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Autore: Defective Queen    18/09/2008    2 recensioni
Due ragazze, con diverse personalità e passato, si incontrano e diventano amiche, anche se sono entrambe due bugiarde e il loro rapporto non è mai quello che sembra.
Kate è straordinariamente bella, viziata, popolare con il sesso opposto e la reginetta (solo apparentemente) superficiale della scuola. Si dimostra gentile e amichevole con tutti, ma in realtà cova dentro di sè rancore verso gran parte delle persone e una glaciale freddezza nei rapporti umani. Roxanne ama disegnare ed essere eccentrica. Imbranata, testarda e sensibile, appena trasferitasi dalla Florida conquista al primo colpo tutti gli amici di Kate, e quest'ultima non può fare a meno di sentirsi minacciata dalla sua crescente popolarità.
Una volta che Roxanne entra nella sua vita, però, Kate cerca più di ogni altra cosa di continuare ad odiarla, ma i suoi sforzi ben presto si rivelano vani.
Questo, e molto altro, è "Beauty is the Beast".
Genere: Drammatico, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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14 aprile

 

14 aprile

 

 

Nessun prologo, niente chiacchiere. Parto subito con quello che è successo oggi, cercando di riportare il più possibile i dialoghi per quello che sono stati.

La scuola è filata via come al solito, Jason è arrabbiato con me per una ragione incomprensibile, Gutierez ha ripetuto di aver fiducia dell’operato mio e di Roxanne Miller e più tardi è iniziata la mia avventura.

Roxanne mi aveva invitata per le quattro del pomeriggio a casa sua, ma erano appena le tre e io ero già intenta a scegliere quello che dovevo indossare per l’occasione.

Non ho mai partecipato ad una sessione di studio in comune, perciò non sapevo se optare per uno stile sobrio, oppure casual, oppure un miscuglio tra sobrio e casual. C’è da precisare, inoltre, che non possiedo molti indumenti casual nel mio guardaroba: lo trovo troppo da adolescente provinciale arrabbiato con sé stesso e con il mondo. Io invece adoro me stessa e mi tratto bene, indossando solo cose che scelgo con estrema cura e dedizione.

Così, dopo un bel po’ di meditazione, ho scelto di indossare una semplice camicetta bianca con le maniche a tre quarti, una gonnellina beige e degli stivaletti di camoscio ai piedi, accompagnati da una borsa in coordinato.

Ero riuscita a cavar fuori dal mio doppio armadio niente di troppo pretenzioso, eppure, secondo i miei canoni, alquanto sfizioso.

Ho preso un taxi che mi ha portato fino a casa sua, sulla 512 Dallas e ho cercato l’abitazione descrittami da Roxanne. Non volevo portarmi dietro nessun fogliettino con le indicazioni, perciò mi sarei affidata solo alla mia memoria. Mi aveva parlato di una villetta dai muri bianchi (perfetto…ce n’erano a migliaia!), un giardino inglese nel quale erano stati piantati alcuni pini e un cancello rosso, alquanto vistoso e inconfondibile (o almeno così mi aveva detto la Miller).

Dopo aver vagabondato per qualche minuto in cerca di cancelli rossi e pini (visto che erano gli unici elementi meno comuni tra le altre case), ho trovato quella giusta. Lo sfavillante cancello in ferro, arzigogolato e scarlatto, risaltava subito all’occhio, a differenza degli altri cancelli neri o grigi, fin troppo comuni e boriosi.

Ero già in ritardo di un quarto d’ora, ma ovviamente essendo l’ospite d’onore tanto attesa, dovevo farmi attendere per un altro pochino.

Così ho perso altro tempo alla ricerca di cancelli rossi (che ovviamente non esistevano), prima di suonare finalmente al citofono giusto.

Mi ha risposto una voce squillante, ma non sapevo se fosse Roxanne o meno.

Rivelata la mia identità, con un piccolo scatto, il cancello è stato sbloccato e sono entrata in giardino.

Non ho potuto fare a meno di comparare tutto ciò con i sistemi di sicurezza installati a casa mia, equipaggiati di video camere e cancelli automatici a fibre ottiche. Tutto sommato, però, sistemi di sicurezza a parte, la casa sembrava piuttosto accogliente, considerando che la famiglia Miller si è trasferita qui da così poco tempo.

Ho raggiunto la porta d’ingresso nello stesso momento in cui si è aperta dall’interno, rivelando una sorridente Roxanne.

«Eccoti finalmente!», ha esclamato lei, trascinandomi praticamente dentro.

Il salotto, composto da un set di divani in pelle marrone e mobili in noce, era illuminato da una luce soffusa proveniente da due abat-jour e profumava di agrumi.

«Ho avuto un po’ di problemi a trovare l’indirizzo», ho confessato, «Comunque complimenti per la casa.»

«Oh grazie, ma questo è solo il soggiorno. A dire il vero è l’unica stanza che abbiamo sistemato completamente, per ora. La cucina e le camere da letto, soprattutto, sono ancora un completo casino. Comunque ti ho vista aggirarti qua attorno, sai? Pensavo avessi visto il cancello rosso, invece sei arrivata fino in fondo al Prensay-drive, poi sei tornata indietro e finalmente l’hai trovato!», ha commentato in un insolito tono entusiastico.

«E perché non mi hai chiamato se mi avevi vista arrivare? Mi avresti evitato un po’ di vagabondaggi», ho mentito, facendole credere di essermi persa davvero.

«Beh…ho immaginato che non avresti gradito il mio aiuto», ha commentato Roxanne. Io ho pensato che per una volta ci aveva proprio visto giusto: non avrei mai apprezzato qualunque tipo di aiuto proveniente da lei. Prima di poter anche solo cercare di formulare una risposta non offensiva, ma che al tempo stesso non negasse totalmente la sua considerazione precedente, lei è intervenuta nuovamente.

«Comunque, vieni con me, ti porto in sala da pranzo, non è ancora totalmente arredata, ma ci sono sedie e un tavolo e suppongo sia tutto ciò che ci serve.»

Ho annuito e l’ho seguita.

Sulla sua schiena scivolavano dei lunghi capelli mogano chiaro, ondulati verso le punte, che le sfioravano quasi la vita. Non l’avevo mai vista con i capelli sciolti prima di allora e ho pensato che fosse un vero peccato che li tenesse sempre costretti in una infantile trecciolina, a scuola.

Questo pomeriggio, invece, impediva ai ciuffi della frangia di scivolarle sugli occhi utilizzando una frontiera colorata e indossava una felpa blu, almeno di due taglie in più grandi con dei fuson neri sopra le ciabatte di peluche azzurre.

«Perdona l’abbigliamento fin troppo casalingo», si è scusata, aprendo la porta della sala da pranzo e invitandomi all’interno.

«Oh, non preoccuparti. E’ naturale che a casa propria ci si metta comodi», ho detto, evitando di specificare che io, d’altra parte, nei miei diciotto anni di vita, nemmeno tra le mura domestiche, avevo mai indossato tali straccetti.

Ho preso posto su una delle sedie attorno al tavolo, tenendo la mia borsetta in grembo. Roxanne stava pulendo il piano da lavoro con un panno umido.

«Li dovresti sciogliere i capelli. Stai meglio così.», le ho detto , incapace di trattenermi.

So che dovrei evitare di dare consigli alla mia cosiddetta rivale, se davvero prendo seriamente questa faccenda, è che, semplicemente, trovo uno spreco nascondere dei tratti così graziosi della sua persona, rendendoli comuni e banali come quelli di qualunque altro.

Roxanne mi ha sorriso, sedendosi di fronte a me, e ha detto: «Lo so, ma tenerli sciolti è un gran fastidio.»

Io ho alzato le sopracciglia irritata. Aveva appena detto qualcosa che si discostava totalmente dai miei canoni di giudizio.

«Non dovresti essere così pigra nel prenderti cura del tuo aspetto fisico. Se non ci pensi tu, chi altro credi lo farà?», l’ho rimproverata con un tono piccato.

Roxanne ha ridacchiato: «Siamo ferrei sull’argomento, uh?»

«Molto, molto ferrei.», ho risposto io.

In quel momento abbiamo sentito la porta d’ingresso aprirsi e una voce femminile gridare: «Sono tornata!»

Ho pensato che si trattasse della madre di Roxanne. Fino a quel momento non c’era stata traccia dei suoi genitori e probabilmente erano appena rincasati dopo aver fatto delle commissioni. Mi sono chiesta che tipo di famiglia Roxanne potesse avere.

Di primo acchito, avrei detto che si trattasse di una figlia unica, ma in seguito esaminando la situazione, ero giunta alla conclusione che la sua volontà di occuparsi autonomamente delle varie situazioni veniva da un ruolo di primogenita. Pensavo, quindi, che si trattasse della figlia primogenita di una famiglia non troppo numerosa. Mi domandai come dovessero essere i suoi genitori. Non avevo dubbi nel dipingere suo padre: sicuramente un uomo all’antica, il cui unico scopo è preservare la sua dolce figlioletta dalle manacce dei ragazzi che vogliono far colpo su di lei. Sua madre, invece, doveva essere indubbiamente una donna dolce e paziente, una di quelle persone con cui confidarsi, sapendo che i propri segreti resteranno in eterno al sicuro. Sperai, inoltre, che i fratelli più piccoli, o per lo meno quelli nati dopo Roxanne, non fossero rumorosi. Non sopporto avere dei piccoli scalpitanti e saltellanti in giro, nelle situazioni in cui devo utilizzare per bene il cervello. Anzi, a dire il vero, non sopporto mai i bambini scalpitanti.

La persona appena entrata ci ha raggiunte nella modesta sala da pranzo, quasi interamente spoglia, ad eccezione dei mobili fondamentali.

Una donna molto giovane, troppo giovane per essere la madre di Roxanne, ha fatto capolino da dietro la porta, rivolgendoci un sorriso sornione. Il suo comportamento, inoltre, era fin troppo giocoso per essere quello di una donna sposata con figli.

Con una mezza smorfia, Roxanne ha indicato la donna, apostrofandola come sua sorella.

«Piacere sono Madison!», ha cinguettato la ragazza.

E’ snella e socievole, ma sia i suoi capelli che gli occhi sono neri. Assomiglia ben poco a Roxanne.

Mi sono presentata, mantenendo un’espressione garbata e Madison (l’ho notato dal suo sguardo luccicante) era talmente entusiasta di me che non è riuscita a trattenersi dal farmi un sacco di complimenti.

So benissimo come fare in questo caso: sorridere e fingersi imbarazzati. Questo era il copione, sebbene considerassi quelle parole di lode, assieme a quelle già ricevute in precedenza, non più che una semplice constatazione della verità. Ho notato Roxanne guardarmi un tantino strano, ma non le ho chiesto perché.

In ogni caso, sono giunta alla conclusione che non potevo di certo affidarmi alle mie considerazioni precedenti, visto che avevo clamorosamente sbagliato, considerando Roxanne la figlia primogenita, o addirittura una figlia unica.

Madison è andata subito via, asserendo di dover terminare qualche altra faccenda, lasciando di nuovo sole me e Roxanne.

Con fatica, perché non ci trovavamo mai d’accordo, siamo riuscite a scrivere una perfetta introduzione. Roxanne, apparentemente esausta, mi ha proposto un’aranciata e io ho accettato.

Di solito non bevo bibite gassate, ma non volevo dimostrarmi troppo timida accettando solo dell’acqua, né mio malgrado potevo chiedere alcolici.

Mentre lei era via a prendere dei bicchieri, mi sono domandata che fine avessero fatto i suoi genitori. Erano quasi due ore e mezza che ero lì e nessuno (a parte la brevissima sosta della sorella) era più arrivato. Magari avrei potuto chiederlo direttamente a Roxanne.

Morivo dalla voglia di sapere qualcosa in più su di lei, sul segreto che certamente una faccia pulita come la sua nascondeva da qualche parte.

L’avrei smascherata per dimostrare a me e agli altri che, in fondo, la più pericolosa tra le due era lei. La mia corruzione era visibile, per certi aspetti, la sua invece veniva totalmente sviata da quel faccino angelico e innocente. Non l’avrebbe passata liscia.

Nello stesso momento in cui pensavo questo, ritrovando il motivo principale dal quale era scaturito il mio odio più profondo, avevo capito come fare per raggiungere il mio obiettivo.

Dovevo passare più tempo con lei, imparare le sue abitudini, conoscere i suoi gusti, le sue passioni, fino ad arrivare alla sua vera essenza. Non avrebbe potuto nascondersi: fingere alla lunga stanca e finiamo per rivelarci per ciò che siamo veramente con le persone con cui trascorriamo più tempo.

Per far questo, quindi, sarei dovuta diventare sua amica, stando attenta che lei non scoprisse veramente ciò che ero io, invece. Dovevo impedire a lei di fingere, accettando io stessa di dover recitare la parte dell’amicona per un periodo imprecisato.

Tutto sommato, però, ho pensato di potercela fare.

Ho sempre ottenuto tutto ciò che volevo e non sarà l’ostacolo del tempo a fermarmi. Fingerò anche per ogni secondo della mia vita se è necessario, ma devo sapere che un tale concentrato di altruismo e buoni sentimenti non è vero. Non prendo nemmeno in considerazione l’ipotesi che io possa sbagliarmi.

Sorseggiando quella fresca aranciata, sentendo le bollicine solleticarmi la gola, ho deciso questo: la mia guerra a Roxanne Miller è appena iniziata e poco mi importa del fatto che i mezzi da usare in battaglia possano essere sleali. Combatterò comunque con tutto ciò che possiedo.

In quanto nuova "amica", perciò, potevo permettermi qualche domanda, giusto?

«I tuoi dove sono?», ho buttato lì, cercando di sembrare casuale.

Roxanne mi ha guardata interdetta per una manciata di secondi e poi ha detto semplicemente: «Non ci sono.»

«Nel senso che non ci sono per ora, ma torneranno dopo?»

«No, nel senso che non vivono qui.», ha confessato lei, tranquillamente, come se la cosa non la riguardasse.

«Vivi sola con Madison?», ho chiesto a corto di fiato. Dov’era finito il padre super-gelosone e la madre comprensiva?

«Sì», ha confermato Roxanne, «Vivo solo con lei. I miei non stanno più insieme e io e mia sorella abbiamo deciso di essere abbastanza grandi per vivere autonomamente e così siamo andate via di casa e ci siamo trasferite qui.»

Ero completamente sbalordita: «Ma Madison quanti anni ha?», ho chiesto, tentando di nascondere lo shock.

«Quasi 23, a maggio. Io ne ho compiuti 18 a febbraio.»

«Oh, beh…direi che è una bella responsabilità vivere autonomamente già da quest’età. I tuoi sono divorziati? Per questo siete andate via?»

«Sì, hanno divorziato. Cioè…non proprio. Mio padre se n’è andato via prima che potesse firmare le carte per la pratica giuridica, quindi credo che secondo la legge siano ancora regolarmente sposati.», ha commentato lei, come se stesse davvero riflettendo sull’accaduto.

«E dove è andato, scusa?», le ho chiesto. Non mi importava che mi considerasse una ficcanaso, purché soddisfacesse la mia curiosità. Sapevo senza ombra di dubbio che l’avrebbe fatto.

Roxanne ha fatto spallucce: «Nessuno lo sa, altrimenti non lo daremmo per disperso di certo. So solo che aveva sempre detto di volersi costruire una nuova vita in Australia.»

«Come mai? Era insoddisfatto della sua vita qui?», ho domandato, questa volta in modo più impudente.

Roxanne ha risposto, sempre in tono calmo, sempre gentilmente: «No, affatto. Mio padre è sempre stata una persona molto entusiasta della vita. Era uno spasso averlo accanto. Soprattutto quando io e Madison eravamo piccole, facevamo tantissimi giochi e gli volevamo un bene infinito. Poi però, crescendo, ho notato che più che un padre, si comportava ancora come un bambino: era immaturo ed egoista. L’unica cosa che gli riusciva bene era giocare. Non mi meraviglio del fatto che mia madre l’abbia lasciato. Da allora lui è sparito: ha mollato il lavoro e arrivederci e grazie.»

Mi trattenevo a forza dal gesto spontaneo di spalancare la bocca come un pesce lesso.

«Mi dispiace», ho detto, non sapendo precisamente se fossi sincera oppure no, ma l’importante era che lei lo credesse. «E tua madre? Adesso dov’è?».

Lei ha esitato giusto per un secondo, poi ha ripreso a parlare: «Ha…un nuovo compagno e vive con lui. Suppongo lo conoscesse da un bel po' di tempo...anche prima che mollasse mio padre. Mia madre sembra felice con lui, ma non possono sposarsi proprio perché mio padre non ha firmato le carte del divorzio ed a tutti gli effetti è ancora una donna sposata ad un altro uomo. Se non dovesse tornare entro 5 anni, lo dichiareranno morto e mamma sarà finalmente considerata una vedova in grado di sposarsi nuovamente.»

Parlava in modo calmo, come un discorso che avesse ripetuto più volte.

«Capisco…», ho mormorato, vedendo l’ immagine della famiglia perfetta di Roxanne, proveniente dalla mia immaginazione, sgretolarsi come neve al sole.

«Posso chiederti ancora una cosa?», non le ho lasciato nemmeno il tempo di rispondere che ho ripreso: «Come mai l’Australia?»

Roxanne mi ha rivolto un sorriso mesto, dicendo: «Era fissato con i canguri e voleva vederne assolutamente uno vero. Quelli dello zoo gli parevano finti.»

«Secondo te, quindi, è andato là?»

«Sì. In qualche strana maniera sento che sta bene e, se è riuscito a realizzare il suo sogno, sono certa che adesso sia molto felice. Anche se separati, abbiamo trovato tutti il nostro equilibrio e va bene così. L’importante è riuscire ad essere sereni.»

Dal tono con cui parlava di lui, sembra essere molto affezionata a quel suo padre eterno Peter Pan.

«Come mai tu e Madison non siete restate a vivere con tua madre? Non vi piace il suo nuovo compagno?»

Roxanne si è bloccata nuovamente, come se fosse un argomento spinoso, ma ha ripreso rapidamente il controllo. E’ tornata nuovamente a parlare come una voce registrata: «No, lui è un tipo a posto. Voglio dire…è una persona per bene, in grado di prendersi adeguatamente cura di mia madre e questo è tutto ciò che avremmo potuto chiedergli. E’ solo che io e Madison non volevamo essere…d’intralcio. Lui soprattutto, con noi attorno, sembrava essere un po’ a disagio. Ha quasi dieci anni in meno a mia madre e la differenza di età è meno ridotta tra noi e lui, che tra lui e lei. Venivano a crearsi molte situazioni imbarazzanti quando io…cioè noi, eravamo attorno, quindi tre settimane fa ci siamo trasferite qui, dove Madison ha trovato un lavoro in grado di mantenerci entrambe, senza dover pesare sulle tasche di mia madre, ovviamente mobili a parte.»

«Mhm», ho mugugnato io, incapace di rispondere.

Sono passati alcuni secondi di silenzio, poi Roxanne è tornata energetica, come se morisse dalla voglia di cambiare discorso.

«Non pensi che la mia sia una famiglia alquanto pazza?», mi ha domandato lei, ironica, sebbene con un sorriso.

Io sono stata tentata per un momento dal dirle di sì, ma mi sono trattenuta ed ho optato per una risposta più vaga: «Beh…sono cose che capitano…»

Al che, Roxanne è scoppiata a ridere, ma sembrava che stesse ridendo in modo forzato. «Sì, infatti, sono cose che capitano nelle soap-opera da quattro soldi.»

Nella sua voce c'era un evidente tono di rimpianto, difficile da ignorare.
Resami conto che insistere sull'argomento non mi avrebbe portata da nessun'altra parte, ho deciso di parlare d’altro, riportando la sua concentrazione sul compito assegnatoci da Gutierez.

Per un momento mi era davvero dispiaciuto per lei, sinceramente, ma ho scacciato rapidamente questo pensiero.

Considerando ciò che ho intenzione di fare, non posso permettere alla pietà di offuscare l’odio che provo per lei.

Abbiamo terminato il discorso di benvenuto entro le nove di sera, senza incontrare particolari intralci nel resto della scrittura. A lavoro concluso, Roxanne si è stiracchiata come un gatto, alzando le braccia all’insù e sbadigliando ampiamente, mentre io ho cercato di restare un po’ più composta, anche se mi sentivo stanca e intorpidita quanto lei.

«Ti ringrazio per la compagnia», mi ha poi detto, accompagnandomi verso la porta.

«Non c’è bisogno di ringraziarmi. E’ stato un pomeriggio piacevole», ho risposto in modo affabile, considerando la missione “Diventare Amica di Roxanne Miller”, appena iniziata.

Mi piacerebbe pensare di essermi annoiata a morte in sua presenza, ma non è per niente così. Mi incuriosisce, tutto qui, e la mia curiosità mi impedisce di annoiarmi, suppongo.

Mentre ero in taxi e tornavo verso casa, Jeff mi ha chiamato per invitarmi ad andare a cena con lui, ma io ho rifiutato asserendo di non stare bene, anche se la verità è che non vedevo l’ora di tornare a casa e scrivere il diario come sto facendo ora.

Lo sapevo, è diventata un’ossessione!

Adesso smetto però, sennò potrei credere che questa mia mania sia diventata ancora più grave di quello che creda…

 

Kate.

 

16 aprile

 

 

Eccomi qua ad appena una due settimane dall’arrivo degli stranieri. Vorrei proprio capire come mai mi importi così tanto di una sciocchezza simile, eppure non posso far niente per negarlo: è la verità. Le prenotazioni al catering e tutto il resto concernente il cibo è stato già portato a termine, ho contattato anche la band che suonerà dal vivo quella sera (fortunatamente il batterista era un mio ex ancora cotto di me, perciò convincerli a collaborare non è stato difficile, utilizzando lui come mia pedina), l’unico problema sono le decorazioni, visto che il nostro disegnatore per eccellenza, Simon Lebrosky , ci ha abbandonati.

Il motivo?

Beh…sono io.

Ad essere sinceri, non gradivo affatto quel suo lavoro fatto di murales tutti intricati, perché nemmeno la scritta “Benvenuti” era più distinguibile tra gli scarabocchi, perciò, quando gliel’ho fatto educatamente notare, lui è andato su tutte le furie, asserendo che quella era la sua arte e lui non avrebbe più disegnato per degli incompetenti come me.

Al che, io che non sono mai stata chiamata incompetente da nessuno prima di allora, ho preso una di quelle bombolette che Simon usa per disegnare, e di nascosto, senza che nessuno potesse vedermi, l’ho fatta scivolare a terra, facendo in modo che lui vi inciampasse sopra. Quello che non mi sarei mai aspettata però, era che Lebrosky, nel tentativo di bloccare la caduta, si rompesse in un solo colpo il polso destro.

Una vocina nella mia testa ha persino gridato: STRIKE!

In ogni caso, per colpa di questo inconveniente, adesso i cartelloni sono tutti da rifare e, contando il fatto che dovremo riempire buona parte dell’enorme palestra scolastica, non è affatto un compito facile avendo semplicemente due settimane di tempo.

Non ho mai visto Roxanne così preoccupata: correva avanti e dietro, cercando di aiutare Simon, mentre veniva tartassata di domande da tutti gli altri che, disperati, le domandavano come avrebbero fatto adesso. Malgrado ciò, lei non ha perso la pazienza nemmeno una volta, cercando di fare tutte e due le cose temporaneamente, con gentilezza e la sua solita pacatezza.

Simon ululava come un animale e io ho pensato disgustata che stesse esagerando fin troppo per una piccola slogatura, quando il docente di educazione fisica, responsabile dell’infermeria, esaminando il polso gonfio e violaceo, ha affermato che si trattava invece di una frattura.

Sentendo quelle parole, un po’ di rimorso m’è venuto, ma non era niente in comparazione alla soddisfazione che avevo provato nel vedere quel piccolo impudente gridare di dolore.

Qualcuno si è girato verso di me guardandomi strano e io mi sono accorta di star sorridendo un po’ troppo, ma bene o male nessuno si è azzardato a dire niente. Anzi, ad esser sinceri, penso che abbiano interpretato la caduta di Simon come una punizione divina nei confronti di chi si è permesso di farmi uno sgarro.

L’ennesima conferma che Kate è intoccabile.

A pranzo, due delle quattro Gallinelle erano assenti e così, le amichette di Roxanne Miller, vista la “confidenza” intercorrente tra me e la loro migliore amica (impegnata ad accompagnare Simon in ospedale), si sono permesse di accomodarsi al mio tavolo, ostentando una faccia tosta non indifferente. Nancy e Rita, si sono strette tra loro, dietro di me, quasi temendo di essere contaminate dalla banalità delle altre due. Io, invece, ho cercato di mantenere la buona educazione che vanto spesso di possedere. Usando semplicemente il mio buon senso, ben più sviluppato di quello dei polli, sapevo benissimo che non esisteva minimamente il pericolo di restare contagiati dalla loro impopolarità, bensì il rischio più grave era che gli altri plebei, vale a dire gli sfigati dell’intera scuola, dopo questo mio gesto di magnanimità nei confronti delle amiche della Miller, iniziassero a credere che fosse possibile avvicinarsi a me così facilmente.

Per evitare la catastrofe c’erano solo due possibilità: elevare le compagne di Roxanne al rango di popolari, oppure spedirle indietro direttamente da dove erano venute. Senza alcun dubbio, optavo per la seconda ipotesi, eppure, Roxanne, con o senza il mio intervento, era stata popolare sin dal primo giorno e lo era tutt’ora, malgrado il polverone della “nuova arrivata” si fosse quasi del tutto acquietato. Dunque, con o senza di me, Patty Mason e l’altra ragazzina scialba di cui non avevo mai saputo il nome, avevano i loro contatti tra le persone popolari, utilizzando Roxanne come primo ponte verso i tizi importanti della scuola. Ciò spiegava anche il modo con il quale erano arrivate fino a me.

Riflettendoci su, ho sentito montarmi dentro un’ondata di stizza, non tanto per me, quanto per Roxanne che sembrava realmente affezionata a quelle due piccole opportuniste in cerca di attenzione.

Io sono sempre stata abituata a non avere veri amici: tutto ciò che conosco sono amicizie di convenienza e ragazzi con cui spassarmela la sera.

Certo, è vero, le Gallinelle mi stanno attorno dalle elementari, cercando di reggere il mio passo, ma sono sempre rimaste inequivocabilmente indietro.

Un amico, invece, per quello che ho potuto capire, è qualcuno che ti cammina accanto, qualcuno che ha il tuo stesso ritmo, qualcuno che non ti molla mai.

E in qualche modo mi dispiace, anche se non ho idea di cosa sia realmente un rapporto di amicizia, perché potrei metterci la mano sul fuoco che Roxanne sia seria a proposito delle sue amiche.

Non ho mica ammesso di credere al suo aspetto da santarellina, proclamandola come una persona “vera”. Sul fatto che lei stia nascondendo qualcosa, non ho assolutamente nessun dubbio e intendo smascherarla una volta per tutte, eppure in quanto bugiarda so riconoscere chi mente sui sentimenti, cosa che invece per quanto riguarda le sue amichette, Roxanne non fa.

Chissà…magari scoprire la verità sull’opportunismo delle sue amiche, le farà mettere i piedi per terra e rivelerà finalmente la sua vera natura.

Tutti dobbiamo pagare un prezzo, sempre. E questo deve capirlo anche Roxanne Miller.

 

P.S. Nick è tornato all’attacco, dicendo che gli manco da impazzire e non ce la fa senza di me. E’ stato così romantico e disperato che non ho potuto fare a meno di accettare un suo invito a cena.

Jason, che era arrabbiato con me fino a qualche giorno fa, si è arreso dopo qualche mia moina, tornando nuovamente ai miei piedi.

Mi vedo con Jeff, quando non ha gli allenamenti di basket, e Mike, il mio ex della band che abbiamo contattato per la festa di benvenuto, mi ha chiesto se voglio andare con lui al ballo che si terrà la stessa sera in cui arriveranno gli stranieri. Io ho obbiettato che sarebbe stato impegnato a suonare, ma lui ha detto che non dovevo assolutamente preoccuparmi perché poteva farsi sostituire. Ora, però, il problema è che se dovessi accettare la sua proposta, Jason e Jeff andrebbero su tutte le furie (dannazione alle loro manie di possesso!) e Nick, se venisse a saperlo, come minimo si suiciderebbe sul colpo. L’unica soluzione è non andare con nessuno dei quattro, anche se sarebbe un’umiliazione per me, la regina della scuola, presentarsi da sola al ballo…

Forse dovrei aspettare che arrivino gli stranieri: in tal caso né Jason, né Jeff, né Mike potrebbero fare niente, perché quelli se ne andranno prima che possano anche alzare un solo dito e la situazione sarebbe risolta.

Però…c’è sempre un però…cosa farò se gli stranieri sono tutti dei gran bruttoni e tra loro non me ne piace nemmeno uno?

 

Oh! Povera me!

 

 

***

 

 

*Nuovo capitolo!*

 

Ringrazio Pigna e Laprinc per le recensioni, anche se vorrei specificare a Laprinc che io, l’autrice della storia, non sono Kate e tutta la storia è puramente un prodotto della mia immaginazione. Utilizzo la prima persona come narrazione semplicemente perchè lo trovo un modo più semplice di trasmettere ciò che la protagonista prova e anche perchè ho appunto scelto di raccontare la storia tramite lo stratagemma del diario. Quando scrivo di Kate, da una parte rido come una matta, perché a volte i suoi ragionamenti rasentano il ridicolo, dall’altra, mi chiedo se esistano davvero delle persone così esagerate…beh, alla fine devo dire che sì, ci sono realmente persone così…anche se questa è una realtà diametralmente opposta dalla mia. Diciamo che io sono un po’ più una Roxanne, piuttosto che una Kate, anche se in me convivono entrambe loro due e al tempo stesso sono due cose diverse. Distinguiamo, quindi, quello che è una fiction dalla vita vera ;)

 

In ogni caso, spero che continuerete a seguirmi e a commentare, perché sentire le vostre opinioni mi ha fatta molto felice!

 

Al prossimo aggiornamento!

   
 
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