale. Questione di sopravvivenza: lo
sguardo del cacciatore che chiede alla propria preda se sia il suo momento per
farsi mordere, fino alla morte, una morte particolare, una vita in un altro
mondo, con un altro sguardo, con un altro modo di attraversare il mondo, con un
modo completamente diverso di vederlo, leggerlo, annusarlo, ascoltarlo.
Era
come se ogni singolo passo che ora stava facendo, attraversando la folla sulla
scia di lei che la apriva come se tutto le potesse girare attorno se solo
l’avesse veramente voluto, era come una riconferma dall’eco profondo. Sì, ora
Danny lo sapeva: era quella notte che era diventato un lupo. Mentre prima era solo
un ragazzino scappato di casa, senza precisa meta, senza precisa né
lontanamente lucida concezione del mondo o delle sue cose, delle sue persone,
delle sue regole e delle sue battaglie pro o contro di esse. Era solo questo,
Danny-boy, come diceva lei, in modo fastidiosamente sarcastico, ma a suo modo
corretta. Lei aveva già uno sguardo in grado di vedere qualcosa di più. Lei era
quella che camminava davanti, era la sua guida, e lui non dubitava affatto che
si stesse dirigendo verso la più vicina porta, spalancata sulla foresta di
notte. L’ultima porta che lui avrebbe solcato da semplice essere umano.
Se
avesse potuto scegliere? Scegliere cosa, quando tutto era già stato fatto tempo
addietro? Scegliere cosa, quando quella era solo una ripetizione di qualcosa
che era già successo? Il destino esiste solo in questo, così pensava lui, nelle
cose che si ripetono. Se avesse potuto scegliere? No, non avrebbe cambiato
niente. Non per Mara, non per il suo essere un dannato lupo. Oh, no, giammai.
Non poteva dirsi fiero di molte cose, anzi. Non avrebbe mai potuto dire che
avrebbe rivissuto tutto quello per Mara, né per la sua vita da lupo. Ma c’era
qualcos’altro per cui avrebbe rivissuto tutto. Oh, solo per quello, proprio
così. Solo per quello ora seguiva Mara passo dopo passo. Non gli importava cosa
pensasse lei, se fosse convinta che lui la seguiva per lei, o per il diventare
un lupo. E lui non aveva alcun interessa a correggerla. Nessun interesse a
rivelarle che, se la seguiva, era per sfruttarla. Sì, questo era completamente
diverso. La prima volta, lei era stata la sua porta per un mondo che non gli
era stato chiesto se volesse; più che una porta, un buco nero, una trappola,
una tagliola acuminata, nascosta sotto la neve. Questa volta, invece, era lui
che sapeva. Sapeva che l’avrebbe sfruttata affinché tutto si ripetesse così
come era stato. Perché lui doveva assolutamente ottenere ciò che la prima volta
era successo, anche stavolta, e così ogni volta che le cose si fossero
ripetute. L’avrebbe sempre seguita attraverso quella maledetta folla
sconosciuta, l’avrebbe sempre seguita su quel pavimento lercio, passo dopo
passo, verso quella porta aperta verso la foresta di notte. Forse, d’accordo,
era anche in parte per amore della foresta di notte. Ma soprattutto per ciò che
sarebbe stato dopo.
Camminava
dietro la schiena di lei, che non si voltò nemmeno una volta a guardarlo: era
certa che l’avrebbe seguita senza opporre resistenza, così sicura del suo
potere, o forse del fatto che le cose dovevano per forza ripetersi, per legge
ineluttabile, lei sì ci credeva, in una qualche specie di destino. Camminava
senza prestare più alcuna attenzione al mondo circostante: tutte le persone, la
festa, la musica, tutto dimenticato, come se fosse solo un impalpabile
sottofondo completamente superfluo. Prestava appena attenzione al restarle
abbastanza vicino da non perderla mai di vista, perché era lei l’unica guida
per la strada che doveva assolutamente percorrere, e alla musica in sottofondo,
il suo personale requiem: Disorder, Joy Division. A quell’epoca erano ancora
tutti vivi. Oh, come si sarebbe stupito qualcuno, un chiunque tra la folla, se
lui lo/la avesse presa all’improvviso per la spalla, e, guardando dritto nei
suoi occhi, avesse detto che presto sarebbe finita anche per i Joy Division.
New Order, un nuovo ordine, un nuovo mondo, nuove regole. Se avesse proposto
questo gioco di parole a Mara, sicuramente lei avrebbe apprezzato. La
conosceva. E appunto perché la conosceva, non aveva alcun interesse nel farla
ridere.
Lei
era lì solo per essere la sua guida, lui la doveva semplicemente utilizzare
come tale. Non era nemmeno sicuro che fosse proprio lì, che fosse proprio lei,
piuttosto che una sua proiezione di lei. Nemmeno lui era proprio sicuro di
essere davvero lì, di essere davvero lui, piuttosto che una propria proiezione
di un se stesso, di chi era stato.
Poi,
qualcuno lo urtò di lato, alla spalla. Non fu un urto significativo, anzi,
avrebbe potuto tranquillamente continuare a camminare senza nemmeno perdere la
direzione dei passi. Ma la cosa lo stupì al punto da spezzare bruscamente per
un momento quella sorta di stato di tranche. E poi il mondo intorno si bloccò,
o meglio, il tempo si bloccò. Tutto era immobile, tutti erano immobili, tranne
lui e la figura che lo aveva urtato, ed era caduto il silenzio, i Joy Division
non suonavano più dalle casse.
Danny
voltò bruscamente la testa verso la persona che aveva urtato e sussultò appena.
Era troppo freddo e distante al momento: quella era la notte in cui tutto era
mutato per sempre, in cui avrebbe attraversato un tipo di morte e di nascita.
Non poteva davvero sentirsi troppo libero di sentire qualcosa, di provare
realmente dei sentimenti, non quella notte. Se non fosse stato per quello, dopo
un enorme stupore probabilmente sarebbe stato estremamente felice di vedere
quel viso. Ma ora, tutto ciò che riuscì a suscitargli il riconoscimento
dell’altra persona, fu uno scintillio negli occhi, come se una leggera
rivelazione di qualcosa di importante gli solleticasse le pupille.
E
lei gli sorrise appena, avendo sicuramente colto quel luccichio. Gli occhi
verdi, profondi come un pozzo e non meno densi di mistero e significati
sottoterra gli ricambiarono brevemente quello scintillio, come un occhiolino di
complicità pacata ma, a suo modo, pregna di esclusiva affettuosità.
Lui
decise di non pronunciare il suo nome, e di non dire niente. Aveva la
sensazione che se l’avesse fatto, lei sarebbe scomparsa immediatamente, come se
non dovesse trovarsi lì, e ogni minima cosa troppo chiara a quel riguardo potesse
rompere quel trucco illusionistico. E, davvero, lei non avrebbe dovuto trovarsi
lì. Non era ancora il tempo. L’avrebbe incontrata solo molti anni dopo. Lei non
c’era affatto quella notte, quando lui aveva seguito un lupo nella foresta.
Perciò,
fu con suo grande sollievo che sentì la voce di lei. Zoal parlò per prima.
«Sai
dove stai andando, vero?» gli chiese, la sua voce calma e profonda come se
fosse perfettamente accordata sulla frequenza necessaria per non disturbare le
linee del tempo che scorrevano loro attorno; tanta cauta saggezza, eppure
spandendo intorno la sensazione che le sarebbe bastato alzare una mano con
piena tranquillità per scatenare una tempesta che avrebbe fatto agitare quelle
linee come serpenti impazziti. Ma solo se avesse voluto. Non per gioco, ma per
preciso scopo. E lui si chiese, non senza una certa timorosa aspettativa, quale
potesse essere il suo scopo ora, perché fosse lì. Perché, forse qualcosa in
quello sguardo verde, calmo, elegantemente deciso e preciso, e un poco impertinentemente
clandestino, gli suggeriva che lei sapesse benissimo dove si trovava, e perché.
«Sì.
Lo so. So che notte è questa.» rispose lui, altrettanto calmo e serio,
accordandosi al tono di lei. Se seguiva il modo in cui lei si stava muovendo
all’interno di quel luogo, forse avrebbe potuto trattenerla lì abbastanza da
capire.
«Perché
vuoi andare?» gli domandò, seria e significativa, e allo stesso tempo leggera
come una sciocchezza affettuosa, uno scherzo del destino.
«Perché
se non vado, non diventerò un lupo. E se questo non accadrà, non avverrà tutto
il resto. Capisci a che cosa mi riferisco?» ma vide che lei non era sicura di
cosa voleva intendere, e si sforzò di continuare. Qualcosa gli suggeriva che
Mara, al momento, ovunque si trovasse, perché non la vedeva più davanti a sé,
come se fosse andata avanti e fosse scomparsa nella folla, non poteva sentire
la loro conversazione. «Se non diventerò un lupo, noi non ci incontreremo mai.
Io e te. E tutti gli altri e le altre. Non vi incontrerò mai se non andrà così
com’è andata.»
Per
un lungo momento lo sguardo di Zoal tradì un sentimento più diligentemente
umano: una profonda tristezza, forse quasi commossa. E la donna si prese il suo
tempo, e lui non osò farle fretta, benché in quel momento non ci fosse altro al
mondo che desiderasse sentire più della sua risposta. Sembrava che dietro gli
occhi verdi si stessero replicando tutte le cose che avevano vissuto insieme.
Danny tremò, scorgendole appena, immagini troppo veloci, ma chiare e nette
perché potevano trovare un sicuro eco nella sua memoria, nella quale erano
profondamente incise. Non solo tutte le loro avventure, non solo i pericoli e
le battaglie, in cui avere un lupo nella squadra era stato decisamente
importante anche per l’incolumità degli altri talvolta, non solo tutti i
momenti che avevano passato insieme, le chiacchiere, gli scherzi, gli imbrogli,
non solo tutto quello e molto altro ancora, ma come un intero mondo.
Poi
Zoal alzò meglio la testa, in qualche modo la sua solennità incrinata dallo
strascico di quella triste consapevolezza che l’aveva pervasa. «Il destino non
esiste. Tu lo sai. Tutti i giochi di tempo non sono che trucchi. E questo non
può essere reale. Certamente lo sai, in una parte di te lo sai benissimo.»
Danny
trasecolò appena, ma poi si ritenne stupido nel non aver pensato che Zoal
potesse sapere fin troppo bene anche ciò che lui non diceva né mostrava
chiaramente. «Lo so. Ma è così che deve andare per me, in ogni modo. Mi fa
troppa paura un’altra possibilità. Una possibilità in cui non ci siamo mai
incontrati. Non potrei mai rischiare. In nessun caso.»
Zoal
ascoltò con attenzione le sue parole, poi annuì appena, ancora seria, come se
avesse compreso perfettamente, come se fosse in grado di comprendere la misura
delle parole molto al di là della loro immagine superficiale, misurare la
profondità delle loro radici in chi le pronunciava, quando e come e perché e
per chi.
«Ascoltami,
Danny.» disse poi, la voce ancora più profonda. E il mondo intorno riprese a
scorrere al suono del nome, come se il trucco si stesse spezzando. La musica e
il rumore ripresero, e Danny voltò lo sguardo verso dove aveva visto Mara
sparire tra la folla, timoroso di vederla tornare, timoroso che lei vedesse
Zoal e comprendesse qualcosa. Ora aveva la sensazione che quella potesse essere
la vera Mara, in qualche modo, e non una sua semplice proiezione rispuntata dai
suoi ricordi. Sentì Zoal accostarglisi al fianco, un ottimo modo per parlargli
all’orecchio senza dare molto a vedere a chiunque che stavano parlando.
«Sta
arrivando qualcosa.» mormorò nel suo orecchio, con voce all’improvviso
decisamente più grave. «Forse non sarà così semplice, per te. Ma io so chi sei.
So che tu puoi attraversare tutto questo. Spero che tu non abbia mai pensato
che io ti abbia mai considerato in altro modo che questo. Tu puoi passare
attraverso tutto questo. Per noi? Non sai quanto ne sono lusingata. Ma, per
qualsiasi motivo tu lo facessi, in ogni caso tu puoi riuscirci. E… non
dimenticarlo: noi ci incontreremo sempre. Qualsiasi cosa succeda. Qualsiasi
cosa possa capitare. Il caso ha già scelto, e il caos è già divenuto fatto.
Tutto il resto, non è che illusione e chiacchiere a proposito di destino. Ma tu
hai qualcosa di meglio in cui puoi riporre la tua fiducia e fede. Ricordati
solo questo, il resto puoi dimenticarlo, ma ricorda solo queste parole, Danny!
Ricorda: noi ci incontreremo in ogni caso, qualsiasi cosa accada, saremo fianco
a fianco.»
Poi
Danny sentì una mano di Zoal cercare la sua, e immediatamente ricambiò la
stretta. Sentì contro il palmo la consistenza di qualcosa, e Zoal che gliela
spingeva in mano. Poi sentì la donna staccarsi dal suo fianco, e appena qualche
frazione di secondo dopo Mara ricomparve dalla folla, e i suoi occhi
calamitanti e imperiosi si puntarono con precisione su di lui, come se non
avesse realmente bisogno di vederlo per sapere dove l’avrebbe trovato.
Per
qualche momento ancora lui rimase immobile, verificando che lo sguardo di lei
stesse fissando solo lui, e non fosse attirato da nessun’altro in quella folla.
Con sollievo, vide che era proprio così. Zoal doveva essere sparita, precisa e
puntuale come il tempo infinito, esistita solo nel momento in cui doveva finire
di dirgli ciò che voleva, e non più lì ora, prima che Mara potesse anche solo
sospettare la sua presenza. Mara lo stava guardando come prima, perfettamente
sicura del suo potere su di lui, affatto preoccupata di dover essere dovuta
tornare un poco sui suoi passi e di non averlo trovato proprio dietro di sé.
Lei si riteneva abbastanza superiore da poter guardare all’esitazione di lui
con indulgenza.
Danny
trattenne un sogghigno, per non tradirsi sotto lo sguardo di Mara. Oh, lui lo
sapeva, che Zoal poteva muoversi molto al di sopra di lei, poteva apparire e
scomparire, poteva intercettare le sue prede senza che nemmeno lei lo
sospettasse. Molto più elegante di lei, in ogni senso riguardasse l’abilità nei
trucchi e anche oltre.
Mara
incrociò le braccia sotto il seno e assunse un’accattivante posa di invito ed
attesa, come a suggerire che lui avrebbe fatto meglio a riprendersi in fretta e
a non peggiorare la sua situazione dandole la possibilità di cambiare idea
riguardo al privilegiarlo di tanta attenzione e considerazione. Danny fece uno
sforzo sulla sua volontà. Era inutile aspettare ancora. Non sarebbe successo
più niente, niente e nessuno avrebbe potuto venirgli a portare un poco di
consolazione o coraggio in quel momento, per dargli forza ora che stava per
attraversare quella soglia. C’era solo Mara, che lo aspettava per portarlo
fuori. Così lui riprese a camminare verso di lei.
Ma
mantenne stretto chiuso il pugno. Quella sarebbe stata la sua forza. Mara non
poteva nemmeno immaginare cosa lui stringesse nascosto nel nido delle dita
chiuse, dritto contro il palmo, come se una parte del suo cuore, almeno una
parte, potesse così esserle celata per sempre, per quanto stravolgente potesse
essere per lui ciò che stava per accadere. Non poteva aprire la mano e guardare
di cosa si trattasse, perché sapeva che ora Mara non si sarebbe più fatta
sfuggire alcun suo movimento. Eppure, in qualche modo, sapeva che non poteva
trattarsi di nient’altro di ciò che lui immaginava.
Una
parte del suo cuore. Una specie di cuore, ma nero, e con un peduncolo, al
centro di un cartoncino rettangolare bianco, e ad ogni angolo una sua
riproduzione più in piccolo, sormontata dalla cifra ‘4’ sempre in nero. Una
carta che non esiste. Un asso di picche e un quattro di picche allo stesso
tempo. Il suo asso nel pugno stretto. E con quello, seguì Mara attraverso la
soglia della porta aperta, superò la soglia, dritto nella foresta di notte.
E il
freddo lo aggredì, specie sulla gola scoperta, con ferocia. Lui strinse i
denti, in qualche modo ricordando a se stesso che le zanne erano nella sua
bocca, e non nell’aria così fredda… così fredda… proprio come lo era stata la
prima volta, quella stessa notte.
Note dello scribacchiatore: è finito per venire fuori un prologo
piuttosto lunghetto. Ma la mia attuale dubbia abilità scribacchiatoria richiede
il suo spazio per potersi esprimere come può in certe importanze. Spero questo
sia un bentornato come si deve ai ‘4 di picche’! Colpiti/e? Incuriositi/e? Non
ci avete capito niente, avete qualche sospetto o siete rimasti/e indifferenti e
basta? Come sempre, se vi va scrivete quel che vi pare a commento, a me, come
volete. In ogni caso, spero semplicemente che vi piaccia leggere ciò che
scribacchio almeno quanto mi sollazzo io nello scriverlo. Al prossimo – nonché
vero e proprio 1° - capitolo!