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Autore: oceansunrise    24/08/2014    1 recensioni
Era bellissima nonostante io odiassi le ragazze che fumavano, e lei stringeva una sigaretta sottile tra le labbra.
Era bellissima nonostante fosse cosi piccola, cosi minuta.
Era bellissima perchè aveva l'aria di una che è stata distrutta mille volte e si è sempre aggiustata da sola.
Era bellissima perchè fissava il vuoto, lo fissava come se fosse l'unica cosa a cui poteva aggrapparsi.
E quel giorno la salvai.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Zayn Malik
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Chapter three – Stolen Life.
 
The story of my life, I give her hope.
I spend her love until she’s broken inside,
The story of my life.

{Story of my life – One Direction}

‘Don’t forget where you belong’ diceva una canzone che oggi pomeriggio era passata sulla radio. E anche se di sicuro l’avrei cercata non le davo ragione, evidentemente l’autore aveva una bella famiglia, una vita più che perfetta e sperava di non dimenticarla mai.

Beato lui.

Sospirai e il fumo dell’ennesima sigaretta che stavo aspirando si diffuse nella stanza, fece qualche capriola di fronte all’unica piccola luce che tenevo accesa e poi andò ad incollarsi alle mura.

Ero seduta al tavolo della cucina, la sedia un po’ inclinata e quasi completamente al buio. Mi sembrava di essere una di quelle mogli disperate che aspettano i mariti la sera tardi per litigare e piangere un po’, solo per attirare la loro attenzione. Cosi affamate di amore, quell’amore che una volta avevano e che col tempo e con la vita gli è scivolato di dosso.

Mi ricordai di mia madre, lei era cosi affamata di amore. Era accecata tanto era forte e pesante la sua fame, cosi opprimente che l’aveva tenuta ancorata a questa casa e a mio padre per anni. O forse era solo bisogno di soldi.

Spensi la sigaretta consumata dall’aria, che quasi non avevo nemmeno fumato e nascosi la testa sotto le braccia. La guancia premuta sul legno freddo e ruvido del tavolo, gli occhi serrati e le ciglia umide di pianto.

Perché non potevo avere una bella famiglia unita anche io? Come quella di Justin. Lo invidiavo tanto.

Strinsi i denti fino a farmi male quando un lieve bussare alla porta interruppe la mia solitudine notturna. Non seppi se ringraziare per questo o imprecare.

Sapevo chi era, era inutile starci a pensare troppo. Mi alzai svogliatamente stringendomi nella gigantesca felpa che Justin aveva lasciato a casa mia qualche giorno prima e aprii la porta lasciando passare i due uomini in divisa e mio padre.

“Ciao principessa.” L’uomo dall’aspetto più anziano mi sorrise cordiale facendomi un cenno con la testa che ricambiai chiudendo la porta.

“Ciao Jonah.” Gli indicai il divano dove appoggiarono con poca delicatezza il corpo privo di sensi di mio padre. “Dove l’avete trovato stavolta?”

“Era vicino al confine, Landly Street.” Annuii pensierosa mentre maneggiavo con qualche tazzina. “Fantastico. Volete un caffè?”

Jonah annuì sconsolato mentre il suo collega dall’aspetto più giovane mi fece cenno di no. “Stai diventando proprio bella Len, anche se dovresti dormire un po’ di più.” Fissò il pacchetto di Lucky Strike quasi vuoto che avevo lasciato sul tavolo e io mi affrettai a metterlo nella tasca della felpa che indossavo.

“Grazie. Quanto zucchero?” cercavo di far cadere la conversazione che stava per prendere una brutta piega, con scarsi risultati.

“Lascia, lo prendo amaro. Perché continui a prenderti cura di quel …quell’uomo, Lennon?” Lanciò un’occhiata sprezzante a mio padre che si era girato su un fianco, e solo allora lo osservai meglio anche io.

Aveva la camicia a quadri macchiata di mille alcolici, i pantaloni abbottonati male e i capelli scompigliati e unti. Sentivo i suoi vestiti appiccicarsi sulla pelle anche se non li stavo indossando io, l’odore acre di vicoli stretti e alcolici pesanti. Sentivo sullo stomaco il peso di debiti e soldi buttati via, le mani sporche di gioco e corpi sconosciuti.

Mio padre non era più quello che si può dire un uomo, ma era mio padre e non potevo certo lasciarlo distruggersi cosi.

Sospirai e poi mandai giù tutto il caffè bollente d’un sorso. “Non posso abbandonarlo Jonah, è mio padre. Non capisci…”

“Io capisco Len ma alla fine, parliamoci chiaro, lo stai lasciando andare comunque alla deriva. Non vuole farsi portare in un centro per disintossicarsi, non vuole farsi aiutare e di sicuro non vuole te visto che cerca continuamente di scappare. Tu gli dai solo soldi e un divano, e lui da te vuole solo quelli.” Sospirò assottigliandosi con le dita i baffi e poi mi guardò dritto negli occhi. “Sei una ragazza intelligente, credo che tu capisca. E io non posso lasciarti cosi, sarebbe ora che chiamassi davvero gli assistenti sociali. Non posso più stare zitto, ti sta rovinando un futuro.”

Abbassai lo sguardo, quando prendeva questo argomento era inutile protestare. Si sarebbe messo a dire che sono una ragazzina che non sa gestirsi e che era evidente che ne avevo bisogno. Quindi più mi dimostravo matura e meglio era.

“Io lo so ma aspetta solo che…” “Che ne dici di farmi vedere un po’ il libretto di scuola?” inclinò la testa da un lato e tese la mano come a incoraggiarmi.

Aprii la bocca per protestare ma lui mi precedette. “Sei ancora minorenne Lennon, e ringrazia il cielo che non ho ancora chiamato nessuno. Su.”

Sospirai e corsi a prendere il libretto. I miei voti erano scesi vertiginosamente e i miei professori non facevano che chiedere colloqui su colloqui a mio padre.

Forse avevo una sola materia sopra, non ne ero sicura, ma Jonah era diventato quasi un padre per me e sapevo che voleva aiutarmi.

“Però non arrabbiarti eh.” Borbottai mentre facevo capolino dalla mia stanza.










Continuavo a rigirarmi nel letto, madida di sudore, non avevo preparato la cartella per domani, cioè oggi, e neanche fatto i compiti, il libretto era sulla scrivania e di sicuro domani l’avrei dimenticato insieme al resto.
Avevo chiuso la porta a chiave e aperto la finestra ma gelavo quindi avevo tirato la coperta fino a sopra la testa e non riuscivo a respirare. Feci uscire una mano da sotto il mio bunker troppo caldo e afferrai il cellulare sul comodino.
Le quattro e trentotto. Non avrei comunque dormito molto, quindi decisi di alzarmi. Mi scoprii e il freddo della notte mi investii facendomi rabbrividire, la luce pallida della luna illuminava la piccola stanza dove dormivo, i mobili chiari e le mille immagini appese alle pareti. Avevo tolto tutte le foto con mamma e papà e ora il muro sopra la testata del letto era ricoperto di citazioni e frasi di canzoni che amavo.

Il sorriso bianco di Marilyn che avevo appeso sopra la scrivania sembrava risaltare ancora di più in quella penombra, sospirai stringendomi nella felpa quattro volte più grande di me e sgattaiolai in salotto. Mio padre non si era ancora svegliato- e come avrebbe potuto? -ma era lentamente rotolato verso sinistra e ora se ne stava steso sul tappeto, rabbrividendo di freddo.

Lo coprii con un plaid e poi mi feci un the. Le cose cambiano, pensai.

Quella mattina troppo presto mi feci una doccia gelida, infilai la tuta e raccolsi i capelli ancora umidi in una coda alta per poi spendere la prossima ora a correre intorno all’isolato. Almeno fai qualco
sa di utile se non dormi, pensai.




Buonday *saluta con la manina*.

Volevo mmh chiedere se la storia vi sta piacendo, non ho ricevuto nessuna recensione al capitolo precedente e neanche un gran numero di visualizzazioni. Ora, non pretendo chissà che, la storia è all'inizio e io sono nuova a scrivere su EFP ma mi piacerebbe avere la vostra opinione, positiva o negativa che sia.
Vabbè, spero sempre che il capitolo vi sia piaciuto e se riuscite fatemi sapere per quella storia con la mia migliore amica che, tra parentesi, mi ha aiutato a fare un trailer jfddsjh.
Un bacio,
A x.
  
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