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Autore: Emily Kingston    22/08/2014    2 recensioni
“Dannazione, Pen," esclamò Allie, irritata. "Quando fai così vorrei non averti mai conosciuta!”
“Già,” rispose, dura. “Forse, a questo punto, sarebbe davvero stato meglio se non ci fossimo mai conosciute.”

[...]
“Da quando Allie esce con quelli?”
“Da quando t’interessa con chi esce Amanda Jackson?”
“Da quando è la mia migliore amica, Chloe.”
“La tua migliore amica? Amanda Jackson? Ma ti senti bene? Tu e Amanda non vi siete mai rivolte la parola. Non so cosa ti sia preso stamattina, ma lei non sa neanche che tu esisti... credo."
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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5.
 
Era passato qualche giorno dal suo incontro con Chloe e, nonostante l’amica avesse cercato di avvicinarla, Pen era sempre stata sfuggevole.
A pranzo si sedeva da sola in un angolo, entrando in mensa all’ultimo momento, quando quasi tutti avevano già finito di mangiare, e all’uscita sgattaiolava via subito, senza aspettare nessuno, nemmeno l’autobus.
Aveva preso a tornare a casa a piedi per non rischiare di essere intercettata dagli altri, una cosa di cui si vergognava molto, ma, allo stesso tempo, sapeva che non sarebbe riuscita a sopportare un’altra chiacchierata con Chloe; non se avesse continuato a cercare di farla ragionare proponendo soluzioni per la sua situazione che non fossero al di là delle leggi della fisica.
La verità era quella che era, non importava quanto Chloe avesse cercato una versione diversa dei fatti, e non essere creduta a Pen faceva male. Le faceva male da morire.
Quella mattina era riuscita abilmente ad evitare Chloe per tutta la durata delle lezioni, sedendosi a diverse file di distanza da lei; si era fermata in biblioteca fino all’una e, soddisfatta della sua giornata di isolamento, si accingeva ad andare in mensa.
Come sempre a quell’ora, quasi tutti i tavoli erano vuoti e la maggior parte degli studenti si stava godendo o in giardino o per i corridoi l’ultima mezz’ora di pausa prima delle lezioni pomeridiane.
La fila era minima e, nel giro di cinque minuti, Pen si sedette in un tavolo un po’ nascosto con in mano un vassoio pieno di hamburger, patatine fritte e una gelatina alla frutta. Tirò fuori dallo zaino l’acqua e un libro, iniziando a leggere e mangiare.
La sala mensa iniziò a svuotarsi ancora di più, mano a mano che si avvicinava l’una e mezza. Pen stava leggendo in pace il suo libro e mangiando il suo hamburger,  passando completamente inosservata nell’angolo in cui si trovava. Con ottime probabilità, Chloe e gli altri non si trovavano neanche in sala mensa, in quel momento.
Qui siamo tutti matti. Io sono matto. Tu sei matta,” disse una voce davanti a lei e Pen sobbalzò, alzando lo sguardo. “Scusa, non volevo spaventarti,” continuò la voce.
Pen non riuscì a rispondergli.
Il ragazzo dai capelli rossi, quello che guardava di sottecchi e con cui aveva avuto degli strani incontri era lì, in piedi davanti a lei, con il suo vassoio pieno di cibo in mano.
“N-non importa,” balbettò, imbarazzata. Dannazione, perché quel tipo le faceva quell’effetto?
Il ragazzo fece un mezzo sorriso.  “Posso?” chiese, indicando una delle sedie vuote al suo tavolo.
Pen annuì, sorridendo a sua volta.
“Non so se ti ricordi di me, facciamo chimica e letteratura insieme,” disse lui, accomodandosi.
Lei finse di pensarci su, poi spalancò leggermente gli occhi e annuì, come a far capire che aveva appena ricordato chi fosse.
“Mhmh,” rispose.
“Mi chiamo Ed,” disse il ragazzo, porgendole la mano.
Pen la strinse con imbarazzo.
“Pen.”
Ed sorrise, iniziando a mangiare in silenzio.
Per qualche minuto non si parlarono, né Pen alzò lo sguardo per guardarlo, poi lui prese la parola.
“Spero di non averti importunata, venendo a mangiare qui con te,” disse. “Ti vedo sempre qui da sola ultimamente…”
“Non è un problema. È stato carino da parte tua,” rispose lei, sorridendogli genuinamente.
“Ho notato che stai sempre molto attenta alle lezioni di letteratura,” continuò Ed, mangiando. “Ti piace leggere?”
Gli occhi di Pen s’illuminarono e lei annuì.
“Oh, sì,” rispose, sorridendo ampiamente. “Un sacco.”
“Anche io ho letto di recente Alice nel paese delle meraviglie. È un classico. Cosa ne pensi per adesso?”
Pen guardò pensosa la copertina del libro. Cosa ne pensava? Che quel tipo era sempre più interessante ogni minuto che passava, ecco cosa.
“È… strano. Senza senso.”
Ed rise. “È bello proprio per questo. Del Giovane Holden, invece, cosa ne pensi?”
“Mh.” Pen storse il naso. “Sopravvalutato. Piatto e noioso.”
Rimasero a parlare di libri e del più e del meno finché non suonò la campanella. Pen aveva ancora mezzo hamburger nel piatto, ma aveva finito sia le patatine che la gelatina di frutta, mentre il vassoio di Ed era completamente vuoto.
“Ho storia adesso,” sospirò la ragazza, già immaginandosi la noiosa lezione della professoressa Bubble.
Lei ed Ed andarono insieme a riporre i vassoi negli spazi appositi, poi si diressero verso il corridoio.
Pen stava per salutarlo e svoltare verso l’aula di storia, ma Ed le afferrò il polso, trascinandola a dritto.   
“Vieni con me!” disse e Pen non riuscì a protestare, anche se una parte di lei le urlava prepotentemente nelle orecchie che la lezione sarebbe presto iniziata e che, in quel modo, sarebbe arrivata in ritardo o, peggio ancora, l’avrebbe completamente saltata.
Non che le dispiacesse saltare una noiosa ora di storia, ma avrebbe dovuto trovare una buona scusa per giustificare la sua assenza l’indomani.
Senza protestare, lasciò che Ed la guidasse su per le scale, verso il primo piano e poi verso il secondo e poi ancora più su, finché non furono sul tetto della scuola, l’aria fresca dei passati giorni di pioggia che gli pungeva la pelle piacevolmente.
“Non ero mai stata qua sopra,” confessò Pen, guardandosi intorno.
Ed sorrise, mentre lei si avvicinava alla balaustra, appoggiandovisi con le braccia per guardare giù.
“Di solito i bidelli chiudono la porta a chiave,” spiegò Ed, affiancandola. “Ma spesso la lasciano aperta, limitandosi a controllare che nessuno sgattaioli su per le scale durante le pause tra le lezioni.”
“Cosa succede se ci scoprono?” chiese Pen, senza guardarlo.
Ed si strinse nelle spalle, incrociando le braccia e appoggiando i gomiti alla balaustra. Il vento gli scompigliava i capelli rossi e gli occhi azzurri erano puntati all’orizzonte.
“Non lo so,” ammise.
Pen non rispose e lui non aggiunse altro. Rimasero in silenzio per un po’, a godersi l’aria fresca (rara in quei giorni di primavera) e la quiete. Sotto i loro piedi, il resto del corpo studentesco era in classe a fare lezione.
“È la prima volta che salto una lezione,” disse Pen dopo un po’.
“Ti ho già portata sulla cattiva strada?”
La ragazza rise, lasciando che il vento portasse i suoi capelli dove preferiva, senza sistemarseli ogni volta.
“Può darsi.”
“Sai, ti ho osservata tutto l’anno,” confessò Ed dal nulla e Pen si voltò, colpita.
Lei aveva notato la presenza di Ed solo poche settimane prima, subito dopo la scomparsa di Allie dalla sua vita, mentre lui si era accorto di lei dall’inizio dell’anno.
“Davvero?”
Ed annuì, continuando a guardare l’orizzonte limpido e le cime degli alberi che si trovavano dall’altro lato della strada.
“E come mai?”
“Perché sei diversa,” spiegò. “Non sei come le altre ragazze che ho visto qui, o che c’erano a Seattle, dove abitavo prima. Non sei come nessuna.”
Pen arrossì, non sapendo se fosse proprio un complimento. Essere diversa era un bene o un male? Se lo chiedeva da tutta la vita.
“Ed è una cosa buona?”
Ed le fece uno dei più bei sorrisi che avesse mai visto, sciogliendo l’intreccio delle proprie braccia per sfiorarle timidamente la mano.
“È una cosa stratosferica.”
Pen ridacchiò, ma sentì il cuore accelerare i battiti a quelle parole.
Ci fu qualche momento di silenzio, poi Ed si schiarì la gola e la guardò timoroso negli occhi.
“Pensi… Pensi di poter venire a cena con me?” domandò.
Era la prima volta che un ragazzo le chiedeva di uscire. Non aveva mai avuto un vero appuntamento, nemmeno con il suo ex ragazzo Kyle, che conosceva dalle medie e con cui si era messa insieme una sera d’estate, a una festa, dopo una serie di baci mai spiegati che l’avevano tormentata per tutti i mesi estivi. Con lui era stato facile, si conoscevano da sempre e non dovevano scoprirsi, ma di Ed non sapeva nulla, sarebbe stato un salto nel vuoto.
“Penso di sì,” rispose.
“E pensi di volerlo?”
Pen sorrise, voltandosi completamente verso di lui.
“Sono sicura di volerlo.”
Ed le fece un gran sorriso e poi, inaspettatamente, strinse forte la sua mano, tornando a guardare l’orizzonte con quei penetranti occhi blu che erano andati a fare visita a Pen perfino nei sogni.
 
***
Qualcuno bussò alla porta.
“Posso?” chiese la voce di Josh dal corridoio.
Da quando era rientrata a casa, quel venerdì, Pen si era barricata nella sua stanza e aveva fatto in su e in giù tutto il giorno, chiedendosi cosa mettersi, come truccarsi e come sistemare i capelli.
Non era mai stata una ragazza a cui importavano queste cose, di solito si metteva le prime cose che le capitavano e si stufava subito di perdere tempo dietro ad acconciature e make-up, prendendo il suo viso e suoi capelli come venivano. Ma quella volta, per la prima volta, voleva essere carina per qualcuno; voleva piacere a Ed.
“Sì,” rispose, sconsolata, guardandosi allo specchio.
Dopo interminabili ricerche aveva trovato, sepolto nell’armadio, un vestito mai messo, ma più si rimirava, più si vedeva inadeguata in quell’abito.
“Come sto?” chiese subito a Josh, appena la porta si aprì.
Il ragazzo non rispose subito, squadrandola con attenzione.
Indossava un vestito lungo fino al ginocchio; la gonna aveva qualche balza leggera, la stoffa era stretta sui fianchi, la scollatura a barca e le maniche corte avevano una cucitura particolare sulle spalle, che le rendeva leggermente rigonfie. Era azzurro, come i suoi occhi, e le stava d’incanto.
I capelli castani erano sciolti sulle spalle e il viso quasi acqua e sapone, con un trucco davvero leggerissimo che le dava rossore alle guance e le delineava meglio gli occhi.
“Sei uno schianto,” sentenziò infine. Fece per voltarsi e Pen lo guardò storto.
“Ma che fai?”
Josh alzò le sopracciglia. “Andavo a complimentarmi con tua madre.  È dura farne bene due su due, cosa credi!”
Pen gli lanciò una ciabatta, non riuscendo però a trattenersi dal ridere.
“Che deficiente!”
Josh fece un mezzo inchino. “Grazie.”
Ignorandolo, Pen tornò a guardarsi allo specchio, cercando di lisciarsi meglio la gonna. Poi sbuffò, afferrando spazientita una pochette, nera come le converse che indossava.
“Oh, al diavolo!” imprecò, sedendosi sul letto e prendendo in mano il cellulare, per assicurarsi di sentirlo vibrare quando Ed le avrebbe scritto.
Josh si sedette accanto a lei, osservandola silenziosamente per qualche minuto.
“Chi è il fortunato?” chiese il ragazzo.
Pen si voltò a guardarlo, alzando le spalle.
“Non c’è nessun fortunato.”
Josh la guardò con scetticismo, facendole capire che era la balla più grossa che avesse  mai detto in vita sua e, sicuramente, la meno credibile.
“E per chi ti saresti messa così in ghingheri, allora?”
Colta alla sprovvista, Pen strinse le labbra, pensando ad una scusa il più velocemente possibile.
“Per… Per…” Sbuffò. “Ti dio.”
Josh sogghignò, alzando le sopracciglia con aria saputa.
“Sputa il rospo, Spidey.”
Pen sospirò. “Si chiama Ed. Ci siamo conosciuti a scuola.”
In quel momento, il telefono nelle sue mani vibrò, impedendo a Josh di farle altre domande imbarazzanti.
Ed:
Sono qui sotto.
Pen sorrise, rileggendo l’sms un altro paio di volte, poi, azzittendo Josh con un’occhiata, si alzò in piedi e si diresse verso la porta.
“Non dirlo alla mamma e ad Aylee,” disse, prima di uscire. “Non voglio essere assillata né negativamente, né positivamente.”
Josh annuì e Pen non ebbe bisogno di assicurarsi una seconda volta che tenesse la bocca chiusa, perché sapeva che l’avrebbe fatto.
“Però quando torni posso venire io a farmi le treccine con te mentre mi racconti tutti i dettagli?” le urlò dietro, quando lei era ormai già nel corridoio.
Ridendo e scuotendo il capo, rispose: “Ciao, Josh.”
Poi scese le scale di corsa, saltando gli scalini. Salutò velocemente sua madre e sua sorella dicendo loro che usciva con Chloe e gli altri e poi sparì oltre la porta d’ingresso, uscendo nel porticato.
L’aria fresca della sera la colpì, ma non la fece rabbrividire, segno che l’estate stava ormai avanzando e che le fresche piogge primaverili stavano ormai per finire.
Strinse lievemente gli occhi per guardare la strada e, sotto alla luce di un lampione, vide una piccola auto blu scuro. Dal finestrino sbucava la capigliatura sgargiante di Ed e Pen sorrise, arrossendo leggermente sulle guance mentre percorreva il vialetto e lo raggiungeva.
“Buonasera,” disse, entrando in macchina.
Ed le fece un sorriso. “Ehi.”
Girò le chiavi nel quadro e fece partire il motore, immettendosi in strada.
“Allora, dove mi porti?” chiese con nonchalance, guardando fuori dal finestrino.
Le luci della città risplendevano nel buio e il via, vai di gente era maggiore che di giorno.
“Se te lo dico, che appuntamento è?”
Pen rise, passandosi una mano tra i capelli sciolti. Non era mai sicura che fossero al posto giusto – o almeno in un modo decente -, per questo li toccava spesso.
Non sapendo cosa fare, iniziò a studiare i movimenti di Ed. Le mani strette sul volante, i muscoli delle braccia che si tendevano quando cambiava marcia o quelli delle gambe quando premeva la frizione, o il freno. Il modo in cui i suoi occhi guardavano automaticamente in entrambe le direzioni a ogni incrocio, o il fatto che si grattasse spesso il collo, come se non fosse molto sicuro di che strada prendere.
Nonostante il silenzio, era bello stare lì con lui a guardarlo. A immaginare cosa stesse pensando, dove volesse portarla, cosa aveva in serbo per lei quella serata.
Non voleva essere troppo speranzosa, le ultime settimane le avevano insegnato che non solo puoi non avere ciò che vuoi e perdere quello che hai, ma che ti possono portare via pure le cose che non perderesti mai e che hai sempre voluto.
Ed svoltò in una strada che Pen non ricordava di aver mai percorso, piena di ristoranti stranieri. Sorpassarono un ristorante giapponese e poi uno indiano, finché Ed non parcheggiò accanto al marciapiede, proprio di fronte a una pizzeria italiana.
“È un classico, lo so,” ammise il ragazzo, quando entrambi furono scesi dall’auto.
Pen osservò la scritta luminosa con il nome del ristorante e sorrise.
“Ma a me piace la pizza,” rispose, alzando le spalle e guardandolo in modo tale da fargli capire che non era affatto una tipa da ristoranti eleganti, quindi aveva fatto la scelta giusta.
Afferrandole la mano, Ed la condusse all’interno del ristorante. Scambiò un paio di parole col cameriere – che aveva un forte accento italiano – e poi quest’ultimo li condusse al loro tavolo.
Come molte altre pizzerie italiane in cui era stata, i tavolini erano coperti da una tovaglia bianca e una a quadretti di dimensioni quadrate, disposte una diagonalmente rispetto all’altra, in modo da far pendere dal tavolo otto punte colorate. Al centro c’era un’unica candela rossa, mentre i tovaglioli avevano stampata sopra la bandiera italiana.
Pen ed Ed presero posto uno di fronte all’altra e, in pochi minuti, un altro cameriere portò loro i menù, insieme a una bottiglia di acqua naturale e una gassata.
Pen lo ringraziò con un sorriso, poi aprì il menù, iniziando a leggere i nomi delle pizze.
“Ti… Ti piace?” chiese Ed dopo un po’, evidentemente teso.
“Se mi piace?” esclamò Pen, sorridendo ampiamente. “Io la pizza la amo!”
Ed sembrò visibilmente sollevato, come se avesse appena passato un esame importante. Anche se, probabilmente, per lui era soltanto il primo della serata. Non che Pen si sentisse da meno.
Aveva sempre avuto paura, stringendo amicizia con persone nuove, di mostrare la parte più vera di sé.
Era strana, se ne rendeva conto, e aveva passioni e attaccamenti a cose che in pochi avrebbero potuto capire a pieno o perfino capire superficialmente; alcuni avrebbero detto che si rifugiava nella finzione per non vivere la vita vera, ma Pen si rifugiava nella finzione proprio per imparare a sopravvivere nella vita vera. Era la finzione a mandarla avanti, a insegnarle le cose, a darle la forza. Non le persone. Non la realtà. Erano i libri, le parole e tutta la finzione che sta loro dietro.
Dopo un po’, lo stesso cameriere che aveva portato loro i menù ricomparve, prendendo le loro ordinazioni.
“C’è qualcos’altro che fai, oltre leggere?” domandò Ed.
Pen ci pensò su. Effettivamente, l’unica cosa significativa che faceva era quello.
“Diciamo che leggere è la mia attività principale,” disse, con cautela. “E tu?”
“Suono la chitarra,” rispose. “Ho… Ho scritto qualche canzone, anche. Cavoli, mi vergogno un po’ a parlarne….”
Pen scosse il capo, incoraggiandolo con lo sguardo.
“Ti prego, parlamene invece. La musica mi piace così tanto.”
 Ed sorrise e Pen vide i suoi occhi azzurri scintillare alla luce della candela.
“Se vuoi, un giorno ti faccio sentire qualcosa.”
“Sarebbe meraviglioso.”
Si sorrisero e Pen ebbe la sensazione che si stessero avvicinando. Vide gli occhi di Ed sempre più scuri e vicini e sentì il suo fiato sulle labbra e il suo naso quasi sfiorare il proprio e-
“Ecco le vostre ordinazioni!” esclamò un cameriere con due pizze fumanti in mano.
I due si ritrassero imbarazzati, tornando composti sulle loro sedie.
Il cameriere appoggiò i piatti sul tavolo e poi se ne andò, augurando loro una buona cena.
Ed e Pen mangiarono in silenzio, lanciandosi qualche sguardo di sottecchi ogni tanto, ma spostando gli occhi appena l’altro alzava i propri.
Pen si sentiva così euforica e felice per la prima volta in quelle settimane buie.
Finita la cena, Ed insistette per pagare il conto, segnando l’inizio di una lunga discussione sulla galanteria e sulla parità dei sessi. Alla fine, però, Pen dovette arrendersi alla sua gentilezza, strappandogli però la promessa di offrire lei il gelato.
Usciti dal ristorante, s’incamminarono lungo la via piena di negozi e ristoranti, fermandosi davanti a ogni locale per sentire gli odori caldi dei cibi orientali, quelli speziati dei cibi africani e quelli intensi dei cibi europei.
“Ecco!” esclamò Pen all’improvviso, quando si fermarono davanti a un ristorante messicano. “Amo viaggiare. Se fosse per me, girerei tutto il mondo. Mi piacerebbe tanto fare un lavoro che mi permetta di viaggiare,” continuò, con aria sognante. Non si accorse che Ed la guardava con un sorriso, sentì solo la sua mano prendere delicatamente la propria. “Vorrei vedere l’Europa, e l’Asia, e l’Oriente. Ah...”
Ed ridacchiò, divertito dalla sua sete di viaggi, ma anche affascinato dalla sua indole così ribelle ed esploratrice.
“Che Università frequenterai, per viaggiare il mondo?”
“Farò i test per entrare alla NYU. Voglio fare la giornalista, o la scrittrice,” confessò. Non aveva mai detto a nessuno quale facoltà avesse intenzione di seguire, nemmeno a sua madre che l’aveva assillata per un anno intero. Nemmeno ad Allie. “Tu, invece?” chiese.
“Be’, in realtà mi piacerebbe continuare a fare musica, ma i miei progetti più concreti sono studiare le lingue e viaggiare il più possibile.”
“Oh, anche a te piace viaggiare!” esclamò Pen.
Ed la guardò, alzando un sopracciglio. “A chi non piace.”
La ragazza sorrise e annuì.
Continuarono a camminare mano nella mano per un bel po’, in silenzio, finché Ed la condusse verso un parco lì vicino. Nonostante i lampioni accesi, aveva un’aria un po’ tetra e i giochi per bambini che cigolavano a ritmo del vento non aiutavano a rendere l’atmosfera più invitante.
“Sembra il set di un film dell’orrore,” dette voce ai suoi pensieri.
Ed ridacchiò, ma annuì.
“Vero. Hai paura?”
Pen lo guardò, alzando il mento verso di lui.
“Nah.”
Sentì la mano di Ed stringere un pochino di più la sua e sorrise, ricambiando quella stretta.
Passeggiarono per il parco deserto e scuro per diversi minuti, finché il ragazzo non decise di fermarsi davanti a una panchina illuminata dalla luce di un lampione.
Si sedettero e la mano di Pen scivolò via da quella di lui, ricadendo sul metall0 freddo e leggermente umido della panchina.
“Hai mai paura di qualcosa, Pen?” chiese lui all’improvviso, appoggiandosi i gomiti sulle gambe e piegandosi leggermente in avanti, lo sguardo rivolto verso un punto indefinito nell’oscurità della notte.
Pen dapprima annuì, poi parlò.
“Ci sono tante cose di cui ho paura,” ammise.
“Per esempio?”
“Per esempio ho paura di non realizzarmi,” confessò. Non l’aveva mai ammesso neanche con se stessa, ma tutte quelle pressioni che sua madre le infliggeva continuamente, ogni giorno, ogni minuto, la facevano vacillare sempre di più. Ogni volta si avvicinava di un passo al baratro della paura e del dubbio: e se non ce l’avesse fatta? E se avesse davvero dovuto impegnarsi di più? E se non fosse stata abbastanza?
Non riuscire a realizzarsi, a fare ciò che desiderava, era una delle cose che le facevano più paura.
“Di rimanere sola, di essere delusa, ferita, dei cambiamenti, di non avere abbastanza tempo per viaggiare, di non essere mai abbastanza.” Si azzittì, sentendosi stanca come dopo aver corso per ore. Non aveva mai parlato di quelle cose a nessuno, nemmeno ad Allie o a Josh. “E tu? Tu di cosa hai paura?”
“Del futuro e di qualsiasi cosa porterà,” disse. “L’ignoto mi fa una paura immensa.”
Pen non lo rassicurò e lui non rassicurò lei. Le loro paure rimasero semplicemente sospese nell’aria. Non c’era bisogno di alcuna parola.
Il silenzio aleggiò attorno a loro per un po’, soppesando quelle paure e poi lasciandole nelle mani del vento, che le portò via.
“Guarda!” esclamò Ed, puntando un dito verso il cielo. “Quella è Cassiopea.”
Le luci della città rendevano le stelle meno visibili di quanto lo fossero nei luoghi isolati, ma Pen riuscì lo stesso a individuare le cinque stelle che formavano un trono stilizzato.
Rimase a guardare il cielo limpido a bocca aperta, mentre Ed le mostrava altre costellazioni: le Orse, il Cigno, Andromeda, Perseo.
Quand’era bambina, sua madre portava spesso lei e Aylee sulla spiaggia di sera; allontanandosi il più possibile dalle luci della città, era possibile vedere le stelle con abbastanza chiarezza da poterle riconoscere. A lei e sua sorella piaceva stendersi sulla sabbia, scavarsi un piccolo letto muovendo mani e braccia, come per fare un angelo di neve, e  poi alzare gli occhi al cielo. Pen ricordava di aver passato ore e ore a osservare le stelle nella sua infanzia, senza mai riuscire a riconoscerle.
“Sei appassionato di astronomia?” domandò all’improvviso, mentre Ed stava cercando di spiegarle come individuare la costellazione di Ercole.
Ed scrollò le spalle. “Mi piacciono le stelle. E poi da bambino andavo ogni estate in campeggio, è lì che mi hanno insegnato a trovarle.”
Pen annuì, guardandolo con interesse.
“Qual è la tua preferita?”
“Il Cigno, credo,” rispose. “Tra tutte le costellazioni, trovo che sia una delle poche a corrispondere al proprio nome.”
“È la prima volta che riesco a vedere così tante costellazioni, di solito non le riconosco.”
“Be’, allora direi proprio che questo aggiunge un bonus alla nostra uscita.”
Pen ridacchiò, annuendo e guardandolo in modo eloquente.
“Sì. Direi decisamente di sì.”
 
 
L’auto di Ed si fermò davanti a casa sua, accostandosi al marciapiede.
Dopo aver continuato a guardare le stelle nel parco e dopo una breve lezione di astronomia, lei e il ragazzo si erano riavviati verso la macchina, ripercorrendo il parco tetro e la via – ora ancora più affollata – ricca di ristoranti e negozi stranieri.
Pen aveva insistito per fermarsi davanti alla vetrina di un ristorante giapponese per osservare un cuoco che preparava del sushi, mentre pochi metri più in là Ed si era praticamente incollato a una bancarella che vendeva dischi di vinile.
Dopo essersi trascinati via a vicenda, avevano finalmente raggiunto la macchina e imboccato la strada di casa.
Durante il tragitto, Pen aveva sentito l’euforia d’inizio serata scemare, sostituita da una felicità genuina che non provava da tempo. Quella serata con Ed erano state le ore più belle da un sacco di tempo e, in un certo senso, sentiva che tra di loro c’era qualcosa; qualcosa che non riusciva a spiegare a parole, ma che la faceva sentire sicura e le faceva venire  voglia di dirgli tutte quelle cose che si era sempre tenuta dentro, perché sapeva che lui avrebbe capito. Magari non condivideva quelle stesse sensazioni, ma le avrebbe capite.
“Grazie per aver accettato di uscire con me,” disse Ed, guardandola con un sorriso.
“Grazie a te per avermi invitata,” rispose Pen. “È stata la serata più bella degli ultimi tre mesi. Era troppo che non stavo così bene.”
Ed allungò cautamente una mano, appoggiandola su quella di Pen. La ragazza arrossì, ma non si ritrasse, anzi, portò il palmo verso l’alto, intrecciando le dita con quelle di lui.
“Mi fai stare bene, Ed.”
“Anche tu.”
Quando Callum l’aveva riaccompagnata in auto, Pen aveva carpito subito i segnali che preannunciavano la sua intenzione di baciarla, per questo si era affrettata a uscire dall’abitacolo. C’erano state le battute nel tentativo di farla ridere e fare bella figura, il contatto fisico casuale, quell’avvicinarsi impercettibile e i suoi sguardi.
Con Ed non c’era stato bisogno di segnali. Lo sapeva e basta.
Quando si avvicinò a lui e toccò le sue labbra, Pen allungò il braccio libero per avvolgerglielo attorno al collo. Gli passò le dita tra i morbidi capelli rossi mentre lui le dischiudeva le labbra, approfondendo il bacio.
Non voleva che smettesse mai.
Si sentì spingere all’indietro, andando a sbattere contro al portiera alle sue spalle, Ed con le ginocchia sul sedile per stare in quella posizione. Aveva le sue mani tra i capelli e poi sulle guance e poi sul collo, il suo profumo era ovunque e vedeva i suoi occhi anche se entrambi li avevano chiusi, persi in quel bacio tanto desiderato senza neanche saperlo.
La prima volta in cui aveva visto Ed,Pen aveva provato qualcosa. Qualcosa che aveva archiviato in un angolo della sua mente e non riconsiderato più. Ma quel qualcosa, adesso, era saltato fuori all’improvviso, impadronendosi di tutto il suo corpo.
Facendola stare bene. Facendola sentire amata, desiderata, voluta, giusta. Facendola sentire felice.
Pen gli appoggiò le mani sulle spalle, allontanandosi quanto bastava per riprendere fiato e guardarlo negli occhi.
“Mia madre potrebbe stare sbirciando dalla finestra,” lo avvertì, notando il movimento delle tende con la coda dell’occhio.
“Avete armi in casa?”
“Solo utensili da cucina.”
“Mh, allora dovrò sperare che non mi tiri un coltello.”
Pen ridacchiò, appoggiando la testa sulla sua spalla, la guancia a contatto con la pelle del suo collo.
“Voglio rivederti,” disse Ed. “Cioè, se lo vuoi anche tu. E se tua madre non mi prenderà a coltellate.”
“Anche io voglio rivederti.”
“Pure da zombie?”
“Pure da zombie.”
Ed sorrise e si avvicinò per darle un altro bacio veloce.
“Allora siamo d’accordo.”
Pen annuì, ricambiando il sorriso prima di sgusciare fuori dalla macchina.
“Grazie del passaggio!” disse, dirigendosi verso la porta d’ingresso. “Sono stata bene.”
“Anche io,” rispose Ed. “Ci sentiamo.”
La ragazza rispose con un sorriso e poi sparì oltre la porta.
 
Entrata in casa, trovò sua madre seduta sulle scale: le braccia incrociate e un’espressione contrariata sul volto.
“Chi era quello?”
Pen sbuffò, superandola e salendo le scale.
“Un mio amico.”
Sentì i passi di sua madre seguirla e trattenne un’imprecazione.
“Non sapevo avessi l’abitudine di farti sbattere contro le portiere dai tuoi amici,” commentò, secca.
“Non sapevo che fossero affari tuoi da chi e dove mi faccio sbattere.”
Sua madre arrossì d’indignazione, guardandola con gli occhi sgranati.
“Penelope-”
Pen alzò un mano, azzittendola. Si passò l’altra sul volto stancamente, stringendosi la radice del naso con le dita.
“Senti, mamma, sono stanca, non ho davvero voglia di rispondere al tuo interrogatorio,” asserì. “Perciò me ne vado a letto.”
Furono le ultime parole che disse, prima di sbattersi la porta alle spalle e sparire all’interno della sua stanza.
Appoggiò la borsa sulla scrivania, si tolse le scarpe e poi si buttò sul letto, un sorriso che le danzava sulle labbra.
Ripensò al bacio in macchina e all’intera serata e non poté fare a meno di sentirsi immensamente felice.
Dopo qualche minuto di pace, però, qualcuno bussò alla porta.
“Mamma, ti ho detto che non ho voglia.”
La porta si aprì e la testa di Josh fece capolino.
Pen lo guardò inarcando le sopracciglia, confusa.
“Cosa ci fai tu qui?” domandò. “Non hai una donna a cui fare compagnia o qualcosa di simile?”
Josh entrò furtivamente nella stanza, chiudendosi con cautela la porta alle spalle.
“Mi ha fatto vedere Casablanca e poi è crollata come un ghiro; quando vi ci mettete dormite come sassi,” spiegò.
Pen gli fece una smorfia, sedendosi a gambe incrociate sul letto.
“Allora? Che ti serve?”
“Ma come!” esclamò, indignato. “Mi avevi promesso un pigiama party. Ho anche portato gli elastici per le treccine,” disse, mostrandole un sacchetto pieno di elastici colorati.
Pen scoppiò a ridere, invitandolo a sedersi accanto a lei. Gli disse di mettersi di schiena e poi prese un elastico fucsia.
“Allora, mi portata a cena in un ristorante italiano, poi siamo andati…” iniziò, prendendo tre ciocche corte dei capelli di Josh e iniziando a intrecciarle a dovere.
 


 
   
 
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