14 aprile
Nessun prologo, niente
chiacchiere. Parto subito con quello che è successo oggi, cercando di riportare
il più possibile i dialoghi per quello che sono stati.
La scuola è filata via
come al solito, Jason è arrabbiato con me per una ragione incomprensibile, Gutierez ha ripetuto di aver fiducia dell’operato mio e di
Roxanne Miller e più tardi è iniziata la mia avventura.
Roxanne mi aveva invitata
per le quattro del pomeriggio a casa sua, ma erano appena le tre e io ero già
intenta a scegliere quello che dovevo indossare per l’occasione.
Non ho mai partecipato ad
una sessione di studio in comune, perciò non sapevo se optare per uno stile
sobrio, oppure casual, oppure un miscuglio tra sobrio e casual. C’è da
precisare, inoltre, che non possiedo molti indumenti casual nel mio guardaroba:
lo trovo troppo da adolescente provinciale arrabbiato con sé stesso e con il
mondo. Io invece adoro me stessa e mi tratto bene, indossando solo cose che
scelgo con estrema cura e dedizione.
Così, dopo un bel po’ di
meditazione, ho scelto di indossare una semplice camicetta bianca con le
maniche a tre quarti, una gonnellina beige e degli stivaletti di camoscio ai
piedi, accompagnati da una borsa in coordinato.
Ero riuscita a cavar fuori
dal mio doppio armadio niente di troppo pretenzioso, eppure, secondo i miei
canoni, alquanto sfizioso.
Ho preso un taxi che mi ha
portato fino a casa sua, sulla 512 Dallas e ho cercato l’abitazione descrittami
da Roxanne. Non volevo portarmi dietro nessun fogliettino
con le indicazioni, perciò mi sarei affidata solo alla mia memoria. Mi aveva
parlato di una villetta dai muri bianchi (perfetto…ce n’erano a migliaia!), un
giardino inglese nel quale erano stati piantati alcuni pini e un cancello rosso,
alquanto vistoso e inconfondibile (o almeno così mi aveva detto
Dopo aver vagabondato per
qualche minuto in cerca di cancelli rossi e pini (visto che erano gli unici
elementi meno comuni tra le altre case), ho trovato quella giusta. Lo
sfavillante cancello in ferro, arzigogolato e scarlatto, risaltava subito
all’occhio, a differenza degli altri cancelli neri o grigi, fin troppo comuni e
boriosi.
Ero già in ritardo di un
quarto d’ora, ma ovviamente essendo l’ospite d’onore tanto attesa, dovevo farmi
attendere per un altro pochino.
Così ho perso altro tempo
alla ricerca di cancelli rossi (che ovviamente non esistevano), prima di
suonare finalmente al citofono giusto.
Mi ha risposto una voce
squillante, ma non sapevo se fosse Roxanne o meno.
Rivelata la mia identità,
con un piccolo scatto, il cancello è stato sbloccato e sono entrata in
giardino.
Non ho potuto fare a meno
di comparare tutto ciò con i sistemi di sicurezza installati a casa mia, equipaggiati
di video camere e cancelli automatici a fibre ottiche.
Tutto sommato, però, sistemi di sicurezza a parte, la casa sembrava piuttosto
accogliente, considerando che la famiglia Miller si è trasferita qui da così
poco tempo.
Ho raggiunto la porta
d’ingresso nello stesso momento in cui si è aperta dall’interno, rivelando una
sorridente Roxanne.
«Eccoti finalmente!», ha
esclamato lei, trascinandomi praticamente dentro.
Il salotto, composto da un
set di divani in pelle marrone e mobili in noce, era
illuminato da una luce soffusa proveniente da due abat-jour e
profumava di agrumi.
«Ho avuto un po’ di
problemi a trovare l’indirizzo», ho confessato, «Comunque complimenti per la
casa.»
«Oh grazie, ma questo è solo il soggiorno. A dire il
vero è l’unica stanza che abbiamo sistemato completamente, per ora. La cucina e
le camere da letto, soprattutto, sono ancora un completo casino. Comunque ti ho
vista aggirarti qua attorno, sai? Pensavo avessi visto il cancello rosso,
invece sei arrivata fino in fondo al Prensay-drive,
poi sei tornata indietro e finalmente l’hai trovato!»,
ha commentato in un insolito tono entusiastico.
«E perché non mi hai chiamato se mi avevi vista
arrivare? Mi avresti evitato un po’ di vagabondaggi»,
ho mentito, facendole credere di essermi persa davvero.
«Beh…ho immaginato che non
avresti gradito il mio aiuto», ha
commentato Roxanne. Io ho pensato che per una volta ci aveva proprio visto
giusto: non avrei mai apprezzato
qualunque tipo di aiuto proveniente da lei. Prima di poter anche solo cercare
di formulare una risposta non offensiva, ma che al tempo stesso non negasse
totalmente la sua considerazione precedente, lei è intervenuta nuovamente.
«Comunque, vieni con me,
ti porto in sala da pranzo, non è ancora totalmente arredata, ma ci sono sedie
e un tavolo e suppongo sia tutto ciò che ci serve.»
Ho annuito e l’ho seguita.
Sulla sua schiena
scivolavano dei lunghi capelli mogano chiaro, ondulati verso le punte, che le
sfioravano quasi la vita. Non l’avevo mai vista con i capelli sciolti prima di
allora e ho pensato che fosse un vero peccato che li tenesse sempre costretti
in una infantile trecciolina,
a scuola.
Questo pomeriggio, invece,
impediva ai ciuffi della frangia di scivolarle sugli occhi utilizzando una
frontiera colorata e indossava una felpa blu, almeno di due taglie in più grandi
con dei fuson neri sopra le ciabatte di peluche
azzurre.
«Perdona l’abbigliamento
fin troppo casalingo», si è scusata, aprendo la porta della sala da pranzo e
invitandomi all’interno.
«Oh, non preoccuparti. E’ naturale che a casa
propria ci si metta comodi», ho detto, evitando di
specificare che io, d’altra parte, nei miei diciotto anni di vita, nemmeno tra
le mura domestiche, avevo mai indossato tali straccetti.
Ho preso posto su una
delle sedie attorno al tavolo, tenendo la mia borsetta in grembo. Roxanne stava
pulendo il piano da lavoro con un panno umido.
«Li dovresti sciogliere i capelli. Stai meglio
così.», le ho detto , incapace di trattenermi.
So che dovrei evitare di
dare consigli alla mia cosiddetta rivale, se davvero prendo seriamente questa
faccenda, è che, semplicemente, trovo uno spreco nascondere dei tratti così
graziosi della sua persona, rendendoli comuni e banali come quelli di qualunque
altro.
Roxanne mi ha sorriso,
sedendosi di fronte a me, e ha detto: «Lo so, ma tenerli sciolti è un gran
fastidio.»
Io ho alzato le sopracciglia irritata. Aveva appena detto qualcosa che si
discostava totalmente dai miei canoni di giudizio.
«Non dovresti essere così pigra nel prenderti cura
del tuo aspetto fisico. Se non ci pensi tu, chi altro credi
lo farà?», l’ho rimproverata con un tono piccato.
Roxanne ha ridacchiato:
«Siamo ferrei sull’argomento, uh?»
«Molto, molto ferrei.», ho
risposto io.
In quel momento abbiamo
sentito la porta d’ingresso aprirsi e una voce femminile gridare: «Sono
tornata!»
Ho pensato che si
trattasse della madre di Roxanne. Fino a quel momento non c’era stata traccia
dei suoi genitori e probabilmente erano appena rincasati dopo aver fatto delle
commissioni. Mi sono chiesta che tipo di famiglia Roxanne potesse avere.
Di primo acchito, avrei
detto che si trattasse di una figlia unica, ma in seguito esaminando la
situazione, ero giunta alla conclusione che la sua volontà di occuparsi
autonomamente delle varie situazioni veniva da un ruolo di primogenita.
Pensavo, quindi, che si trattasse della figlia primogenita di una famiglia non
troppo numerosa. Mi domandai come dovessero essere i suoi genitori. Non avevo
dubbi nel dipingere suo padre: sicuramente un uomo all’antica, il cui unico
scopo è preservare la sua dolce figlioletta dalle manacce dei ragazzi che
vogliono far colpo su di lei. Sua madre, invece, doveva essere indubbiamente
una donna dolce e paziente, una di quelle persone con cui confidarsi, sapendo
che i propri segreti resteranno in eterno al sicuro. Sperai, inoltre, che i
fratelli più piccoli, o per lo meno quelli nati dopo Roxanne, non fossero
rumorosi. Non sopporto avere dei piccoli scalpitanti e saltellanti in giro,
nelle situazioni in cui devo utilizzare per bene il cervello. Anzi, a dire il
vero, non sopporto mai i bambini
scalpitanti.
La persona appena entrata
ci ha raggiunte nella modesta sala da pranzo, quasi interamente spoglia, ad
eccezione dei mobili fondamentali.
Una donna molto giovane,
troppo giovane per essere la madre di Roxanne, ha fatto capolino da dietro la
porta, rivolgendoci un sorriso sornione. Il suo comportamento, inoltre, era fin
troppo giocoso per essere quello di una donna sposata con figli.
Con una mezza smorfia,
Roxanne ha indicato la donna, apostrofandola come sua sorella.
«Piacere sono Madison!»,
ha cinguettato la ragazza.
E’ snella e socievole, ma sia i suoi capelli che gli occhi sono neri. Assomiglia ben poco a Roxanne.
Mi sono presentata,
mantenendo un’espressione garbata e Madison (l’ho notato dal suo sguardo
luccicante) era talmente entusiasta di me che non è riuscita a trattenersi dal
farmi un sacco di complimenti.
So benissimo come fare in
questo caso: sorridere e fingersi imbarazzati. Questo era il copione, sebbene
considerassi quelle parole di lode, assieme a quelle già ricevute in
precedenza, non più che una semplice constatazione della verità. Ho notato
Roxanne guardarmi un tantino strano, ma non le ho chiesto perché.
In ogni caso, sono giunta
alla conclusione che non potevo di certo affidarmi alle mie considerazioni
precedenti, visto che avevo clamorosamente sbagliato, considerando Roxanne la
figlia primogenita, o addirittura una figlia unica.
Madison è andata subito
via, asserendo di dover terminare qualche altra faccenda, lasciando di nuovo
sole me e Roxanne.
Con fatica, perché non ci
trovavamo mai d’accordo, siamo riuscite a scrivere una perfetta introduzione.
Roxanne, apparentemente esausta, mi ha proposto un’aranciata e io ho accettato.
Di solito non bevo bibite
gassate, ma non volevo dimostrarmi troppo timida accettando solo dell’acqua, né
mio malgrado potevo chiedere alcolici.
Mentre lei era via a
prendere dei bicchieri, mi sono domandata che fine avessero fatto i suoi
genitori. Erano quasi due ore e mezza che ero lì e nessuno (a parte la brevissima
sosta della sorella) era più arrivato. Magari avrei potuto chiederlo
direttamente a Roxanne.
Morivo dalla voglia di
sapere qualcosa in più su di lei, sul segreto che certamente una faccia pulita
come la sua nascondeva da qualche parte.
L’avrei smascherata per
dimostrare a me e agli altri che, in fondo, la più pericolosa tra le due era
lei. La mia corruzione era visibile, per certi aspetti, la sua invece veniva
totalmente sviata da quel faccino angelico e innocente. Non l’avrebbe passata
liscia.
Nello stesso momento in
cui pensavo questo, ritrovando il motivo principale dal quale era scaturito il
mio odio più profondo, avevo capito come fare per raggiungere il mio obiettivo.
Dovevo passare più tempo
con lei, imparare le sue abitudini, conoscere i suoi gusti, le sue passioni,
fino ad arrivare alla sua vera essenza. Non avrebbe potuto nascondersi: fingere
alla lunga stanca e finiamo per rivelarci per ciò che siamo veramente con le
persone con cui trascorriamo più tempo.
Per far questo, quindi,
sarei dovuta diventare sua amica, stando attenta che lei non scoprisse
veramente ciò che ero io, invece. Dovevo impedire a lei di fingere, accettando
io stessa di dover recitare la parte dell’amicona per
un periodo imprecisato.
Tutto sommato, però, ho
pensato di potercela fare.
Ho sempre ottenuto tutto
ciò che volevo e non sarà l’ostacolo del tempo a fermarmi. Fingerò anche per
ogni secondo della mia vita se è necessario, ma devo sapere che un tale concentrato di altruismo e buoni sentimenti
non è vero. Non prendo nemmeno in considerazione l’ipotesi che io possa
sbagliarmi.
Sorseggiando quella fresca
aranciata, sentendo le bollicine solleticarmi la gola, ho deciso questo: la mia
guerra a Roxanne Miller è appena iniziata e poco mi importa del fatto che i
mezzi da usare in battaglia possano essere sleali. Combatterò comunque con tutto ciò che possiedo.
In quanto nuova "amica",
perciò, potevo permettermi qualche domanda, giusto?
«I tuoi dove sono?», ho
buttato lì, cercando di sembrare casuale.
Roxanne mi ha guardata
interdetta per una manciata di secondi e poi ha detto semplicemente: «Non ci
sono.»
«Nel senso che non ci sono
per ora, ma torneranno dopo?»
«No, nel senso che non
vivono qui.», ha confessato lei, tranquillamente, come se la cosa non la riguardasse.
«Vivi
sola con Madison?», ho chiesto a corto di fiato. Dov’era finito il padre
super-gelosone e la madre comprensiva?
«Sì», ha confermato
Roxanne, «Vivo solo con lei. I miei non stanno più
insieme e io e mia sorella abbiamo deciso di essere abbastanza grandi per vivere autonomamente e così siamo andate via di casa e
ci siamo trasferite qui.»
Ero completamente
sbalordita: «Ma Madison quanti anni ha?», ho chiesto, tentando di nascondere lo
shock.
«Quasi
«Oh, beh…direi che è una bella responsabilità vivere
autonomamente già da quest’età. I tuoi sono divorziati? Per questo siete andate
via?»
«Sì, hanno divorziato. Cioè…non proprio. Mio padre
se n’è andato via prima che potesse firmare le carte per la pratica giuridica,
quindi credo che secondo la legge siano ancora regolarmente sposati.», ha commentato lei, come se stesse davvero riflettendo
sull’accaduto.
«E dove è andato, scusa?»,
le ho chiesto. Non mi importava che mi considerasse una ficcanaso, purché soddisfacesse
la mia curiosità. Sapevo senza ombra di dubbio che l’avrebbe fatto.
Roxanne ha fatto
spallucce: «Nessuno lo sa, altrimenti non lo daremmo
per disperso di certo. So solo che aveva sempre detto di volersi costruire una
nuova vita in Australia.»
«Come mai? Era insoddisfatto della sua vita qui?», ho domandato, questa volta in modo più impudente.
Roxanne ha risposto,
sempre in tono calmo, sempre gentilmente: «No,
affatto. Mio padre è sempre stata una persona molto entusiasta della vita. Era
uno spasso averlo accanto. Soprattutto quando io e Madison eravamo piccole,
facevamo tantissimi giochi e gli volevamo un bene infinito. Poi però,
crescendo, ho notato che più che un padre, si comportava ancora come un
bambino: era immaturo ed egoista. L’unica cosa che gli riusciva bene era
giocare. Non mi meraviglio del fatto che mia madre l’abbia lasciato. Da allora
lui è sparito: ha mollato il lavoro e arrivederci e grazie.»
Mi trattenevo a forza dal
gesto spontaneo di spalancare la bocca come un pesce lesso.
«Mi dispiace», ho detto,
non sapendo precisamente se fossi sincera oppure no, ma l’importante era che
lei lo credesse. «E tua madre? Adesso dov’è?».
Lei ha esitato giusto per
un secondo, poi ha ripreso a parlare: «Ha…un nuovo
compagno e vive con lui. Suppongo lo conoscesse da un bel po' di tempo...anche prima che mollasse mio padre.
Mia madre sembra felice con lui, ma
non possono sposarsi proprio perché mio padre non ha firmato le carte del
divorzio ed a tutti gli effetti è ancora una donna sposata ad un altro uomo. Se
non dovesse tornare entro 5 anni, lo dichiareranno morto e mamma sarà
finalmente considerata una vedova in grado di sposarsi nuovamente.»
Parlava in modo calmo, come un discorso che avesse ripetuto più volte.
«Capisco…», ho mormorato, vedendo l’ immagine della famiglia perfetta di Roxanne, proveniente dalla mia immaginazione, sgretolarsi come neve al sole.
«Posso chiederti ancora
una cosa?», non le ho lasciato nemmeno il tempo di rispondere che ho ripreso: «Come
mai l’Australia?»
Roxanne mi ha rivolto un
sorriso mesto, dicendo: «Era fissato con i canguri e
voleva vederne assolutamente uno vero. Quelli dello zoo gli parevano finti.»
«Secondo te, quindi, è
andato là?»
«Sì. In qualche strana maniera sento che sta bene e,
se è riuscito a realizzare il suo sogno, sono certa che adesso sia molto
felice. Anche se separati, abbiamo trovato tutti il nostro equilibrio e va bene
così. L’importante è riuscire ad essere sereni.»
Dal tono con cui parlava di lui, sembra essere molto affezionata a quel suo padre eterno Peter Pan.
«Come mai tu e Madison non siete restate a vivere con tua madre? Non vi piace il suo nuovo compagno?»
Roxanne si è bloccata
nuovamente, come se fosse un argomento spinoso, ma ha ripreso rapidamente il
controllo. E’ tornata nuovamente a parlare come una voce registrata: «No, lui è un tipo a posto. Voglio dire…è una persona per
bene, in grado di prendersi adeguatamente cura di mia madre e questo è tutto
ciò che avremmo potuto chiedergli. E’ solo che io e Madison non volevamo essere…d’intralcio.
Lui soprattutto, con noi attorno, sembrava essere un po’ a disagio. Ha quasi dieci anni in meno a mia madre e la differenza di
età è meno ridotta tra noi e lui, che tra lui e lei. Venivano a crearsi molte
situazioni imbarazzanti quando io…cioè noi,
eravamo attorno, quindi tre settimane fa ci siamo trasferite qui, dove Madison
ha trovato un lavoro in grado di mantenerci entrambe, senza dover pesare sulle
tasche di mia madre, ovviamente mobili a parte.»
«Mhm»,
ho mugugnato io, incapace di rispondere.
Sono passati alcuni secondi
di silenzio, poi Roxanne è tornata energetica, come se morisse dalla voglia di
cambiare discorso.
«Non pensi che la mia sia
una famiglia alquanto pazza?», mi ha domandato lei, ironica, sebbene con un
sorriso.
Io sono stata tentata per
un momento dal dirle di sì, ma mi sono trattenuta ed ho optato per una risposta
più vaga: «Beh…sono cose che capitano…»
Al che, Roxanne è
scoppiata a ridere, ma sembrava che stesse ridendo in modo forzato. «Sì,
infatti, sono cose che capitano nelle soap-opera da quattro soldi.»
Nella sua voce c'era un evidente tono di rimpianto, difficile da ignorare.
Resami conto che insistere sull'argomento non mi avrebbe portata da nessun'altra parte, ho deciso di parlare d’altro, riportando la sua concentrazione
sul compito assegnatoci da Gutierez.
Per un momento mi era
davvero dispiaciuto per lei, sinceramente, ma ho scacciato rapidamente questo
pensiero.
Considerando ciò che ho
intenzione di fare, non posso permettere alla pietà di offuscare l’odio che
provo per lei.
Abbiamo terminato il
discorso di benvenuto entro le nove di sera, senza incontrare particolari
intralci nel resto della scrittura. A lavoro concluso, Roxanne si è
stiracchiata come un gatto, alzando le braccia all’insù e sbadigliando
ampiamente, mentre io ho cercato di restare un po’ più
composta, anche se mi sentivo stanca e intorpidita quanto lei.
«Ti ringrazio per la
compagnia», mi ha poi detto, accompagnandomi verso la porta.
«Non c’è bisogno di ringraziarmi. E’ stato un
pomeriggio piacevole», ho risposto in modo affabile,
considerando la missione “Diventare Amica di Roxanne Miller”, appena iniziata.
Mi piacerebbe pensare di
essermi annoiata a morte in sua presenza, ma non è per niente così. Mi
incuriosisce, tutto qui, e la mia curiosità mi impedisce di annoiarmi, suppongo.
Mentre ero in taxi e
tornavo verso casa, Jeff mi ha chiamato per invitarmi ad andare a cena con lui,
ma io ho rifiutato asserendo di non stare bene, anche se la verità è che non
vedevo l’ora di tornare a casa e scrivere il diario come sto facendo ora.
Lo sapevo, è diventata
un’ossessione!
Adesso smetto però, sennò
potrei credere che questa mia mania sia diventata ancora più grave di quello
che creda…
Kate.
16 aprile
Eccomi qua ad appena una due settimane dall’arrivo degli stranieri. Vorrei
proprio capire come mai mi importi così tanto di una sciocchezza simile, eppure
non posso far niente per negarlo: è la verità. Le prenotazioni al catering e
tutto il resto concernente il cibo è stato già portato a termine, ho contattato
anche la band che suonerà dal vivo quella sera
(fortunatamente il batterista era un mio ex ancora cotto di me, perciò
convincerli a collaborare non è stato difficile, utilizzando lui come mia
pedina), l’unico problema sono le decorazioni, visto che il nostro disegnatore
per eccellenza, Simon Lebrosky , ci ha abbandonati.
Il motivo?
Beh…sono io.
Ad essere sinceri, non
gradivo affatto quel suo lavoro fatto di murales tutti intricati, perché
nemmeno la scritta “Benvenuti” era più distinguibile tra gli scarabocchi,
perciò, quando gliel’ho fatto educatamente notare, lui è andato su tutte le
furie, asserendo che quella era la sua arte e lui non avrebbe più disegnato per
degli incompetenti come me.
Al che, io che non sono
mai stata chiamata incompetente da nessuno prima di allora, ho preso una di
quelle bombolette che Simon usa per disegnare, e di nascosto, senza che nessuno
potesse vedermi, l’ho fatta scivolare a terra, facendo in modo che lui vi
inciampasse sopra. Quello che non mi sarei mai aspettata però, era che Lebrosky, nel tentativo di bloccare la caduta, si rompesse
in un solo colpo il polso destro.
Una vocina nella mia testa
ha persino gridato: STRIKE!
In ogni caso, per colpa di
questo inconveniente, adesso i cartelloni sono tutti da rifare e, contando il
fatto che dovremo riempire buona parte dell’enorme palestra scolastica, non è
affatto un compito facile avendo semplicemente due settimane di tempo.
Non ho mai visto Roxanne
così preoccupata: correva avanti e dietro, cercando di aiutare Simon, mentre
veniva tartassata di domande da tutti gli altri che, disperati, le domandavano
come avrebbero fatto adesso. Malgrado ciò, lei non ha perso la pazienza nemmeno
una volta, cercando di fare tutte e due le cose temporaneamente, con gentilezza
e la sua solita pacatezza.
Simon ululava come un
animale e io ho pensato disgustata che stesse esagerando fin troppo per una
piccola slogatura, quando il docente di educazione fisica, responsabile
dell’infermeria, esaminando il polso gonfio e violaceo, ha affermato che si
trattava invece di una frattura.
Sentendo quelle parole, un
po’ di rimorso m’è venuto, ma non era niente in comparazione alla soddisfazione
che avevo provato nel vedere quel piccolo impudente gridare di dolore.
Qualcuno si è girato verso
di me guardandomi strano e io mi sono accorta di star sorridendo un po’ troppo,
ma bene o male nessuno si è azzardato a dire niente. Anzi, ad esser sinceri,
penso che abbiano interpretato la caduta di Simon come una punizione divina nei
confronti di chi si è permesso di farmi uno sgarro.
L’ennesima conferma che Kate
è intoccabile.
A pranzo, due delle
quattro Gallinelle erano assenti e così, le amichette di Roxanne Miller, vista
la “confidenza” intercorrente tra me e la loro migliore amica (impegnata ad accompagnare Simon in ospedale),
si sono permesse di accomodarsi al mio tavolo, ostentando una faccia tosta non
indifferente. Nancy e Rita, si sono strette tra loro, dietro di me, quasi
temendo di essere contaminate dalla banalità delle altre due. Io, invece, ho
cercato di mantenere la buona educazione che vanto spesso di possedere. Usando
semplicemente il mio buon senso, ben più sviluppato di quello dei polli, sapevo
benissimo che non esisteva minimamente il pericolo di restare contagiati dalla
loro impopolarità, bensì il rischio più grave era che gli altri plebei, vale a
dire gli sfigati dell’intera scuola, dopo questo mio gesto di magnanimità nei
confronti delle amiche della Miller, iniziassero a credere che fosse possibile
avvicinarsi a me così facilmente.
Per evitare la catastrofe
c’erano solo due possibilità: elevare le compagne di Roxanne al rango di
popolari, oppure spedirle indietro direttamente da dove erano venute. Senza
alcun dubbio, optavo per la seconda ipotesi, eppure, Roxanne, con o senza il
mio intervento, era stata popolare sin dal primo giorno e lo
era tutt’ora, malgrado il polverone della “nuova
arrivata” si fosse quasi del tutto acquietato. Dunque, con o senza di me, Patty
Mason e l’altra ragazzina scialba di cui non avevo
mai saputo il nome, avevano i loro contatti tra le persone popolari,
utilizzando Roxanne come primo ponte verso i tizi importanti della scuola. Ciò
spiegava anche il modo con il quale erano arrivate fino a me.
Riflettendoci su, ho
sentito montarmi dentro un’ondata di stizza, non tanto per me, quanto per
Roxanne che sembrava realmente affezionata a quelle due piccole opportuniste in
cerca di attenzione.
Io sono sempre stata
abituata a non avere veri amici: tutto ciò che conosco sono amicizie di
convenienza e ragazzi con cui spassarmela la sera.
Certo, è vero, le
Gallinelle mi stanno attorno dalle elementari, cercando di reggere il mio
passo, ma sono sempre rimaste inequivocabilmente indietro.
Un amico, invece, per
quello che ho potuto capire, è qualcuno che ti cammina accanto, qualcuno che ha
il tuo stesso ritmo, qualcuno che non ti molla mai.
E in qualche modo mi
dispiace, anche se non ho idea di cosa sia realmente un rapporto di amicizia,
perché potrei metterci la mano sul fuoco che Roxanne sia seria a proposito
delle sue amiche.
Non ho mica ammesso di
credere al suo aspetto da santarellina, proclamandola come una persona “vera”.
Sul fatto che lei stia nascondendo qualcosa, non ho assolutamente nessun dubbio
e intendo smascherarla una volta per tutte, eppure in quanto bugiarda so
riconoscere chi mente sui sentimenti, cosa che invece per quanto riguarda le
sue amichette, Roxanne non fa.
Chissà…magari scoprire la
verità sull’opportunismo delle sue amiche, le farà mettere i piedi per terra e rivelerà
finalmente la sua vera natura.
Tutti dobbiamo pagare un
prezzo, sempre. E questo deve capirlo anche Roxanne Miller.
P.S. Nick è tornato
all’attacco, dicendo che gli manco da impazzire e non ce la fa senza di me. E’
stato così romantico e disperato che non ho potuto fare a
meno di accettare un suo invito a cena.
Jason, che era arrabbiato
con me fino a qualche giorno fa, si è arreso dopo qualche mia moina, tornando
nuovamente ai miei piedi.
Mi vedo con Jeff, quando non
ha gli allenamenti di basket,
e Mike, il mio ex della band che abbiamo contattato per la festa di benvenuto,
mi ha chiesto se voglio andare con lui al ballo che si terrà la stessa sera in
cui arriveranno gli stranieri. Io ho obbiettato che sarebbe stato impegnato a
suonare, ma lui ha detto che non dovevo assolutamente preoccuparmi perché
poteva farsi sostituire. Ora, però, il problema è che se dovessi accettare la
sua proposta, Jason e Jeff andrebbero su tutte le furie (dannazione alle loro
manie di possesso!) e Nick, se venisse a saperlo, come minimo si suiciderebbe sul colpo. L’unica soluzione è non andare con
nessuno dei quattro, anche se sarebbe un’umiliazione per me, la regina della
scuola, presentarsi da sola al ballo…
Forse dovrei aspettare che
arrivino gli stranieri: in tal caso né Jason, né Jeff, né Mike potrebbero fare
niente, perché quelli se ne andranno prima che possano anche alzare un solo
dito e la situazione sarebbe risolta.
Però…c’è sempre un
però…cosa farò se gli stranieri sono tutti dei gran bruttoni
e tra loro non me ne piace nemmeno uno?
Oh! Povera me!
***
*Nuovo capitolo!*
Ringrazio Pigna e Laprinc per le recensioni, anche se vorrei specificare a Laprinc che io, l’autrice della storia, non sono Kate e tutta la storia è puramente un prodotto della mia immaginazione. Utilizzo la prima persona come narrazione semplicemente perchè lo trovo un modo più semplice di trasmettere ciò che la protagonista prova e anche perchè ho appunto scelto di raccontare la storia tramite lo stratagemma del diario. Quando scrivo di Kate, da una parte rido come una matta, perché a volte i suoi ragionamenti rasentano il ridicolo, dall’altra, mi chiedo se esistano davvero delle persone così esagerate…beh, alla fine devo dire che sì, ci sono realmente persone così…anche se questa è una realtà diametralmente opposta dalla mia. Diciamo che io sono un po’ più una Roxanne, piuttosto che una Kate, anche se in me convivono entrambe loro due e al tempo stesso sono due cose diverse. Distinguiamo, quindi, quello che è una fiction dalla vita vera ;)
In ogni caso, spero che continuerete a seguirmi e a commentare, perché sentire le vostre opinioni mi ha fatta molto felice!
Al prossimo aggiornamento!