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Autore: Selene_1978    23/08/2014    0 recensioni
“Non è detto che cambiare il passato porti un futuro migliore. Ricordate: è con quel passato che avevate quel presente.”
Legami è la storia di un'amicizia tra quattro ragazzi; si troveranno uniti da un legame sconosciuto, senza tempo e si faranno forza di quest'ultimo per combattere i loro nemici. Purtroppo però, uno di loro muterà radicalmente e nulla sarà come prima. Cambiare le proprie decisioni è davvero la cosa giusta da fare? E lo è per questi ragazzi? Loro stessi si daranno delle risposte man mano che andranno avanti.
Dafne, Nemesi, Caos e Ipno dovranno fare i conti con loro stessi, con gli altri protagonisti e con le sgradevoli situazioni che verranno fuori. Riusciranno a venirne a capo?
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Silenzio. Era l’unica cosa che i ragazzi percepivano intorno a loro, assoluto silenzio. Nelle loro teste invece c’era un frastuono assordante, gli fischiavano le orecchie. Selene, dopo aver parlato ai ragazzi, non aveva detto più nulla. Era rimasta lì, ferma a guardarsi intorno, in silenzio come tutto ciò che li circondava. Sembrava quasi che nei dintorni non ci fosse più nessuno, perché in quel caso, i ragazzi ne avrebbero percepiti i pensieri. Nulla. Uscirono dalle loro camere e s’incontrarono nel corridoio, o quello che una volta lo era. I vetri delle finestre erano opachi e rotti, rigati da svariate venature nere che quasi sembravano linee con punti di sutura, come se fossero lì per riparare qualcosa di rotto. I muri erano segnati dalle stesse cicatrici, crepati e fatiscenti. Il pavimento era diventato come le finestre, chiazzato di grigio scuro e attraversato da enormi spaccature e buchi profondi, come se ci fosse caduto dell’acido. La villa sembrava avvelenata. Selene rimase scioccata nel vedere in che condizioni era stata ridotta l’abitazione dei ragazzi. Le foto e i quadri della casa erano stati danneggiati, come se un coltello li avesse trapassati da parte a parte. Chiamarono i genitori più volte, ma non ci fu nessun cenno della loro presenza, non ebbero risposta di alcun genere. Uscendo fuori fu come attraversare una barriera magica. Densa, pesante, viscida. Spingersi oltre essa parve faticosissimo ai quattro. Difficile, quasi come se non volesse lascarli uscire veramente. Ipno ci mise più tempo degli altri ad attraversare la barriera, si sentiva debole e Caos dovette tirarlo con sé. Nemesi fu la prima a uscirne, la prima a rabbrividire. Quando venne raggiunta dagli altri, ebbero tutti la stessa reazione. Sembrava che qualcuno avesse bruciato tutto ciò che circondava la villa. Non era un “qualcuno” qualsiasi però. Una figura si parò davanti a Dafne, Nemesi, Ipno e Caos. La videro per poco tempo e fu una tetra sorpresa scoprire di chi si trattava: Atropo, ancora lei. Quando aveva lasciato Ipno senza poteri, era andata nell’epoca del ragazzo per impadronirsi del potere dello yin e yang, approfittando del fatto che coloro che avrebbero potuto difendere i possessori di questa magia erano lontani. Il bene, lo yang, però era troppo forte per lei, quindi riuscì a portare via solo il male, lo yin. Quest’ultimo, combinato ai poteri di Ipno, rese Atropo abbastanza forte da mettere in ginocchio i genitori dei ragazzi. Loro, tornando indietro nel tempo per fermare Haru, avevano sì eliminato la minaccia che rappresentava lo zio, ma avevano cambiato il futuro rendendo Atropo partecipe del loro presente. Si erano indeboliti e avevano permesso alla ragazza di creare delle spaccature nel loro legame attraverso il suo veleno. Adesso era proprio di quello che avevano bisogno, di un legame, saldo stavolta. Selene, vista la difficoltà dei ragazzi, prese una decisione difficile: avrebbe consegnato gran parte dei suoi poteri a Ipno, così avrebbe potuto difendersi da Atropo e recuperare i propri. Tenne per sé solo la magia necessaria alla propria sopravvivenza, e il resto lo consegnò al ragazzo. Dopo aver imparato a padroneggiare la luce, Ipno promise all’amica che le avrebbe restituito ciò che lei gli aveva prestato, e l’abbracciò. La guardiana della luce rimase impietrita durante l’abbraccio che non restituì, non se l’aspettava, e appena lui si distaccò lei scomparve, come al solito. Non sapendo dove poter stare al riparo dai nuovi poteri di Atropo, i guardiani si rifugiarono in una vecchia struttura che si trovava in prossimità del tempio. A proposito del tempio degli elementi, Ipno scoprì di non poterci più entrare come guardiano della terra, ma solo come “visitatore”. Poteva unicamente usare il portale e parlare con Trovo e Perdo. Ora che aveva il potere di Selene non era più considerato il possessore dell’elemento terra, di conseguenza non poteva più prendere il suo posto nel sacro edificio come tale. Sorse nuovamente il problema del far combaciare i vari elementi. Neanche col potere della luce, Ipno riusciva a combinare la sua magia a quella dei compagni. Ma qual’era il problema? Di certo la difficoltà non si trovava nel suo potere, perché se fosse stata lì, cambiando elemento il problema si sarebbe risolto. Era Ipno il problema, non la magia. Era lui che non dava possibilità agli altri di combattere insieme, non i poteri che possedeva. Quelli erano semplici da far combaciare, ma lui tirava su una barriera che nessuno riusciva a oltrepassare. Come se volesse proteggersi. Ma da cosa? Col fratello combatteva tranquillamente, creava combo su combo, ma con le ragazze niente. Quando Caos provò a capirci qualcosa disse:-“Forse non riesci a fidarti di loro due e quindi neanche la magia che possiedi lo fa.” DUE MESI PIU’ TARDI, MAGGIO. Dopo allenamenti e meditazioni giornaliere durate mesi, Ipno era sempre fermo sullo stesso punto. Anzi, non c’era stato nessun miglioramento. Senza capire come, Dafne si era resa conto di un pericoloso riavvicinamento di Ipno ad Atropo e di un conseguente allontanamento da loro e da Selene. Il guardiano si stava trasformando, non era più la stessa persona, non era più quello con il quale i ragazzi erano cresciuti e avevano combattuto. I guardiani avrebbero tanto voluto capire cosa gli stesse succedendo. Ma Selene era stanca di voler capire e stanca di volerlo giustificare. Dopo varie discussioni e confessioni tra i due, Ipno aveva deciso di non rivolgerle la parola. Come se non ne fosse più degna, come se, invece di fargli del bene, la ragazza gli avesse fatto del male. Il potere che Selene gli aveva dato si indebolì dopo il loro allontanamento cominciando gradualmente a tornare in possesso della giovane e lei, ormai vuota, decise di riempirsi di altro. Decise di cambiare aria. Di andare dove nessuno pensava di poterla trovare. Cinisi, stazione ferroviaria. Selene si sedette su una panchina appena davanti al binario 4, quasi come se stesse aspettando qualcuno. Ma stava aspettando veramente qualcuno? Con lo sguardo fisso verso le persone che si preparavano ad intraprendere un nuovo viaggio, vide qualcuno, tra la folla, con un aspetto familiare. Panico si presentò davanti agli occhi di Selene molto cambiato rispetto a quello che era anni prima, 300 per essere precisi. Capelli scuri e corti, occhiali da sole dietro ai quali si nascondevano due occhi grandi e marroni, maglia a mezze maniche grigia con un teschio sul davanti, jeans stracciati e scarpe da ginnastica verde militare. Le mani nelle tasche dei pantaloni. Arrivato davanti a lei si sfilò gli occhiali da sole. Molto serio, a volte troppo. Dopo alcuni episodi che avevano segnato la sua vita, i suoi occhi erano diventati un pozzo senza fondo, persi, neri, bui. Nonostante avesse pochi anni più della guardiana che aveva di fronte, i suoi erano gli occhi di una persona costretta, per forza di cose, a crescere troppo in fretta. Di un guardiano cresciuto troppo in fretta. Guardiano di cosa, vi chiederete? Non si sapeva più. Lui non lo sapeva più. Controllava praticamente tutto, manipolava la materia pur non essendone il guardiano vero e proprio. A volte avrebbe voluto manipolare il proprio cervello, manovrarne i pensieri e i ricordi. Peccato che quelli non fossero fatti di materia. Anche se controllava la stessa magia degli altri ragazzi, non poteva prendere le sue memorie e bruciarle, annegarle, sotterrarle o buttarle nel vento. Erano diventate come un mostro che al buio gli mangiava l’anima. Con una sigaretta nella mano e un accendino nell’altra pensò:-”Ciao 11.” e fece un tiro. Separati da un potere più forte di loro ma che, anche se più forte, gli era sconosciuto, i due erano stati slegati a lungo. Molto spesso capitava che, attraversando il portale nello stesso momento, si trovassero faccia a faccia. Vicini, ma non abbastanza da potersi toccare realmente. Anche se c’era uno sforzo da entrambe le parti, allungare il braccio verso l’altro non bastava per poterlo sfiorare. Quando Selene si trovava di fronte Panico sentiva scaldarsi il cuore e aveva sempre pensato che anche il cuore di lui si scaldasse, proprio come accadeva al suo. Lo pensava, ma non ne era certa. Per qualche oscuro motivo l’anima di Panico era l’unica che non riusciva a leggere del tutto e lo stesso valeva anche per lui. Riuscivano a leggersi nel pensiero e a parlare tramite la telepatia, ma con un limite. Oltrepassato quello non erano capaci di andare oltre, come un muro. Era l’unico libro ancora chiuso, per lei. “Ciao 13.” Rispose lei, tirandogli via dalla mano la sigaretta accesa e bruciandosi il palmo:-“Sei in anticipo.” Disse con una smorfia di dolore sul viso, dovuta alla bruciatura. Non rispose. Lei partì istintivamente in un abbraccio, ma le sembrò quasi come se lui non lo volesse. In principio era rigido, poi si sciolse. Uno stomaco affamato ruppe la stretta:-“Andiamo a mangiare?” chiese 13. Prendendo la mano di lui, quella senza sigaretta, catapultò se stessa e il compagno altrove. Intanto al tempio Nemesi cercava Selene. Ipno era cupo e silenzioso e mentre Caos non riusciva a fare nulla che denotasse un qualche cambiamento positivo, l’altro continuava a peggiorare. Ipno si sentiva come se non avesse più luce nella sua vita, era tutto buio adesso. Non riusciva a capire, però, se questa sensazione dipendesse da Atropo o da Selene. Dalla presenza di una o dall’assenza dell’altra. Nonostante un dispiacere iniziale, per Selene fu meraviglioso riavere indietro la sua magia, non si era mai sentita meglio. Non si era mai sentita più se stessa, se non in quel momento. Forse il suo posto non era con Ipno, forse non era così che doveva andare. Forse non doveva condividere realmente qualcosa con il guardiano, se non quel poco che c’era stato e che al contempo si era rotto senza possibilità di tornare intatto. La guardiana dell’acqua aveva cercato quella della luce nella mente, setacciando i pensieri delle persone nel suo raggio d’azione senza riuscire a trovare quelli dell’amica. In compenso, nella testa di qualcun altro era riuscita a trovare il nome che cercava. Selene aveva limitato i suoi pensieri ma non quelli di Panico, e fu lì che Nemesi la trovò. Teletrasportarsi dove aveva identificato il segnale le fu difficile perché non conosceva il luogo, ma tutto sommato non le fu così complicato come pensava in principio. Giunta anche lei a Cinisi, trovò chi cercava in una gelateria. “E questo chi è?!” chiese quando si trovò di fronte i due ragazzi, come arrabbiata del fatto che Selene fosse lì con quel tizio sconosciuto piuttosto che al tempio ad aiutare loro. Era un tono severo quello nella voce di Nemesi. Quando alzò gli occhi e ritrovò quelli inflessibili della compagna d’avventure, 11 sbiancò tutta in una volta. “Tu cosa ci fai qui?” le venne da chiedere a sua volta. Panico accese un’altra sigaretta, fece un tiro e buttò fuori ciò che non poteva tenere dentro. Selene avrebbe voluto essere capace di farlo con le emozioni; buttarle fuori quando non puoi tenerle dentro. Quando bruciano come un medicinale. Eppure fino a pochi minuti prima dell’arrivo di Nemesi lei stava bene, non le interessavano più le condizioni di Ipno. In fin dei conti a lui non interessava come stava lei. Perché avrebbe dovuto suscitarle interesse lo stato d’animo dell’amico? “Che parolone “amico” ”, pensò. Ultimamente era dell’idea che loro non erano mai stati veramente amici. Erano solo due persone con dei destini distinti e separati, mai in grado di toccarsi, come gli asintoti. I loro destini erano degli asintoti. E poi, si ripeteva Selene nei momenti in cui dubitava di aver agito bene, lei aveva provato a “mettere in salvo” Ipno e lui non aveva voluto essere salvato. Quindi perché scomporsi? Perché aggrapparsi a quell’insignificante ricordo che era l’Ipno conosciuto prima di tutte le vicissitudini che li aveva “uniti”? Perché se dovessimo dire tutta la verità, le avversità che avevano vissuto non li avevano mai legati per davvero. Probabilmente perché non le avevano vissute insieme sul serio come, invece, aveva sempre pensato lei. “Lui è…” cominciò Selene, facendo una pausa per prendere tempo. “Sono Panico.” L’interruppe lui. La guardiana si girò di scatto, avrebbe voluto fulminarlo con i suoi occhi color cioccolato, invece dal suo sguardo trapelò un silenzioso e allo stesso tempo frastornante “Ma quando impari a stare zitto?!” L’amica alzò un sopracciglio con fare sospettoso e squadrò Panico. Contemporaneamente la testa della guardiana della luce si riempiva di qualcosa di soffice e ingombrante, come ovatta. Forse era ovatta sul serio, oppure erano solo dei pensieri che prendevano troppo spazio e, se vogliamo, inutili in una circostanza come quella. Nemesi intravide negli occhi di Selene la frase severa che aveva rivolto a Panico e facendo finta di non averla notata, ignorò la risposta del ragazzo, e ripeté “Chi è questo?”. A lui partì un’imprecazione. “Questa è scema.” Immaginò 13, ma lo aveva pensato così a bassa voce che la frase si perse nel nulla della sua mente. “C’è bisogno di te al tempio, Selene.” Aveva detto Nemesi “Ipno ha bisogno di te.” specificando dopo. “Ma io non ho bisogno di lui, e quando ne avevo bisogno lui ha fatto finta di niente. Egoisticamente parlando, potrei far finta di niente anch’io adesso..” rispose lei guardando negli occhi eterocromi Nemesi, ma fu lei stessa la prima a non credere a una sola delle parole che aveva pronunciato. Eppure ci si era impegnata tanto nel metterle insieme, voleva che ferissero, che fossero taglienti come le lame dei Range di Caos o come le katane di Ogre, ma non ci riusciva. Non era cattiva, la malizia che metteva nelle frasi che formulava veniva meno appena le terminava, fino a farle tornare semplicissime espressioni dette da una persona un po’ ferita, ansiosa solo di ricevere delle scuse sincere. Chi la conosceva, ormai, non dava tanto peso alle frasi che Selene faceva quando cominciava a irritarsi. Piano piano la sua ferita sarebbe guarita e tutto sarebbe tornato nel suo ordine iniziale senza che lei se ne rendesse immediatamente conto. “Non ti credo.” Rispose l’altra, sostenendone lo sguardo e poi guardando un punto indefinito alle spalle di Panico. “Neanche io.” Fece Selene, abbassando lo sguardo fino a guardarsi le scarpe. In un battito di ciglia furono tutti e tre al tempio. Niente gelato per Panico e Selene, l’avrebbero preso più tardi. Nel momento esatto in cui arrivarono Ipno scattò in piedi e si diresse verso Panico, e non con l’intenzione di stringergli la mano per dire “Piacere”. Quando si trovarono faccia a faccia il primo guardò dall’alto in basso Panico e disse “Chi sei e che diavolo ci fai qui?!”. L’altro non replicò; vide Selene avviarsi verso l’entrata del tempio e decise di seguire lei. Si scansò con un movimento fluido e armonioso continuando a camminare senza guardarsi indietro e senza ascoltare quello che urlava Ipno alle sue spalle. L’indifferenza di Panico fece innervosire Ipno, tanto che il ragazzo non poté fare a meno di prendere Primacy e cominciare ad avviarsi verso 13, nonostante lo scettro ormai non avesse nessun tipo di magia che gli permettesse di fronteggiare un’eventuale scontro con Panico. Ipno non ebbe ciò che cercava, lo sconosciuto mosse lentamente la mano destra come se stesse disegnando nel vuoto e fermò Ipno a due metri da lui, tenendogli i piedi incollati all’erba ancora bagnata di rugiada. Usando il suo potere, portò via dalle mani del ragazzo Primacy e lo ripose nelle mani di Nemesi, senza voltarsi neanche per un secondo. Poi ricominciò a camminare verso il tempio e solo una volta entrato lasciò che Ipno potesse muoversi liberamente. “Cosa mi ha fatto?” domandò a Nemesi, ma rispose Selene dall’interno del tempio “Lui controlla la materia.” Gradualmente il guardiano della terra si calmò, placò i bollenti spiriti e tornò pacifico. Porse le sue scuse a Panico e andò a stendersi sull’amaca appena fuori il tempio, posizionata tra un albero e l’altro rivolta verso ovest. Panico si chiese che problemi avesse Ipno nei suoi confronti; alla fine neanche conosceva il suo nome, come poteva essere così scontroso senza sapere nemmeno cosa spingesse lo stesso Panico a trovarsi lì? Quando si ritrovarono soli Selene esordì ancora una volta “Sei in anticipo. Non è la notte tra l’8 e il 9, è il 3 maggio, come fai a essere già qui?”. Senza smettere di guardare la luna lui pensò “Sentivo il bisogno di tornare alle origini e mi sei venuta in mente tu, ho provato a raggiungerti e incomprensibilmente sono riuscito a farlo. Avevo bisogno di staccare un po’. Sapevo di poterti trovare a Cinisi. Ne ero certo.” Sorrise con l’angolo della bocca. “Sono pochi i posti dove cercarmi.” Ricambiò il sorriso. Quando lo faceva, quando Selene sorrideva, le ridevano anche gli occhi. Come le era mancato quello di lui. Come le era mancato lui. Magari anche a lui era mancata lei. Quante ipotesi. Da quella sera Selene cambiò radicalmente, anche con Ipno. Se c’era da aiutarlo lo faceva e basta, era solo il suo dovere di guardiana. Nessun legame, nessun sentimento per lui. Solo dovere. Con Panico invece anche il dovere si trasformava in piacere. Era come quando erano piccoli, come se nulla fosse cambiato. Chissà, forse non era cambiato niente per davvero. Forse il loro legame persisteva nel tempo anche se si erano persi un po’ di vista, senza però mai perdersi veramente. Dafne rimase colpita da questa cosa, lei stessa non conosceva nessuno che fosse legato a un’altra persona in quel modo. Non era solo amicizia, ma non era tanto da essere amore. UN ANNO DOPO Ipno li aveva abbandonati, ormai seguiva solo ed esclusivamente Atropo. Non aveva più un proprio modo di pensare, ma assorbiva ciò che lei gli inculcava quasi meschinamente. Era perso. Panico parlò coi guardiani, Dafne e Nemesi gli spiegarono la situazione; l’infatuazione di Ipno, la perdita dei suoi poteri, i genitori scomparsi, il potere di Ipno disperso da qualche parte. C’era disperazione nel loro modo di spiegare. La guardiana del fuoco c’era rimasta così male che l’amico si fosse rivelato così scontroso e distaccato con lei. Prima erano così legati, si parlavano sempre. Non riusciva proprio a capire cosa fosse cambiato. Nemesi tornò dal ragazzo che amava, Mattia. Aveva deciso che tutte le tensioni che stava vivendo dovevano scivolarle via di dosso, e quella più “semplice” della quale sbarazzarsi era proprio la tensione che provava nel dover parlare con lui. Mattia sapeva di Nemesi, ma era cambiato anche lui e non provava più le stesse cose per la ragazza. Per quanto potesse farle male, al rifiuto del ragazzo la giovane esordì “Bene. Era esattamente quello che pensavo anch’io.” Quanto le riusciva male dire le bugie, quanto era chiaro che era solo una frottola, una frase buttata lì a caso per autoconvincersi che fosse tutto ok. Andò via senza guardarlo, senza salutare. Non le andava di farlo. Una volta in casa e poi in bagno, si specchiò. Osservò le occhiaie che le segnavano il viso, troppo stanche anche loro. Era ora di cambiare un po’ di cose. Radunati gli amici, più Panico, chiese di prendere di sorpresa Atropo durante la notte e provare a tirarle via i poteri tramite la magia dell’ultimo arrivato. La magia della loro nemica era molto densa e pesante. Se Panico controllava la materia poteva tirarle via la magia proprio grazie a questo fattore, tanto più che nel sonno non se ne sarebbe accorta minimamente. Decisero di entrare nella sua camera, quella che prima apparteneva ai genitori delle ragazze, e di controllare che nessuno interferisse. Ormai irriconoscibile, la stanza dove Dafne e Nemesi giocavano da bambine era diventata un cumulo di mobilia distrutta e polvere nera. Le venature rigavano i muri sempre di più e non era più possibile vederne il colore iniziale. Non era semplice per 13 tirare via da un corpo una materia così forte come quella di Atropo, quindi ogni distrazione era tempo in più che si perdeva e possibilità sempre crescenti di essere scoperti. Panico cominciò, ma più assorbiva potere più il potere stesso gli faceva del male. “E’ velenosa, velenosa vi dico! Panico, smetti di tirare via quella schifezza!!” urlò Selene. Come vorrei potervi dire che Panico riuscì a resistere, Atropo divenne inoffensiva e Ipno tornò ad essere quello di un tempo. Come mi farebbe piacere raccontarvi una storia come questa. La verità è che Selene non fece in tempo a finire la frase perché nel pronunciarla Panico vacillò, cadde a terra privo di sensi ed entrò Ipno ad attaccare quelli che prima considerava compagni. Inaspettatamente non era solo, un nuovo tizio lo affiancava armato di nunchaku. Continuava a farli roteare davanti a Dafne, Nemesi, Caos, Selene e Panico. Poi il buio.
  
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